domenica 3 ottobre 2010
MITRA E SAN PAOLO
Il dio Mitra è in genere rappresentato come un giovane
con una tunica corta ed un mantello agitato dal vento. Egli indossa un berretto frigio, con la punta in avanti,
elemento tipico dell’abbigliamento delle Amazzoni, guerriere originarie della Frigia, ma
indossato anche dagli arcieri persiani. Stesso copricapo divenuto simbolo della rivoluzione
francese, nel 1789, come «berretto giacobino». Utilizzato anche dai Puffi, in
tinte bluastre. Mitra brandisce una daga nella mano destra. Con la sinistra invece tiene fermo il capo del toro che
sta per colpire e che è sotto di lui.
Particolare
curioso, ma importante: Mitra distoglie sempre lo sguardo dal toro che sta
sgozzando e lo rivolge verso un punto imprecisato. Elemento centrale del
mitraismo romano è appunto l’uccisione simbolica del toro. A questa scena
sacrificale, molto rappresentata dal punto di vista iconografico, assistono
delle figure secondarie, tra le quali: un cane, un corvo, un serpente, a volte
un leone ed una coppa. Le figure del cane ed del serpente vennero interpretate
dal belga Franz Cumont, nel 1896, come i simboli delle forze del bene e del
male, perché alcuni antichi testi iranici presentano queste due figure come
elementi rappresentativi del dualismo zoroastriano.
Ma osservando
con attenzione la scena della tauroctonia, si può notare che il cane ed il
serpente non sono in lotta fra loro, ma sembrano ignorarsi del tutto. La tesi
presentata dal Cumont, che il mitraismo romano altro non fosse che il culto
iranico di Mitra trapiantato a Roma, costituiva peraltro una sorte di circolo
vizioso. Infatti, egli aveva costruito la sua interpretazione sull’assunto che
l’origine del mitraismo fosse iranica, e che dunque il serpente ed il cane
fossero simboli del bene e del male. La conclusione come si vede è già nella
premessa.
Lo studioso
tedesco K. B. Stark, nel 1869, aveva interpretato la tauroctonia, con scarso
successo, in chiave diversa. Non riconducendola cioè alla mitologia iranica. Ma
considerandola come una vera e propria mappa del cielo. Stark aveva infatti
semplicemente notato che le figure di contorno della famosa scena (toro,
scorpione, cane, serpente, corvo, leone, coppa) corrispondevano ad alcune
costellazioni visibili in particolari periodi dell’anno. Inoltre, Spica, la
stella più luminosa della Vergine, richiamava le spighe di grano che in genere
compaiono sulla punta della coda del toro. Secondo Stark queste corrispondenze
non potevano essere casuali.
In effetti, in
molti monumenti mitraici è presente lo zodiaco, sotto forma di un arco o di un
cerchio che racchiude la scena centrale del sacrificio. Inoltre, nella stessa
iconografia sono presenti, insieme alle figure del sole e della luna, quelle dei
sette pianeti, spesso sotto forma di stelle, in genere disposti sul mantello di
Mitra o intorno a lui. Scrive Porfirio che gli stessi mitrei, all’interno dei
quali si celebravano ritualmente i misteri, erano costruiti in modo tale da
richiamare una caverna, proprio perché la caverna comunica un’immagine del
cosmo.
Peraltro, già
Origene, in «Contro Celso», faceva riferimento ai significati astronomici ed
astrali del culto di Mitra: «In questi misteri vengono simboleggiate due orbite
nei cieli (una per le stelle fisse e l’altra per i pianeti) e il passaggio
dell’anima attraverso esse. Il simbolo è questo: c’è una scala a pioli con sette
porte, e sulla sommità un’ottava porta». La scala a sette porte, che per Origene
rappresenta i pianeti, richiama i sette gradi dell’iniziazione mitraica, citati
anche da San Girolamo: «Corvo, Ninfo, Soldato, Leone, Persiano, Corriere del
Sole e Padre.
Nel 1971,
nell’Università di Manchester, si svolse il Primo Congresso Internazionale di
Studi Mitraici.
In questa sede,
Roger Bek riportò in auge l’adombrata teoria di Stark, mettendo in evidenza che,
quando osserviamo le stelle più luminose della costellazione del Toro e dello
Scorpione, Aldebaran ed Antares, possiamo vedere sull’eclittica alcune
costellazioni che corrispondono alle principali figure che compaiono nella scena
sacrificale: Taurus il toro, Canis Minor il cane, Hydra il serpente, Corvus il
corvo, Scorpio lo scorpione. Questa nuova tesi non spiegava tuttavia perché le
altre costellazioni visibili nella parte del cielo rappresentata dalla
tauroctonia (Gemelli, Orione, Cancro, Bilancia…) non facessero parte
dell’iconografia mitraica.
E non chiariva
nemmeno una questione davvero cruciale: se tutte le figure della tauroctonia
rappresentano e sono rappresentate dalle relative costellazioni, perché a Mitra,
che pur costituisce la figura centrale del mito, non corrisponde una
costellazione propria? Questa contraddizione è facilmente risolvibile con
un’ipotesi solo apparentemente ardita: l’identificazione di Perseo con
Mitra.
Infatti, nella
mappa celeste, proprio sopra le stelle del Toro, è situata una costellazione che
rappresenta un giovane guerriero, che impugna una spada e che porta un copricapo
frigio.
E’ la
costellazione di Perseo. Il mito narra che il copricapo dell’eroe Perseo, che
rendeva invisibile chi lo indossasse, gli fosse stato donato dalle ninfe per
metterlo in grado di sconfiggere la Gorgone Medusa. E Perseo, mentre uccide la
Medusa, distoglie lo sguardo dalla preda, perché il suo sguardo provoca la
morte.
Vi è una
sorprendente somiglianza fra Perseo e Mitra. Se Perseo nacque in una caverna
sotterranea, Mitra emerse miracolosamente dalla roccia, rivelandosi ad alcuni
pastori. La costellazione di Perseo è sopra quella del Toro, così come Mitra è
rappresentato sopra il toro nell’atto di ucciderlo. Sia Perseo che Mitra sono
raffigurati come giovani guerrieri che brandiscono una daga. Entrambi indossano
lo stesso copricapo frigio.
Ed entrambi
distolgono lo sguardo, mentre uccidono le loro prede.
Consideriamo a
questo punto che, come attesta Plutarco, furono i pirati della Cilicia,
sconfitti dal generale romano Pompeo, nel 67 avanti Cristo, ad importare a Roma
il culto di Mitra. Capitale della Cilicia era Tarso. La leggenda vuole che a
fondarla fosse stato proprio l’eroe Perseo, la cui immagine era effettivamente
modellata su alcune monete, già dall’inizio del II secolo avanti
Cristo.
Peraltro,
l’emblema stesso della città di Tarso raffigurava una scena tauroctona: un leone
che attacca un toro. La città di Tarso, nei periodi ellenista e romano, fu un
importante centro culturale, sede di una famosa comunità di stoici. E’ noto che
la filosofia della Stoà, fondata da Zenone intorno all’anno 300 avanti Cristo,
celebra tra l’altro le virtù del coraggio, dell’imperturbabilità, del senso del
dovere.
I filosofi
stoici sostenevano la necessità di dominare gli istinti e le passioni, per
giungere alla pienezza della redenzione, ottenibile a loro avviso mediante l’uso
esclusivo della ragione. Essi ritenevano come certa l’esistenza dell’omologia
fra cielo e terra. Interpretavano cioè ogni azione terrena come una conseguenza
di un’azione celeste e soprannaturale. Da questa credenza, la loro conseguente
sottomissione nei confronti di un fato ineluttabile, che condizionerebbe tutti
gli eventi umani. Ancora oggi, con «stoico» si intende quell’atteggiamento di
distacco nei confronti degli alti e bassi del destino.
Uno dei
principali rappresentanti dello stoicismo fu Atenodoro (74 avanti Cristo, 7 dopo
Cristo), per un certo tempo precettore di Augusto, molto legato all’illustre
Posidonio (circa 135 - 50 avanti Cristo), lo stoico più autorevole della sua
epoca. Sant’Agostino definì Posidonio come un «grande astrologo, ma anche
filosofo», in sostanza uno che sostiene che siano le stelle a governare il fato
(«La città di Dio» Libro 5, 2-5). Posidonio, che guidò la scuola stoica nel
periodo in cui si presume abbiano avuto origine i misteri di Mitra, credeva
nella teoria della simpatia universale, la famosa presunta relazione e
connessione fra tutte le cose. Credenza che venne ripresa in modo assai
importante dalla cultura magica rinascimentale. In ordine a tale idea, egli
sviluppò con particolare attenzione i temi astrologici e cosmologici, affermando
altresì l’esistenza dei cicli cosmici, i Grandi Anni, alla fine dei quali il
cosmo intero sarebbe stato distrutto e ricreato.
Egli svolse la
sua attività di indagine filosofica e cosmologica a Rodi, subito dopo la morte
di Ipparco, al quale tutti gli storici dell’astronomia attribuiscono la scoperta
della precessione degli equinozi (1). Venuto a conoscenza della scoperta
di Ipparco, che operò nella stessa isola, Posidonio ne restò profondamente
impressionato. Anch’egli infatti, come tutti gli stoici, poneva in relazione la
natura al mito, superando di molto le linee che in genere demarcano l’astronomia
dall’astrologia.
E’ dunque molto
probabile che questo filosofo interpretasse la scoperta di Ipparco come una
sensazionale novità, arricchendola di ulteriori risvolti mitici e
religiosi. Probabile anche la messa in relazione del moto di precessione con una
divinità superiore alle altre, fino allora rimasta nascosta, così potente da
smuovere l’intera volta celeste (vigeva la concezione geocentrica). Divinità
cosmocratica potentissima, tuttavia così segreta da essere percepita solo da
pochissimi uomini, particolarmente dotati nella filosofia e nella scienza
astrale.
«Possiamo dunque
immaginare il nostro gruppo di stoici alla ricerca di una possibile
personificazione di questa nuova forza cosmica. Ed è difficile pensare ad una
figura che si adattasse meglio a personificare questa nuova forza cosmica del
dio della loro stessa città, Tarso, e il cui significato cosmico era già
evidente nel suo essere costellazione: Perseo» (2). La scoperta di Ipparco aveva
inoltre svelato che prima del periodo greco-romano, nel quale l’equinozio di
primavera cadeva in Ariete, l’ultima costellazione nella quale cadeva
l’equinozio era proprio quella del Toro. La precessione poteva dunque essere
interpretata come simbolo occulto della morte di un toro, che rappresenta
altresì la morte della precedente età astrale, causata dal lento moto della
precessione equinoziale.
Pertanto:
«L’eroe che uccide il toro simboleggerebbe la forza cosmica che, muovendo
l’intera struttura del cosmo in modo da spostare l’equinozio di primavera dalla
costellazione del Toro all’attuale costellazione dell’Ariete, distrusse, in
tempi antichi, il potere del toro, così sarebbe sorto il nucleo iconografico
della tauroctonia» (3). Dal momento che il fenomeno della
precessione comporta uno slittamento degli equinozi lungo la linea dell’equatore
celeste, sarebbero state rappresentate nell’iconografia sacrificale solo le
costellazioni equatoriali della superata età del Toro.
Per confortare tale ipotesi, resta ora da
chiarire in che modo questo nuovo culto, praticato all’interno della cerchia
degli stoici di Tarso, abbia potuto diffondersi tra i pirati della Cilicia, che
erano qualcosa di più di semplici predatori. Plutarco, nella «Vita di Pompeo»,
riferisce che le loro navi erano più di un migliaio. Inoltre: «Gli uomini ricchi
e influenti, dal lignaggio illustre e di intelligenza superiore, cominciarono ad
imbarcarsi sulle navi pirate e partecipare alle loro imprese».
Questa circostanza particolare potrebbe aver
determinato una sorta di scambio di favori fra gli intellettuali di Tarso,
cultori della nuova e potentissima divinità astrale Mitra-Perseo, ed i potenti
pirati che dominavano le coste del Mediterraneo, i quali per forza di cose
dovevano essere molto interessati ai temi astronomici ed ai culti astrali.
Nel periodo della loro massima ascesa, i pirati
della Cilicia avevano stretto una forte alleanza con il re Mitridate VI,
discendente del nobile persiano Mitridate II di Cio. Il quale, dopo aver
conquistato gran parte dell’Asia Minore, intorno all’88 avanti Cristo, combatté
per una ventina d’anni contro i generali romani. Queste tre guerre, dette
appunto mitridatiche, si conclusero con la sconfitta definitiva di Mitridate da
parte di Pompeo, avvenuta nel 66 avanti Cristo.
Mitridate svolse un ruolo centrale in ordine al
nuovo culto di Mitra, per due significative coincidenze. Infatti, il nome di
questo re non solo richiamava l’antica divinità iranica Mitra. Ma egli si era
anche fatto rappresentare su alcune monete sotto le sembianze del mitico eroe
tarsense, perché si riteneva che tutta la sua stirpe, quella dei Mitridate,
fosse stata fondata proprio da Perseo. In questa prospettiva, afferma Ulansey, è
molto probabile abbia avuto origine «il legame sincretistico tra Perseo e
Mithra, che condusse al nome Mithras (una forma greca del nome Mithra) dato al
dio del nuovo culto». Culto pregno di significati e di riferimenti oscuri e
cosmologici, fino allora sconosciuti, che trascendevano quelli propri
dell’antica religiosità solare iranica, e che solo una stretta ristrettissima di
adepti cominciava ad indagare.
Questo culto, che stava per diffondersi in
tutto l’impero romano, proprio per la sua segretezza e la sua forza evocatrice,
era riservato a pochi accoliti, di sesso maschile, adeguatamente istruiti
secondo livelli e rituali iniziatici ignorati dal popolo, che invece continuava
a celebrare pubblicamente solo l’aspetto visibile del Sole. Mitra veniva
considerato come la sorgente di una potentissima luce «nuova», insensibile ed
interiore, alla quale era legato la rinascita magica ed interiore degli
adepti. Rinascita che
nemmeno la potente divinità fino allora celebrata, Elio-Sol-Apollo, poteva
garantire (4). Più che un dio del sole, Mitra era
considerato come un portatore di luce. Un lucifero,
appunto.
Tertulliano a riguardo scrive che il diavolo
scimmiotta i sacramenti cristiani nei riti dedicati alla celebrazione degli dei
pagani: «E se mi ricordo ancora in maniera esatta di Mitra, posso dire che il
diavolo caratterizza le sue milizie con un segno sulla fronte; egli celebra
anche l’offerta del pane e interpreta un’imitazione della resurrezione, combatte
con la spada e vince la corona» («De corona militis», 15). La pseudo
risurrezione alla quale allude Tertulliano richiama la dottrina della
metempsicosi. Ma anche la cosiddetta morte iniziatica, condizione necessaria
alla quale il mistero si deve sottoporre, per spezzare la circolarità carmica, e
giungere alla rinascita a se stesso.
Proprio per i
risvolti oscuri e magici legati ai rituali di iniziazione, e di evocazione, il
culto di Mitra col passare del tempo: «In seguito all’ostilità dello Stato,
scomparve dalla superficie della storia, conservandosi in una occulta tradizione
e operando invisibilmente sulle grandi correnti storiche occidentali. Il
riaffiorare della sacralità dell’Imperium nella tradizione ghibellina medievale,
lo sfondo iniziatico dei poemi epici e cavallereschi dell’Età di mezzo, le
tracce di tradizioni ermetiche fino al Rinascimento e le spinte alla rinascita
spirituale evidenziatesi anche in tempi molto recenti, testimoniano in modo vivo
e concreto della continuità della forza del retaggio sapienziale pagano
dell’Occidente» (5).
A questo punto, ci sembra interessante fermare
la nostra attenzione su quella che può considerarsi una circostanza curiosa. Se
non proprio una coincidenza significativa. Infatti, secondo la teoria di Ulansey
appena esposta, la città dalla quale prese origine e si diffuse in tutto
l’Impero il culto misterico di Mitra sarebbe Tarso. Ma Tarso è anche
la patria dell’Apostolo che annunziò il Vangelo ai Gentili secondo una
prospettiva del tutto nuova (6).
Quando infatti San Paolo presenta ai pagani la dottrina
del Cristo pantocrator (Colossesi 1, 15-20; 2, 3-15; Filippesi 3, 20-21), lo fa
solo dopo avere annullato la consueta logica del mito. Egli non
proclama l’aspetto glorioso di Cristo, che pure conosce molto bene. Ma ne esalta la
sua morte in croce. Dunque, la sua sconfitta dal lato umano. Che però
corrisponde all’esaltazione nell’ottica di Dio: «La parola della croce è infatti
stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per
noi, è potenza di Dio» (1 Corinzi 1, 18). Esaltazione
della croce, affermata in precedenza da Isaia (52, 13-15): «Ecco, il mio servo
avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente … i re davanti a
lui si chiuderanno la bocca».
San Paolo presenta ai Romani non un ambiguo ed
irraggiungibile dio cosmologico, che per essere accolto dall’uomo impone
psicodrammi iniziatici, ed il mantenimento di inconfessabili segreti. Ma
annunzia la novità del Dio creatore che si è fatto uomo per rivelarsi a tutti,
si è lasciato maltrattare ed uccidere, per sconfiggere la morte e donare agli
uomini la vita eterna. Un «Uomo Celeste», del quale l’uomo porterà concretamente
l’immagine, così come ora porta l’immagine dell’uomo di terra, Adamo (1 Corinti
15, 49).
Afferma Paolo che tutta la realtà universale
assume la pienezza di significato, a condizione di essere incentrata intorno a
Cristo ed alla sua umanità celeste: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e
Cristo è di Dio» (1 Corinti 3, 22). Questa cruciale affermazione, che
ritroviamo in Colossesi (3, 11): «Cristo è tutto in tutti», indica una sorta di
dinamica interiore, che verrà ripresa da Sant’Agostino nel «De Magistro»: «Se
scavi nel petto trovi il cuore, se scavi nel cuore trovi Cristo». Ovvero, una
concentricità e non una separazione fra il mondo, l’uomo e Dio. In altri
termini, se l’uomo è il centro spirituale del mondo, Cristo a sua volta è il
centro dell’uomo. Centro immanente all’uomo, ma trascendente al mondo
(7).
E’ in considerazione di questa trascendenza di
Cristo in ordine al mondo, ma alla sua immanenza rispetto all’uomo, che
l’Apostolo afferma ancora: «La realtà invece è Cristo!... Nel quale abita
corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Colossesi 2, 17 e 2,
9). Infatti: «Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di
tutti i cieli, per riempire tutte le cose» (Efesini 4, 10).
Alla luce di tale prospettiva decisamente
cristocentrica, che pone l’uomo al centro del mondo, ma Cristo nel centro
dell’uomo, il beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, propose
una considerazione quanto mai significativa, proprio dal punto cosmologico,
dalla quale sembrerebbe emergere una forma metafisica, ben determinata
dell’universo. Una forma totalmente rivoluzionaria.
Infatti, se al centro di tutto si pone Cristo,
allora tutta la realtà è concepibile come la circonferenza rispetto al
centro! Ovvero, il mondo assume una forma (ribadiamo per i lettori distratti:
forma metafisica) endosferica. E non esosferica. Ovvero, tutta la realtà è
inserita all’interno del mondo, e non all’esterno, come si è ritenuto fino ad
oggi. Dunque, un mondo concavo, e non convesso.
Le parole che
alludono al cristocentrismo paolino, e che riteniamo pregne di un innovativo
significato metafisico, sono le seguenti: «Dio ha creato come due mondi
concentrici: uno naturale in quanto Egli è Uno nella natura; e l’altro
soprannaturale, in quanto Egli è Trino nelle persone. Questi due mondi, creati
dalla sua infinita potenza, sapienza e bontà, formano come una irradiazione
intorno a Lui, che si espande in ogni direzione, in limiti per noi impossibili a
determinarsi. Ma tutte le creature debbono tornare a Lui; il quale, come è di
tutto il primo principio, così deve essere pure l’ultimo fine: ‘Ego sum Alpha et
Omega, primus et novissimus, principium et finis (Apocalisse XXII, 13). Scienza
ed arte sono come pecore pascolanti che l’uomo, che è il pastore, deve far
rientrare nell’ovile di Dio» (8).
Tornando alla scimmiottatura del diavolo circa il culto
di Dio, citata in precedenza, essa si riallaccia proprio alla predicazione di
San Paolo, assai sensibile a questo tema. Infatti, più di
tutti gli altri apostoli, è San Paolo, «il pensatore più vigoroso della
religione di Cristo e il precursore più audace della futura organizzazione della
Chiesa» (9), a sostenere
con chiarezza, e senza tanti distinguo, l’insanabile opposizione fra il culto
rivolto a Cristo e quello dedicato ai demoni. Chi non venera
Cristo, venera gli idoli: «I sacrifici dei pagani sono fatti a demoni, e non a
Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demoni; non potete
bere il calice del Signore e il calice dei demoni; non potete partecipare alla
mensa del Signore ed alla mensa dei demoni» (1 Corinti 10, 19
-22).
Nella «Seconda lettera ai Corinzi», aggiunge:
«Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l’iniquità, o quale
unione tra luce e tenebre? Quale intesa fra Cristo e Beliar, o quale
collaborazione fra un fedele e un infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e
gli idoli? Non siamo infatti il tempio del Dio vivente?» (6, 13-16).
A proposito della sua volontà di recarsi in
Tessalonica, ove lo attendevano nuove comunità cristiane, San Paolo sperimentò
in modo evidente l’azione contraria del maligno, che fece di tutto per
impedirgli quel viaggio apostolico: «Quanto a noi fratelli… abbiamo desiderato
una volta, anzi due volte, proprio io Paolo, di venire da voi, ma Satana ce lo
ha impedito» (1 Tessalonicesi 2, 18).
Anche su questo tema, San Paolo evita del tutto
qualunque divagazione. Non è un dotto, ma un apostolo. Se parla è per mettere in
guardia i suoi discepoli circa il potere reale di seduzione del maligno, che
egli conosce bene. Ma dal quale è altrettanto conosciuto: «Conosco Gesù e so chi
è Paolo, ma voi chi siete?», domandò lo spirito avverso ad alcuni esorcisti
ambulanti giudei, prima di metterli in fuga per mano di un indemoniato, coperti
di ferite ed addirittura nudi (Atti 19, 13).
Il maligno, proprio perché sostanzialmente
ingannatore, è tuttavia così abile da dissimulare la propria natura, prendendo
le sembianze della divinità che vorrebbe adombrare. Per ingannare gli uomini ed
indurli nell’errore e nel peccato, «Satana, di cui non ignoriamo le
macchinazioni… si maschera da angelo di luce» (2 Corinti 2, 11 e 11, 14). Paolo
indica con estrema efficacia il pericolo derivante dai falsi culti, anche se lo
fa in modo formalmente diverso dal suo Divino Maestro, capace di affascinare le
folle con efficaci, suggestive e sintetiche parabole. Nelle sue Lettere,
l’Apostolo in genere non utilizza un linguaggio attraente, poetico, allusivo
come quello del Vangelo. Egli non evoca nemmeno immagini profetiche, tremendi
«sigilli» da sciogliere, significati chiusi tutti da interpretare, come è in
grado di fare l’apostolo Giovanni, nell’affascinante e misterioso libro
dell’Apocalisse.
Lo stile di Paolo, a parte gli straordinari
slanci cristologici, non è immediato. Ma dimesso, discorsivo, non suggestivo. A
volte, apparentemente contorto, se non proprio noioso. Tuttavia, nessuno fra gli
apostoli è più vicino a Cristo di quanto lo sia Paolo. Nessuno si identifica
totalmente a Cristo, al punto da dire: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive
in me». Nessuno condivide come lui la passione e la croce del Signore: «Sono
stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.
Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha
amato e ha dato se stesso per me» (Galati 2, 20). E più avanti prima di
concludere seccamente la lettera ai Galati, «O stolti Galati, chi mai vi ha
ammaliati!» (3,1), afferma: «Io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (6,
17).
Ebbene, San Paolo, così partecipe della croce
ed della gloria di Cristo, ha compreso benissimo che: «La nostra battaglia non è
contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà,
contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che
abitano nelle regioni celesti» (Efesini 6, 12). Questa affermazione dimostra
l’incomparabile intelligenza spirituale di colui al quale «è stata concessa la
grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Efesini
3,8). Intelligenza che trascende decisamente i limiti degli effetti contingenti,
per giungere alla causa metafisica degli eventi.
San Paolo infatti, in virtù della particolare
esperienza di Cristo, culminata con il rapimento estatico al terzo cielo, in
paradiso, ove «udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare» (2
Corinzi 12, 4), non può che amplificare la portata temporale del «mysterium
iniquitatis» (2 Tessalonicesi 2, 7), non riferendolo ad uomini in particolare,
ma riconducendolo alla sua vera e sola essenza: «il principe delle potenze
dell’aria, quello spirito che opera negli uomini ribelli» (Efesini 2,2).
San Paolo lascia dunque intendere che i potenti
di questa terra sono a loro volta sottoposti ad un potere superiore, metafisico,
costituito da quegli spiriti dell’aria ai quali sono rivolti i culti ed i
sacrifici che essi celebrano. A tale potere è sottoposto non solo chi partecipa,
ma chiunque consenta siano celebrati tali culti illeciti. E proprio alla
celebrazione degli spiriti erano rivolte le religioni misteriche di tutti i
tempi. In special modo quelle fiorite nel mondo greco e romano.
Nelle quali la medianità, ovvero la
comunicazione sensibile con l’al di là, costituiva un aspetto
fondamentale. Afferma Allan Kardek, che di spiriti se ne intendeva, che il dono
della medianità è antico quanto il mondo: i misteri di Eleusi ad esempio erano
fondati sulla medianità. Guénon pur
discostandosi dall’interpretazione moderna dello spiritismo, non era così
ingenuo da negarne i fenomeni (10).
Anticamente, era assai diffusa la credenza «che un
fanciullo o gruppi di fanciulli impuberi potessero costituire i migliori
depositari di rivelazioni, di sogni e di doni divinatori». Credenza
avvalorata dal fatto che nell’antica Roma esistevano i «pueri magici», che i
sacerdoti inducevano alla trance o al sonno magico: «Quando uno spirito è
evocato nessuno ha il potere di vederlo se non fanciulli di undici e dodici anni
d’età o tali che siano davvero vergini» (11).
Sorge in proposito un’inquietante domanda. E’
possibile che alcuni degli svariati rapimenti misteriosi ed insoluti di minori
che avvengono ancora, e specialmente, ai nostri giorni, siano riferibili a tale
criminale credenza? Si dice che addirittura gli spiriti giungano a scegliersi ed
a contattare il proprio medium, così come si può scegliere ed acquistare in base
alle proprie necessità, e disponibilità, un’automobile dal concessionario. Essi:
«Preferiscono gli strumenti più facili o, come dicono, i medium ben attrezzati
dal loro punto di vista» (12). Circostanza che sembrerebbe
confermata dallo spirito Cao-Dai, dal quale prese avvio il movimento
Coadismo.
Questa entità scelse come suo «apostolo»
Lê-Vang-Trung, un ricchissimo negoziante indocinese completamente immerso negli
affari materiali. Che tuttavia
appena messo al corrente di essere stato scelto ed eletto da questa entità,
scimmiottando gli apostoli, lasciò tutto e si dedicò completamente alla
diffusione di questo aberrante culto spiritico (13). L’epoca nella quale visse Paolo
era completamente impregnata di queste pratiche evocatorie pagane, rivolte a
demoni e divinità.
Sant’Agostino analizza in modo particolare
questo aspetto nella «Città di Dio». Egli riporta l’opinione comune, affermata
in special modo da Apuleio, riguardo alla realtà animata, ordinata in tre
classi: «Dei, uomini e demoni. Gli dei occupano la posizione più eminente, gli
uomini l’infima, i demoni quella di mezzo; infatti, la sede degli dei è il
cielo, quella degli uomini la terra, quella dei demoni nell’aria» (Libro 8,
14). I demoni stanno fra gli uomini e gli dei e fungono da intermediari. Ed in
quanto tali vanno propiziati attraverso cerimonie magiche e mediante l’offerta
di opportuni sacrifici.
Ma aggiunge il santo d’Ippona: «Essi sono
invece spiriti pieni del desiderio di nuocere, totalmente alieni dalla
giustizia, gonfi di orgoglio, lividi d’invidia, astuti nell’inganno; abitano
nell’aria, perché abbattuti dalla sublimità del più alto cielo come punizione di
una trasgressione irrimediabile e condannati a questa specie di carcere a loro
conveniente» (Libro 8, 22). Questi demoni vengono unanimemente indicati dagli
esperti in esoterismo, più o meno esplicitamente, come i veri capi e governatori
attivi delle sette segrete.
Pierre Mariel ne parla alquanto chiaramente in
un testo classico della cultura esoterica. Dopo aver
analizzato le strutture e le strategie delle principali sette segrete che si
sono succedute nel corso della storia, lo studioso francese conclude che queste
«obbediscono tutte (ed i veri Superiori lo sanno) ad un’unica direzione.
Esistono (al di sopra delle divergenze apparenti) Superiori Sconosciuti,
raggruppati in un Centro del Mondo, che sono i direttori d’orchestra in
quest’insieme, dove ogni società è uno strumento docile e ben accordato»
(14).
Tali presunti «superiori», così
incogniti da sembrare inesistenti, certamente invisibili, così come il «centro»
del mondo, «Agartha», «Sacro Impero», «Loggia bianca», nel quale sarebbero
raggruppati, sembrano essere, più che uomini in carne ed ossa, «genii, entità,
daimon», suggerisce ancora Mariel. Essi ricordano quelle potenze avverse
dell’aria, citate da San Paolo. E contro le quali si scagliò senza riserve. Di
certo, senza ignorare il culto di Mitra, nato nella sua stessa
patria.
Proprio il culto di Mitra, in modo del tutto
speciale, sembra aver messo in moto ed introdotto non solo nella Roma imperiale,
ma nell’ambito della cultura stessa, l’idea della possibilità di mettersi in
comunione e comunicazione, attraverso liturgie estatiche ed opportuni sacrifici,
con il principale spirito dell’aria, quello legato al Sole: Lucifero. Il vero
animatore di qualunque azione tesa al rovesciamento della logica divina. Il
sostenitore efficace di ogni tentativo razionale di oscurare la Verità. Di dare
al falso la parvenza del vero. Fomentatore di qualunque tipo di
rivoluzione.
Consideriamo che il Sole, nel suo aspetto
spirituale: «sviluppa nell’uomo una forte tendenza a considerarsi al centro del
mondo; imbevuto della propria persona e specchiandosi nella propria immagine,
egli si blocca allora in un egocentrismo che lo imprigiona e lo limita sempre di
più, separandolo, inoltre, dalle sue forze interiori. Tutto ciò accadde a
Lucifero. Infatti, la tradizione dell’ermetismo cristiano (sic) racconta che
all’alba dell’umanità l’angelo Lucifero, osservando
la propria
immagine, si vide così bello che si illuse riguardo a se stesso e credette di
poter diventare uguale a Dio» (15).
Peraltro, nel diciassettesimo capitolo del
famoso «Poimandres», attribuito ad Ermete Trismegisto, vengono presentati in
modo alquanto esplicito gli aspetti occulti e metafisici del Sole. Tra l’altro,
si legge: «Il sole ha intorno a sé molti cori di demoni, simili a eserciti di
diverso genere … che dall’alto vegliano sulle questioni degli uomini, poiché è
stata assegnata loro la regione degli uomini» (XVII, 10). E più avanti (XVII,
13) viene ribadito lo stesso concetto: «Sotto il sole è stato ordinato il coro
dei demoni, anzi molti e diversi cori, posti sotto il comando dei quadrati degli
astri, ciascuno in numero pari… Tutti questi demoni hanno ricevuto in sorte il
potere sulle vicende e sui disordini della terra. Vi operano ogni genere di
scompiglio, per le città e popolazioni in generale e per ciascun individuo in
particolare».
Nel punto 17 viene data l’immagine
corrispondente a questa compagine etera: «Intorno al sole ruotano le otto sfere
che da lui dipendono, quella delle stelle fisse, le sei sfere dei pianeti e la
sfera unica che circonda la terra [la luna]». Ci sembra di riconoscere in questo
modello quello imparato sui banchi di scuola, sul quale abbiamo già
dissertato. Lo spirito solare, formalmente denominato in vari modi, ma
essenzialmente luciferino, è dunque sempre in azione nel corso del tempo.
Insieme alla corte di spiriti decaduti, che gli
ruotano intorno.
In questo stesso momento, egli incoraggia la
diffusione di messaggi destabilizzanti, immorali, ingannevoli. E cerca di
ostacolare quanti intendono osteggiarlo, con i mezzi di grazia, in ogni ambito e
settore. Specialmente in quello culturale. Obbedendo interiormente alla divina
volontà che vuole «che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza
della verità» (1 Timoteo 2, 4). E che proprio per attuare la «carità della
verità», secondo un’espressione alberoniana, spinge a dire cose mai dette, in un
certo modo, proprio in questo cruciale momento storico.
D’altronde: «Quando venne la pienezza del
tempo, Dio mandò suo figlio, nato da una donna, nato sotto la legge, per
riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a
figli» (Galati 4, 4-5). O in altri termini: «Solo quando il discepolo è pronto,
appare il Maestro». Al fine di far «comprendere con tutti i santi quale sia
l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di
Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza
di Dio» (Efesini 3, 18-19).
1) La precessione
è quel fenomeno che ogni anno causa l’anticipo dell’equinozio di primavera,
rispetto all’anno precedente. Circa 20 minuti di tempo, e 50 secondi di arco. In
prospettiva eliocentrica, la Terra, oltre che ruotare intorno al sole e su se
stessa, possiede un terzo movimento. Quello del suo asse che, essendo inclinato,
ruota come l’asse di una trottola sbilenca, con un periodo di circa 25.000
anni. 2) D. Ulansey, «I
Misteri di Mithra - Cosmologia e salvazione nel mondo antico», Edizioni
Mediterranee, 2001, pagina 92. 3)
«Ibidem».
4)
Confronta A. von
Prónay, «Mitra un antico culto misterico tra religione e astrologia», Convivio -
Nardini editore, Firenze, 1991, pagina 39.5) 5) «Mos maiorum»,
Rivista trimestrale di Studi tradizionali, anno II, numero 4, 1996, pagina 34,
in S. Arcella, «I Misteri del Sole», Controcorrente, Napoli 2002, pagina
212. 6) San Paolo, nato
a Tarso (Atti 9, 30) da Giudei della tribù di Beniamino, farisei e cittadini
romani, nei primi anni dell’Era Volgare, fu educato a Gerusalemme alla scuola
del famoso rabbino Gamaliele. Ardente fariseo e persecutore accanito dei primi
cristiani, dopo la sua conversione avvenuta sulla via di Damasco in seguito ad
una spettacolare teofania, dopo una decina anni di studio, meditazioni e
rivelazioni alla grande opera della conversione dei Gentili, nel 45
incominciò
i suoi viaggi
missionari avendo come centro di partenza e ritorno Antiochia. Furono quattro i
viaggi dell’Apostolo: viaggi pericolosi, sovente per le regioni difficili che
doveva attraversare; ma specialmente per le persecuzioni dei giudaizzanti che lo
inseguivano continuamente per intralciare l’opera di evangelizzazione. Confronta
G. Alberione «Leggete le Sacre Scritture - Dieci ore di adorazione sulla Sacra
Bibbia», Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, pagina 241.
7) Confronta P.
Benedetto Morrone da Ielsi, «Antropologia celeste», Centro culturale «Sacro
Cuore», Campobasso, 1995, pagine 75-109. 8)
In Autori vari,
«L’eredità cristocentrica di don Alberione», Edizioni Paoline, 1989, pagina
260. 9) É. Trocmé, «San
Paolo», Editrice Queriniana, Brescia, 2005, pagina 94.
10) «Quel che vi è
di nuovo nello spiritismo, paragonando quest’ultimo a quanto era esistito
anteriormente, non consiste nei fenomeni, che sono conosciuti da sempre», R.
Guénon: «L’errore dello spiritismo», Rusconi, Milano, 1988, pagina 45.
11) F. M. Dermine,
«Mistici, veggenti e medium - Esperienze dell’al di là a confronto», Libreria
Editrice Vaticana, 2002, pagina 99 e seguenti. 12) «Ibidem»,
pagina 210. 13) P. Mariel, «Le
società segrete che dominano il mondo», Vallecchi, Firenze, 1976, pagine 134 -
149. 14) «Ibidem»,
pagina 207. 15) C. R. Payeur,
«I pianeti simboli della coscienza», Edizioni L’Età dell’Acquario-Lindau,
Torino, 2003, pagina 75.
Nessun commento:
Posta un commento