“Dappertutto
oggi la vita della Nazioni è disintegrata dal culto cieco del valore numerico”
(Pio XII, Radiomessaggio, 24. XII. 1944).
Proemio
Abbiamo visto qual’è la concezione
politica classica e scolastica. Ora dobbiamo vedere come verso la fine della
seconda guerra mondiale Pio XII ha capito che stava per finire la modernità e
che l’umanità stava per imboccare la via della post-modernità nichilistica. Egli
ha cercato di farle capire come l’unica via percorribile per evitare uno sfacelo
peggiore di quello del secondo conflitto mondiale era il ritorno alla sana
filosofia classica e scolastica, alla vera teologia tomistica e alle direttive
del Magistero ecclesiastico. Vediamo assieme l’insegnamento sociale e politico
di Pio XII.
‘Qualità’ e non
‘quantità’ nella ‘Res publica’
Il 6 aprile del 1951 Pio XII ha
tenuto un Discorso ai dirigenti del Movimento Universale per una
Confederazione Mondiale, in cui il Papa confuta l’ottimismo democratista, il
quale vede nella democrazia moderna o culto del numero l’unica e la migliore
forma di governo. Pio XII espone e confuta i “tre dogmi” della “politica”
antropocentrica moderna.
Il popolo è “sovrano” o
“canale”?
Secondo la tesi erronea del
democratismo moderno il potere viene dal popolo, dal basso e non da Dio o
dall’Alto. Invece il potere viene da Dio causa prima e fonte di ogni cosa ed è
trasferito dagli elettori all’eletto, come l’acqua che attraverso un canale
viene dalla fonte (Dio) e non dal canale stesso (popolo) e giunge al Governante
che lo possiede e non ne ha solo l’uso. Solo se colui che governa diventa
tiranno o governa non per il bene comune allora la sanior pars populi può
ritirargli de facto il potere che de jure già Dio non gli accorda
più, poiché è esercitato contro Dio e la sua Legge. Gli uomini e le famiglie per
vivere assieme e virtuosamente devono necessariamente avere un Governante,
un’Autorità. Perciò la Società civile è divisa in Governanti che devono
comandare (far leggi, farle rispettare e castigare chi le vìola) e sudditi che
devono obbedire. Il vero Sovrano, però, è Dio e non la volontà popolare, che al
massimo può scegliere un Governante al quale il potere deriva remotamente
da Dio attraverso il popolo che funge da canale in maniera prossima.

“Infallibilità” del
popolo elettore?
● Dopo il peccato originale l’uomo è
soggetto all’ignoranza e all’errore. Solo Dio e il Magistero della Chiesa,
quando vuol definire e obbligare a credere una verità di Fede o di Morale, sono
infallibili. Il popolo elettore non partecipa all’infallibilità divina, come
invece il Magistero pontificio o universale. Nessuno ha mai promesso
l’infallibilità al popolo, tranne i demagoghi,i quali si sono serviti per i loro
interessi delle decisioni che hanno fatto prendere alla massa manovrata da loro
stessi, rifugiandosi dietro il paravento dell’infallibilità dell’elettorato
popolare.
● Pio XII insiste molto sulla
distinzione tra “popolo” e “massa”. Il “popolo vive e si muove di vita
propria”, ha una forma, un atto, un essere, una vita sua;
invece “la massa è moltitudine amorfa” o senza forma o principio di vita,
materia passiva, indeterminata, senza atto o perfezione. Il Papa continua: “la
massa è di per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo
vive della pienezza di vita degli uomini che lo compongono”. Perciò il popolo è
costituito da uomini intelligenti e liberi, che hanno princìpi , convinzioni,
sono padroni di se stessi e conoscono i loro obblighi e diritti; mentre la massa
è pura potenzialità che viene mossa e diretta da qualcuno al di fuori di essa
dove lui vuole, come un carro trascinato dai buoi. Essa è composta da entità
sub-umane prive di convinzioni proprie, di princìpi, di una sana morale, senza
iniziativa propria; perciò vive di istinti, passioni e sentimenti sregolati
senza alcuna subordinazione alla ragione e alla libera volontà. L’uomo facente
parte della massa non è “l’animale razionale” aristotelico, ma “l’animale
sensitivo” della post-modernità nichilistica, la quale con lo scoppio del
Sessantotto ha reso l’uomo una “pecora matta”, che – come diceva nel 1944 Pio
XII – “è un facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gli istinti o le
impressioni sensibili”. Il popolo non è la maggioranza quantitativa, ma è
la parte qualitativamente migliore della società. Il democratismo moderno non ha
nulla a che vedere con l’idea aristotelica e tomistica di sana democrazia
classica, che è la popolazione di un Paese dotata di forte personalità
individuale e sociale.
● Il popolo è simile al corpo umano
di cui parlava Menenio Agrippa e poi anche San Paolo, nel quale ogni organo ha
la sua funzione e importanza, quelli inferiori (piedi) e quelli superiori
(cervello), e nessuno di essi può fare a meno degli altri perché tutti sono
necessari, anche se vi è una gerarchia, che non impoverisce nessuno, ma nobilita
tutti, facendoli partecipare al bene comune. Come i piedi di un uomo portano il
suo cuore e il suo cervello, così le classi umili della Società rendono
possibile la sussistenza di quelle elevate non tanto per censo, ma per virtù
morale e razionale. Questo apologo ci insegna ad evitare i due errori opposti
per difetto (l’egualitarismo), secondo il quale tutti sono
qualitativamente assolutamente eguali e nega ogni diversità o ineguaglianza
qualitativa e l’altro per eccesso (il dis-egualitarismo), che esagera le
differenze accidentali e erge delle barriere insormontabili tra gli uomini, non
tanto per le qualità intellettuali, morali e spirituali o di “buona educazione,
che è il fiore della carità” (San Francesco di Sales), ma soprattutto per quelle
economico-sociali. Sono questi i famosi “s-nob” da
“s[ine]-nob[ilitate]”, i quali, come la “Serva padrona” di
Goldoni, vogliono ad ogni costo far valere la posizione sociale-economica che
hanno raggiunto, molto spesso sine nobilitate o cum magna injustitia
seu dishonestate. Il Libro Sacro dei ‘Proverbi’ ci ricorda
che “non vi è persona più crudele di una schiava diventata padrona”. La
verità si trova in medio et culmen (nel giusto mezzo di profondità e
acutezza e non di mediocrità e bassezza). Tra questi due opposti errori o
deviazioni morali è la dottrina della Carità fraterna soprannaturale propter
Deum, Padre di tutti gli uomini. Infatti se tutti gli uomini sono eguali
quanto alla natura umana, in essi vi sono diversità accidentali, le quali, lungi
dal metterli in contrapposizione tra “sinistra” (odio di classe) e “destra”
(s-nobismo), li debbono far cooperare caritatevolmente al buon andamento della
Società, che come un corpo fisico vivente ha bisogno di organi nobili (cuore e
cervello) e meno nobili (piedi e mani). Non esistono classi moralmente
basse o vili, l’importante è che ognuno faccia bene il suo dovere di stato nella
classe in cui la Provvidenza lo ha posto. Esistono solo uomini moralmente e
intellettualmente bassi, vili e stupidi, ma magari economicamente “alti” o
altezzosi, che disprezzerebbero perfino San Giuseppe e il Bambin Gesù poiché
erano falegnami e non facevano parte delle élites tradizionali, pur
discendendo da circa mille anni dal Re Davide ed essendo nel frattempo
socialmente “decaduti”.
● Pio XII ricorda che se il
popolo non è per se stesso infallibile, la massa quasi sicuramente erra,
priva di convincimenti, di vera libertà e schiava dell’opinione pubblica, che è
manipolata dai burattinai, i quali tirano i fili che tengono i burattini.
Il ‘suffragio
universale’ è fonte di diritto e verità?
Una delle votazioni più celebri
della storia umana fu quella che condannò a morte Gesù e premiò Barabba. Ora, ci
si può chiedere: il suffragio universale esprime la volontà della massa
manovrabile e manovrata o quella del popolo o sanior pars Societatis? Il
popolo è una Società civile, organica, viva e vivente, gerarchica come ogni
corpo, ordinata, non appiattita e livellata, in cui le differenze formano
l’armonia e la bellezza (immaginatevi una mano le cui cinque dita siano tutte
eguali, sarebbe mostruosa!). Perciò se tutti possono pronunciarsi allo stesso
modo e con lo stesso valore su ogni cosa, e se nel contare i pareri espressi
tutti valgono allo stesso modo, de facto questo sistema esprime la
volontà della massa e non della sanior pars populi. Per esempio, durante
il processo di Gesù alcuni degli Scribi e dei Sacerdoti erano contrari alla sua
condanna, lo stesso Pilato lo era, ma la massa aizzata dal Sinedrio votò a
maggioranza la morte di Gesù e la libertà di Barabba. Ciò significa che il
sistema del suffragio universale, il quale conferisce alla sola maggioranza
numerica o quantitativa, a discapito di quella qualitativa, il diritto di
stabilire una legge e una verità, non rappresenta la volontà dell’autentico
popolo organico e vivo, ma della massa amorfa e informe, pronta ad essere
manipolata, come l’argilla da parte del vasaio. Quindi attraverso le elezioni o
il suffragio universale, in cui vince la maggioranza quantitativa o numerica e
non quella qualitativa, non è il popolo vivo che decide. Pio XII stigmatizzava
questa tendenza e la definiva come il “culto cieco del valore numerico”. Il cittadino o civis non conta per quel
che è o vale secondo il suo grado di civiltà, ma come quantità, numero o voto o
apporto elettorale che rende possibile al “potere”, nel senso deteriore del
termine, di continuare a mantenere il consenso e il governo. Di fronte a questo
pericolo verso cui si stava avviando anche l’Europa, Pio XII ha cercato di porre
riparo proponendo la riaffermazione dei princìpi della filosofia perenne
teoretica e sociale e cercando di indicare un ordine sociale futuro in cui le
istituzioni politiche potessero dipendere non dal “culto cieco del numero”, ma
dall’ordine organico e naturale della sanior pars Societatis. Infatti
secondo il democratismo moderno e antropocentrico il mondo politico non è una
Società di famiglie che si uniscono per tendenza naturalmente inscritta
nell’uomo onde conseguire il “vivere virtuoso”, ma è un ingranaggio artificiale
e meccanico, in cui prevale la quantità o materia e non ha nessuna rilevanza la
qualità o forma intrinseca. Nel campo culturale e morale non dominano più i
valori oggettivi conformi alla legge naturale e divina, ma la libertà
individuale come valore assoluto o fine e non come mezzo per cogliere uno scopo,
liberata perciò da ogni vincolo e legge oggettiva. Lo scopo dello Stato è quello
di aiutare le famiglie e gli individui che la compongono a conseguire la “vita
virtuosa” nella linea tracciata dal Decalogo, il quale soltanto può far
conseguire il bene individuale e sociale, privato e comune. La modernità ha una
concezione dello Stato e della politica meccanicistica, ossia l’uomo, la
famiglia e la Società civile non sono naturalmente ordinati ad un fine, che è il
bene comune naturale, virtuoso e soprannaturale, ma sono come una macchina (v.
Cartesio, homme animal machine) non organica o viva ma studiata e
progettata a tavolino (già a partire da Machiavelli, per giungere tramite gli
ideologi del 1789 sino al marxismo revisionato e al teo-liberalismo) come un
insieme di rotelle o meccanismi, che si muovono non per vita che possiedono
dentro se stessi (“vivere est movere se ipsum”, Aristotele), ma per un
movimento che viene dall’esterno o “etero-diretto”. La quantità non è né può
essere il criterio supremo. Ora nella democrazia moderna o democratismo, è il
“culto del numero” ossia la quantità dei voti che diventa criterio supremo di
verità e di bontà. Un esempio molto pratico ci fa capire l’assurdità di questo
sistema ideologico-politico: se siamo in 10 persone sulla Tourre Eiffel e
si decide se dobbiamo buttarci giù da essa e 6 persone dicono di sì, le altre
quattro sarebbero obbligate - secondo il democratismo egualitarista - a seguir
la maggioranza quantitativa, ma evidentemente non qualitativa nel proprio
sragionamento suicida; così se la maggioranza decide che l’aborto è legale,
l’infanticidio diventa legge di Stato. Non è la qualità o chi ragiona secondo
verità e giustizia, ma il “numero amorfo” a stabilire ciò che è vero e buono!
È possibile “oggi” una
Società cristiana?
● Nell’immediato non è probabile,
poiché natura non facit saltus, sed procedit gradatim. Tuttavia occorre
sempre tener vivo il principio o l’ideale della filosofia politica perenne, del
Magistero tradizionale e del ‘Diritto Pubblico Ecclesiastico’, i quali insegnano
che naturalmente l’uomo deve essere sottomesso a Dio suo Creatore e sempre
naturalmente la Società civile deve a Dio, che ha creato l’uomo animale
naturaliter socialis, il culto che gli è dovuto. La natura spinge l’uomo,
la famiglia e lo Stato a vivere virtuosamente in comune, osservando i
Comandamenti che Dio ha inscritto nella nostra natura e che ha poi rivelato per
renderci più facile lo loro osservanza. Così pure la Autorità naturalmente tende
a stimolare il bene e a punire il male, poiché questa è la sua finalità naturale
e intrinseca. Ora, nonostante il degradamento dell’uomo, della famiglia e della
Società (civile e religiosa) contemporanei, la natura non può cambiare
sostanzialmente, può soffrire cattivi influssi, ma essa tende al suo fine e
nulla è più forte della natura, specialmente se corroborata dalla Grazia, la
quale è offerta in maniera sufficiente a tutti gli uomini. Perciò lo Stato, la
famiglia e l’individuo tendono al loro fine naturale: il vivere virtuosamente
sulla via tracciata dal Decalogo, e l’Autorità tende a farlo rispettare e a
punire la sua trasgressione, nonostante le depravazioni che possano colpire
l’uomo e la Società e i detentori dell’Autorità, nelle varie epoche storiche.
● Pio XII aveva capito perfettamente
che il mondo contemporaneo in campo culturale, morale e spirituale stava per
imboccare la via del nichilismo ed aveva esclamato “La libertà individuale,
sciolta da tutti i vincoli, da tutte le norme e regole, da tutti i valori
oggettivi individuali e sociali, in realtà è un’anarchia mortale, soprattutto
nell’educazione della gioventù” (24. XII. 1944). Mai profezia di sventura fu più
azzeccata! E mai utopia di ottimismo esagerato sull’incontro tra uomo moderno e
Chiesa (Giovanni XXIII), tra antropocentrismo e teocentrismo
(Paolo VI e Giovanni Paolo II), fu più sbagliata e fuori della realtà. Pio XII
ci ricorda che mentre l’organismo o corpo sociale è conforme alla natura e
quindi è retto, vero e buono, il “meccanismo” o la Società meccanicistica,
progettata a tavolino dagli ideologi rivoluzionari, è inadeguato e incapace di
esplicitare le finalità insite nella natura umana. Infatti i pezzi di una
macchina non si muovono da sé, ma sono mossi dal di fuori. È per questo che la
massa è “manipolabile”, come lo fu dal Sinedrio durante il processo a Gesù. La
natura è opera di Dio e diretta da Lui come Causa prima e principale, mentre la
macchina è opera dell’uomo e dirigibile da lui.
Il laicismo
moderno
● Abbiamo già citato i Padri e il
Magistero sulla subordinazione gerarchizzata tra Stato e Chiesa. Il lettore può
valersi di un libro molto prezioso, purtroppo non più in commercio, compilato da
due professori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: Giorgio
Balladore-Pallieri & Giulio Vismara, Acta Pontificia Juris Gentium usque
ad annum MCCCIV, Milano, Vita e Pensiero, 1946. Esso raccoglie i documenti
pontifici dal III secolo sino a Bonifacio VIII. Il Magistero è ritornato sul
tema a partire dal “Diritto nuovo” nato con la modernità illuministica, che
propugna la separazione totale tra Stato e Chiesa. Da papa Pio VI (+ 1799) a Pio
XII (+ 1958) è ribadita la dottrina della unione e subordinazione gerarchizzata
dei due poteri secondo la nobiltà dei fini (temporale e spirituale). Lo Stato
cristiano è esistito a partire da Costantino sino alla Rivoluzione francese.
● Leone XIII lo ricorda: “Vi fu un
tempo in cui la Filosofia del Vangelo governava gli Stati. Quando la forza
dello spirito cristiano era penetrata nelle leggi civili, nelle istituzioni
temporali, nei costumi dei popoli; […] quando procedevano concordi il sacerdozio
e l’Impero. […]. Se l’Europa cristiana domò le orde barbariche, […] se
vittoriosamente respinse le invasioni dei musulmani, se tenne il primato della
civiltà, […] non v’è dubbio che in gran parte ne va debitrice alla religione.
Senza dubbio, tutti quei benefici sarebbero durati, se del pari fosse durata la
concordia tra i due poteri” (Immortale Dei, 1885). Leone XIII poi passa a
spiegare come tale armonia sia stata spezzata dallo “spirito di novità del
secolo XVI”, il quale “prima scosse la religione [soggettivismo luterano], poi
la filosofia [soggettivismo cartesiano] e quindi lo Stato [democratismo
rousseauiano]” di modo che il “diritto naturale” è stato rimpiazzato da un
“nuovo diritto”, soggettivo e fondato sull’Individualismo relativista
(Immortale Dei, 1885).
Quale nemico ha fatto
tutto ciò?
● Pio XII si è posta questa domanda
nel Discorso agli uomini di Azione cattolica, “Nel contemplare”
del 12 ottobre 1952. Pacelli esclama: “Non chiedeteci qual è il nemico, né quali
vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere
violento e subdolo. […]. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza
la Fede; la libertà senza l’Autorità. È un nemico divenuto sempre più concreto,
con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no.
Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto, anzi Dio non mai
esistito”. Come si vede, secondo Pio XII, che riprende il Magistero costante
e quindi infallibile della Chiesa da Gelasio I (+ 469), la separazione o il
divorzio tra Stato e Chiesa è un male, un peccato, un’apostasia gravissima
dell’uomo, della famiglia e dello Stato da Dio e dalla Chiesa che Lui ha
fondato. La teoria, l’ideale o il principio è quello della unione e cooperazione
gerarchizzata tra Stato e Chiesa. Tuttavia alcune volte, per evitare un male
maggiore, occorre tollerare praticamente, ma non teoricamente, un culto e una
religione a-cattolici, i quali non possiedono diritti, ma debbono essere
tollerati come un mal di denti sino a che il dentista non possa sradicare il
dente cariato: «Ciò che non corrisponde alla verità e alla norma morale non ha
oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda». Parimenti il Papa riprova la “neutralità
religiosa dello Stato” poiché l’unica situazione normale è quella dell’unione e
collaborazione tra i due poteri.
Rottura tra Vaticano II
e Tradizione apostolica
● Da tutto ciò si evince come la
dottrina sulla “Libertà religiosa” in foro esterno e in pubblico per tutte le
correnti di pensiero filosofico e teologico promulgata dal Concilio Vaticano II
(Dignitatis humanae, 7 dicembre 1965) sia in opposizione di
contraddizione con la Tradizione apostolica e il Magistero costante della
Chiesa. L’Avvenire, il quotidiano della ‘Conferenza Episcopale Italiana’,
l’8 giugno 2011 a pagina 27 ha pubblicato un editoriale di Flavio Felice
intitolato Liberalismo Usa figlio del Cristianesimo, in cui si legge: «La
prima grande teoria, espressa nel mondo moderno, dei diritti inviolabili e
imprescrittibili della persona umana, è stata elaborata da un pensatore
profondamente cristiano, John Locke. […]. Secondo la tradizione del liberalismo
di ispirazione cristiana: Rosmini, Sturzo ed altri, richiamata di recente da
Benedetto XVI nella lettera inviata a Giorgio Napoli il 17 marzo scorso, il
liberalismo è tale in quanto elegge la persona come fine della vita associata».
È il culto dell’Uomo, che prende il posto di Dio o la coincidentia
oppositorum di antropocentrismo e teocentrismo. Gaudium et spes n° 24
specifica che «L’uomo su questa terra è la sola creatura che Dio ha voluto per
se stessa (propter seipsam)». Durante “l’omelia nella 9a Sessione del
Concilio Vaticano II”, il 7 dicembre del 1965, Papa Montini giunse a
proclamare: «la religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la
religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Cosa è avvenuto?
Uno scontro, una lotta, un anatema? Tale poteva essere; ma non è avvenuto. […].
Una simpatia immensa verso ogni uomo ha pervaso tutto il
Concilio. Dategli merito almeno in questo, voi umanisti moderni, che
rifiutate le verità, le quali trascendono la natura delle cose terrestri, e
riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, abbiamo il
culto dell’uomo». Karol Wojtyla nel 1976 da cardinale, predicando
un ritiro spirituale a Paolo VI e ai suoi collaboratori, pubblicato in italiano
sotto il titolo Segno di contraddizione. Meditazioni, (Milano, Gribaudi,
1977), inizia la meditazione “Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo”
(cap. XII, pp. 114-122) con Gaudium et spes n.° 22 e asserisce: «il
testo conciliare, applicando a sua volta la categoria del mistero
all’uomo, spiega il carattere antropologico o perfino
antropocentrico della Rivelazione offerta agli uomini in Cristo. Questa
Rivelazione è concentrata sull’uomo […]. Il Figlio di Dio, attraverso la
sua Incarnazione, si è unito ad ogni uomo, è diventato - come Uomo - uno
di noi. […]. Ecco i punti centrali ai quali si potrebbe ridurre
l’insegnamento conciliare sull’uomo e sul suo mistero» (pp. 115-116). Papa
Giovanni Paolo II afferma nella sua seconda enciclica (del 1980) “Dives in
misericordia” n.° 1: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel
passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e
persino a contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa
[conciliare, ndr] […] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda.
E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del
magistero dell’ultimo Concilio».
d. CURZIO NITOGLIA
20 luglio 2011
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