Totus
tuus Networkwww.totustuus.net
Giornata Provinciale del Timone a Bologna – 18 maggio 2008
Giornata Provinciale del Timone a Bologna – 18 maggio 2008
Omaggio
ai partecipanti
IL
SENSO CRISTIANO DELLA STORIA
di
Dom Gueranger, Abate di Solesmes (Prosper-Louis-Pascal Gueranger),
(Sable sur Sarth, 1805/Solesmes 1875),
considerato il restauratore dell'ordine benedettino in Francia.
Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante così non esiste per lui neppure una storia puramente umana. L'uomo è stato chiamato da Dio a un destino soprannaturale; questo è il suo fine
(Sable sur Sarth, 1805/Solesmes 1875),
considerato il restauratore dell'ordine benedettino in Francia.
Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante così non esiste per lui neppure una storia puramente umana. L'uomo è stato chiamato da Dio a un destino soprannaturale; questo è il suo fine
Indice
Il soprannaturale
nella storia
L’azione
della santità nella storia
I
doveri dello storico cristiano
Il
Cristo eroe della storia
IL
SOPRANNATURALE NELLA STORIA
Come per il
cristiano non esiste una filosofia a sé stante così non esiste per
lui neppure una storia puramente umana. L'uomo è stato chiamato da
Dio a un destino soprannaturale; questo è il suo fine; la storia
dell'umanità deve offrirne testimonianza. Dio avrebbe potuto
lasciare l'uomo allo stato naturale; nella sua bontà si è
compiaciuto di destinarlo a un ordine superiore, rivelandosi a lui e
chiamandolo alla visione finale e al possesso ultimo della sua
essenza divina; la fisiologia e la psicologia naturali sono dunque
impotenti a dar ragione del destino dell'uomo che può essere
spiegato soltanto ricorrendo alla rivelazione; qualsiasi filosofia
che, prescindendo dalla fede, pretenda di determinare il fine
dell'uomo per mezzo della sola ragione, è per ciò stesso colpevole
di eterodossia ed è riconosciuta tale. Dio solo, tramite la
rivelazione, poteva insegnare all'uomo tutto ciò che egli è nel
piano divino; questa è l'autentica chiave di lettura dell'uomo. Non
vi è dubbio che la ragione possa, con le sue speculazioni,
analizzare i fenomeni dello spirito, dell'anima e del corpo, ma,
proprio in quanto è incapace di afferrare il fenomeno della grazia
che trasforma lo spinto, l'anima e il corpo per unirli a Dio in
maniera ineffabile, essa non è in grado di spiegare l'uomo nella sua
essenza né quando la grazia santificante che è in lui ne fa un
essere divino, né quando, per la mancanza di tale elemento
soprannaturale cacciato dal peccato o non ancora penetrato in lui,
l'uomo si trova ad essere degradato. Non esiste dunque, nè può
esistere, vera conoscenza dell'uomo al di fuori della rivelazione. La
rivelazione soprannaturale non era di per sé necessaria: l'uomo non
vi aveva alcun diritto; ma Dio l'ha data e promulgata; da allora la
natura da sola non è più sufficiente a spiegare l'uomo. La presenza
o l'assenza della grazia, la grazia stessa, occupano il primo posto
nello studio antropologico. Non c'è in noi una sola facoltà che non
rimandi al suo complemento divino; la grazia aspira a pervadere
l'uomo nella sua interezza, a insediarsi in ogni sua pane, e affinché
l'armonia del naturale e del soprannaturale in questa creatura
privilegiata sia perfetta, l'Uomo-Dio ha istituito i sacramenti che
si impossessano dell'uomo, lo elevano, lo divinizzano dalla nascita
fino al momento in cui approda alla visione eterna del sommo bene che
sia egli possedeva, ma che poteva percepire solo attraverso la fede.
Ma
se è impossibile conoscere l'uomo nella sua totalità senza
l'ausilio della luce rivelata, come è possibile supporre di spiegare
la società umana m tutte le fasi che ne costituiscono la Storia
senza far ricorso a questa stessa fiaccola divina che ci illumina
sulla nostra natura e i nostri destini individuali? L'umanità
avrebbe forse un fine diverso dall'uomo? L'umanità sarebbe qualcosa
d'altro della somma degli uomini? No. Chiamando l'uomo all'unione
divina, il Creatore vi convoca l'umanità. Ne saremo testimoni
l'ultimo giorno quando milioni e milioni di individui glorificati
formeranno alla destra del giudice sommo il popolo immenso "di
cui sarà impossibile" dice San Giovanni "fare il
censimento" '(Apoc., VII,.9). Nell'attesa, l'umanità, intendo
la storia, rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega
nella sua interezza l'importanza dell'elemento soprannaturale, sia
quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di
prevalere sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come
negli individui, sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a
causa del cattivo uso della liberà umana che porterebbe al suicidio
degli imperi, se Dio non li avesse creati guaribili (Sapienza 1, 14).
La
storia deve pertanto essere cristiana se vuole essere vera; perché
il cristianesimo è la verità completa; qualsiasi sistema storico
che prescinda dall'ordine soprannaturale nell'esposizione e
nell'interpretazione dei fatti, è un falso sistema che non spiega
nulla e che lascia la storia dell'umanità nel caos e nella
contraddizione permanenti con tutte le idee che la ragione elabora
circa i destini della nostra specie su questa terra. E perché hanno
capito tutto questo che gli storici contemporanei, non appartenenti
alla fede cristiana, si sono lasciati irretire da strane teorie nel
formulare la cosiddetta filosofia della storia. Ai tempi del
paganesimo non esisteva questo bisogno di generalizzazione. Gli
storici gentili non hanno teorie globali sulla storia. L'idea di
patria è tutto per loro e dal tono della narrazione non trapela mai
il minimo affetto per il genere umano in sé. Del resto, è soltanto
con il cristianesimo che la storia ha incominciato ad essere trattata
in maniera sintetica; il cristianesimo. non dimenticando mai il
destino soprannaturale del genere umano, ha abituato il nostro
spirito a vedere al di là del cerchio angusto dell'egoismo
nazionale. È in Gesù Cristo che si è rivelata la fratellanza
umana, e da allora la storia universale è divenuta oggetto di
studio. Il paganesimo ha saputo dare soltanto una fredda statistica
di fatti; non è mai stato in grado di redigere in modo completo la
storia del mondo. Non è stato sottolineato con sufficiente vigore
che è stata la religione cristiana a creare la vera scienza storica,
dandole la Bibbia per base. Nessuno può negare che oggi, nonostante
i secoli trascorsi, malgrado le lacune, la nostra conoscenza dei
popoli dell'antichità è più avanzata di quanto non fosse quella
degli stessi storici antichi. Gli storici non cristiani del XVIII e
del XIX secolo hanno attinto dal metodo cristiano il criterio di
generalizzazione, ma l'hanno diretto contro il sistema ortodosso.
Hanno capito ben presto che impadronendosi della storia e
trasformandola secondo le loro idee davano un duro colpo al principio
soprannaturale. Il loro successo è stato immenso; non tutti sono
capaci di seguire e apprezzare un ragionamento sofisticato; ma tutti
capiscono un fatto, una successione di fatti, soprattutto quando lo
storico possiede quell'accento particolare che ogni generazione esige
in coloro cui accorda il privilegio di affascinarla. Tre scuole hanno
sfruttato, volta a volta, e anche simultaneamente, la storia. La
scuola fatalista, che potremmo definire atea, che vede soltanto la
necessità negli avvenimenti e mostra la specie umana alle prese con
una concatenazione invincibile di cause brute cui seguono effetti
inevitabili. La scuola umanitaria che si prosterna davanti all'idolo
del genere umano, di cui proclama lo sviluppo progressivo mediante le
rivoluzioni, le filosofie, le religioni. Questa scuola ammette
l'intervento di Dio all'origine dell'umanità; ma Dio ha lasciato che
l'umanità, una volta emancipata, percorresse il proprio cammino ed
essa avanza sulla via di una perfezione indefinita, spogliandosi
lungo il cammino di tutto ciò che potrebbe ostacolare la sua marcia
libera e indipendente. Infine, abbiamo la scuola naturalista, la più
pericolosa delle tre, perché ha la parvenza del cristianesimo in
quanto proclama ad ogni pagina l'azione della Provvidenza divina.
Questa scuola per principio prescinde costantemente dall'elemento
soprannaturale; la rivelazione non esiste, il cristianesimo è un
incidente felice e benefico nel quale si manifesta l'azione di cause
provvidenziali; ma chissà che domani, fra un secolo o due, le
risorse infinite di Dio nel governare il mondo non conducano ad una
forma ancora più perfetta con l'aiuto della quale il genere umano si
avvierà, sotto l'occhio di Dio, verso nuovi destini e la storia si
illuminerà di una luce più viva?
Al
di fuori di queste tre scuole esiste soltanto la scuola cristiana.
Questa non cerca, non inventa, non esita. Il suo metodo è semplice:
consiste nel giudicare l'umanità con lo stesso metro con cui giudica
l'individuo. La sua filosofia della storia è la fede. Sa che il
Figlio di Dio fatto uomo è il re di questo mondo, e che "gli è
stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Matteo. XXVIII,
18). L'apparizione del Verbo incarnato sulla terra è il punto
culminante della storia, che da questo evento viene divisa in due
grandi epoche: prima di Gesù Cristo, dopo Gesù Cristo. Prima di
Gesù Cristo, un'attesa di molti secoli; dopo Gesù Cristo, una
durata il cui segreto è ignoto all'uomo, perché nessun uomo conosce
l'ora della nascita dell'ultimo eletto; ed è per gli eletti, per i
quali il Figlio di Dio si è incarnato, che il mondo è conservato.
Con questo dato certo, di una certezza divina, la storia non ha più
misteri per il cristiano.
Se
egli volge lo sguardo al periodo antecedente l'Incarnazione del
Verbo, tutto appare chiaro ai suoi occhi. Il movimento delle diverse
razze, la successione degli imperi sono la preparazione per l'avvento
dell'Uomo-Dio e dei suoi messaggeri; la depravazione, le tenebre, le
inaudite calamità testimoniano il bisogno dell'uomo di vedere Colui
che è nello stesso tempo Salvatore e Luce del mondo. Non che Dio
abbia votato all'ignoranza e al castigo la prima epoca dell'umanità;
al contrario, l'aiuto divino non è mancato e ad essa appartiene
Abramo, il padre di tutti i futuri credenti; tuttavia la più grande
profusione di grazia è opera delle mani divine di Colui senza il
quale nessuno è potuto essere giusto prima della sua venuta e
nessuno potrà esserlo dopo.
Egli
giunge infine, e l'umanità, il cui progresso aveva subito un
arresto, si lancia sulla via della luce e della vita; in questo
secondo periodo in cui tutte le promesse sono adempiute, lo storico
cristiano individua ancora meglio i destini della società umana. Gli
insegnamenti dell'Uomo-Dio gli rivelano con sovrana chiarezza il
criterio di interpretazione che deve usare per giudicare gli
avvenimenti, la loro moralità e la loro portata. Il criterio è
unico, che si tratti di un uomo o di un popolo. Tutto ciò che
esprime, conserva o diffonde l'elemento soprannaturale, è
socialmente utile e vantaggioso ; tutto ciò che l'ostacola, lo
indebolisce e lo annienta, è socialmente funesto. Per mezzo di
questo procedimento infallibile, lo storico comprende il ruolo degli
uomini di azione, gli avvenimenti, le crisi, le trasformazioni, le
decadenze; sa in anticipo che Dio agisce nella sua bontà oppure
rollerà nella sua giustizia ma senza mai derogare ai suo disegno
eterno che è di glorificare il Figlio nell'umanità.
Ma
ciò che rende la visione dello storico cristiano ancora più solida
e serena è la certezza che gli da la Chiesa, la quale
ininterrottamente gli rischiara il cammino come un faro e illumina di
divino i suoi giudizi. Egli sa quanto stretto sia il legame che
unisce la Chiesa all'Uomo-Dio, quanto la Chiesa sia salvaguardata
dalla promessa divina dalla possibilità di commettere qualsiasi
errore nell'insegnamento e nella guida generale della società
cristiana, e quanto profondamente lo Spirito Santo l'animi e la
conduca; è dunque in essa che lo Storico cercherà il criterio dei
propri giudizi. Le debolezze degli uomini di Chiesa, gli abusi
temporanei, non lo stupiscono perché sa che il Padre della famiglia
umana ha deciso di tollerare la zizzania nel suo campo fino alla
mietitura. Se deve raccontare, sarà attento a non tralasciare tristi
episodi che testimoniano le passioni dell'umanità e attestano allo
stesso tempo la forza del braccio di Dio che ne sostiene l'opera; ma
sa dove riconoscere la direzione, lo spirito della Chiesa, il suo
istinto divino. Li riceve, li accetta, li confessa coraggiosamente;
li applica nei suoi scritti. Parimenti non tradisce e non sacrifica;
chiama buono ciò che la Chiesa giudica buono, cattivo ciò che la
Chiesa giudica cattivo.
Che
cosa gli importano i sarcasmi, i clamori dei vigliacchi dalle vedute
meschine? Sa di essere nel vero perché è con la Chiesa e la Chiesa
è con il Cristo. Altri si ostineranno a vedere soltanto il lato
politico degli avvenimenti, ritorneranno al punto di vista pagano;
egli resiste perché è sicuro in anticipo di non sbagliare. Se oggi
le apparenze sembrano essere contro la sua visione, sa che domani i
fatti, la cui portata non è ancora del tutto manifesta, daranno
ragione alla Chiesa e a lui. È un ruolo umile, lo ammetto; ma vorrei
sapere quali garanzie paragonabili a queste possano invocare lo
storico fatalista, lo storico umanitario e lo storico naturalista.
Essi propongono la loro concezione individuale; ognuno ha il diritto
di rifiutarla. Per demolire lo storico cristiano è necessario in
primo luogo demolire la Chiesa su cui egli poggia. È vero che da
diciannove secoli tiranni e filosofi sono all'opera, ma le sue mura
sono così solidamente costruite che sino ad ora non hanno potuto
staccarne una sola pietra.
Ma
se, nella successione degli eventi umani, il nostro storico si
impegna ad individuare e a segnalare l'elemento che da vicino o da
lontano li collega uno a uno al principio soprannaturale, con maggior
ragione si guarderà dal tacere, dal dissimulare, dall'attenuare gli
eventi straordinari che Dio produce, il cui scopo è di attestare e
rendere ancora più palpabile il carattere meraviglioso delle
relazioni che egli ha costituito tra se stesso e l'umanità. Ci sono
innanzitutto le tre grandi manifestazioni del potere divino che per
mezzo del miracolo danno un'impronta divina ai destini dell'uomo
sulla terra. Il primo di questi fatti è l'esistenza e il ruolo del
popolo ebraico nel mondo. Lo storico non può esimersi dal proclamare
a gran voce l'alleanza che Dio fin da principio ha stipulato con
questo piccolo popolo, i prodigi inauditi che l'hanno sigillata: la
speranza dell'umanità riposta nel sangue di Abramo e di Davide, la
missione, affidata a questa razza debole e disprezzata, di conservare
la conoscenza del vero Dio e i principi della morale di fronte alla
successiva defezione di quasi tutti i popoli; l'emigrazione di
Israele prima in Egitto e in seguito al centro dell'impero assiro
mano a mano che il teatro degli affari umani si sposta e si amplia
tanto che alla vigilia del giorno in cui Roma, erede temporanea degli
altri imperi sarà regina e padrona della maggior parte del mondo
civile, l'ebreo l'avrà preceduta ovunque. Egli sarà là con i suoi
oracoli; tradotti ormai nella lingua greca; sarà là, conosciuto da
tutti i popoli, isolato, non amalgamato, segno di contraddizione, ma
testimone dell'avvento di giorno in giorno più vicino di Colui che
deve unire tutte le nazioni e "riunire in un solo corpo i figli
di Dio sino ad allora dispersi" (Giovanni, XI.52).
L'influenza
miracolosa del popolo ebraico che sfugge a tutte le leggi ordinarie
della storia verrà individuata con compiacimento dal narratore nelle
profezie affidate a questo popolo, che non solo per noi sono la
fiaccola del passato ma sono anche state elemento di viva
preoccupazione per i Gentili durante; secoli che precedettero e
seguirono la venuta del Figlio di Dio. Cicerone ne aveva sentito
l'eco quando parla con una sorta di terrore misterioso del nuovo
impero che si prepara; nel più armonioso dei suoi canti Virgilio
ripete gli accenti di Isaia; Tacito e Svetonio attestano che
l'universo intero si volge in attesa verso la Giudea e che esiste il
presentimento generale che da questo paese arriveranno gli uomini che
conquisteranno il mondo. Rerum Potirentur. Sarà dunque possibile
negare, dopo ciò, che la Storia, per essere veridica, debba assumere
il tono e il colore del soprannaturale?
Il
secondo fatto, che si riallaccia ai primo, è la conversione dei
Gentili all'interno e all'esterno dell'impero romano. Lo storico
cristiano si sforzerà di dimostrare che questo immenso risultato
deriva direttamente dalla mano di Dio, che, per realizzarlo, si è
liberato dalle leggi semplicemente provvidenziali. Con Sant'Agostino
lo storico riconoscerà e metterà in evidenza il miracolo dei
miracoli; con Bossuet, il divino colpo di stato che ha avuto il suo
uguale soltanto nel momento in cui il creato emerse dal nulla per la
gloria del suo creatore. Egli racconterà la grandiosità dello scopo
e l'esiguità dei mezzi; esaminerà i preparativi anticipatori di un
mutamento così grande da far presagire che questo mondo apparterrà
a Gesù Cristo e nello stesso tempo dimostrerà che di per sé tali
preparativi sono testimonianza dell'impossibilità che il successo
dell'impresa possa essere opera soltanto dell'uomo. Lo storico
parlerà degli Apostoli, armati della sola parola e del dono dei
miracoli che la confermano e la fanno penetrare; delle profezie
ebraiche studiate, messe a confronto, approfondite in tutto l'impero,
e divenute, come attestano gli scritti dei primi tre secoli, uno dei
più potenti strumenti di conversione; della costanza sovrumana dei
martiri, il cui sacrificio quasi ininterrotto, lungi dal far crollare
la nuova società, la estende e rafforza; infine parlerà della
croce, il patibolo del figlio di Maria, che dopo tre secoli
incoronerà il diadema dei Cesari; delle idee, del linguaggio, delle
leggi, dei costumi, in una parola di tutte le cose trasformate
secondo il piano portato dalla Giudea dai nuovi conquistatori attesi
dall'impero, conquistatori che hanno trionfato su di esso versando il
loro sangue sotto la sua spada.
Nel
mezzo di tutti questi prodigi, lo storico cristiano è a suo agio e
nulla lo stupisce perché sa e proclama che tutto quaggiù è per gli
eletti e che gli eletti sono per Cristo. Il Cristo dimora nella
storia; si capisce perciò come non la si possa spiegare senza di
lui, e come con lui essa appaia in tutta la sua luce e in tutta la
sua grandezza. La successione degli annali umani conferma l'inizio;
ma dopo la pubblicazione del Vangelo, i destini del mondo hanno preso
un nuovo sviluppo dopo aver arreso il suo re, la terra ora lo
possiede. La preparazione soprannaturale che si era manifestata nel
ruolo del popolo ebraico, e l'altra preparazione, naturale e insieme
soprannaturale, evidente nell'ascesa di Roma, hanno raggiunto il loro
fine.
Tutto
si è consumato, Gerusalemme cede i suoi diritti e i suoi onori a
Roma; Tito compie l'alta opera del Padre celeste che vendica il
sangue del Figlio eterno. Il miracolo del popolo ebraico non cessa
per questo; si trasforma, e le nazioni avranno sempre sotto i propri
occhi, fino alla vigilia dell'ultimo giorno, lo spettacolo non più
di un popolo privilegiato, ma di un popolo maledetto da Dio. L'impero
pagano ha costruito, senza saperlo, la capitale del regno di Gesù
Cristo; gli sarà dato di avervi sede ancora per tre secoli; e di lì
che partiranno gli editti sanguinosi il cui unico effetto sarà
quello di mostrare ai secoli futuri il vigore soprannaturale del
cristianesimo; poi, quando sarà giunto il tempo, cederà il posto,
si rifugerà sul Bosforo, e l'imperitura dinastia dei vicari di
Cristo, che non ha abbandonato il posto del martirio di Pietro, primo
anello della catena, cingerà la corona nella città dei sette colli.
L'impero crollerà pezzo a pezzo sotto i colpi dei barbari, ma prima
di infliggergli l'umiliazione e il castigo, conseguenza dei suoi
crimini secolari, la giustizia divina attenderà che il
cristianesimo, vittorioso sulle persecuzioni, abbia esteso abbastanza
in alto e abbastanza lontano i suoi rami per dominare ovunque i
flutti di questo nuovo diluvio; lo si vedrà poi coltivare di nuovo e
con pieno successo la terra rinnovata e rinvigorita da queste acque
purificanti benché devastatrici.
Dopo
avere esposto tutte queste meraviglie, lo storico cristiano cambierà
forse il tono dei suoi scritti? Tornerà ad una spiegazione soltanto
provvidenziale dei fatti della terra? Il meraviglioso è ione solo il
punto centrale degli annali umani sicché d'ora innanzi l'azione di
Dio rimarrà celata sotto le cause seconde fino alla fine dei tempi?
Che Dio non voglia! Un terzo fatto soprannaturale, che durerà fino
alla consumazione dei secoli, esige l'attenzione e invoca l'eloquenza
dello storico. Questo fatto è la conservazione della Chiesa
attraverso i secoli, nella purezza della sua dottrina, senza
mutamenti nella sua gerarchia, senza interruzioni nella sua storia,
senza cedimenti nella sua marcia. Infinite grandi cose umane sono
state create, si sono sviluppate e sono decadute: la Provvidenza ha
vegliato su di esse finché sono durate; oggi le loro tracce esistono
soltanto nella storia. La Chiesa è sempre in piedi; Dio la sostiene
direttamente e ogni uomo di buona fede, capace di applicare le leggi
dell'analogia, può leggere nei fatti che la riguardano la promessa
immortale di durare per sempre scritta sul suo piedistallo alla mano
di Dio. Le eresie, gli scandali, le deiezioni, le conquiste, le
rivoluzioni non l'hanno scossa; respinta da un paese, è penetrata in
un altro; sempre visibile, sempre cattolica, sempre conquistatrice e
sempre messa alla prova. Questo terzo fatto, conseguenza dei primi
due, per lo storico cristiano è il coronamento della ragione
d'essere dell'umanità. Sulla base di prove egli conclude che la
vocazione dell'uomo è una vocazione soprannaturale; che sulla terra
le nazioni non appartengono solamente a Dio che ha creato la prima
famiglia umana, ma che sono anche, come ha detto il Profeta, il
dominio particolare dell'Uomo-Dio. Allora non più misteri nella
successione dei secoli, non più vicissitudini inspiegabili; ogni
cosa ha un fine, ogni problema si risolve da sé con questo dato
divino.
So
che oggi lo storico deve essere coraggioso, soprattutto quando non è
del clero, per trattare la stona in questa chiave; egli crede
sinceramente; non vorrebbe fare uso eccessivo dei criteri e dei
metodi delle scuole fatalista e umanitaria; ma la scuola naturalista
è così potente per il numero e il talento dei suoi rappresentanti,
e così benevola verso il cristianesimo che è difficile sfidarla,
con il rischio di apparire ai suoi occhi uno scrittore mistico o un
poeta, mentre aspirerebbe alla reputazione di scienziato o filosofo.
Tutto ciò che posso dire è che la storia è stata trattata dal
punto di vista che mi sono permesso di esporre da due possenti geni
cristiani, la cui reputazione non è mai stata demolita. La Città di
Dio di Sant'Agostino, il Discorso sulla Storia Universale di Bossuet
sono due applicazioni della teoria che ho esposto innanzi. La via
dunque è stata tracciata da mano maestra, e, dopo tali uomini, si
possono affrontare i futili giudizi del naturalismo contemporaneo. È
grande cosa senza dubbio regolare la propria vita intima secondo il
principio sovrannaturale; ma sarebbe profonda incoerenza e grave
responsabilità se questo stesso principio non illuminasse sempre gli
scrittori. Vediamo dunque l'umanità nei suoi rapporti con Gesù
Cristo sua guida; non prescindiamone mai, né quando giudichiamo né
quando narriamo la storia; e quando i nostri sguardi si fissano sulla
carta del mondo, ricordiamoci innanzitutto che abbiamo sotto gli
occhi l'impero dell'Uomo-Dio e della sua Chiesa.
L’AZIONE DELLA
SANTITA’ NELLA STORIA
Può lo storico
cristiano, soddisfatto di avere in tal modo indicato in linea
generale il carattere soprannaturale degli annali umani, sentirsi
dispensato dal registrare le manifestazioni di minore importanza che
la bontà e la potenza divine hanno disseminato lungo il corso dei
secoli al fine di ravvivare la fede nelle generazioni successive? Si
guarderà bene dal macchiarsi di tanta ingratitudine; e come sarà
felice di riconoscere che il Redentore non ha promesso invano al
fedeli i segni visibili del suo intervento fino alla fine dei secoli,
così sarà sollecito a iniziare i propri fratelli alla gioia provata
nell’incontrare sul proprio cammino gli infiniti raggi di una luce
inattesa che, pur collegandosi non sempre direttamente ai tre grandi
centri, offrono tuttavia, ciascuno di essi, testimonianza della
fedeltà di Dio alle proprie promesse e conferma preziosa che
illumina tutto l'insieme. I singoli miracoli possono a buon diritto
appartenere alla storia ogni qual volta non abbiano soltanto portata
individuale, ma suscitino vasta eco. Inutile aggiungere che per fare
un resoconto serio e veramente storico, gli studiosi devono seguire
una critica imparziale. Perciò l'apparizione della croce a
Costantino può a ragione figurare negli, annali del IV secolo. Lo
stesso vale per i prodigi che avvennero nella stessa epoca a
Gerusalemme quando Giuliano l'Apostata volle ricostruire il tempio di
Salomone. Né si devono più tacere i miracoli di San Martino che
cosi’ profonda influenza esercitarono sull’estinzione
dell'idolatria fra i Galli; né quelli di San Filippo Neri a Roma e
di San Francesco Saverio nelle Indie, che nel XVI secolo attestarono
clamorosamente che la Chiesa papale, malgrado le blasfemie della
Riforma e la decadenza del costumi, era tuttavia l'unica depositaria
delle promesse e roccaforte della fede. Non significherebbe forse
lasciare una lacuna nella Storia, dal punto di vista cristiano,
passar sotto silenzio i fatti prodigiosi che hanno accompagnato quasi
ovunque l’introduzione del Vangelo nelle diverse regioni in cui è
stato predicato, per esempio i miracoli del monaco Sant'Agostino
durante la sua opera di apostolato in Inghilterra, e quelli che in
Oriente e in Occidente hanno scandito la missione degli illustri
promotori della vita religiosa, da Sant'Antonio nel deserto
dell'Egitto fino a San Francesco e a San Domenico fra i nostri padri
del XIII secolo? La catena di queste meraviglie prosegue fino ai
nostri tempi; significherebbe dunque fraintendere il ruolo dello
storico cristiano pensare che si sia già fatto abbastanza segnalando
fatti di tale natura accaduti alle origini del cristianesimo. Essi
sono stati, per così dire, continui e costanti, e continueranno a
esserlo; sono il pegno della presenza naturale di Dio sul Cammino
dell'umanità, inoltre hanno avuto un’influenza reale sui popoli.
Voi, storici, dovete tenerne conto, se li ritenete veri; è vostro
dovere registrarli e determinarne il ruolo e la portata.
Mi
affretto a dire che non tutte le forme di storia esigono indagini
minuziose sui fatti soprannaturali; non ritengo che la storia
ecclesiastica vera e propria debba essere l’unica forma alla quale
il cristiano consacri il proprio talento nello scrivere e nel
raccontare. Che questo talento si esprima dunque in tutte le forme di
storia; sia generale che particolare; sia che si tratti di memoriale
o di biografia. Va tutto bene, purché sia cristiana; ma lo storico
deve aspettarsi di incontrare ben presto e di sovente sulla propria
strada l'elemento soprannaturale; che egli non venga mai meno al
proprio dovere! Volete scrivere la storia di Francia? Niente di
meglio, se siete in grado di farlo; ma aspettate di trovarvi di
fronte a Giovanna d'Arco. Che farete di questa meravigliosa figura?
Non vorrete negare, né raccontare con ambiguità, fatti che sono
ormai del tutto chiari. Cercherete di spiegarli facendo riferimento a
principi naturali? Perdereste il vostro tempo; non c'è nulla di più
inspiegabile che la missione e le gesta della Pulzella d’Orléans!
Vi scorgerete l'Opera di una legge provvidenziale che regola gli
avvenimenti umani o forse addirittura i destini della Francia? Ma qui
le leggi ordinarie sono sovvertite; non riusciamo a individuare
nulla, nè prima nè dopo, che consenta di pensare che Dio agisca in
tal modo nel governo generale del mondo. Direte allora, in stile
accademico, che, tutto sommato, la missione di Giovanna d'Arco rimane
inspiegabile, e che coloro che hanno voluto renderne ragione in
termini umani, si sono dibattuti in difficoltà dalle quali non sono
riusciti a districarsi? Andate fino in fondo, credetemi; confessate
francamente che esistono i miracoli nella storia e che la missione di
Giovanna d'Arco è uno di questi. Ammettete dunque con semplicità
che la pastorella di Domrémy ha veramente visto i Santi e udito le
Voci; che Dio le ha elargito la propria forza invincibile; che le ha
infuso lo spirito di profezia; che l'ha resa vittoriosa sui bastioni
di Orléans; che l'ha assistita con la virtù sovrumana dei martiri
nel sublime sacrificio che doveva coronare la sua miracolosa
carriera. Ma attenti a non trarre deduzioni che potrebbero scaturire
spontanee da questi fatti meravigliosi. Che cosa è dunque Giovanna
d’Arco? E una meteora di cui Dio sì è compiaciuto per abbagliarci
senza altro scopo se non quello di mostrare il proprio potere? La
ragione ci proibisce di pensarlo, e la fede ci mostra in questa
manifestazione senza uguale la predilezione di Dio per la Francia,
l'intenzione di sottrarre questo regno profondamente cristiano al
giogo dell'eresia che l'Inghilterra protestante avrebbe certamente
imposto ad essa un secolo dopo.
Ma
la storia cristiana non si limita a segnalare negli eventi miracolosi
altrettante testimonianze della vocazione soprannaturale
dell'umanità; essa ritiene che sia importante anche studiare e
segnalare manifestazioni più o meno frequenti, più o meno rare,
della santità nei secoli. Nella sua infinita giustizia e
misericordia, Dio elargisce Santi alle varie epoche, oppure decide dì
non concederli in modo che, se è lecito esprimersi in tal modo, è
necessario consultare il termometro della santità per saggiare la
condizione di normalità di un'epoca o di una società. I Santi non
sono solamente destinati a figurare nel calendario, essi svolgono
un'azione a volte latente, quando consiste solo nell'intercessione e
nell'espiazione, ma più spesso palese e di efficacia duratura. Io
non parlo dei martiri che costituiscono uno dei pilastri su cui
poggia la fede e ai quali dobbiamo la sua conservazione; l'importanza
del loro ruolo nella storia dell'uomo è fin troppo evidente; ma non
è lecito ignorare che, al termine delle persecuzioni di Diocleziano,
nel mezzo del cataclisma delle eresie che rischiarono di travolgere
la barca della Chiesa nei secoli IV e V, alla vigilia dell'invasione
dei barbari pagani, il cristianesimo e, tramite esso, la società
furono salvati dai Santi. Vescovi, dottori, monaci, vergini
consacrate, quale elenco ci offre quest'epoca che fu come il secondo
campo di battaglia della Chiesa!
Lo
storico può tacere davanti a questo fenomeno incomparabile? Senza
dubbio non potrebbe astenersi dal nominare Atanasio, Basilio,
Ambrogio, perché questi personaggi hanno, come si suoi dire, un
ruolo storico; ma per grandi che siano, non esauriscono tutto ciò
che di efficace la santità ha prodotto nell'ordine visibile di
questo mondo durante il periodo di cui parliamo. Il ruolo di
Sant'Agostino, per esempio, è assai poco storico; tuttavia, quale
uomo ha influito più di lui sul suo secolo e su quelli successivi?
Questo esempio specifico ci trascinerebbe troppo lontano, se
dovessimo raccontare quanto noi cristiani siamo debitori verso questi
amici di Dio: San Gregorio di Naziente, Sant'Ilario, San Martino, San
Giovanni Crisostomo, San Gerolamo, San Cirillo di Alessandria, San
Leone. Non limitiamoci a vedere in loro grandi geni e grandi uomini.
Senza dubbio i grandi geni e i grandi ortodossi sono un dono di Dio;
Bossuet e Fénelon nel XVII secolo sono un dono di Dio; ma quando al
genio, all'importanza della persona, si unisce la santità, allora è
tutt'altra cosa. L'uomo di genio affascina; il Santo soggioga; si
ammira il grande uomo, ma è sufficiente il nome del Santo,
l'impronta dei suoi passi per commuoverci; il suo ricordo fa battere
il cuore anche dopo che è scomparso da questo mondo.
Non
si creda dunque di avere scoperto il segreto dell'influenza dei Santi
del IV e del V secolo nella fama più o meno luminosa acquistata
grazie alla loro eloquenza e sapienza, e neppure nell'importanza
della carica che la maggior parte di coloro che ho ricordato
occuparono nella gerarchia ecclesiastica. Il popolo venerava in loro
un'altra aureola; Valente tremava davanti a Basilio, e Teodoro
davanti a Sant'Ambrogio, per altri motivi che non il loro valore
personale, come si suol dire oggi. È Dio, Dio stesso che si esprime
nei Santi; ed è per questa ragione che non si può resistere a loro.
Si sapeva che questi uomini che erano allora il baluardo della
Chiesa, luce e gloria della stessa, appartenevano alla famiglia di
quegli eroi del deserto il cui nome e le cui opere erano
universalmente note; che la maggior parte di loro aveva indossato la
"melotte" prima del pallio. Da Occidente e da Oriente, i
fedeli partivano in carovane per andare nel deserto dell'Egitto e
della Siria a contemplare e ascoltare, se possibile, uomini come
Antonio, Pacomio, Ilarione, Macario; ritornati nelle loro città, si
rallegravano nel riconoscere nei pastori incaricati di santificarli
questi sublimi personaggi. No, questo culto della santità,
giustificato da tanti esempi, non può essere ignorato nelle cronache
dell'epoca che seguì la pace della Chiesa; esso attesta, con
assoluta chiarezza, l'opera e la presenza dei Santi in questi secoli
e di conseguenza il soccorso soprannaturale che Dio volle allora
concedere alla società cristiana.
L'invasione
dei barbari, con le sventure che l’accompagnarono, fornirà allo
storico l'occasione di definire il nuovo ruolo della santità davanti
a disastri inauditi. Le orde tumultuose che si rovesciano sull'impero
incontrano ovunque i Santi, e i Santi sono per loro come una diga che
protegge dall'inondazione. Santi vescovi che arrestarono l'avanzata
di un capo feroce, Santi pastori che salvarono il loro gregge
ricorrendo alla spada; Santi monaci la cui maestosa semplicità
disarmò il fiero conquistatore che prima non pensava che a
immolarli; Sante vergini che, come Genoveffa, rinvigorirono la città
e con le loro preghiere ne allontanarono il flagello di Dio. Per poco
che si studi a fondo il crudele periodo delle invasioni, si scorgerà
ovunque il rinnovarsi di questo stupefacente fenomeno, e ci si
convincerà che fa parte della verità della storia raccontare queste
meraviglie e riconoscere che l'unico ostacolo incontrato dai barbari,
l'unico che rispettarono, fu la santità. Agostino era steso sul
letto di morte a Ippona quando i Vandali cominciarono l'assedio della
città: per darne l'assalto attesero che il mirabile vescovo avesse
reso l'anima a Dio. Sarebbe triste pensare che i barbari si siano
mostrati superiori ai cristiani dei nostri giorni nel percepire la
presenza dell'elemento celeste che non è mai totalmente assente
nella Chiesa, ma che si manifesta di quando in quando, con maggiore o
minore intensità, a seconda dei bisogni dei popoli e a seconda che
la giustizia o la misericordia prevalgano nei consigli di Dio.
Lo
storico cristiano non può dimenticare né le opere, né la regola
del grande Patriarca dei monaci d'Occidente, al quale spetta l'onore
di aver preparato la salvezza della cristianità europea; né la
pleiade di Santi vescovi che brillarono nel VI e nel VII secolo, e
che, con i loro concili, e con le loro fondazioni religiose,
effettuarono un'opera grandiosa, edificando tra l'altro il regno di
Francia come le api costruiscono l'alveare: l'espressione è di
Gibbon. Lo storico non dimentichi di dire che i fondatori della
nostra monarchia si onorano a centinaia sugli altari. Non dovrà
neppure dimenticare i Santi Pontefici del Seggio apostolico, uomini
come San Gregorio Magno, le cui virtù ressero e santificarono con
tanta dolcezza l'Oriente e l'Occidente; come San Gregorio II, la
provvidenza dell'Italia; come San Zaccaria, l'oracolo della nazione
franca; come San Nicola I, che si prodigò con tanta generosità per
strappare alla rovina l'impero d'Oriente, mantenendovi l'unità con
la vera fede. Lo storico seguirà i passi di questi eroici apostoli
che il monachesimo occidentale invia verso le regioni del Nord; non
uno che non fosse santo, non uno solo il cui fecondo apostolato non
si compisse nella santità.
Lo
storico potrebbe forse ignorare la gloriosa schiera di Santi
imperatori e di Santi re che per oltre tre secoli ascendono al trono
e sigillano con marchio soprannaturale la politica delle epoche della
fede? Quale materia di studio è l'influenza secolare di questi Santi
incoronati sulla società nei secoli! Uomini come Sant'Enrico, Santo
Stefano di Ungheria, Sant'Edoardo Confessore, San Ferdinando e il
nostro San Luigi! E ancor più numerose le Sante imperatrici, regine,
duchesse, angeli visibili che compaiono ai popoli in mezzo ai quali
esse operano istruendo, sviluppando con esempi sublimi lo spirito
cristiano contro il quale la corruzione della natura protesta senza
tregua, e che senza tregua ha bisogno di essere rinvigorito!
Nell'esporre il ruolo attivo di tanti eroi ed eroine del trono, è
forse sufficiente accennare al fatto che furono virtuosi e che sono
stati annoverati fra i Santi? No, bisogna penetrare più a fondo e
capire che ciò che viene chiamato leggenda è m realtà storia
rigorosa. L'operare benefico dei Santi re e delle Sante regine è una
delle principali manifestazioni di Dio nella conduzione
soprannaturale della società. Stia in guardia a non sbagliare, lo
storico, quando si accinge a studiare la reazione cristiana del XI
secolo, reazione che strappò l'Europa alla barbarie; stia in guardia
a non attribuire, contro la verità, al genio di un uomo o alla forza
d'animo di un altro, il trionfo dello spirito sulla forza bruta! Il
trionfo si compì perché Dio diede Santi alla sua Chiesa. Se
Gregorio VII non fosse stato Santo, non avrebbe mai osato mettersi
all'opera. Che cosa avrebbero fatto Anselmo, Pier Damiani, se fossero
stati soltanto dei dotti e pii pontefici? Cluny fu il punto di
appoggio della leva che in quel secolo fece muovere il papato, ma non
dimentichiamo che l'abbazia fu edificata per merito di quattro Santi
la cui lunga vita copre un periodo di un secolo e mezzo. Chi potrà
mai spiegare l'azione di San Bernardo nel XII secolo; se non si tiene
conto della luminosa santità che brillò in lui? Chi dunque resse la
decadente società del XIII secolo se non il serafico Francesco e
l'apostolico figlio di Guzman che con le loro opere e virtù
sovrumane risvegliarono tanto vigorosamente l'idea del soprannaturale
in declino? E in campo dottrinario, che cosa se non la santità
consentì a Tommaso d'Aquino e a Bonaventura di emergere ben al di
sopra di tutti gli altri dottori della scolastica? Nel XIV secolo la
cristianità sembra accasciarsi, esausta a causa delle lacerazioni
del grande scisma e ancor di più a causa del dilagare del
naturalismo e del sensualismo che il prestigio della santità del
XIII secolo aveva potuto neutralizzare ma non distruggere. Sembra che
Dio in questo secolo si sia mostrato più avaro di Santi. A parte
l'illustre Santa Caterina da Siena, in quest'epoca non ne scorgiamo
uno solo la cui azione abbia avuto vasta eco. Lo storico non mancherà
di segnalare questo tratto caratteristico di una decadenza che è
ancora agli albori, ma dovrà studiare a fondo la sublime figura di
Caterina da Siena che riassume tutta la vitalità soprannaturale del
suo tempo.
Il
XV secolo, più infelice ancora del precedente, perché per la prima
volta i più celebri dottori elaborarono le dottrine anarchiche
mentre si sviluppava l'eresia di Wycliffe e di Giovanni Huss che si
ribellavano alla cristianità, il XV secolo, dico, fu povero di
Santi. Il loro numero non è nemmeno la metà di quello del XIII.
L'effetto straordinario che San Vincenzo Ferreri produsse su molti
regni mostra tuttavia che lo spirito della santità viveva ancora
nelle masse, ma bisogna aggiungere che questo Angelo del giudizio di
Dio aveva terminato la sua carriera già nel 1419.
Segue
il XVI secolo, tempo di prove terribili nella prima metà, epoca di
trionfo nella seconda. Lo storico non mancherà di provare con i
ratti che la santità vi appare in proporzione analoga. San Gaetano
domina quasi da solo la prima metà; ma non appena scocca l'anno
1550, una fioritura meravigliosa sboccia sui rami dell'albero
secolare del cristianesimo; e mentre il protestantesimo si arresta
finalmente nelle sue conquiste, Dio si compiace di mostrare che la
Chiesa romana non ha perduto nulla perché ha conservato il dono
della santità. Sarebbe necessario riscrivere una storia cristiana
del XVI secolo qualora in essa non si desse giusto rilievo al
rinnovamento dei costumi cristiani iniziato da San Gaetano e
continuato con tanto vigore e ampiezza da Sant'Ignazio di Loyola e
dai Santi della Compagnia di Gesù; alla riforma della disciplina
formulata nei saggi decreti del Concilio di Trento e resa effettiva
da Papi come San Pio V e da vescovi come San Carlo Borromeo; alla
rinascita dell'apostolato dei Gentili con San Francesco Saverio e a
quello delle città cristiane con San Filippo Neri; alla
purificazione dei Chiostri ad opera di Teresa, Giovanni della Croce,
Pietro D'Alcantara. È necessario risalire al IV secolo per ritrovare
una costellazione di Santi radiosa quanto quella che brillò nel
cielo della Chiesa, quando la cosiddetta Riforma ebbe infine
stabilito le proprie frontiere. Ma di tutti questi uomini gloriosi la
Francia non ne fornisce neppure uno; lo storico dovrà spiegare tale
peculiarità.
Sorge
il XVII secolo, e benché chiamato ad un'aureola di santità meno
luminosa di quella del secolo precedente, offre ancora molte belle
manifestazioni del principio soprannaturale negli uomini di Dio. San
Francesco di Sales ha il diritto di trattenere su di sé a lungo
l'attenzione dello storico. In lui, con la sua fede inviolabile, la
sua carità senza limiti, la sua lotta incessante, è, per così
dire, incarnata la Chiesa cattolica. La santità di Francesco
prorompe in scritti che rianimano e regolano la pietà presso tutte
le nazioni cattoliche, ma soprattutto in Francia. Mostrando loro la
Vita Devota Giacomo I diceva ai suoi vescovi anglicani: "Fateci
dunque dei libri come quello". Questo principe eretico percepì
in quel momento lo spirito della santità, spirito che permetto di
raccomandare allo storico cristiano.
Una
storia non è completa se non è anche, in certa misura, storia
letteraria. Io consiglio al nostro narratore di non trascurare gli
scritti dei Santi. Soprattutto non li confonda con le aspirazioni e
le fatiche del genio pio. Le pagine dei Santi hanno un sapore
particolare che non si trasmette se non si è Santi, lo dimostra la
lettura di Santa Teresa, per esempio, che commuove in modo ben
diverso a quello delle più celebri lettere spirituali del XVII
secolo.
La
Francia deve molto a San Francesco di Sales ed è giusto considerarlo
uno dei principali autori del movimento ascensionale dello spirito
cristiano da cui la nostra patria fu favorita per mezzo secolo.
Grazie a tale felice reazione, durante questo periodo, la Francia
riacquista un posto d'onore fra le nazioni in cui fiorisce la
santità. La cristianità riceve da noi allora Pietro Fourier,
Francesco Régis, Giovanna Francesca di Chantal, Vincenzo de' Paoli;
purtroppo quest'ultimo eroe del cristianesimo chiude la serie dei
Santi francesi nel XVII secolo. Si spense nel 1660, e da allora la
Francia, gloriosa in tanti campi, rimase sterile di Santi. E proprio
questo periodo il più celebrato oggi. Che lo storico non trascuri di
ricercare le cause dell'indebolimento dello spirito cristiano da noi
proprio nell'epoca in cui si scriveva con tanta eloquenza su
argomenti religiosi. Forse riuscirà a spiegare come, fin dalla
reggenza che iniziò nel 1715, la Francia fosse dominata con successo
da uno spirito di incredulità il cui corso nulla potè arrestare.
Evidentemente il senso del soprannaturale si era impoverito, il
naturalismo si era fatto strada in modo sotterraneo. Ci furono
tuttavia altri due servitori di Dio, che dopo avere brillato negli
ultimi anni del XVII secolo, prolungarono la loro carriera molto in
là nel XVIII secolo: Giovanni Battista de la Salle e Luigi di
Monfort; ma bisogna aggiungere che essi furono misconosciuti,
perseguitati, censurati, e che se Dio non avesse vegliato sul dono
che ci faceva, la loro reputazione e le loro opere sarebbero
naufragate nel disprezzo e nell'oblio. Che si leggano i libri scritti
per ravvivare la pietà cristiana nella seconda metà del XVII
secolo, che si dica se si parla spesso dell'esplosione meravigliosa
di santità fuori dai confini della Francia in quest'epoca! Forse i
nostri padri riuscivano a trovare negli autori famosi qualche
allusione a Santa Maddalena de' Pazzi, a Santa Rosa da Lima che
avevano irradiato sul secolo il profumo delle loro virtù e il cui
nome era così popolare ovunque altrove? Si può concepire che i
prodigi, e perfino il nome di San Giuseppe di Cupertino, conosciuto
in tutto l'universo cattolico, abbiano impiegato tanto tempo per
varcare le Alpi; che un duca di Brunswick, testimone delle meraviglie
divine evidenti in quel servitore di Dio, abbia abiurato per questo
motivo il luteranesimo nelle sue mani, rinunciando così per sempre
ai propri diritti dinastici, e che mai lo strumento meraviglioso di
questa celebre conversione, personificazione della santità della
Chiesa, che viveva a qualche centinaia di leghe da Parigi, sia stato
contrapposto ai protestanti né prima né dopo la revoca dell'Editto
di Nantes? Ma non avvenne. Nel V secolo, ai limiti dell'Oriente,
dall'alto della sua colonna, San Simeone Stilita si raccomandava alle
preghiere di Santa Genoveffa a Parigi; nel XVII secolo, un
taumaturgo, che superò per le meraviglie da lui compiute la maggior
parte dei Santi, ha potuto vivere e morire in un paese vicino senza
che nessuno in Francia, all'infuori dei religiosi del suo Ordine, se
ne sia curato! Possiamo stupirci dopo di ciò della blasfemia e delle
risa imbecilli suscitate dalla pubblicazione della vita di San
Giuseppe di Cupertino? Lo ripeto: se il nostro storico vuole
approfondire, come è suo dovere, lo stato dei costumi cristiani,
dovrà preoccuparsi di questi strani fenomeni.
Il
XVIII secolo, con la diminuzione sempre crescente del numero dei
Santi, gli rivelerà a sua volta un sintomo generale di indebolimento
nella società cristiana. Mai il termometro della santità potè
essere applicato con maggior precisione, il secolo naturalista, del
resto, non meritava che Dio si desse la pena di esibire il
soprannaturale. Cose prodigiose tuttavia accadevano in seno alla
Chiesa là dove la vita non può spegnersi. Veronica Giuliani,
decorata dalle stigmate della Passione del Cristo, riassumeva nella
sua vita i miracoli di molti Santi; Leonardo di Porto Maurizio, Paolo
della Croce, Alfonso di Liguori, con le loro eroiche virtù,
meritavano ogni giorno di più l'onore che era loro riservato dì
essere innalzati agli onori degli altari. La Francia non ebbe più
figli che sembrassero destinati a tali onori da mostrare al mondo
fino a che, dal seno della corte più corrotta che la nostra storia
abbia conosciuto, due donne del sangue di San Luigi si presentarono
successivamente per afferrare la palma della santità che, prima o
poi, la Chiesa, si spera, confermerà loro. Una, vergine e discepola
di Teresa, fu Luisa di Francia; l'altra, sposa e regina, fu Clotilde
di Sardegna. Queste due principesse e un mendicante, Benedetto
Giuseppe Labre, rappresentano le uniche espressioni di santità che
la Francia sembra aver prodotto in tutto il corso del XVIII secolo, e
quando esse apparvero, il paese stava per essere lasciato in balia
dei nemici dell'ordine soprannaturale che ne avrebbero fatto un
mucchio di rovine sanguinanti, se la mano misericordiosa che voleva
castigarci e istruirci ma non annientarci, non avesse finalmente
spezzato gli oppressori del suo popolo.
Questa
enumerazione molto incompleta delle risorse che offre allo storico
cristiano lo studio della santità in ogni secolo, mi ha trascinato
troppo lontano. Riassumerò in due parole: se il narratore possiede
il dono della fede, che includa nei suoi scritti i fatti
soprannaturali che hanno influito in modo sensibile sui popoli,
perché essi sono la continuazione dei tre grandi fatti miracolosi
sui quali si sviluppa tutta la storia dell'umanità. Se vuole
raccontare e dipingere i costumi dei popoli cristiani, che riassuma
per ogni secolo la statistica della santità; che mostri che è con
l'influenza della santità che la fede si sostiene e che la morale si
conserva; in una parola, che dia ai Santi largo spazio nella storia
se vuole che sotto la sua penna la storia sia come Dio la vede e la
giudica.
I DOVERI DELLO STORICO CRISTIANO
(...) basta poco per
capire che nulla differisce di più dal tono cristiano che il tono
filosofico, e la ragione è semplice: non esiste differenza più
grande che tra un cristiano e un filosofo. Non occorre dissertare a
lungo per definire ciò che io intendo per filosofo. E’ colui che,
battezzato e vivendo in seno a una società cristiana, nel suo
linguaggio sistematicamente prescinde dalle idee subite da fede della
Chiesa nella quale è stato rigenerato, e parla come se il suo
pensiero non avesse più nulla in comune con l'ordine soprannaturale.
Un libro di tono filosofico, fosse pure opera di un cattolico, è
sempre uno scandalo; ciò è comprensibile se si riflette che la cosa
più pericolosa per l'uomo è favorire la sua tendenza razionalista.
La fede è una virtù, non è il risultato di una ricerca
scientifica; è minacciata spesso dal nemico dell'uomo che, a
ragione, vede in essa il mezzo con il quale la nostra intelligenza si
rischiara alla luce di Dio. È appunto per questo che il cristiano ha
non solo il dovere di credere, ma anche quello di proclamare ciò in
cui crede. Questo duplice obbligo, fondato sulla dottrina
dell'Apostolo (Rom., X, 10), è ancora più rigoroso in epoche in cui
trionfa il naturalismo, e lo storico cristiano deve comprendere che
non è sufficiente professione di fede in qualche passo del libro se
in seguito l'accento cristiano lascia il posto a quello filosofico.
Alcuni dubiteranno di lui, ed è male; altri, più numerosi,
trascurando la sua professione di fede, rafforzeranno il proprio
naturalismo facendo appello ai passi in cui l'autore parla da
filosofo; e questo è, lo ripeto, un vero scandalo. Che cosa
succederebbe se un libro fosse scritto interamente da un credente
senza che mai vi si riconoscesse l'accento cristiano? Vi sono
tuttavia alcuni che considerano tale atteggiamento un atto di
imparzialità. Come se fosse permesso ad un cristiano essere
imparziale, quando si tratta della fede e delle sue manifestazioni!
Che l'accento dello storico credente sia dunque sempre cristiano e
che dallo stile di un figlio della Chiesa trapelino costantemente la
pienezza e la fermezza delle sue dottrine. I giudizi storici hanno
grande importanza soprattutto quando lo storico gode del favore del
pubblico. Possono essere formulati con autorevolezza, oppure emergere
dalla scelta dei fatti e dal modo di narrarli; in entrambi i casi
sono i giudizi ciò che il lettore soprattutto ricerca in un libro di
storia. Quando parlo di giudizi storici, non mi riferisco ai fatti:
in tal caso è doveroso attenersi alla verità, e lo storico
cristiano deve essere più di altri un narratore veritiero. Non deve
adulare nessuno, ne nascondere i torti di chicchessia, ma non deve
neppure temere di fare giustizia delle mille calunnie che hanno fatto
della storia una immensa cospirazione contro la verità. Lo storico
soppeserà gli eventi con equilibrio, attenendosi alla più rigorosa
imparzialità. Questo per quel che riguarda i fatti; quanto ai
giudizi, alle interpretazioni, è evidente che il cristiano deve
differire totalmente dal filosofo. Il contrario sarebbe assurdo, e la
debolezza in simile materia sarebbe deplorevole. Il cristiano giudica
fatti, uomini, istituzioni dal punto di vista della Chiesa; non è
libero di giudicare diversamente, questa è la sua forza. Uno storico
cristiano i cui giudizi siano accettati dai filosofi è un infedele,
oppure i filosofi in questione non sono filosofi. È necessario
dunque scandalizzare oppure, se non se ne ha il coraggio, rinunciare
a scrivere di storia. Ne abbiamo abbastanza di libri ibridi i cui
autori credenti fanno coro nei giudizi con coloro che non credono.
Sono questi innumerevoli tradimenti che hanno creato tanti pregiudizi
ed anche tante incongruenze che ostacolano gravemente la formazione
di una cattolicità rigorosa e compatta.
Ma,
obietteranno certi scrittori abili nel mascherare la loro fede sotto
sproloqui alla moda e sempre entusiasti nel decantare ciò che essi
chiamano le idee della società moderna, volete dunque che noi
scriviamo di storia usando il tono di un libro di preghiere? Dobbiamo
dunque fare dei nostri volumi, dei nostri articoli sulle riviste
altrettanti sermoni, trattati di teologia o di diritto canonico? No,
ogni cosa ha, e deve avere, il tono che le è proprio; ma la storia è
il grande teatro in cui si manifesta il soprannaturale, e bisogna
avere il coraggio di indicarlo ai lettori. Voi ci parlate con
ammirazione della Città di Dio, del Discorso sulla Storia
Universale, quello, affermate, è il genere cristiano di storia; ma,
di grazia, che cosa ha in comune la maniera di Sant'Agostino e
Bossuet con la vostra? Essi raccontano tutto, giudicano tutto dal
punto di vista di Gesù Cristo e della sua Chiesa; non esaltano
l'ascetismo perché non è il caso; in compenso, si adoperano a
dimostrare non soltanto nell'insieme, ma anche nei particolari, come
il principio soprannaturale sostenga e spieghi tutto; li sentiamo
cristiani ad ogni riga e leggendoli, diventiamo noi stessi più
cristiani. Ecco com'è lo storico quando si ispira alla fede.
Voi,
storici, invece esitate a proclamare i miracoli più evidenti;
cercate spiegazioni che ne attenuano il carattere prodigioso con il
rischio di incrinare la fede dei lettori, trascurate le profezie,
dissimulate la santità e la sua azione per mettere in rilievo
l'operato degli uomini, uomini grandi, non v'è dubbio; pur
riconoscendo la divinità della Chiesa, tendete soprattutto a farla
apparire società umana; in una parola, non negate il soprannaturale,
ma lo mettete da parte per tema di sgomentare e di non apparire
uomini del vostro tempo. Sant'Agostino e Bossuet hanno fatto
esattamente il contrario. Un filosofo, M. Saisset, ci ha dato una
traduzione della Città di Dio; nella prefazione, pur dichiarando la
propria ammirazione per il vescovo di Ippona, si rammarica che questo
grande genio si limiti troppo spesso a interpretazioni puerili della
Bibbia, a resoconto di miracoli che tradiscono troppo il prete
cristiano. Possano i nostri storici di oggi meritare tali rampogne!
Sarebbe un segno che hanno scritto come si deve scrivere quando si è
illuminati dalla luce della fede. Sant'Agostino, in effetti, si
sofferma spesso e a lungo sugli Oracoli profetici e illumina i suoi
scritti con una esegesi sapiente quanto mistica; ma il miglior modo
per comprendere il cristianesimo non è forse quello di lasciarsi
illuminare dalle divine predizioni da cui è scaturito? Sant'Agostino
sviluppa con linguaggio immortale l’argomentazione derivante dalla
miracolosa diffusione del Vangelo e nello stesso tempo indugia a
raccontare i prodigi operati dalle reliquie di Santo Stefano in terra
d'Africa, davanti agli occhi del popolo. Molti cattolici, affetti da
naturalismo, si chiederanno perché un genio tanto grande sciupi un
argomento così solenne con aneddoti di tanto piccola portata.
Indugeranno a recriminare che tali particolari gli fanno perdere di
vista le idee generali! Sono loro ahimè, a perderle di vista, queste
idee generali. Non capiscono la portata degli episodi miracolosi
accaduti all'epoca del grande dottore. Non si rendono conto che, dopo
aver dimostrato la divinità del cristianesimo basandosi sulla sua
diffusione avvenuta in contrasto con tutte le leggi della Storia e
tutte le condizioni della natura umana, Sant'Agostino deve ora
dimostrare che la società cattolica, alla quale appartiene e di cui
è uno dei vescovi, è proprio il cristianesimo che Dio solo ha
stabilito con la forza irresistibile del suo braccio. È il dono
permanente dei miracoli a confermare questa identità; ecco perché
Sant'Agostino non ritiene di derogare al vasto piano della Città di
Dio, esaminando fatti in apparenza minimi di cui è stato testimone e
a sostegno dei quali può invocare la testimonianza del suo popolo.
Esame prezioso per lo storico cristiano e conferma eloquente delle
regole che abbiamo esposte nel capitolo precedente.
Nello
scrivere di storia non si deve dunque temere di essere accusati di un
certo misticismo, se con tale parola si intende designare la
coloritura soprannaturale di un racconto in cui l'azione meravigliosa
di Dio si rivela ad ogni passo. Guardiamoci dall'arrossirne; sono già
troppo numerosi coloro che tentano di cacciare dalla storia Dio e il
suo Cristo. Ma devo ancora rispondere a un altro pregiudizio che è
in parte causa delle concessioni imprudenti che taluni nostri storici
ritengono di poter fare al naturalismo. Sono persuasi che tale
compiacenza sia un mezzo per attirare alla fede i filosofi mostrando
loro una sorta di affinità nei fatti, di fratellanza fra il punto di
vista cristiano e il punto di vista filosofico. Da ciò il tono
razionalistico, le parole d'ordine con l'aiuto delle quali si spera
di farsi ascoltare. Ci sono in questo due inconvenienti. Il primo,
che non è il meno grave, è che la storia da voi narrata e gli
articoli pubblicati su riviste, cadendo sotto gli occhi di cattolici
deboli, cui non sono diretti, non rendono loro altro servizio che di
intiepidirne la fede e di immergerli ancor più in quei flutti da cui
avrebbero tanto bisogno di uscire. A costoro sarebbe utile imbattersi
in libri atti a nutrire la fede; essi vi leggono fiduciosi perché vi
sanno cattolici, ma la lettura li lascia in uno stato peggiore di
prima. L'altro inconveniente è che, lungi dal ricondurre alla fede i
filosofi, voi ne accrescete l'orgoglio. Esultano nel vedere dei
cattolici a rimorchio dei loro sistemi; si compiacciono del progresso
compiuto al punto da aver imposto il loro linguaggio e le loro idee.
Notano soltanto l'imbarazzo del vostro comportamento, giacché siete
costretti a portare avanti parallelamente due sistemi: la vostra fede
che anteponete a tutto, e le esigenze di ciò che chiamate lo spirito
della società moderna al quale non volete sottrarvi. Questi poli
opposti si fondono come possono nella vostra opera; ma sappiate che
se voi scandalizzerete sicuramente molti vostri fratelli, non
riuscirete tuttavia a riportare gli altri all'ovile.
Oggi
più che mai, sia ben inteso, la società ha bisogno di dottrine
energiche e coerenti. In mezzo alla dissoluzione generale delle idee,
solamente l'asserzione, una asserzione ferma, ben fondata, senza
compromessi potrà essere accettata. Le transazioni diventano sempre
più sterili e ciascuna di esse si porta via un lembo della verità.
Come agli albori del cristianesimo, anche oggi è necessario che i
cristiani si distinguano per l'unità dei principi e dei giudizi.
Nulla verrà loro dal caos di negazioni e dai tentativi di ogni
genere che attesta in modo così netto l'impotenza della società
attuale. Questa società vive degli scarsi frammenti dell'antica
civiltà cristiana che le rivoluzioni non hanno ancora spazzato via,
e che la misericordia di Dio ha salvato finora dai naufragio.
Mostratevi dunque come siete nel profondo, cattolici convinti. Vi
temerà forse per un po’ di tempo; ma, siatene certi, ritornerà a
voi. Se l'adulerete adottandone il linguaggio, la divertirete per un
istante, poi vi dimenticherà perché non le avrete fatto
un'impressione profonda. Si riconoscerà in voi e, siccome ha poca
fiducia in se stessa, ne avrà altrettanto poca in voi.
C'è
una grazia legata alla professione piena e completa della Fede.
Questa professione, ci dice l'Apostolo, è la salvezza di coloro che
la fanno e l'esperienza dimostra che è anche la salvezza di coloro
che l'ascoltano. Siamo dunque cattolici e soltanto cattolici,
rifuggiamo dall'essere filosofi o utopisti, e saremo il lievito di
cui il Signore dice che fa fermentare il pane. Lo ripeto, tali furono
le cose all'inizio. Se c'è una probabilità di salvezza per la
società, questa è riposta nella fermezza dei cristiani. Che si
sappia che non transigiamo su nulla, che disdegnarne il gergo dei
filosofi. È un dato di fatto che il cristianesimo si impone non con
la violenza, ma per l'autorevolezza della convinzione di colui che lo
predica.
Del
resto la franchezza non manca mai di suscitare simpatia. Quando il
signor di Montalembert pubblicò l'Introduzione alla Storia di Santa
Elisabetta, la cosa suscitò stupore e qualche mormorio, dato che
nell'opera il sentimento cattolico si esprimeva con tanto vigore. Era
difficile staccarsi dal naturalismo storico con energia maggiore di
quella mostrata dall’autore; l’Introduzione e il libro al quale
essa prelude ne hanno forse sofferto? Le numerose edizioni attestano
il contrario. Bisogna tuttavia risalire indietro di due secoli per
incontrare un libro scritto con tanto ardore cattolico. E’ un libro
che contiene il germe di una rivoluzione e l'esempio è giovato a
molti. Ma l'influenza di questo grande esempio non si è prolungata
nel tempo né si è generalizzata quanto si sarebbe desiderato.
Troppo
spesso da allora abbiamo avuto storici cattolici che, in contrasto
con l'insegnamento del Salvatore, hanno voluto attaccare alla stoffa
sempre nuova delle fede cristiana i lembi sempre vecchi, benché
rinfrescati, della saggezza mondana. Donde giunge questa illusione?
Dobbiamo scorgervi il segno di quella degradazione del carattere che
gli storici stessi sottolineano oggi con tanta insistenza? Non oso
dirlo perché significherebbe ritorcere contro di essi,
ingiustamente, senza dubbio, il rimprovero che essi rivolgono ad
altri. Ma è lecito pensare che se avessero più vivo il sentimento
della dignità cristiana, sarebbero meno pronti a decantare i
pregiudizi moderni. Come Donoso Cortés, si accorgerebbero finalmente
che, da molti anni, noi voltiamo le spalle al progresso, e le ruote
del nostro carro sono seppellite fino al mozzo in un solco dove
moriremo se non ne usciremo con uno sforzo supremo. Pretendere di
fare professione di fede per mezzo del naturalismo è insensato
quanto in politica fare ordine per mezzo del disordine. Questo metodo
ha cattiva riuscita, e le conquiste che si fanno non meritano questo
nome. Che bel successo arrivare ad essere d'accordo sull'uso di certe
parole sonore quanto perfide, quando si è divisi da un abisso circa
il senso di tali parole! Sono le idee che vanno riformulate, e io non
conosco mezzo più efficace della storia raccontata così com'è
accaduta, con i suoi insegnamenti soprannaturali che fanno aleggiare
la figura del Cristo sui più grandiosi così come sui più
insignificanti movimenti dell'umanità.
La
più grande disgrazia dello storico cristiano sarebbe di assumere
come metro di giudizio le idee del giorno e trasporle nella sua
valutazione del passato. Egli deve invece vederle nella loro realtà,
cioè ostili al principio soprannaturale. Deve rendersi conto dei
danni del paganesimo moderno e, per non esserne egli stesso
soggiogato, deve senza tregua fissare l'immutabile verità rivelata,
quale si manifesta nell'insegnamento e nella pratica della Chiesa.
"Un sentimento nemico della fede, una sovraeccitazione dello
spirito pagano" dice il signor de Champagny "è stato il
soffio che ha scatenato la tempesta del 1789". Se ancora
ammirate le conquiste di quell'epoca, temo molto per i vostri giudizi
storici e il tono dei vostri scritti, qualunque sia la vostra
intenzione di ortodossia. Felice lo storico che in mezzo al turbinio
di principi contraddittori, libero da ogni desiderio di popolarità,
discepolo rigorosissimo della Chiesa alla quale appartiene l'avvenire
del tempo e dell'eternità, saprà attraversare una crisi tanto
terribile senza aver sacrificato minimamente la verità sul suo
cammino!
IL CRISTO EROE
DELLA STORIA
Se è importante
mettere in guardia i cattolici contro il naturalismo del nostro
secolo nella valutazione dei fatti storici, è altrettanto importante
e, a maggior regione, necessario avvertirli che il naturalismo non
esiste solamente allo stato teorico, ma permea un grande numero di
scritti su questioni di storia generale e particolare che autori,
anche ortodossi nelle intenzioni, pubblicano da tempo. Sono rari i
libri di storia in cui non venga mai meno lo spirito cristiano. Uno
storico può apparire discepolo della Chiesa nella vita privata,
nella pratica religiosa, ma non appena prende in mano la penna,
ricorre agli sproloqui filosofici per raccontare e spiegare i fatti.
Questa duplicità di linguaggio, questa doppia vita, sono una
sciagura, un pericolo per i lettori, soprattutto per i giovani. Non
si incontrano più cristiani tutti di un pezzo, come una volta;
sarebbe auspicabile che ne esistessero molti ai giorni nostri.
Non
è mia intenzione passare in rassegna la storia universale, ne
segnalare i mille punti attraverso i quali si è infiltrato il
naturalismo; senza scendere in particolari, mi limiterò a mettere in
rilievo qualche tratto che potrà servire da esempio. In linea
generale, il naturalismo si riconosce quando, in un libro, l'autore
mette in secondo piano l'azione di Dio per far risaltare l'azione
umana; quando egli si rifà alle idee filosofiche della Provvidenza
invece di proclamare l'ordine sovrannaturale; quando ragiona della
Chiesa come di un'istituzione umana; quando si pronuncia in modo
diverso dalla Chiesa sui fatti, sulle idee, sugli uomini. Lusinga
precorrere i tempi, essere considerati moderni; si è, insomma,
ansiosi di raccogliere il successo riservato a chi si è meritato il
nome di uomo di progresso.
La
storia del mondo antico è trattata secondo i principi del
naturalismo, ogni volta che, anziché mostrare l'imperfezione delle
virtù pagane, l'autore esprime verso di esse una ammirazione che non
meritano. Intendo qui per virtù pagane quelle qualità e quelle
azioni esteriormente brillanti, ma il cui scopo non era di realizzare
la legge divina, bensì di soddisfare l'orgoglio, la durezza del
cuore, il disprezzo stoico della vita, il culto barbaro di un
nazionalismo materialistico. Sono noti i turbamenti funesti prodotti
dall'apoteosi delle virtù pagane alla fine del XVIII secolo e con
quale furore i mostri di allora si siano ispirati agli esempi della
Grecia e di Roma. Ma c'è un altro scoglio che lo storico cristiano
deve assolutamente evitare. Discepolo della rivelazione, non deve
credere che i Gentili si trovassero nell'impossibilità di giungere
alla conoscenza del vero Dio e ad una sufficiente realizzazione delle
virtù che lo onorano e che sono la salvezza dell'uomo. I mezzi di
una Provvidenza soprannaturale per operare questo grande disegno sono
uno dei temi della storia cristiana; accanto alla Chiesa ebraica, la
teologia cattolica ci rivela la Chiesa dei Gentili, meno visibile,
più latente, ma pur sempre accessibile per mezzo della grazia che
non fu mai totalmente negata alla creatura umana, neppure alla più
derelitta.
Non
si tratta qui di filosofia, strumento di orgoglio e di inganno, ma
della parola di Dio trasmessa oralmente, in lotta contro il flusso
sempre crescente del politeismo e ravvivata dall'intervento della
Provvidenza soprannaturale di cui parlavamo poc'anzi e dai mille
accadimenti interni, dai mille accadimenti esterni, che l'infinità
bontà di Dio non ha riservato soltanto ai cristiani. Che lo storico
cattolico non dimentichi mai queste parole: "Dio vuole che tutti
gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità".
Che lo storico si accinga a scoprire in qual modo nel mondo antico
l'intera città di Ninive abbia saputo placare la collera del vero
Dio con la semplice parola di Giona; m qual modo il centurione
Cornelio sia stato pronto a ricevere il battesimo, prima di aver
conosciuto la missione del Salvatore. Il ruolo del popolo ebraico, la
voce dei prodigi operati m suo favore, le sue relazioni tanto estese
in certe epoche, le sue migrazioni prima in Egitto, più tardi in
Assiria, in Persia, fino alle Indie; la traduzione dei suoi libri
sacri in lingua greca, nel secolo dei Tolomei; le sue sinagoghe
sparse al di là del mondo conosciuto e fiorenti già da secoli nel
cuore di Roma e m Grecia quando apparve l'Uomo-Dio; tutti questi
fatti sono altrettanti elementi che ci aiutano a rintracciare il
soprannaturale negli annali del mondo antico. Dovrò forse ricordare
gli oracoli, i profeti Gentili, di cui la scrittura ci fornisce un
esempio in Balaam, le Sibille, per limitarmi a ciò che dicono
Cicerone e Virgilio? Fontenelle fu in Francia uno dei precursori del
naturalismo e, in un secolo in cui la fede regnava ancora, non
temette di negare brutalmente i più solenni monumenti cristianesimo
primitivo, sostenendo che gli oracoli non cessarono all'avvento di
Cristo sempreché, diceva, gli oracoli non fossero mai stati altro
che un inganno del paganesimo.
Fu
facile alla scienza cristiana dimostrare che la tesi di Fontenelle
conduceva al pirronismo storico e quindi fare giustizia nei confronti
dei popoli dell'antichità, calunniati da un uomo già travagliato
dall'antipatia per il soprannaturale.
Lo
storico cristiano incontrerà spesso sul suo cammino il
soprannaturale diabolico, quando l'impero non conosceva ancora la
forza vittoriosa della Croce. Che non tema di descrivere a fondo la
dura schiavitù di Satana, che pesò sui nostri padri Gentili nei
secoli che precedettero il compimento della promessa. Nessun uomo è
mai stato ricettacolo dello spirito delle tenebre senza averlo
meritato; in quei tempi, tuttavia, la potenza dello spirito di
menzogna era assai più forte di quanto lo sia stata dopo la vittoria
del Figlio di Dio; rifiutare questa spiegazione degli sconvolgimenti
spaventosi del mondo antico sarebbe, per un cristiano, non solo un
atto privo di rispetto umano ma anche una imperdonabile mancanza di
fede. Gesù Cristo ha parlato del diavolo, l’ha chiamato il
principe di questo mondo; si direbbe che certi autori cristiani dei
nostri giorni desiderino non tenere in alcun conto i numerosi passi
del Vangelo in cui questo agente perverso è denunciato come l'autore
di tutti i nostri mali. Si parla del male, del genio del male, del
disordine, dell'errore, della depravazione umana; ma tutta questa
metafisica non riesce a celare la riluttanza che si prova a portare
alla ribalta l'essere malvagio che sa approfittare abilmente
dell'oblio con il quale, al giorno d'oggi, è riuscito a
circonfondere persino la propria esistenza. Ci sia dunque lecito dire
che una storia del mondo antico in cui non si pronunci il nome
dell'eterno nemico di Dio e dell'uomo, in cui ci si ostini a voler
spiegare il male solo in termini di perversità e passioni umane, non
è né una storia cristiana, né una storia completa. Vi è stata
omessa, senza motivo, la causa principale dei disordini che si
volevano narrare. Per quanto attiene al crollo degli Imperi, alla
conseguente unificazione dei popoli, alle profezie che avevano
annunciato il tutto, è evidente che lo storico che non sa o non vuol
dire quale sia lo scopo di tutte queste vicissitudini, che non parla
dell'approssimarsi, dopo ogni rivoluzione dei popoli, del regno del
Cristo, è un cieco che si adopera per tenere altri ciechi in quelle
stesse tenebre m cui si compiace di dimorare. Una storia siffatta è
una storia senza un fine, alla maniera dei pagani che ignoravano in
quale direzione Dio guidasse il mondo. In Verità gli storici si
avvedono che tutto confluisce verso l’Impero romano, quell’impero
colossale che doveva di necessità soccombere; ma dell'impero di Gesù
Cristo al quale l'impero romano doveva servire come punto di
partenza, non parlano. Ai loro occhi, Gesù Cristo è il grande
civilizzatore della razza umana, colui al quale il mondo deve tutto,
ma non si sono mai preoccupati di dire che egli regna, che egli ha un
impero, che questo mondo gli appartiene, che nessuno comanda ormai se
non in suo nome. Gesù Cristo regna sugli spiriti, sul morale degli
uomini; il suo regno non è di questo mondo. Tale, si direbbe, è il
modo di pensare di molti storici, pur tuttavia cristiani, quando
narrano la storia dei popoli antichi come se non sospettassero che
questi popoli prepararono la via al Verbo incarnato. Sostengono sì
che la Venuta di Cristo è il più grande avvenimento di tutti i
tempi, che Cristo è l’autore della più vasta e salutare
rivoluzione che si sia compiuta su questa terra, ma mai lasciano
trapelare, né tanto meno affermano a chiare lettere, che la terra
per migliaia di anni attese il suo re e che lo possiede da diciannove
secoli.
Quando
i nostri padri, la cui educazione era cosi’ profondamente
impregnata di cristianesimo, scesero in lizza per combattere la
scuola di Voltaire, che osava dichiarare che Gesù Cristo aveva fatto
retrocedere l'umanità e che la sua religione conduceva gli uomini
alla barbarie, essi dovettero sostenere contro i filosofi la tesi
nuova e facile da dimostrare che la civiltà moderna, in tutto ciò
che ha di utile per l'uomo e la società, è figlia del cristianesimo
e che le religioni pagane, il politeismo e la filosofia, conducevano
i popoli all'abbrutimento e alla rovina. Questa tesi, incontestabile,
non correva allora alcun pericolo, poiché coloro che la sostenevano
non ignoravano che la missione di Gesù Cristo si era prefissa valori
ben più preziosi per l'uomo e la società che quelli attinenti
all'economia politica; sapevano che i frutti del cristianesimo, che
ancor oggi pongono le nazioni cristiane talmente al di sopra delle
altre, non sono che le conseguenze dei benefici di ordine
infinitamente superiore che Gesù Cristo è venuto ad arrecarci. Si
conosceva a memoria il Vangelo; non lo si leggeva alla ricerca di
versetti che si pensa di poter snaturare alla luce delle idee
contemporanee, ignorando tutti gli altri passi; si accettava tutto, e
si sapeva che se Gesù Cristo annuncia che "il principe di
questo mondo sarà cacciato dal suo impero”, che il sangue
redentore sarà versato per la riparazione del peccato, che il genere
umano sarà chiamato a formare un solo gregge sotto la guida del Buon
Pastore pronto a dare la vita per le sue pecore, non c'era una sola
parola sulla rigenerazione politica dei popoli, sulla civiltà
futura, sulle future conquiste dell'intelligenza, sul progresso delle
scienze e delle arti; vantaggi questi che sono giunti con il
cristianesimo e che non sarebbero giunti senza di esso. In tutto il
Vangelo c'è soltanto una frase di Cristo che si riferisce a questi
beni temporali: "Cercate il regno di Dio e la sua giustizia; il
resto vi sarà dato per giunta". Il resto, caetera: ecco come il
Cristo ne parla nel timore che ne facessimo la cosa più importante,
mentre non è neppure paragonabile all'altra. i difensori del
cristianesimo del XVIII secolo sapevano tutto questo, lo capivano e
si adoperavano per mettere in risalto questi benefici esteriori che
il cristianesimo portava con sé, e che lo stesso Giuliano l’Apostata
comprese fin dal IV secolo; benefici che la Turchia oggi ci invidia
senza poterli ottenere. Non commisero mai l'errore di non considerare
i benefici soprannaturali, di cui il divino mistero dell’Incarnazione
è stato la sorgente, come i più importanti.
Da
allora è passato del tempo, la società moderna, di cui qualcuno tra
noi è così fiero, ha iniziato i suoi destini un po' tempestosi; il
cristianesimo non figura più nelle opere pubbliche; la legislazione
non lo riconosce come legame sociale, e se gli assicura una tutela
più o meno ampia a seconda dei tempi, non è perché lo riconosca
come divino, bensì soltanto perché è ritenuto un culto che
rappresenta l'interesse religioso della maggioranza della nazione.
Pure in una tale situazione, la fede è ancora viva presso un grande
numero di anime, e i frutti del cristianesimo continuano a prodursi
in certa misura: ma quale sarà il legame dei cristiani tra di loro?
Come riusciranno a unirsi per costituire una forza invincibile simile
a quella che trionfò sul paganesimo? Senza dubbio tramite l'energia
e l'omogeneità dell'idea cristiana. Questo è ciò che occorre, non
altro. Chiedo: c'è traccia di economia politica, di utopie, di
perfettibilità umana negli scritti degli autori cristiani dei primi
tre secoli? Eppure, nel quarto secolo, i cristiani erano già la
maggioranza, e Costantino, nel ricevere il battesimo, fu soltanto uno
in più tra i tanti. Se non si fosse arreso, l’avrebbe fatto il suo
successore più chiaroveggente e più saggio. Come avvenne dunque la
conquista? Tramite la fede in Gesù Cristo crocefisso, che ha dato al
mondo misteri in cui credere e virtù soprannaturali da praticare.
Agli occhi dei primi cristiani l'età di Cristo non era l'era della
civiltà: troppe atrocità e brutture accadevano intorno a loro per
nutrire tale illusione; per essi l'età di Cristo era quella della
salvezza offerta ad ogni uomo a condizione di sacrificare i beni
della vita presente a quelli della vita futura, il cui sentiero stava
per essere aperto dal Redentore.
Ci
volle questo per rigenerare il mondo; ai nostri giorni sarà
necessario lo stesso per salvarlo.
Ma,
osserverete, dobbiamo smettere di insistere sulle conseguenze del
Vangelo? A Dio non piaccia che vi dia tale consiglio. Ogni verità è
utile, ma deve essere classificata secondo la sua importanza. Chi,
oggi, osa dubitare dei risultati ottenuti dal cristianesimo nel
migliorare la condizione umana su questa terra? Qualche empio
forsennato con il quale non si discute. I filosofi, i politici, gli
economisti sensati sono con voi; è inutile dunque gareggiare con
loro nel fare elogi al grande civilizzatore dei tempi moderni. Quello
che è necessario e urgente è pensare ai cristiani che hanno bisogno
di essere sostenuti e uniti. Lo si può fare soltanto proclamando a
voce alta che, sotto il regno di Cesare Augusto, il figlio unico di
Dio si è degnato di incarnarsi nel seno di una Vergine, e offrirsi
in sacrificio per riscattare i peccati del mondo e spezzare il giogo
di Satana che teneva l'uomo sottomesso. Parlando così, parlerete
come Sant'Agostino e come Bossuet; assomiglierà al catechismo, ma
non preoccupatevi, è proprio il catechismo che manca oggi. Il
catechismo è servito come base alle due grandi opere storiche di
Sant'Agostino e di Bossuet, e il loro talento non ne è stato
diminuito. Ora, se avete qualcosa da aggiungere Sulle applicazioni
del Vangelo al benessere dell'uomo e della società, non rinunciate a
farlo. Vi ascolteremo e ne trarremo vantaggio.
È
vero che nulla ci stupirà perché contiamo sul "resto, caetera"
promesso da Gesù Cristo stesso. Ciò di cui abbiamo bisogno è che
questo "resto, caetera" non sia l'unico bene che voi
individuerete nella venuta del Cristo sulla terra. Noi siamo deboli
nella fede, la nostra educazione è stata spesso poco cristiana, la
società che ci circonda non rispecchia ciò in cui crediamo, e
quello che è ancora più pericoloso, noi viviamo nel seno di una
rivoluzione sociale che tiene in fermento tutti gli orgogli.
Si
obietterà dicendo che lo storico che imbocca tale direzione vedrà i
suoi libri negli scaffali delle biblioteche parrocchiali e dei
gabinetti di buona lettura. Forse i vostri libri, cristianamente
pensati e cristianamente scritti, rischiano di andare a raggiungere
in questi umili depositi il Discorso sulla Storia Universale invece
di aprirvi le porte dell'Accademia; ma che male c'è? La prima
esigenza oggi è quella di fortificare e proteggere i cristiani nella
loro fede; la seconda è quella di accrescerne il numero. Se
otterrete il primo scopo non avrete perso tempo. In quanto al
secondo, è evidente che non farete passi avanti cercando di
convincere i non credenti che coloro che credono hanno il loro stesso
linguaggio e le loro stesse idee. Abbiamo scrittori cattolici, un
piccolo numero, lo ammetto, che, cercando la pura ortodossia, sono
giunti a turbare sia i semplici credenti sia la gente raffinata e di
ingegno.
Non
provate l'esigenza di proclamare la verità al vostro secolo? Non è
già da troppo tempo che lo si lusinga e lo si inganna, sostenendo il
vero con misura, colorando con vernice moderna e ambigua ciò che c'è
di più antico e immutabile? Avete ragione: sono stati scoperti non
so quali terreni neutri sui quali certi credenti e non credenti si
incontrano per tenere specie di congressi dai quali tutti tornano
come vi erano andati. Che cosa deriva da tali incontri? Complimenti
reciproci, e, nel frattempo, la società, che perisce perché non le
si parla francamente di Gesù Cristo, vi chiede conto del vostro
talento, della vostra influenza, che dico?, delle vostre convinzioni
cristiane così spesso nascoste sotto sembianze naturalistiche. È
ora di esprimersi con accenti più cristiani e di parlare nei libri
con il tono che si usa nella famiglia. Voi non educhereste i figli
nella religione avvalendovi di teorie naturalistiche; avreste paura
di non farne dei buoni cristiani. Per loro ci tenete al catechismo
che commentate con l'esempio; che i vostri libri, i vostri discorsi,
i vostri scritti pubblici ne siano dunque, a loro volta,
l'espressione. E il momento opportuno in quanto voi stessi constatate
con quanta benevolenza siete ascoltati. Fate di più, e raccontate i
fatti della storia con l'accento di un cristiano convinto che sente
l’esigenza di proclamare che il progresso è in Gesù Cristo e con
Gesù Cristo. Sarete allora uno storico degno davanti a Dio e davanti
agli uomini.
E’
provato che i contemporanei non credenti da soli non intuiscono nulla
dei principi religiosi. Questa impotenza deriva dal silenzio discreto
che si mantiene da troppo tempo nei loro confronti e che permette
loro di ignorare tutto. È impossibile non essere colpiti dalla
devozione e dall'eroismo pacato delle Suore di carità. Senza dubbio
ci si rende conto del principio che ispira questa devozione e questo
eroismo; si sa che il sentimento religioso ne è la sorgente. Ma fra
tutti coloro che chiedono il loro soccorso, le persone, che non hanno
la fortuna di essere illuminate dalla luce soprannaturale, quale idea
si fanno del sentimento religioso che anima queste Suore? Perché il
sentimento religioso esiste là dove esiste la religione. Perché mai
una tale devozione non esiste nelle religioni del mondo antico?
Perché tra i tanti popoli cristiani esiste soltanto tra coloro che
partecipano alla comunione romana? E’ il risultato di un dogma che
non si rintraccia altrove. Sarebbe stato opportuno indagarlo a fondo
in questo secolo in cui piace rendersi conto di tutto, in cui si fa
la statistica di tutto. Invece non si fa nulla, ci si limita ad
ammirare, accettando i benefici. In fondo la cosa è molto semplice;
si tratta di dire agli interessati: "avete delle Suore di carità
ai vostri ordini perché esiste un sacerdozio fondato da Gesù
Cristo; i membri di questo sacerdozio hanno il potere di purificare
le anime e di metterle in seguito in rapporto con Dio stesso in un
mistero che si chiama la comunione di cui essi sono i dispensatori.
Se questo sacerdozio cessasse di operare, se fosse respinto dalla
nostra società, voi vedreste scomparire nello stesso tempo queste
serve dei poveri e degli ammalati. Ciò che voi chiamate il
sentimento religioso non saprebbe più produrle ormai nè
moltiplicarle".
In
questo modo una questione di dogma rivelato risolve il problema
particolare di cui parliamo; lo stesso avviene, che non si dubiti,
per tutte le altre questioni che potrebbero sorgere circa le diverse
forme di progresso che il cristianesimo ha dato alle nazioni
cristiane. I nostri padri, che erano cristiani per tradizione, non lo
ignoravano quando discutevano la questione economica del
cristianesimo con i filosofi di allora; ma noi non lo sappiamo più,
ed è per questo che è necessario dirlo a rischio di spaventare
qualcuno. Ora spetta soprattutto alla storia formulare tutto ciò che
è necessario sapere. Che storia è quella in cui si descrivono gli
effetti senza indicare chiaramente le cause? Lo abbiamo detto e lo
ripetiamo: il destino del genere umano è un destino soprannaturale;
da ciò si deduce che una storia che non si ispira alle sorgenti
soprannaturali, non è storia veridica per quanto cristiane siano le
convinzioni di colui che l'ha scritta.
Nessun commento:
Posta un commento