Ap - Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (I)
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Lug2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” (Affinché Egli regni), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237.) [Infiltrazione, non attacco frontale] Esaminando il processo rivoluzionario è necessario mettere in guardia dall’azione di una sua “quinta colonna”, tanto più temibile in quanto i suoi adepti continuano a chiamarsi cattolici.
[Infiltrazione, non attacco frontale]
Dopo l’azione delle “truppe regolari” della Rivoluzione, è necessario mettere in guardia dall’azione di una sua “quinta colonna”.
In altre parole, dopo l’azione di quanti operano come nemici dichiarati dell’ordine cristiano, non bisogna dimenticare quanti si comportano come agenti del nemico, tanto più temibili in quanto continuano a chiamarsi cattolici.
La Chiesa sarà esposta a germi interni dello spirito d’eresia fino alla consumazione dei secoli e l’esperienza dimostra che in ogni guerra una quinta colonna supera in efficacia gli armamenti più terribili.
Essendosi formato un tumore nello schieramento cattolico, le forze si dividono, le energie che dovrebbero essere utilizzate totalmente nella lotta contro il nemico esteriore si indeboliscono nelle discussioni tra fratelli.
Se, per evitare tali discussioni, i moderati fanno cessare l’opposizione, il trionfo dell’inferno sarà ancora maggiore. Infatti potrà piantare il suo stendardo all’interno stesso della Città di Dio e sviluppare le sue conquiste.
Se in una determinata epoca l’inferno smettesse di svolgere un’azione così fruttuosa, il diavolo avrebbe cessato di esistere.
Su questo punto, una totale unanimità delle fonti impone che ci dichiariamo d’accordo: quanto la Chiesa ha denunciato è effettivamente confessato, annunciato e raccomandato da parte della Rivoluzione.
Vediamo in primo luogo, da parte cattolica, l’osservazione del Card. Saliege (Conférenceaux retraits ecclésiastiques, 1953): «Tutto si svolge come se vi fosse un’azione orchestrata da certa stampa, più o meno periodica, da certe riunioni più o meno segrete, che tendono a preparare, in seno al cattolicesimo, un movimento di benvenuto al comunismo. Esistono dei capi che istigano e conoscono bene il loro obiettivo e dei gregari che li seguono incoscientemente”.
Anche Monsignor Fulton Sheen, vescovo ausiliare di New York, in un discorso pronunciato a Santa Susanna in Roma denunciò come, nel 1936, i comunisti americani ricevessero istruzioni segrete per infiltrarsi «nel seno delle comunità religiose per distruggerle dall’interno. Fu lanciato un appello perché entrassero negli Ordini religiosi e a studiare nei seminari, anche a prezzo di grandi sacrifici; lo stesso monsignore dichiarò anche che un agente rivoluzionario aveva tentato di insediarsi nel suo stesso ufficio» (Cfr. L’ancre des jeunes, n° 9, Rue de Verneuil 49, Paris VIII).
«Secondo Radio Vaticana, si può leggere da giornali che esiste una sezione specializzata del Kominform la quale attualmente inonda l’Europa occidentale di falsi sacerdoti incaricati di seminare la discordia tra i cattolici in esilio provenienti dall’Europa orientale. Muniti di falsi passaporti e ancor più falsi curriculum vitae, precisa Radio Vaticana, questi falsi sacerdoti hanno imparato a dir Messa e sono in grado di sostenere discussioni teologiche di alto livello, essendo stati formati con un’intensa preparazione in centri specializzati costituiti a questo scopo in Unione Sovietica. Attualmente il numero di questi sacerdoti presenti in Occidente sarebbe di un migliaio» (Citato in Paternité).
Alla luce di queste diverse dichiarazioni, ci si spaventa un po’ meno della defezione del Padre gesuita Tondi, docente della Pontificia Università Gregoriana di Roma, il quale, in due giornali rivoluzionari, L’Unità e Paese sera, dichiarò di aver aderito al comunismo da molto tempo. Solo a seguito delle sue dichiarazione si scoprì che aveva avuto frequenti contatti con Togliatti (1).
Diamo ora spazio alle confessioni dei rivoluzionari.
Dal 1720, il deista inglese Toland, nel suo Pantheisticon, scriveva che «molti membri delle solidarietà socratiche si ritrovano a Parigi, altri a Vienna, in tutte le città olandesi, principalmente ad Amsterdam e, persino, alla corte di Roma».
«Minare sordamente e senza rumore l’edificio – scriverà più tardi Federico II a Voltaire (Lettera del 29-7-1775) – è costringerlo a cadere da se medesimo».
«La Rivoluzione nella Chiesa è la Rivoluzione permanente», proclamerà Piccolo Tigre, membro dell’Alta Vendita italiana, che pertanto è l’autore della formula che verrà usata da Trotsky centodieci anni dopo per esprimere il suo ideale marxista di Rivoluzione. Si sa molto bene che l’Alta Vendita, nella lotta contro al Chiesa di Roma, si specializzò nel tentare di abbatterla dal di dentro. «L’Italia è piena di confraternite religiose e di penitenti di diversi colori - diceva Piccolo Tigre -; non abbiate timore d’introdurre qualcuno dei nostri in quei greggi pieni di stupida devozione: che i nostri studino con attenzione le persone di tali confraternite e vedrete che, a poco a poco, non mancherà il raccolto … Riunite i vostri gruppi, anche quelli ignoranti, in un posto o in un altro, persino nelle cappelle o sacrestie, ponetele sotto la guida di un sacerdote virtuoso, accreditato, ma credulone e facile da ingannare; infiltrate il veleno nei cuori scelti, infiltratelo a piccole dosi e poi, come per caso, lasciate alla riflessione il resto; vi spaventerete del vostro successo» (Lettera di Piccolo Tigre ai membri della Vendita di Torino del 18-1-1822, citata da Crétineau-Joly, L' Eglise romaine en face de la Revolution, T. II, p. 120).
Le consegne dell’Istruzione permanente della Vendita Suprema invitavano persino a puntare più in alto. «Il nostro obiettivo finale – si può leggere in essa – è quello di Voltaire e della Rivoluzione francese: l’annientamento definitivo del cristianesimo e anche dell’idea cristiana. Il Papa, chiunque sia, non entrerà mai nelle società segrete; alle società segrete spetta fare il primo passo verso la chiesa, al fine di vincere entrambi. Il lavoro che andiamo ad iniziare non è cosa di un giorno, di un mese o di un anno: può durare molti anni, forse un secolo, ma nelle nostre fila il soldato cade ma la lotta continua.
Noi non cerchiamo di guadagnare i papi alla nostra causa, farli neofiti dei nostri principi, propagandisti delle nostre idee. Ciò sarebbe un sogno ridicolo … Quel che dobbiamo chiedere, dobbiamo cercare e sperare, come gli ebrei aspettano il Messia, è un Papa secondo i nostri bisogni. Alessandro VI, pur con tutti i suoi crimini, non ci sarebbe convenuto, perché non errò mai in materia religiosa: un Clemente XIV, al contrario, sarebbe il nostro uomo dalle testa ai piedi …
Non dubitiamo di giungere a questa suprema conclusione dei nostri sforzi, ma quando? E come?
Orbene, per assicurarci un Papa con le caratteristiche richieste, è innanzi tutto necessario preparargli una generazione degna del sogno cui aneliamo. Mettete da parte la vecchiaia e l’età matura e rivolgetevi alla gioventù e, se possibile, all’infanzia. Non usate mai con essa parole d’empietà o d’impurità. Dovete presentarvi con tutte le apparenze dell’uomo grave e morale. Quando la vostra reputazione sarà sicura nei collegi, nelle scuole, nelle università e nei seminari; una volte che avrete ottenuto la fiducia dei professori e degli studenti fate in modo che, principalmente coloro che si arruolano nella milizia clericale, cerchino la vostra conversazione. In pochi anni questo giovane clero, avrà occupato posti di responsabilità: governerà, amministrerà, giudicherà, farà parte del consiglio del re … Che il clero marci sotto il vostro stendardo credendo sempre di stare sotto la bandiera dei Capi Apostolici. Volete far sparire le ultime vestigia dei tiranni e degli oppressori: tendete le vostre reti come Simone Barjona [Vale a dire, Simone, figlio di Giovanni: San Pietro]; tendetele nel fondo delle sacrestie, dei seminari e dei conventi invece che in fondo al mare: se opererete senza precipitazione, noi vi assicuriamo una pesca più miracolosa della sua. Il pescatore di pesci riuscì ad essere pescatore di uomini; voi porterete amici attorno alla Cattedra apostolica. Voi avrete predicato una rivoluzione con tiara e cappa pluviale, marciando con la croce e la bandiera; una rivoluzione che non avrà bisogno d’altro che di un piccolissimo fiammifero per accendere il fuoco nei punti cardinali del mondo».
«Solo il cattolicesimo – scriveva Charles Dollfus alla contessa d’Agoult – può divorare il cattolicesimo; una volta schiacciata la testa, i membri si disperderanno … ; il mostro si smembrerà per divorare se stesso. Dobbiamo saper attendere e non cantar vittoria prima del tempo: essa arriverà … » (lettera dell’11-8-1875, citata da Jacques Viet in Daniel Stern: Lettres républicaines du Second Empire. Documents inédites; Edit. Du Cedre, rue Mazarine 13, Parigi).
Si trovano molte tracce di questa speranza in un’azione occulta che giunga ad ottenere di cambiare lo spirito della Chiesa dall’interno; sono in migliaia di scritti del XIX secolo. Un pastore protestante di Ginevra, il professor Bouvier, lo spiegava chiaramente nel gennaio 1870 ne La Chiesa libera, giornale “riformato” di Nizza: «Nella nostra lotta contro il cattolicesimo, interviene il cattolicesimo liberale, che è armato sia dell’antichità delle dottrine che dello spirito nuovo … , solo il cattolicesimo liberale può realizzare l’opera della Riforma, l’edificazione viva nell’ambiente in cui il cristianesimo è nato. Quando il puro vangelo è portato alle masse cattoliche da mani protestanti viene, per ciò stesso, compromesso: è sospetto. Il cattolicesimo liberale ha la possibilità di trovare un miglior modo d’accesso e di penetrare talvolta più velocemente e più direttamente al cuore stesso del vaticano».
Si vede: è sempre la stessa idea; è il sogno di tutti coloro che ignorano su quali profonde basi poggia la Santa Chiesa. Tuttavia, è un sogno la cui cornice appare in certe lettere di Gambetta dell’epoca in cui fu eletto Leone XIII (2): un’illusione che più tardi susciterà il sarcasmo di Anatole France e del rinnegato Charbonnel (3).
L’intenzione di distruggere la Chiesa dall’interno non sarà mai abbandonata. La celebre rivista massonica L’Acacia, nel suo numero del marzo 1908 a pagina 235, lo dichiara in un modo tanto manifesto quanto insperato: «Quando il periodico La Croix avrà ottenuto il monopolio indiscusso nell’orientamento dei cattolici, perché non impossessarcene comprandone le azioni con l’aiuto degli ebrei, dei protestanti e del Governo? Cancelleremo allora tutta la sua redazione clericale per sostituirla con un’altra di liberi pensatori che all’inizio conserveranno il tono della casa per poi cambiarlo poco a poco. Fare evolvere un giornale senza che i lettori se ne accorgano, come un produttore di cioccolata cambia il suo cacao, è la cosa più semplice».
Di fatto, sembra che simili concezioni non siano sempre state platoniche, come dimostra un celebre affare di La France Catolique, riferito da Copin-Albancelli (La conjuration contre le monde chrétien, p. 169, Vitte-Lion), nel quale si apprese di un sacerdote che pubblicò un giornale con tale titolo grazie ai soldi fornitigli dal Presidente del Consiglio Clemenceau. «Qual’era l’obiettivo di costui? Ingannare i cattolici, cercare di impadronirsi della direzione delle loro idee politiche creando, attraverso la questione dei Cultuelles, una corrente che aveva a capo, in apparenza, gli uomini più onorabili, i cattolici più qualificati, gli accademici, ma un vice presidente de L’Action Liberale. In realtà, le dichiarazioni del sacerdote Toiton davanti al tribunale, hanno provato che questo movimento era organizzato e diretto non dal capo della Chiesa, come si voleva far credere, ma da un potere occulto che operava - in quel caso e, come abbiamo visto, in altre circostanze – attraverso influenze individuali accuratamente dissimulate».
«Non ve lo perdete! – diceva Clemenceau nell’inviare i primi diecimila franchi al sacerdote Toiton -, sarà un episodio pittoresco!». Conclude Copin-Albancelli: «L’episodio non si verificò, ma abbiamo al suo posto qualcosa che vale di più: la visione, in sintesi, di tutta l’azione massonica e del procedimento-tipo delle forze occulte».
Note
1) Tra tutte le denunce di questa manovra occulta, non ce ne è una più commovente di quella di monsignor Thibault, vescovo di Montpellier, che fu sia agente che vittima. Napoleone III gli aveva strappato la promessa di lavorare per la rinascita dello scisma gallicano. E’ noto che egli, pentito da questa acquiescenza criminale, corse immediatamente a confessare la sua debolezza e il suo pentimento ai piedi del Cardinal Morlot, arcivescovo di Parigi, morendo un minuto dopo la sua confessione.
Nel febbraio del 1894, tale don Andrés Gòmez Somorrostro fece nella Cattedrale di Segovia la sua abiura solenne della massoneria. Presidente per trenta anni della loggia di tale città, fu contemporaneamente arciprete e confessore della Regina Isabel.
Mistero d’iniquità, che già Pio IX e San Pio X – soprattutto quest’ultimo – denunciarono al tempo della crisi modernista. Cfr. Pascendi, paragrafo n. 2: «… i fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista …»; e paragrafo 82: «E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un'incredibile audacia col velo di un'apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l'autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva».
2) Cfr. Le coeur de Gambetta, p. 244. Lettres a M.lle Léonie Léon, del 20-2-1878: «Oggi sarà un grande giorno. La pace giunta da Berlino e forse la conciliazione con il Vaticano. E’ stato eletto il nuovo Papa. Questi è l’elegante e raffinato cardinale Pecci, vescovo di Perugia, cui Pio IX aveva tentato di strappare la tiara nominandolo camerlengo. Questo italiano, più diplomatico che sacerdote, è passato attraverso tutti gli intrighi dei gesuiti e dei chierici più esotici. E’ Papa, e che abbia preso il nome di Leone XIII mi sembra il migliore augurio. Saluto questo avvenimento pieno di promesse. Non romperà apertamente con le tradizioni e le dichiarazioni dei suoi predecessori, ma la sua condotta, i suoi atti, le sue relazioni varranno più dei discorsi e, se non muore troppo presto, possiamo sperare in un matrimonio di convenienza con la Chiesa». Due mesi dopo, Gambettà scriveva di nuovo: «Devo riconoscenza infinita al nuovo Papa per il nome che ha osato prendere: è un sacro opportunista. Potremo noi trattare con lui? Chi lo sa? come dicono gli italiani». Bisogna notare che queste lettere sono dello stesso anno del famoso discorso di Romans, nel quale Gambettà dichiarava guerra al clericalismo.
3) «La disillusione è giunta molteplice e crudele. Leone XIII ha condannato il neocattolicesimo. Leone XIII ha condannato il Congresso delle religioni. Leone XIII ha condannato la Democrazia cristiana (il sacerdote Daens in Belgio) e ridotta l’altra (quella del sacerdote Garnier) a nulla più che una “tartuferia” di democrazia. Leone XIII ha condannato senza riserve l’americanismo. Leone XIII, “papa liberale”, è il sovrano Pontefice degli anatemi. Mai nessun altro Papa ha lanciato tanti anatemi nella sua vita».
Dopo l’azione delle “truppe regolari” della Rivoluzione, è necessario mettere in guardia dall’azione di una sua “quinta colonna”.
In altre parole, dopo l’azione di quanti operano come nemici dichiarati dell’ordine cristiano, non bisogna dimenticare quanti si comportano come agenti del nemico, tanto più temibili in quanto continuano a chiamarsi cattolici.
La Chiesa sarà esposta a germi interni dello spirito d’eresia fino alla consumazione dei secoli e l’esperienza dimostra che in ogni guerra una quinta colonna supera in efficacia gli armamenti più terribili.
Essendosi formato un tumore nello schieramento cattolico, le forze si dividono, le energie che dovrebbero essere utilizzate totalmente nella lotta contro il nemico esteriore si indeboliscono nelle discussioni tra fratelli.
Se, per evitare tali discussioni, i moderati fanno cessare l’opposizione, il trionfo dell’inferno sarà ancora maggiore. Infatti potrà piantare il suo stendardo all’interno stesso della Città di Dio e sviluppare le sue conquiste.
Se in una determinata epoca l’inferno smettesse di svolgere un’azione così fruttuosa, il diavolo avrebbe cessato di esistere.
Su questo punto, una totale unanimità delle fonti impone che ci dichiariamo d’accordo: quanto la Chiesa ha denunciato è effettivamente confessato, annunciato e raccomandato da parte della Rivoluzione.
Vediamo in primo luogo, da parte cattolica, l’osservazione del Card. Saliege (Conférenceaux retraits ecclésiastiques, 1953): «Tutto si svolge come se vi fosse un’azione orchestrata da certa stampa, più o meno periodica, da certe riunioni più o meno segrete, che tendono a preparare, in seno al cattolicesimo, un movimento di benvenuto al comunismo. Esistono dei capi che istigano e conoscono bene il loro obiettivo e dei gregari che li seguono incoscientemente”.
Anche Monsignor Fulton Sheen, vescovo ausiliare di New York, in un discorso pronunciato a Santa Susanna in Roma denunciò come, nel 1936, i comunisti americani ricevessero istruzioni segrete per infiltrarsi «nel seno delle comunità religiose per distruggerle dall’interno. Fu lanciato un appello perché entrassero negli Ordini religiosi e a studiare nei seminari, anche a prezzo di grandi sacrifici; lo stesso monsignore dichiarò anche che un agente rivoluzionario aveva tentato di insediarsi nel suo stesso ufficio» (Cfr. L’ancre des jeunes, n° 9, Rue de Verneuil 49, Paris VIII).
«Secondo Radio Vaticana, si può leggere da giornali che esiste una sezione specializzata del Kominform la quale attualmente inonda l’Europa occidentale di falsi sacerdoti incaricati di seminare la discordia tra i cattolici in esilio provenienti dall’Europa orientale. Muniti di falsi passaporti e ancor più falsi curriculum vitae, precisa Radio Vaticana, questi falsi sacerdoti hanno imparato a dir Messa e sono in grado di sostenere discussioni teologiche di alto livello, essendo stati formati con un’intensa preparazione in centri specializzati costituiti a questo scopo in Unione Sovietica. Attualmente il numero di questi sacerdoti presenti in Occidente sarebbe di un migliaio» (Citato in Paternité).
Alla luce di queste diverse dichiarazioni, ci si spaventa un po’ meno della defezione del Padre gesuita Tondi, docente della Pontificia Università Gregoriana di Roma, il quale, in due giornali rivoluzionari, L’Unità e Paese sera, dichiarò di aver aderito al comunismo da molto tempo. Solo a seguito delle sue dichiarazione si scoprì che aveva avuto frequenti contatti con Togliatti (1).
Diamo ora spazio alle confessioni dei rivoluzionari.
Dal 1720, il deista inglese Toland, nel suo Pantheisticon, scriveva che «molti membri delle solidarietà socratiche si ritrovano a Parigi, altri a Vienna, in tutte le città olandesi, principalmente ad Amsterdam e, persino, alla corte di Roma».
«Minare sordamente e senza rumore l’edificio – scriverà più tardi Federico II a Voltaire (Lettera del 29-7-1775) – è costringerlo a cadere da se medesimo».
«La Rivoluzione nella Chiesa è la Rivoluzione permanente», proclamerà Piccolo Tigre, membro dell’Alta Vendita italiana, che pertanto è l’autore della formula che verrà usata da Trotsky centodieci anni dopo per esprimere il suo ideale marxista di Rivoluzione. Si sa molto bene che l’Alta Vendita, nella lotta contro al Chiesa di Roma, si specializzò nel tentare di abbatterla dal di dentro. «L’Italia è piena di confraternite religiose e di penitenti di diversi colori - diceva Piccolo Tigre -; non abbiate timore d’introdurre qualcuno dei nostri in quei greggi pieni di stupida devozione: che i nostri studino con attenzione le persone di tali confraternite e vedrete che, a poco a poco, non mancherà il raccolto … Riunite i vostri gruppi, anche quelli ignoranti, in un posto o in un altro, persino nelle cappelle o sacrestie, ponetele sotto la guida di un sacerdote virtuoso, accreditato, ma credulone e facile da ingannare; infiltrate il veleno nei cuori scelti, infiltratelo a piccole dosi e poi, come per caso, lasciate alla riflessione il resto; vi spaventerete del vostro successo» (Lettera di Piccolo Tigre ai membri della Vendita di Torino del 18-1-1822, citata da Crétineau-Joly, L' Eglise romaine en face de la Revolution, T. II, p. 120).
Le consegne dell’Istruzione permanente della Vendita Suprema invitavano persino a puntare più in alto. «Il nostro obiettivo finale – si può leggere in essa – è quello di Voltaire e della Rivoluzione francese: l’annientamento definitivo del cristianesimo e anche dell’idea cristiana. Il Papa, chiunque sia, non entrerà mai nelle società segrete; alle società segrete spetta fare il primo passo verso la chiesa, al fine di vincere entrambi. Il lavoro che andiamo ad iniziare non è cosa di un giorno, di un mese o di un anno: può durare molti anni, forse un secolo, ma nelle nostre fila il soldato cade ma la lotta continua.
Noi non cerchiamo di guadagnare i papi alla nostra causa, farli neofiti dei nostri principi, propagandisti delle nostre idee. Ciò sarebbe un sogno ridicolo … Quel che dobbiamo chiedere, dobbiamo cercare e sperare, come gli ebrei aspettano il Messia, è un Papa secondo i nostri bisogni. Alessandro VI, pur con tutti i suoi crimini, non ci sarebbe convenuto, perché non errò mai in materia religiosa: un Clemente XIV, al contrario, sarebbe il nostro uomo dalle testa ai piedi …
Non dubitiamo di giungere a questa suprema conclusione dei nostri sforzi, ma quando? E come?
Orbene, per assicurarci un Papa con le caratteristiche richieste, è innanzi tutto necessario preparargli una generazione degna del sogno cui aneliamo. Mettete da parte la vecchiaia e l’età matura e rivolgetevi alla gioventù e, se possibile, all’infanzia. Non usate mai con essa parole d’empietà o d’impurità. Dovete presentarvi con tutte le apparenze dell’uomo grave e morale. Quando la vostra reputazione sarà sicura nei collegi, nelle scuole, nelle università e nei seminari; una volte che avrete ottenuto la fiducia dei professori e degli studenti fate in modo che, principalmente coloro che si arruolano nella milizia clericale, cerchino la vostra conversazione. In pochi anni questo giovane clero, avrà occupato posti di responsabilità: governerà, amministrerà, giudicherà, farà parte del consiglio del re … Che il clero marci sotto il vostro stendardo credendo sempre di stare sotto la bandiera dei Capi Apostolici. Volete far sparire le ultime vestigia dei tiranni e degli oppressori: tendete le vostre reti come Simone Barjona [Vale a dire, Simone, figlio di Giovanni: San Pietro]; tendetele nel fondo delle sacrestie, dei seminari e dei conventi invece che in fondo al mare: se opererete senza precipitazione, noi vi assicuriamo una pesca più miracolosa della sua. Il pescatore di pesci riuscì ad essere pescatore di uomini; voi porterete amici attorno alla Cattedra apostolica. Voi avrete predicato una rivoluzione con tiara e cappa pluviale, marciando con la croce e la bandiera; una rivoluzione che non avrà bisogno d’altro che di un piccolissimo fiammifero per accendere il fuoco nei punti cardinali del mondo».
«Solo il cattolicesimo – scriveva Charles Dollfus alla contessa d’Agoult – può divorare il cattolicesimo; una volta schiacciata la testa, i membri si disperderanno … ; il mostro si smembrerà per divorare se stesso. Dobbiamo saper attendere e non cantar vittoria prima del tempo: essa arriverà … » (lettera dell’11-8-1875, citata da Jacques Viet in Daniel Stern: Lettres républicaines du Second Empire. Documents inédites; Edit. Du Cedre, rue Mazarine 13, Parigi).
Si trovano molte tracce di questa speranza in un’azione occulta che giunga ad ottenere di cambiare lo spirito della Chiesa dall’interno; sono in migliaia di scritti del XIX secolo. Un pastore protestante di Ginevra, il professor Bouvier, lo spiegava chiaramente nel gennaio 1870 ne La Chiesa libera, giornale “riformato” di Nizza: «Nella nostra lotta contro il cattolicesimo, interviene il cattolicesimo liberale, che è armato sia dell’antichità delle dottrine che dello spirito nuovo … , solo il cattolicesimo liberale può realizzare l’opera della Riforma, l’edificazione viva nell’ambiente in cui il cristianesimo è nato. Quando il puro vangelo è portato alle masse cattoliche da mani protestanti viene, per ciò stesso, compromesso: è sospetto. Il cattolicesimo liberale ha la possibilità di trovare un miglior modo d’accesso e di penetrare talvolta più velocemente e più direttamente al cuore stesso del vaticano».
Si vede: è sempre la stessa idea; è il sogno di tutti coloro che ignorano su quali profonde basi poggia la Santa Chiesa. Tuttavia, è un sogno la cui cornice appare in certe lettere di Gambetta dell’epoca in cui fu eletto Leone XIII (2): un’illusione che più tardi susciterà il sarcasmo di Anatole France e del rinnegato Charbonnel (3).
L’intenzione di distruggere la Chiesa dall’interno non sarà mai abbandonata. La celebre rivista massonica L’Acacia, nel suo numero del marzo 1908 a pagina 235, lo dichiara in un modo tanto manifesto quanto insperato: «Quando il periodico La Croix avrà ottenuto il monopolio indiscusso nell’orientamento dei cattolici, perché non impossessarcene comprandone le azioni con l’aiuto degli ebrei, dei protestanti e del Governo? Cancelleremo allora tutta la sua redazione clericale per sostituirla con un’altra di liberi pensatori che all’inizio conserveranno il tono della casa per poi cambiarlo poco a poco. Fare evolvere un giornale senza che i lettori se ne accorgano, come un produttore di cioccolata cambia il suo cacao, è la cosa più semplice».
Di fatto, sembra che simili concezioni non siano sempre state platoniche, come dimostra un celebre affare di La France Catolique, riferito da Copin-Albancelli (La conjuration contre le monde chrétien, p. 169, Vitte-Lion), nel quale si apprese di un sacerdote che pubblicò un giornale con tale titolo grazie ai soldi fornitigli dal Presidente del Consiglio Clemenceau. «Qual’era l’obiettivo di costui? Ingannare i cattolici, cercare di impadronirsi della direzione delle loro idee politiche creando, attraverso la questione dei Cultuelles, una corrente che aveva a capo, in apparenza, gli uomini più onorabili, i cattolici più qualificati, gli accademici, ma un vice presidente de L’Action Liberale. In realtà, le dichiarazioni del sacerdote Toiton davanti al tribunale, hanno provato che questo movimento era organizzato e diretto non dal capo della Chiesa, come si voleva far credere, ma da un potere occulto che operava - in quel caso e, come abbiamo visto, in altre circostanze – attraverso influenze individuali accuratamente dissimulate».
«Non ve lo perdete! – diceva Clemenceau nell’inviare i primi diecimila franchi al sacerdote Toiton -, sarà un episodio pittoresco!». Conclude Copin-Albancelli: «L’episodio non si verificò, ma abbiamo al suo posto qualcosa che vale di più: la visione, in sintesi, di tutta l’azione massonica e del procedimento-tipo delle forze occulte».
Note
1) Tra tutte le denunce di questa manovra occulta, non ce ne è una più commovente di quella di monsignor Thibault, vescovo di Montpellier, che fu sia agente che vittima. Napoleone III gli aveva strappato la promessa di lavorare per la rinascita dello scisma gallicano. E’ noto che egli, pentito da questa acquiescenza criminale, corse immediatamente a confessare la sua debolezza e il suo pentimento ai piedi del Cardinal Morlot, arcivescovo di Parigi, morendo un minuto dopo la sua confessione.
Nel febbraio del 1894, tale don Andrés Gòmez Somorrostro fece nella Cattedrale di Segovia la sua abiura solenne della massoneria. Presidente per trenta anni della loggia di tale città, fu contemporaneamente arciprete e confessore della Regina Isabel.
Mistero d’iniquità, che già Pio IX e San Pio X – soprattutto quest’ultimo – denunciarono al tempo della crisi modernista. Cfr. Pascendi, paragrafo n. 2: «… i fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista …»; e paragrafo 82: «E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un'incredibile audacia col velo di un'apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l'autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva».
2) Cfr. Le coeur de Gambetta, p. 244. Lettres a M.lle Léonie Léon, del 20-2-1878: «Oggi sarà un grande giorno. La pace giunta da Berlino e forse la conciliazione con il Vaticano. E’ stato eletto il nuovo Papa. Questi è l’elegante e raffinato cardinale Pecci, vescovo di Perugia, cui Pio IX aveva tentato di strappare la tiara nominandolo camerlengo. Questo italiano, più diplomatico che sacerdote, è passato attraverso tutti gli intrighi dei gesuiti e dei chierici più esotici. E’ Papa, e che abbia preso il nome di Leone XIII mi sembra il migliore augurio. Saluto questo avvenimento pieno di promesse. Non romperà apertamente con le tradizioni e le dichiarazioni dei suoi predecessori, ma la sua condotta, i suoi atti, le sue relazioni varranno più dei discorsi e, se non muore troppo presto, possiamo sperare in un matrimonio di convenienza con la Chiesa». Due mesi dopo, Gambettà scriveva di nuovo: «Devo riconoscenza infinita al nuovo Papa per il nome che ha osato prendere: è un sacro opportunista. Potremo noi trattare con lui? Chi lo sa? come dicono gli italiani». Bisogna notare che queste lettere sono dello stesso anno del famoso discorso di Romans, nel quale Gambettà dichiarava guerra al clericalismo.
3) «La disillusione è giunta molteplice e crudele. Leone XIII ha condannato il neocattolicesimo. Leone XIII ha condannato il Congresso delle religioni. Leone XIII ha condannato la Democrazia cristiana (il sacerdote Daens in Belgio) e ridotta l’altra (quella del sacerdote Garnier) a nulla più che una “tartuferia” di democrazia. Leone XIII ha condannato senza riserve l’americanismo. Leone XIII, “papa liberale”, è il sovrano Pontefice degli anatemi. Mai nessun altro Papa ha lanciato tanti anatemi nella sua vita».
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Ap - Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (II)
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Lug2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” (Affinché Egli regni), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237.) [Infiltrazione, non attacco frontale - II parte] Anche il comunismo si è dedicato a questo lavoro di disgregazione interna.
Perché il comunismo non avrebbe dovuto dedicarsi a questo lavoro di disgregazione interna? Tanto più che tali modi d’agire derivano direttamente da quel che si può chiamare lo spirito dell’azione marxista.
Jean Daujat lo ha detto molto bene: dato che è un ateismo pratico e non dottrinale «il marxismo farà propaganda anti religiosa solo nel caso in cui questa sia utile all’azione rivoluzionaria». Orbene, «la vera azione anti religiosa del marxismo non consiste assolutamente nell’abbattere la religione dal di fuori con una propaganda ad essa contraria: consiste nel sopprimere la religione da dentro, svuotando negli uomini di ogni vita religiosa e da ogni concezione religiosa, prendendoli e trascinandoli interamente nell’azione materialista. Vi saranno dunque molti casi in cui, per trascinare i cristiani in questa azione puramente materialista e con ciò svuotarli dall’interno di tutto il loro cristianesimo, bisognerà “tendere loro la mano” e offrire loro collaborazione» (J. Daujat, Conoscere il comunismo, tra i libri scaricabili gratuitamente dal Portale www.totustuus.it ).
«Non conviene – dice Galperine – presentarci alla gioventù cristiana con argomenti di lotta anti religiosa; ciò sarebbe un grave errore psicologico. Tuttavia è facile trascinarla dietro ad altro: la lotta per il pane quotidiano, la libertà, la pace, la società ideale … Nella misura in cui attrarremo i giovani cristiani in queste lotte, con obiettivi precisi, li strapperemo alla Chiesa» . In effetti, un metodo simile era già raccomandato dall’Alta Vendita, quando diceva: «Non si deve combattere (la religione) con frasi, perché equivarrebbe a farle propaganda, ma bisognerebbe ucciderla con i fatti».
Non dobbiamo dunque meravigliarci di quanto si può leggere, ad esempio, su Le Monde del 1-2 novembre del 1953, sotto il titolo «Due spie stanno per essere giudicate a Lucerna»: «Due svizzeri , Xavier Schieper (cinquantasei anni) e Rudolf Roessler (quarantatre anni), fermati nel marzo del 1953 per aver trasmesso informazioni militari alla Cecoslovacchia … compariranno lunedì 2 novembre davanti al tribunale di Lucerna … Uno degli accusati era già stato incarcerato nel 1944 per aver operato a favore di una rete di spionaggio sovietica durante la guerra. L’altro è membro del partito comunista svizzero e rappresentava a Praga l’istituzione cattolica Caritas».
E’ una tattica dimostrata chiaramente nel documento Li Wei Han, edito nel 1959 dalle «Stampe di lingua straniera di Pechino», ad uso della sezione latino-americana del Dipartimento di Relazioni del Partito Comunista Cinese (testo diffuso dal DUD, in vendita nel CLC, Rue des Renades 49, Parigi). Un documento che, con le sue stesse parole, definisce «La linea d’azione da seguire contro la Chiesa … linea d’azione che consiste nell’istruire, educare, persuadere, convincere e, un po’ alla volta, risvegliare e sviluppare completamente la coscienza politica dei cattolici per ottenere la loro partecipazione nei circolo di studio e nelle attività politiche. Dobbiamo intraprendere la lotta dialettica in seno alla religione per mezzo di attivisti (militanti comunisti). Sostituiremo progressivamente l’elemento religioso con l’elemento marxista; trasformeremo gradualmente la falsa coscienza in vera, in modo che i cattolici eventualmente giungano a distruggere di propria iniziativa e autonomamente le immagini divine che essi stessi hanno creato. Questa è la nostra linea d’azione nella lotta per la vittoria contro la Chiesa Cattolica Controrivoluzionaria».
* * *
Questi sono alcuni esempi tra i tanti, scelti da epoche diverse dell’era rivoluzionaria per meglio evidenziare la costanza e continuità dell’operazione di infiltrazione.
* * *
Del resto c’è una frase, nel Vangelo, alla fine del dialogo tra Nostro Signore e Pilato, sulla quale ci siamo fermati in un capitolo precedente: « Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande» (Gv. 19, 11).
Più colpevole, dunque, è il Sinedrio; son più colpevoli gli scribi, i dottori della legge, i principi dei sacerdoti, dato che furono costoro i quali consegnarono, effettivamente, il Signore al potere politico. In questo c’è un grande mistero.
Certamente, Gesù fu consegnato al potere civile nel momento preciso della storia dai rappresentanti di un potere spirituale deviato: ma il fatto è che Gesù, nella Chiesa,Gesù, pietra angolare di tutto l’ordine cristiano, continua, nel corso dei secoli, ad essere consegnato nello stesso modo alla persecuzione di Cesari diversi, attraverso il tradimento spirituale, intellettuale, di un certo reparto di scribi, pretesi dottori della legge, chierici passati all’eresia.
Infatti, son sempre gli eresiarchi che hanno consegnato Gesù alle persecuzioni dei vari Pilato. E’ sempre a seguito delle eresie che la società cristiana è stata più perturbata, la Chiesa perseguitata, la regalità sociale di Gesù Cristo negata. In quasi tutte le circostanze è l’eresia che apre la marcia, fornendo all’orgoglio o all’ambizione del potere politico la parte di dottrina utile a dare una parvenza di ragionevolezza ai suoi attacchi contro la Chiesa. D’altra parte, l’eresia in quanto tale, risulta essere sempre una disgregazione interna, un tradimento di Gesù da parte di qualcuno dei suoi. Sardà non ebbe timore di scrivere: «E’ storicamente certo che le eresie iniziate senza chierici a loro servizio in nessun secolo han destato preoccupazione, né sono cresciute. Il chierico apostata è il primo fattore che il diavolo cerca per questa sua opera di ribellione. Egli deve presentarla in qualche modo autorizzata agli occhi degli incauti e, perciò, nulla niente gli è più utile della referenza di qualche ministro della Chiesa» (El liberalismo es pecado, p. 19).
Sarebbe facile mostrare l’ordine sociale cristiano smantellato dal previo tradimento di un certo numero di rappresentanti delle autorità intellettuali o spirituali: da Novaziano ad Ario, da Lutero a Giansenio, vale a dire dai principi barbari ai signori tedeschi sollevati dalla voce del monaco ribelle, senza dimenticare il giuseppinismo.
Fu un tradimento di alcuni chierici proprio nel momento in cui avevano quasi il monopolio del pensiero. Successivo tradimento fu quello di un maggior numero di laici, quando, sotto l’impulso della “filosofia separata”, la vita intellettuale del mondo non ha smesso di staccarsi ogni giorno di più dall’insegnamento della Chiesa.
E’ una lezione sia del Vangelo che della storia.
E’ stato per il tradimento dei maestri del pensiero che Gesù fu consegnato ai suoi nemici. E’ quasi sempre un piccolo gruppo di falsi dottori, scriba e intellettuali pervertiti che ispira al poter politico gli argomenti da impugnare perché il Signore venga crocifisso.
Quando regna la Verità, quando l’autentica dottrina della Chiesa resta chiaramente conosciuta e fedelmente diffusa, come potrà lo Stato inquietarsi di fronte ad un’unanimità intellettuale che, lungi dal minacciarlo, favorirà la sua opera, aumenterà il suo potere e porrà una sorta di aureola alla sua autorità?
Tuttavia, non appena il sofisma e l’errore giungono a rompere l’unità del pensiero cristiano, lo Stato non tarderà nel cedere alla tentazione di teorie ingannevoli che tendono, come quasi tutte le eresie, a separare, quando non ad opporre, il naturale e il soprannaturale, il potere civile e quello spirituale …
Jean Daujat lo ha detto molto bene: dato che è un ateismo pratico e non dottrinale «il marxismo farà propaganda anti religiosa solo nel caso in cui questa sia utile all’azione rivoluzionaria». Orbene, «la vera azione anti religiosa del marxismo non consiste assolutamente nell’abbattere la religione dal di fuori con una propaganda ad essa contraria: consiste nel sopprimere la religione da dentro, svuotando negli uomini di ogni vita religiosa e da ogni concezione religiosa, prendendoli e trascinandoli interamente nell’azione materialista. Vi saranno dunque molti casi in cui, per trascinare i cristiani in questa azione puramente materialista e con ciò svuotarli dall’interno di tutto il loro cristianesimo, bisognerà “tendere loro la mano” e offrire loro collaborazione» (J. Daujat, Conoscere il comunismo, tra i libri scaricabili gratuitamente dal Portale www.totustuus.it ).
«Non conviene – dice Galperine – presentarci alla gioventù cristiana con argomenti di lotta anti religiosa; ciò sarebbe un grave errore psicologico. Tuttavia è facile trascinarla dietro ad altro: la lotta per il pane quotidiano, la libertà, la pace, la società ideale … Nella misura in cui attrarremo i giovani cristiani in queste lotte, con obiettivi precisi, li strapperemo alla Chiesa» . In effetti, un metodo simile era già raccomandato dall’Alta Vendita, quando diceva: «Non si deve combattere (la religione) con frasi, perché equivarrebbe a farle propaganda, ma bisognerebbe ucciderla con i fatti».
Non dobbiamo dunque meravigliarci di quanto si può leggere, ad esempio, su Le Monde del 1-2 novembre del 1953, sotto il titolo «Due spie stanno per essere giudicate a Lucerna»: «Due svizzeri , Xavier Schieper (cinquantasei anni) e Rudolf Roessler (quarantatre anni), fermati nel marzo del 1953 per aver trasmesso informazioni militari alla Cecoslovacchia … compariranno lunedì 2 novembre davanti al tribunale di Lucerna … Uno degli accusati era già stato incarcerato nel 1944 per aver operato a favore di una rete di spionaggio sovietica durante la guerra. L’altro è membro del partito comunista svizzero e rappresentava a Praga l’istituzione cattolica Caritas».
E’ una tattica dimostrata chiaramente nel documento Li Wei Han, edito nel 1959 dalle «Stampe di lingua straniera di Pechino», ad uso della sezione latino-americana del Dipartimento di Relazioni del Partito Comunista Cinese (testo diffuso dal DUD, in vendita nel CLC, Rue des Renades 49, Parigi). Un documento che, con le sue stesse parole, definisce «La linea d’azione da seguire contro la Chiesa … linea d’azione che consiste nell’istruire, educare, persuadere, convincere e, un po’ alla volta, risvegliare e sviluppare completamente la coscienza politica dei cattolici per ottenere la loro partecipazione nei circolo di studio e nelle attività politiche. Dobbiamo intraprendere la lotta dialettica in seno alla religione per mezzo di attivisti (militanti comunisti). Sostituiremo progressivamente l’elemento religioso con l’elemento marxista; trasformeremo gradualmente la falsa coscienza in vera, in modo che i cattolici eventualmente giungano a distruggere di propria iniziativa e autonomamente le immagini divine che essi stessi hanno creato. Questa è la nostra linea d’azione nella lotta per la vittoria contro la Chiesa Cattolica Controrivoluzionaria».
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Questi sono alcuni esempi tra i tanti, scelti da epoche diverse dell’era rivoluzionaria per meglio evidenziare la costanza e continuità dell’operazione di infiltrazione.
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Del resto c’è una frase, nel Vangelo, alla fine del dialogo tra Nostro Signore e Pilato, sulla quale ci siamo fermati in un capitolo precedente: « Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande» (Gv. 19, 11).
Più colpevole, dunque, è il Sinedrio; son più colpevoli gli scribi, i dottori della legge, i principi dei sacerdoti, dato che furono costoro i quali consegnarono, effettivamente, il Signore al potere politico. In questo c’è un grande mistero.
Certamente, Gesù fu consegnato al potere civile nel momento preciso della storia dai rappresentanti di un potere spirituale deviato: ma il fatto è che Gesù, nella Chiesa,Gesù, pietra angolare di tutto l’ordine cristiano, continua, nel corso dei secoli, ad essere consegnato nello stesso modo alla persecuzione di Cesari diversi, attraverso il tradimento spirituale, intellettuale, di un certo reparto di scribi, pretesi dottori della legge, chierici passati all’eresia.
Infatti, son sempre gli eresiarchi che hanno consegnato Gesù alle persecuzioni dei vari Pilato. E’ sempre a seguito delle eresie che la società cristiana è stata più perturbata, la Chiesa perseguitata, la regalità sociale di Gesù Cristo negata. In quasi tutte le circostanze è l’eresia che apre la marcia, fornendo all’orgoglio o all’ambizione del potere politico la parte di dottrina utile a dare una parvenza di ragionevolezza ai suoi attacchi contro la Chiesa. D’altra parte, l’eresia in quanto tale, risulta essere sempre una disgregazione interna, un tradimento di Gesù da parte di qualcuno dei suoi. Sardà non ebbe timore di scrivere: «E’ storicamente certo che le eresie iniziate senza chierici a loro servizio in nessun secolo han destato preoccupazione, né sono cresciute. Il chierico apostata è il primo fattore che il diavolo cerca per questa sua opera di ribellione. Egli deve presentarla in qualche modo autorizzata agli occhi degli incauti e, perciò, nulla niente gli è più utile della referenza di qualche ministro della Chiesa» (El liberalismo es pecado, p. 19).
Sarebbe facile mostrare l’ordine sociale cristiano smantellato dal previo tradimento di un certo numero di rappresentanti delle autorità intellettuali o spirituali: da Novaziano ad Ario, da Lutero a Giansenio, vale a dire dai principi barbari ai signori tedeschi sollevati dalla voce del monaco ribelle, senza dimenticare il giuseppinismo.
Fu un tradimento di alcuni chierici proprio nel momento in cui avevano quasi il monopolio del pensiero. Successivo tradimento fu quello di un maggior numero di laici, quando, sotto l’impulso della “filosofia separata”, la vita intellettuale del mondo non ha smesso di staccarsi ogni giorno di più dall’insegnamento della Chiesa.
E’ una lezione sia del Vangelo che della storia.
E’ stato per il tradimento dei maestri del pensiero che Gesù fu consegnato ai suoi nemici. E’ quasi sempre un piccolo gruppo di falsi dottori, scriba e intellettuali pervertiti che ispira al poter politico gli argomenti da impugnare perché il Signore venga crocifisso.
Quando regna la Verità, quando l’autentica dottrina della Chiesa resta chiaramente conosciuta e fedelmente diffusa, come potrà lo Stato inquietarsi di fronte ad un’unanimità intellettuale che, lungi dal minacciarlo, favorirà la sua opera, aumenterà il suo potere e porrà una sorta di aureola alla sua autorità?
Tuttavia, non appena il sofisma e l’errore giungono a rompere l’unità del pensiero cristiano, lo Stato non tarderà nel cedere alla tentazione di teorie ingannevoli che tendono, come quasi tutte le eresie, a separare, quando non ad opporre, il naturale e il soprannaturale, il potere civile e quello spirituale …
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Ap - Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (III)
25
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Lug2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” (Affinché Egli regni), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237.) [Quietisti, Giansenisti, Gallicani] L’ordinario lavoro delle quinte colonne che si sono succedute nel corso di tutta l’era cristiana, a partire dalle fine del secolo XVII e nel corso del XVIII fu più nefasto delle blasfemie di Voltaire e del libertinaggio dei mondani. Infatti, esse non avrebbero potuto mai trionfare se i suoi pionieri non avessero trovato la criminale complicità di una generazione cristiana male diretta da un clero in molte occasioni lontano da Roma.
QUIETISTI, GIANSENISTI, GALLICANI (4)
Questo è l’ordinario lavoro delle quinte colonne che si sono succedute nel corso di tutta l’era cristiana.
Un lavoro svolto in modo magistrale a partire dalle fine del secolo XVII e nel corso del XVIII dalle forze che prepararono la Rivoluzione [francese]. Infatti, essa non avrebbe potuto mai trionfare se i suoi pionieri non avessero trovato la criminale complicità di una generazione cristiana male diretta da un clero in molte occasioni lontano da Roma.
Ciò fu, in un certo senso, più nefasto delle blasfemie di Voltaire e del libertinaggio dei mondani.
Gli Enciclopedisti avrebbero fallito, se nello stesso secolo il giansenismo e il quietismo, alleandosi più o meno tacitamente con il gallicanesimo laico, non avessero fornito al filosofismo una formidabile leva scassinatrice: dove l’anti cattolicesimo dichiarato non sarebbe mai penetrato, regnava di fatto il giansenismo; dove invece il giansenismo non era riuscito a far breccia, le snervanti dottrine di Fenelón e dei suoi amici facevano strage.
Per dare un’idea della prostrazione del pensiero cristiano in questa epoca e della parte svolta dai migliori in quello che fu un autentico tradimento dottrinale, va sottolineato che quando un Bossuet, chiamato a dirigere l’educazione di un principe, scrive un trattato di politica basato sulle Sacre Scritture, un Fenelón risponde con quell’insulsaggine inconsistente e pericolosa – qualsivoglia fossero le sue qualità letterarie – intitolata Telemaco. Un libro che, per la tipologia di idee che diffonde, si inserisce nella grande serie di quelle opere somigliante all’Utopia, nelle quali tanta ricreazione ha trovato il pensiero pre rivoluzionario.
Se il buon senso di Luigi XIV seppe proibire al suo primogenito la lettura delle fantasie del Monsignor di Cambrai, il successivo Luigi XVI si saturò di esse, come buona parte delle élite del suo tempo. Quando si pensa che questa parte della nobiltà e delle élite – per le loro conoscenze, doveri, indiscutibili virtù - avrebbero dovuto essere l’esercito del vero ordine e della religione, si resta terrorizzati dalle stragi che i deviati feneloniani causarono tra le sue fila. Questo ceto sociale, indubbiamente, seppe morire con la nobile dignità di vittima, ma senza combattere, come, ovviamente, avrebbe dovuto essere suo dovere.
Quando si sa come procede la massoneria, ossia «attraverso influenze individuali accuratamente dissimulate», senza dubitare della buona fede di Fenelón, non ci si sorprende di trovare tra i suoi amici il figlio di un panettiere di Edimburgo che si faceva chiamare «Cavaliere Ramsay» e che fu uno dei più abili artefici dei progressi della massoneria tra coloro ai quali gli scrupoli religiosi avrebbero apertamente ostacolato la nuova ideologia.
Effettivamente, quando si conoscono le manovre, i discorsi o gli scritti di quel «cavaliere», si è obbligati a riconoscere una preoccupante somiglianza tra l’ideale massonico predicato da Ramsay e l’ideale sociale di Fenelón. Non è strano neppure che le opere postume di quest’ultimo siano state stampate a cura dello scozzese. Non c’è nessun dubbio che la sua ammirazione per Madame Guyón sia stata una delle ragioni della relazione tra un principe della Chiesa e un agente della sovversione (5). Ci sarebbe poi molto altro da dire sulle relazioni che quella corrente dell’illuminismo – che la Chiesa condannò poi con il nome di «quietismo» - ebbe in tutta Europa.
* * *
Avendo già parlato (cfr. il capitolo III su “Le truppe regolari della Rivoluzione”) delle responsabilità avute dal giansenismo e dal gallicanesimo nella preparazione della Rivoluzione [francese, n.d.t.], è inutile tornare sull’argomento in modo più esteso. E’ evidente che, se il termine “quinta colonna” merita d’essere utilizzato, ben si adatta a tutte queste eresie.
Tuttavia, abbiamo fatto notare come il giansenismo sia stato la prima eresia i cui adepti hanno sempre rifiutato di separarsi dalla Chiesa. E fino ad oggi tale esempio è stato spesso seguito.
Il giansenismo, con la dottrina d’un Lutero di minor vigore, e d’un Lutero che non apostata per meglio ingannare gli ingenui, conservò l’abito sacerdotale (6).
Se al sacerdote Saint-Cyran accadde talvolta di lasciar trapelare certi generici desideri di rinnovamento sociale, occorre far notare che, invece, i primi settari del giansenismo furono molto circospetti su questi aspetti. Spetta all’oratoriano Quesnel il dissipare ogni equivoco e lo sviluppare in modo logico i principi stabiliti dalla setta. Discutendo del potere proprio della Sede Apostolica, scrive: «E’ la Chiesa che ha il diritto di scomunicare, ma i supremi pastori, per esercitarlo, lo fanno con il consenso, almeno supposto, di tutto il corpo». In altre parole, preciserà uno dei suoi discepoli, il sacerdote Legros: «I vescovi, nel ricevere da Gesù Cristo il potere di governare, lo ricevono come ministri della Chiesa, per esercitare nel suo nome questo potere che risiede in tutto il corpo» (Cfr. Renversement des Libertés gallicanes). A questo proposito «accade all’autorità spirituale, come alla giurisdizione temporale, che esista una repubblica».
Così, Lutero si ritrovò con dei nuovi seguaci: «I vescovi – diceva – e gli altri pastori, non hanno sugli altri cristiani altro che il loro ministero, conferito loro con il consenso del popolo. Sappiano, dunque, che non hanno alcun diritto a darci precetti senza il nostro consenso e volontà» (De Captivitate Babylonis, t. II, pag. 282).
E’ un falso concetto che si deve denunciare, sia per il potere ecclesiastico che per quello civile, soggiacente in tutte le dottrine delle “quinte colonne”, del quale l’intervista concessa dal Cardinal Suenens alla rivista Informations Catholiques Internationales dimostra la dolorosa permanenza e la tragica attualità ... anche dopo il Vaticano II.
Ben si comprende come, su questo strato ideologico, si sarebbe costituita l’unità di tutti questi pre-rivoluzionari: protestanti, giansenisti e, insomma, di tutti quanti non erano troppo lontani dal democratismo aristocratico dei discepoli di Fenelón.
Si capisce soprattutto come simili teorie dovevano trovare accoglienza nel mondo parlamentare, la cui forza tendeva non solo ad opporsi sempre più al potere regale, ma ad accaparrarsi l’opinione della nazione in difesa delle libertà gallicane. Da allora in poi, il fronte sarà comune.
Sono significativi gli argomenti che circolavano all’avvento di Luigi XVI, che un autore anonimo doveva stigmatizzare vent’anni dopo in un’opera, pubblicata a Francoforte, intitolata Il sistema gallicano convinto e confesso d’esser stato la prima e principale causa della Rivoluzione. Da esso si può vedere come a quel tempo esistessero già un buon numero di studiosi i quali affermavano che lo Stato avrebbe dovuto essere “laico” e fosse “superata” ogni concezione “sacrale” della società. Si legge in questo opuscolo:
«Secondo i gallicani, il trono dei re cristianissimi non era fondato sul trono di Gesù Cristo. Quel trono non aveva altro fondamento che la religione naturale, il deismo, né altro sostegno che l’entusiasmo dell’opinione nazionale. Il popolo francese non doveva vedere – e non avrebbe visto mai – nel proprio re il successore di Clodoveo, Carlo Magno, San Luigi IX, rappresentanti di Gesù Cristo, bensì il successore di Fharamond, di Clodiòn ed il rappresentante del dio della natura. Così, i re cristianissimi furono dispensati dall’offrire il loro scettro, corona e tutti i propri diritti a Gesù Cristo; la loro consacrazione non sarebbe stata altro che una cerimonia inutile senza significato e i giuramenti in essa prestati - quali sudditi di Gesù Cristo e depositari della sua regale autorità - una formula che non li obbligava a nulla (7). Per i gallicani, i sovrani non erano solo esentati da qualsiasi dovere verso la propria Chiesa e religione, ma come singoli individui, neppure dovevano riconoscerla e professarla». Detto in altre parole, contrariamente a quanto accadde con l’incoronazione di Enrico IV, la professione cattolica del Re di Francia non era più considerata la prima garanzia che il principe doveva offrire per governare la nazione.
E’ noto ciò che accade e non ci soffermeremo sugli eccessi derivanti da queste dottrine, già allora chiamate “moderne”. «In quasi tutte le logge costituite in quel tempo – fa notare Claudio Jannet – c’erano sacerdoti e canonici. Questo fatto si era compiuto tra l’epoca della fondazione delle prime logge (1725) e la metà del secolo. Forse i sacerdoti gallicani ignoravano volontariamente le gravissime censure dei Romani Pontefici? O si deve invece ritenere la loro presenza in seno alle logge come un segno della corruzione che in quest’epoca aveva conquistato il Primo Stato e che doveva comportare tante defezioni al momento della Costituzione Civile del Clero? Le due spiegazioni sono giuste: valga l’una o l’altra, a seconda della persona …».
E’ doloroso ricordare questi particolari: la storia ha i suoi diritti e i suoi insegnamenti: i grandi crimini sono sempre preceduti da qualche colpa, i canonici e religiosi massoni sono la spiegazione dei “preti giurati” ed apostati (8).
Note
(4) Su queste eresie, si consulti l’opera di Mons. Cristiani presente in http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=215 (“Breve storia delle eresie”).
(5) Non ignoriamo che , per cercare di discolpare il personaggio, alcuni lo hanno presentato come un framassone ai margini della principale corrente sovversiva. A favore di questa tesi c’è il fatto che Ramsay sia solo stato un amico del celebre Désaguiliers, il riformatore della massoneria nel secolo XVIII. Benché fosse più celebre, lo stesso Voltaire era solo una comparsa rispetto a Désaguiliers. Tuttavia, Ramsay era un fedele frequentatore del «Club de l’Entresol», nel quale si riuniva con altri settari e, segnatamente, con i capi più rilevanti quali Bolingbroke, Walpole, ecc.? Dopo la sua morte si ebbe la prova che, benché giocasse a fare il franco tiratore, Ramsay aveva fatto il gioco della «Massoneria azzurra», che fu la più direttamente ostile al cattolicesimo.
(6) Cfr. questo passaggio dell’Eglise Gallicane (t. I, pag. 19) di Joseph de Maistre: «Benché la setta giansenista sembri non aver agito se non in secondo piano, quasi un lacchè del boia, nella Rivoluzione fu forse il germe più colpevole degli ignobili operai che prepararono l’opera, perché fu il giansenismo con le sue criminali innovazioni che diede i primi colpi alla pietra angolare dell’edificio. In questo caso … chi persuade è più colpevole di chi assassina … Se leggiamo i discorsi pronunciati nella sessione della Convenzione Nazionale, dove si discuteva se il re potesse essere sottoposto a giudizio, sessione che fu per il martire reale la scala per il patibolo, si vedrà in che modo il giansenismo cambiava le idee. Solo alcuni giorni dopo (il 13 febbraio 1793, verso le undici del mattino) io udii, dal pulpito di una cattedrale straniera, spiegare all’uditorio, che veniva chiamato “di cittadini”, le basi della nuova organizzazione ecclesiastica: “siete allarmati - dicevano a costoro - vedendo che si è dato al popolo il diritto di voto: pensate al fatto che, fino a poco tempo fa, tale diritto apparteneva al re il quale, alla fin fine, non era altro che il mandatario della nazione, di cui ci siamo sbarazzati».
(7) «Quando all’avvento di Luigi XVI si ragionava della cerimonia della consacrazione, il suo Consiglio si chiese se essa si doveva celebrare: i gallicani la consideravano inutile e superflua. Ciò nonostante, si decise di svolgerla e Luigi XVI fu consacrato. Tuttavia, nel corso della cerimonia, il predicatore ebbe cura di evitare i riferimenti che potessero logicamente portare a pensare alla regalità temporale di Gesù Cristo e alla dipendenza dei nostri sovrani da tale regalità, annunciando in modo chiaro, conformemente alla dottrina gallicana e davanti al popolo meravigliato, che questa cerimonia non obbligava il re in alcun modo, né era essenziale per la sua carica».
(8) Cfr. Les Sociétés secrete et la Société, t. III, pp. 43-47. In questo stesso volume si potrà vedere che, d’altra parte, se in quest’epoca il male fu profondo, vi fu anche un certo numero di prelati che lo combatterono con valore, nonostante le persecuzioni di cui furono vittime abbastanza spesso. Citiamo, tra gli altri, monsignor Biord, vescovo sabaudo, che seppe fare una guerra implacabile ai frammassoni e, più particolarmente, ai chierici affiliati alle logge. Va ricordato anche monsignor Conen de Saint-Luc, vescovo di Quimper.
Questo è l’ordinario lavoro delle quinte colonne che si sono succedute nel corso di tutta l’era cristiana.
Un lavoro svolto in modo magistrale a partire dalle fine del secolo XVII e nel corso del XVIII dalle forze che prepararono la Rivoluzione [francese]. Infatti, essa non avrebbe potuto mai trionfare se i suoi pionieri non avessero trovato la criminale complicità di una generazione cristiana male diretta da un clero in molte occasioni lontano da Roma.
Ciò fu, in un certo senso, più nefasto delle blasfemie di Voltaire e del libertinaggio dei mondani.
Gli Enciclopedisti avrebbero fallito, se nello stesso secolo il giansenismo e il quietismo, alleandosi più o meno tacitamente con il gallicanesimo laico, non avessero fornito al filosofismo una formidabile leva scassinatrice: dove l’anti cattolicesimo dichiarato non sarebbe mai penetrato, regnava di fatto il giansenismo; dove invece il giansenismo non era riuscito a far breccia, le snervanti dottrine di Fenelón e dei suoi amici facevano strage.
Per dare un’idea della prostrazione del pensiero cristiano in questa epoca e della parte svolta dai migliori in quello che fu un autentico tradimento dottrinale, va sottolineato che quando un Bossuet, chiamato a dirigere l’educazione di un principe, scrive un trattato di politica basato sulle Sacre Scritture, un Fenelón risponde con quell’insulsaggine inconsistente e pericolosa – qualsivoglia fossero le sue qualità letterarie – intitolata Telemaco. Un libro che, per la tipologia di idee che diffonde, si inserisce nella grande serie di quelle opere somigliante all’Utopia, nelle quali tanta ricreazione ha trovato il pensiero pre rivoluzionario.
Se il buon senso di Luigi XIV seppe proibire al suo primogenito la lettura delle fantasie del Monsignor di Cambrai, il successivo Luigi XVI si saturò di esse, come buona parte delle élite del suo tempo. Quando si pensa che questa parte della nobiltà e delle élite – per le loro conoscenze, doveri, indiscutibili virtù - avrebbero dovuto essere l’esercito del vero ordine e della religione, si resta terrorizzati dalle stragi che i deviati feneloniani causarono tra le sue fila. Questo ceto sociale, indubbiamente, seppe morire con la nobile dignità di vittima, ma senza combattere, come, ovviamente, avrebbe dovuto essere suo dovere.
Quando si sa come procede la massoneria, ossia «attraverso influenze individuali accuratamente dissimulate», senza dubitare della buona fede di Fenelón, non ci si sorprende di trovare tra i suoi amici il figlio di un panettiere di Edimburgo che si faceva chiamare «Cavaliere Ramsay» e che fu uno dei più abili artefici dei progressi della massoneria tra coloro ai quali gli scrupoli religiosi avrebbero apertamente ostacolato la nuova ideologia.
Effettivamente, quando si conoscono le manovre, i discorsi o gli scritti di quel «cavaliere», si è obbligati a riconoscere una preoccupante somiglianza tra l’ideale massonico predicato da Ramsay e l’ideale sociale di Fenelón. Non è strano neppure che le opere postume di quest’ultimo siano state stampate a cura dello scozzese. Non c’è nessun dubbio che la sua ammirazione per Madame Guyón sia stata una delle ragioni della relazione tra un principe della Chiesa e un agente della sovversione (5). Ci sarebbe poi molto altro da dire sulle relazioni che quella corrente dell’illuminismo – che la Chiesa condannò poi con il nome di «quietismo» - ebbe in tutta Europa.
* * *
Avendo già parlato (cfr. il capitolo III su “Le truppe regolari della Rivoluzione”) delle responsabilità avute dal giansenismo e dal gallicanesimo nella preparazione della Rivoluzione [francese, n.d.t.], è inutile tornare sull’argomento in modo più esteso. E’ evidente che, se il termine “quinta colonna” merita d’essere utilizzato, ben si adatta a tutte queste eresie.
Tuttavia, abbiamo fatto notare come il giansenismo sia stato la prima eresia i cui adepti hanno sempre rifiutato di separarsi dalla Chiesa. E fino ad oggi tale esempio è stato spesso seguito.
Il giansenismo, con la dottrina d’un Lutero di minor vigore, e d’un Lutero che non apostata per meglio ingannare gli ingenui, conservò l’abito sacerdotale (6).
Se al sacerdote Saint-Cyran accadde talvolta di lasciar trapelare certi generici desideri di rinnovamento sociale, occorre far notare che, invece, i primi settari del giansenismo furono molto circospetti su questi aspetti. Spetta all’oratoriano Quesnel il dissipare ogni equivoco e lo sviluppare in modo logico i principi stabiliti dalla setta. Discutendo del potere proprio della Sede Apostolica, scrive: «E’ la Chiesa che ha il diritto di scomunicare, ma i supremi pastori, per esercitarlo, lo fanno con il consenso, almeno supposto, di tutto il corpo». In altre parole, preciserà uno dei suoi discepoli, il sacerdote Legros: «I vescovi, nel ricevere da Gesù Cristo il potere di governare, lo ricevono come ministri della Chiesa, per esercitare nel suo nome questo potere che risiede in tutto il corpo» (Cfr. Renversement des Libertés gallicanes). A questo proposito «accade all’autorità spirituale, come alla giurisdizione temporale, che esista una repubblica».
Così, Lutero si ritrovò con dei nuovi seguaci: «I vescovi – diceva – e gli altri pastori, non hanno sugli altri cristiani altro che il loro ministero, conferito loro con il consenso del popolo. Sappiano, dunque, che non hanno alcun diritto a darci precetti senza il nostro consenso e volontà» (De Captivitate Babylonis, t. II, pag. 282).
E’ un falso concetto che si deve denunciare, sia per il potere ecclesiastico che per quello civile, soggiacente in tutte le dottrine delle “quinte colonne”, del quale l’intervista concessa dal Cardinal Suenens alla rivista Informations Catholiques Internationales dimostra la dolorosa permanenza e la tragica attualità ... anche dopo il Vaticano II.
Ben si comprende come, su questo strato ideologico, si sarebbe costituita l’unità di tutti questi pre-rivoluzionari: protestanti, giansenisti e, insomma, di tutti quanti non erano troppo lontani dal democratismo aristocratico dei discepoli di Fenelón.
Si capisce soprattutto come simili teorie dovevano trovare accoglienza nel mondo parlamentare, la cui forza tendeva non solo ad opporsi sempre più al potere regale, ma ad accaparrarsi l’opinione della nazione in difesa delle libertà gallicane. Da allora in poi, il fronte sarà comune.
Sono significativi gli argomenti che circolavano all’avvento di Luigi XVI, che un autore anonimo doveva stigmatizzare vent’anni dopo in un’opera, pubblicata a Francoforte, intitolata Il sistema gallicano convinto e confesso d’esser stato la prima e principale causa della Rivoluzione. Da esso si può vedere come a quel tempo esistessero già un buon numero di studiosi i quali affermavano che lo Stato avrebbe dovuto essere “laico” e fosse “superata” ogni concezione “sacrale” della società. Si legge in questo opuscolo:
«Secondo i gallicani, il trono dei re cristianissimi non era fondato sul trono di Gesù Cristo. Quel trono non aveva altro fondamento che la religione naturale, il deismo, né altro sostegno che l’entusiasmo dell’opinione nazionale. Il popolo francese non doveva vedere – e non avrebbe visto mai – nel proprio re il successore di Clodoveo, Carlo Magno, San Luigi IX, rappresentanti di Gesù Cristo, bensì il successore di Fharamond, di Clodiòn ed il rappresentante del dio della natura. Così, i re cristianissimi furono dispensati dall’offrire il loro scettro, corona e tutti i propri diritti a Gesù Cristo; la loro consacrazione non sarebbe stata altro che una cerimonia inutile senza significato e i giuramenti in essa prestati - quali sudditi di Gesù Cristo e depositari della sua regale autorità - una formula che non li obbligava a nulla (7). Per i gallicani, i sovrani non erano solo esentati da qualsiasi dovere verso la propria Chiesa e religione, ma come singoli individui, neppure dovevano riconoscerla e professarla». Detto in altre parole, contrariamente a quanto accadde con l’incoronazione di Enrico IV, la professione cattolica del Re di Francia non era più considerata la prima garanzia che il principe doveva offrire per governare la nazione.
E’ noto ciò che accade e non ci soffermeremo sugli eccessi derivanti da queste dottrine, già allora chiamate “moderne”. «In quasi tutte le logge costituite in quel tempo – fa notare Claudio Jannet – c’erano sacerdoti e canonici. Questo fatto si era compiuto tra l’epoca della fondazione delle prime logge (1725) e la metà del secolo. Forse i sacerdoti gallicani ignoravano volontariamente le gravissime censure dei Romani Pontefici? O si deve invece ritenere la loro presenza in seno alle logge come un segno della corruzione che in quest’epoca aveva conquistato il Primo Stato e che doveva comportare tante defezioni al momento della Costituzione Civile del Clero? Le due spiegazioni sono giuste: valga l’una o l’altra, a seconda della persona …».
E’ doloroso ricordare questi particolari: la storia ha i suoi diritti e i suoi insegnamenti: i grandi crimini sono sempre preceduti da qualche colpa, i canonici e religiosi massoni sono la spiegazione dei “preti giurati” ed apostati (8).
Note
(4) Su queste eresie, si consulti l’opera di Mons. Cristiani presente in http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=215 (“Breve storia delle eresie”).
(5) Non ignoriamo che , per cercare di discolpare il personaggio, alcuni lo hanno presentato come un framassone ai margini della principale corrente sovversiva. A favore di questa tesi c’è il fatto che Ramsay sia solo stato un amico del celebre Désaguiliers, il riformatore della massoneria nel secolo XVIII. Benché fosse più celebre, lo stesso Voltaire era solo una comparsa rispetto a Désaguiliers. Tuttavia, Ramsay era un fedele frequentatore del «Club de l’Entresol», nel quale si riuniva con altri settari e, segnatamente, con i capi più rilevanti quali Bolingbroke, Walpole, ecc.? Dopo la sua morte si ebbe la prova che, benché giocasse a fare il franco tiratore, Ramsay aveva fatto il gioco della «Massoneria azzurra», che fu la più direttamente ostile al cattolicesimo.
(6) Cfr. questo passaggio dell’Eglise Gallicane (t. I, pag. 19) di Joseph de Maistre: «Benché la setta giansenista sembri non aver agito se non in secondo piano, quasi un lacchè del boia, nella Rivoluzione fu forse il germe più colpevole degli ignobili operai che prepararono l’opera, perché fu il giansenismo con le sue criminali innovazioni che diede i primi colpi alla pietra angolare dell’edificio. In questo caso … chi persuade è più colpevole di chi assassina … Se leggiamo i discorsi pronunciati nella sessione della Convenzione Nazionale, dove si discuteva se il re potesse essere sottoposto a giudizio, sessione che fu per il martire reale la scala per il patibolo, si vedrà in che modo il giansenismo cambiava le idee. Solo alcuni giorni dopo (il 13 febbraio 1793, verso le undici del mattino) io udii, dal pulpito di una cattedrale straniera, spiegare all’uditorio, che veniva chiamato “di cittadini”, le basi della nuova organizzazione ecclesiastica: “siete allarmati - dicevano a costoro - vedendo che si è dato al popolo il diritto di voto: pensate al fatto che, fino a poco tempo fa, tale diritto apparteneva al re il quale, alla fin fine, non era altro che il mandatario della nazione, di cui ci siamo sbarazzati».
(7) «Quando all’avvento di Luigi XVI si ragionava della cerimonia della consacrazione, il suo Consiglio si chiese se essa si doveva celebrare: i gallicani la consideravano inutile e superflua. Ciò nonostante, si decise di svolgerla e Luigi XVI fu consacrato. Tuttavia, nel corso della cerimonia, il predicatore ebbe cura di evitare i riferimenti che potessero logicamente portare a pensare alla regalità temporale di Gesù Cristo e alla dipendenza dei nostri sovrani da tale regalità, annunciando in modo chiaro, conformemente alla dottrina gallicana e davanti al popolo meravigliato, che questa cerimonia non obbligava il re in alcun modo, né era essenziale per la sua carica».
(8) Cfr. Les Sociétés secrete et la Société, t. III, pp. 43-47. In questo stesso volume si potrà vedere che, d’altra parte, se in quest’epoca il male fu profondo, vi fu anche un certo numero di prelati che lo combatterono con valore, nonostante le persecuzioni di cui furono vittime abbastanza spesso. Citiamo, tra gli altri, monsignor Biord, vescovo sabaudo, che seppe fare una guerra implacabile ai frammassoni e, più particolarmente, ai chierici affiliati alle logge. Va ricordato anche monsignor Conen de Saint-Luc, vescovo di Quimper.
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- Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (IV)
01
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Ago2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” ("Affinché Egli regni"), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237. IL «CRISTO RIVOLUZIONARIO» E LA «NUOVA GERUSALEMME» DEI LIBERALI «Dare al popolo la convinzione che la dottrina democratica è la stessa dottrina del Vangelo, la pura dottrina di Gesù Cristo, e soprattutto riuscire a convincerlo di ciò attraverso dei sacerdoti, sarebbe sicuramente il mezzo più ingegnoso ed infallibile di far trionfare e consolidare per sempre la Rivoluzione» (Cfr. Mons. Delassus, La conjuration anti-chrétienne, p. 519).
IL «CRISTO RIVOLUZIONARIO» E LA «NUOVA GERUSALEMME» DEI LIBERALI
Questi penosi ricordi spiegano non soltanto il gran numero di chierici tra i rivoluzionari, ma anche l’uso da parte di questi ultimi di formule dal sapore evangelico.
Rousseau aveva certamente indicato il cammino. Seguendo il suo esempio, sanculotti e giacobini si guardarono bene dal sottovalutare la potenza degli equivoci, così utili a trarre in errore gli ingenui … «Dare al popolo la convinzione che la dottrina democratica è la stessa dottrina del Vangelo, la pura dottrina di Gesù Cristo, e soprattutto riuscire a convincerlo di ciò attraverso dei sacerdoti, sarebbe sicuramente il mezzo più ingegnoso ed infallibile di far trionfare e consolidare per sempre la Rivoluzione» (Cfr. Mons. Delassus, La conjuration anti-chrétienne, p. 519).
«Uguaglianze blasfeme tra il Vangelo e la Rivoluzione», esclamerà centoventi anni più tardi San Pio X. Ma il fatto è che la blasfemia di tali uguaglianze ebbe corso fin dagli inizi della Rivoluzione. Infatti, prima di arrivare ad essere il leit-motiv di Lamennais, dei suoi seguaci, dei modernisti, dei sillonisti e dei progressisti, questo modo di presentare le cose fu il medesimo dei Weishaupt, dei Camille Desmoulins, dei Marat, dei Babeuf, dei carbonari, ecc.
«Nessuno ha aperto alla libertà strade così sicure quanto il nostro “Gran Maestro Gesù di Nazaret”», aveva già scritto Weishaupt, il satanico fondatore degli Illuminati di Baviera. «Gesù, il primo "sans-culotte"», dirà Camille Desmoulins; Gracco Babeuf lo rivendicherà come un maestro dei «partigiani del reparto». Marat, più esplicito, non avrà remore nell’affermare che «ogni rivoluzione è totalmente uscita dal Vangelo … Gesù Cristo è il maestro di tutti noi». Proudhon parlerà del «divino socialista», facendo eco con questo al «nuovo cristianesimo» si Saint-Simon. Pio VIII, dal canto suo, nella Bolla Ecclesiam a Jesu Christo, segnalerà che «i carbonari mostrano un singolare rispetto ed uno zelo meraviglioso per la religione cattolica e per la dottrina e la persona di Gesù Cristo, fino all’audacia di chiamarlo loro Gran Maestro e Capo della loro società».
Diceva Edgar Quinet: «Il Cristianesimo resta rinchiuso nella tomba fino alla Rivoluzione francese, nella quale si può dire che resuscita e, per mano degli increduli, prende corpo e si rende palpabile per la prima volta nelle istituzioni e nel diritto. La Chiesa era diventata la pietra che chiudeva lo spirito nel sepolcro. Era necessario che quella pietra fosse rovesciata».
L’enumerazione delle citazioni potrebbe estendersi fino ai nostri giorni. Vi troveremmo quella di Edouard Herriot, fatta ai funerali di Marc Sangnier: «sebbene vi siano socialismi più scientifici, non ce ne è un altro più persuasivo di quello del Vangelo».
In questo fiume d’elogi fatti da non cattolici a un Vangelo o a un Cristo presentati come rivoluzionari, un passaggio di Buchez, del 1836, ci sembra contenga l’essenziale: «La Rivoluzione francese è la conseguenza ultima e più avanzata della civiltà moderna; e la civiltà moderna è uscita tutta intera dal Vangelo. Ciò è un fatto irrefutabile quando si studia la storia, specialmente quella del nostro paese, quando si analizzano gli avvenimenti e le loro idee motrici. Tutti i principi scritti dalla Rivoluzione francese sulle sue bandiere e i suoi codici, così come le parole di Eguaglianza e Fraternità poste all’inizio di tutti i suoi atti e con cui essa giustifica tutte le sue opere, divengono un fatto incontestabile se le si esamina e confronta con la dottrina di Gesù Cristo».
Perché non dovrebbe attirare l’attenzione tanta sicurezza?
Se si capisce il senso e se si pensa, d’altra parte, alla condanna espressa nell’ultima proposizione del Sillabo (Tesi condannata: «LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà»), non possiamo non spaventarci per l’ampiezza e gravità di tale opposizione:
- da un lato c’è il Vicario di Cristo che condanna persino la speranza di una riconciliazione tra cattolicesimo e la civiltà moderna uscita dalla Rivoluzione francese …
- dall’altro, gli uomini della Rivoluzione che invocano il Vangelo a loro favore e pretendono che la civiltà moderna sia uscita da essa.
Ci può essere una contraddizione più completa? (9)
Senza dubbio no, è la più spaventosa!
Non è cosa strana che certi rivoluzionari entrino in conflitto con la Chiesa a causa della diversa interpretazione di alcuni passaggi del Vangelo: si può dire che, essendole nemici inconciliabili per altri aspetti, con questo conflitto lo divengono ancora di più.
Ma che uomini considerati cattolici e che si professano tali possano mantenere simili espressioni; che tali uomini proclamino – come gli avversari più dichiarati della loro fede – le pretese origini cristiane della Rivoluzione, è cosa che dovrebbe spaventare molto di più.
Non si dica che rispetto a un fenomeno immenso e tanto complesso come la Rivoluzione quei cristiani ammirano, in realtà, cose diverse da quelle che suscitano l’entusiasmo dei rivoluzionari! No, non è solo per alcuni vantaggi accidentali – come ad esempio l’unificazione del sistema metrico – che lodano la Rivoluzione. Essi invece la plaudono per ciò che ha di essenziale, per il suo stesso spirito, per le sue dottrine fondamentali, per quanto causa l’entusiasmo degli empi settari, per la sua volontà di secolarizzazione della vita sociale, per l’esclusione sistematica di ciò che i suoi agenti han chiamato “principio teocratico”, che consiste, in una parola, nel rovesciare Gesù Cristo e la sua Chiesa in ogni luogo.
E’ su questo, non su altri aspetti, che si verifica l’accordo dei rivoluzionari con i cattolici liberali.
Le due correnti tendono, senza dubbio, al medesimo fine. Tuttavia, le formule di propaganda saranno diverse.
I cattolico-liberali, sicuramente non esigeranno la secolarizzazione delle istituzioni e della vita sociale per odio esplicito verso la religione. La proporranno e presenteranno come una necessità della “evoluzione”.
La formula tradizionale dell’ordine sociale (in altre parole: ciò che la Chiesa ha sempre indicato come la norma delle relazioni tra il potere spirituale e quello temporale) sarà presentata come un qualcosa che, in altri tempi, forse, ha avuto ragione d’essere. Quando i popoli erano ancora bambini. Ma oggi che questi popoli son cresciuti, il ruolo che la Chiesa aveva svolto a loro profitto ha perso ogni legittimità. Così, non solo la Chiesa deve cessare di esercitare quelle funzioni, ma deve anche capire che non deve cercare di continuare ad esercitarle. Lungi dal resistere alla corrente rivoluzionaria che la separa da tutto, deve invece ritirarsi ed eclissarsi da se stessa.
Se credessimo a questi nuovi dottori che continuano a dirsi suoi figli – e spesso sono suoi sacerdoti – la Chiesa deve collaborare alla propria esclusione, riconoscendo chiaramente che il suo ruolo di educatrice delle nazioni è stato al di fuori delle sue normali funzioni; che per l’equilibrio dell’ordine temporale sarebbe bastato, come basta oggi, il creare un clima di fraternità nel quadro di una città pluralista connotata da tolleranza morale e dogmatica praticamente illimitata. E si avrà l’audacia di presentarci questo mondo, nel quale il Salvatore è stato praticamente spodestato, come una nuova Gerusalemme, opera maestra politica e sociale dell’elaborazione storica dei secoli cristiani; trionfo dell’azione segreta – ma decisiva – del fermento evangelico negli strati profondi di un’umanità che si troverà salvata senza saperlo e nemmeno volerlo.
Questa è stata ed è quanto si potrebbe chiamare la dialettica di base, proposta sempre con piccole sfumature di toni che connotano le forme d’espressione e di immaginazione, più che il fondo del pensiero. A seconda degli ambienti e delle circostanze, le considerazioni e immagini saranno modificati e vi saranno aggiunti apprezzamenti di carattere personale. Ci sarà, soprattutto, una grande differenza tra quel che si dice e quanto si scrive. I più abili saranno capaci d’evitare ogni dogmatismo. I meno abili, che sono soprattutto i più intempestivi, ma anche i più sinceri, confesseranno le loro inclinazioni profonde verso un modo di vedere le cose che essi considerano essere “la verità”. Una verità – se crediamo a costoro - scoperta solo dopo i vergognosi procedimenti politici e sociali che hanno oscurato la storia dell’Occidente cristiano fino all’aurora dell’89.
Per noi, che non dobbiamo valutare i cuori, è sufficiente provare che l’operazione consiste nel lasciare avanzare la Rivoluzione, qualsivoglia siano state o siano le intenzioni di quanti difesero o difendono simili concezioni. Avanzare in ciò che la Rivoluzione ha, o in ciò che dovrebbe essere, di più esecrabile per un’anima cristiana o semplicemente religiosa: il laicismo, il naturalismo politico, l’ateismo sociale, il considerare l’umanità come fine a se stessa, i “diritti dell’uomo” senza la contropartita di alcun dovere e, soprattutto, senza la contropartita dei doveri verso Dio.
Che scandalo quello di tali cristiani i quali, di fatto, lavorano per consegnare ciò che il nemico non riuscirebbe mai a strappare se non avesse trovato dentro al forte simile complicità! E’ una complicità la cui efficacia decisiva è stata riconosciuta dallo stesso assalitore nel corso di una memorabile sessione seguita al voto sulla “legge di separazione”:
“ – Dico, signori – esclamò Briand, rivolgendo le sue ironiche felicitazioni ai colleghi cattolici del centro e della destra – che quando una legge è stata fatta con la vostra collaborazione…
– No - interruppe Grousseau.
– Signor Grousseau - replicò Briand -, non possiamo negare che, se gli avversari della Separazione, molto numerosi in Commissione, ci avessero detto fin dall’inizio: “State proponendo una questione che noi, come cattolici , non abbiamo il diritto di discutere; state per legiferare su una materia verso la quale siamo incompetenti nel giudizio e perciò ci ritiriamo”, sarebbe per noi stato impossibile elaborare il nostro progetto di legge”.
* * *
I giansenisti del secolo XVIII, sebbene abbiano contribuito potentemente al trionfo della Rivoluzione, avevano perlomeno la scusa di nutrire molte illusioni su ciò che essa avrebbe dovuto essere, ignorando però la natura abominevole che la originava.
Niente di simile può essere portato a difesa dei cattolici-liberali e dei nostri attuali “progressisti”. Per loro, come per tutti da allora, esiste la lezione dell’89 e quella del ’93. La Rivoluzione si è verificata e i suoi insegnamenti sono evidenti. Non solo la Rivoluzione ha avuto luogo, ma si sviluppa e continua nel mondo, rovesciando in ogni dove le onde delle sue inesorabili conseguente di laicismo e di secolarizzazione metodica, compresa la persecuzione sanguinosa o larvata …
Ma questi pretesi “cattolici” non saranno meno fermi nelle loro convinzioni. Né le Encicliche, né l’evidenza di ciò che essi – come tutti noi – sono obbligati a chiamare scristianizzazione generale delle società, è riuscita ad illuminarli.
Il loro flusso vittorioso avanza come il mare, accompagnato dalle grida insolenti e burlone di un trionfo incontestabile (10). E’ uno spettacolo che costituisce la più spaventosa ed insidiosa delle tentazioni per chiunque cedesse e dubitasse, anche solo per un istante, della coerenza e della permanenza della verità negli insegnamenti di Roma su queste questioni.
La loro avanzata non è cessata; persino gli eccessi di una Rivoluzione ogni volta più invadente non li ha convinti ad abbandonare in nulla la loro volontà di restare uniti ad essa. Sempre pronti ad additare con giudizi severi le azioni più rette dei loro fratelli in Cristo, hanno invece “tesori di indulgenze” per scusare i piromani della cristianità in Spagna e negli altri paesi, i profanatori delle tombe dei religiosi e i boia di milioni di martiri.
Dopo le condanne di Gregorio XVI a Lamennais e a “L’Avenir” del 1831, i cattolici-liberali sono stati di nuovo condannati instancabilmente da Pio IX. Leone XIII ha condannato la stessa specie di “cattolici” chiamando la loro ideologia con il nome di “Americanismo”; San Pio X con il nome di “modernismo” e con quello di “Sillon”; Pio XI li ha condannati per l’aspetto che nella Ubi Arcano Dei è chiamato “modernismo giuridico e sociale”; infine, ai nostri giorni, sono stati condannati ed etichettati con il nome di “progressismo” (Cfr., ad es., Paolo VI, Udienza Generale, del 28-10-1970; Giovanni Paolo II, Lettera al Card. Joseph Ratzinger, dell’8-4-1988. N.d.T.).
Note
(9) Non si vada a recriminare, come qualcuno osa fare, sulla presunta intempestività di Pio IX. Anche San Pio X condannò la blasfemia di queste “parità” tra Vangelo e Rivoluzione. Lo stesso Leone XIII, che alcuni non temono di presentare come un Papa “liberale”, su questo aspetto fu severo quanto Pio IX e quanto lo sarà Pio X: “… di quelli si eviti il tratto familiare – scriveva l’8 dicembre 1892 –, che si occultano sotto la maschera di universale tolleranza, di rispetto a tutte le religioni, di smania di voler conciliare le massime del Vangelo e le massime della rivoluzione, Cristo e Belial, la Chiesa di Dio e lo Stato senza Dio” (Enc. Inimica vis).
(10) Si vedano queste righe del Figaro Litteraire (14-8-1954) firmate da A. Billy: “Mi dicono che alcuni cattolici hanno presentato ai Tribunali di Roma una richiesta di riabilitazione di Lamennais. Non credo sia cosa seria … Certamente, le tendenze de L’Avenir non verrebbero condannate ai giorni nostri; sono persino arrivate ad essere le tendenze ufficiali della Chiesa: Lamennais oggi, se nelle questioni di fede fosse almeno rimasto sulle posizioni che aveva nel 1832, forse sarebbe Cardinale …”.
Questi penosi ricordi spiegano non soltanto il gran numero di chierici tra i rivoluzionari, ma anche l’uso da parte di questi ultimi di formule dal sapore evangelico.
Rousseau aveva certamente indicato il cammino. Seguendo il suo esempio, sanculotti e giacobini si guardarono bene dal sottovalutare la potenza degli equivoci, così utili a trarre in errore gli ingenui … «Dare al popolo la convinzione che la dottrina democratica è la stessa dottrina del Vangelo, la pura dottrina di Gesù Cristo, e soprattutto riuscire a convincerlo di ciò attraverso dei sacerdoti, sarebbe sicuramente il mezzo più ingegnoso ed infallibile di far trionfare e consolidare per sempre la Rivoluzione» (Cfr. Mons. Delassus, La conjuration anti-chrétienne, p. 519).
«Uguaglianze blasfeme tra il Vangelo e la Rivoluzione», esclamerà centoventi anni più tardi San Pio X. Ma il fatto è che la blasfemia di tali uguaglianze ebbe corso fin dagli inizi della Rivoluzione. Infatti, prima di arrivare ad essere il leit-motiv di Lamennais, dei suoi seguaci, dei modernisti, dei sillonisti e dei progressisti, questo modo di presentare le cose fu il medesimo dei Weishaupt, dei Camille Desmoulins, dei Marat, dei Babeuf, dei carbonari, ecc.
«Nessuno ha aperto alla libertà strade così sicure quanto il nostro “Gran Maestro Gesù di Nazaret”», aveva già scritto Weishaupt, il satanico fondatore degli Illuminati di Baviera. «Gesù, il primo "sans-culotte"», dirà Camille Desmoulins; Gracco Babeuf lo rivendicherà come un maestro dei «partigiani del reparto». Marat, più esplicito, non avrà remore nell’affermare che «ogni rivoluzione è totalmente uscita dal Vangelo … Gesù Cristo è il maestro di tutti noi». Proudhon parlerà del «divino socialista», facendo eco con questo al «nuovo cristianesimo» si Saint-Simon. Pio VIII, dal canto suo, nella Bolla Ecclesiam a Jesu Christo, segnalerà che «i carbonari mostrano un singolare rispetto ed uno zelo meraviglioso per la religione cattolica e per la dottrina e la persona di Gesù Cristo, fino all’audacia di chiamarlo loro Gran Maestro e Capo della loro società».
Diceva Edgar Quinet: «Il Cristianesimo resta rinchiuso nella tomba fino alla Rivoluzione francese, nella quale si può dire che resuscita e, per mano degli increduli, prende corpo e si rende palpabile per la prima volta nelle istituzioni e nel diritto. La Chiesa era diventata la pietra che chiudeva lo spirito nel sepolcro. Era necessario che quella pietra fosse rovesciata».
L’enumerazione delle citazioni potrebbe estendersi fino ai nostri giorni. Vi troveremmo quella di Edouard Herriot, fatta ai funerali di Marc Sangnier: «sebbene vi siano socialismi più scientifici, non ce ne è un altro più persuasivo di quello del Vangelo».
In questo fiume d’elogi fatti da non cattolici a un Vangelo o a un Cristo presentati come rivoluzionari, un passaggio di Buchez, del 1836, ci sembra contenga l’essenziale: «La Rivoluzione francese è la conseguenza ultima e più avanzata della civiltà moderna; e la civiltà moderna è uscita tutta intera dal Vangelo. Ciò è un fatto irrefutabile quando si studia la storia, specialmente quella del nostro paese, quando si analizzano gli avvenimenti e le loro idee motrici. Tutti i principi scritti dalla Rivoluzione francese sulle sue bandiere e i suoi codici, così come le parole di Eguaglianza e Fraternità poste all’inizio di tutti i suoi atti e con cui essa giustifica tutte le sue opere, divengono un fatto incontestabile se le si esamina e confronta con la dottrina di Gesù Cristo».
Perché non dovrebbe attirare l’attenzione tanta sicurezza?
Se si capisce il senso e se si pensa, d’altra parte, alla condanna espressa nell’ultima proposizione del Sillabo (Tesi condannata: «LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà»), non possiamo non spaventarci per l’ampiezza e gravità di tale opposizione:
- da un lato c’è il Vicario di Cristo che condanna persino la speranza di una riconciliazione tra cattolicesimo e la civiltà moderna uscita dalla Rivoluzione francese …
- dall’altro, gli uomini della Rivoluzione che invocano il Vangelo a loro favore e pretendono che la civiltà moderna sia uscita da essa.
Ci può essere una contraddizione più completa? (9)
Senza dubbio no, è la più spaventosa!
Non è cosa strana che certi rivoluzionari entrino in conflitto con la Chiesa a causa della diversa interpretazione di alcuni passaggi del Vangelo: si può dire che, essendole nemici inconciliabili per altri aspetti, con questo conflitto lo divengono ancora di più.
Ma che uomini considerati cattolici e che si professano tali possano mantenere simili espressioni; che tali uomini proclamino – come gli avversari più dichiarati della loro fede – le pretese origini cristiane della Rivoluzione, è cosa che dovrebbe spaventare molto di più.
Non si dica che rispetto a un fenomeno immenso e tanto complesso come la Rivoluzione quei cristiani ammirano, in realtà, cose diverse da quelle che suscitano l’entusiasmo dei rivoluzionari! No, non è solo per alcuni vantaggi accidentali – come ad esempio l’unificazione del sistema metrico – che lodano la Rivoluzione. Essi invece la plaudono per ciò che ha di essenziale, per il suo stesso spirito, per le sue dottrine fondamentali, per quanto causa l’entusiasmo degli empi settari, per la sua volontà di secolarizzazione della vita sociale, per l’esclusione sistematica di ciò che i suoi agenti han chiamato “principio teocratico”, che consiste, in una parola, nel rovesciare Gesù Cristo e la sua Chiesa in ogni luogo.
E’ su questo, non su altri aspetti, che si verifica l’accordo dei rivoluzionari con i cattolici liberali.
Le due correnti tendono, senza dubbio, al medesimo fine. Tuttavia, le formule di propaganda saranno diverse.
I cattolico-liberali, sicuramente non esigeranno la secolarizzazione delle istituzioni e della vita sociale per odio esplicito verso la religione. La proporranno e presenteranno come una necessità della “evoluzione”.
La formula tradizionale dell’ordine sociale (in altre parole: ciò che la Chiesa ha sempre indicato come la norma delle relazioni tra il potere spirituale e quello temporale) sarà presentata come un qualcosa che, in altri tempi, forse, ha avuto ragione d’essere. Quando i popoli erano ancora bambini. Ma oggi che questi popoli son cresciuti, il ruolo che la Chiesa aveva svolto a loro profitto ha perso ogni legittimità. Così, non solo la Chiesa deve cessare di esercitare quelle funzioni, ma deve anche capire che non deve cercare di continuare ad esercitarle. Lungi dal resistere alla corrente rivoluzionaria che la separa da tutto, deve invece ritirarsi ed eclissarsi da se stessa.
Se credessimo a questi nuovi dottori che continuano a dirsi suoi figli – e spesso sono suoi sacerdoti – la Chiesa deve collaborare alla propria esclusione, riconoscendo chiaramente che il suo ruolo di educatrice delle nazioni è stato al di fuori delle sue normali funzioni; che per l’equilibrio dell’ordine temporale sarebbe bastato, come basta oggi, il creare un clima di fraternità nel quadro di una città pluralista connotata da tolleranza morale e dogmatica praticamente illimitata. E si avrà l’audacia di presentarci questo mondo, nel quale il Salvatore è stato praticamente spodestato, come una nuova Gerusalemme, opera maestra politica e sociale dell’elaborazione storica dei secoli cristiani; trionfo dell’azione segreta – ma decisiva – del fermento evangelico negli strati profondi di un’umanità che si troverà salvata senza saperlo e nemmeno volerlo.
Questa è stata ed è quanto si potrebbe chiamare la dialettica di base, proposta sempre con piccole sfumature di toni che connotano le forme d’espressione e di immaginazione, più che il fondo del pensiero. A seconda degli ambienti e delle circostanze, le considerazioni e immagini saranno modificati e vi saranno aggiunti apprezzamenti di carattere personale. Ci sarà, soprattutto, una grande differenza tra quel che si dice e quanto si scrive. I più abili saranno capaci d’evitare ogni dogmatismo. I meno abili, che sono soprattutto i più intempestivi, ma anche i più sinceri, confesseranno le loro inclinazioni profonde verso un modo di vedere le cose che essi considerano essere “la verità”. Una verità – se crediamo a costoro - scoperta solo dopo i vergognosi procedimenti politici e sociali che hanno oscurato la storia dell’Occidente cristiano fino all’aurora dell’89.
Per noi, che non dobbiamo valutare i cuori, è sufficiente provare che l’operazione consiste nel lasciare avanzare la Rivoluzione, qualsivoglia siano state o siano le intenzioni di quanti difesero o difendono simili concezioni. Avanzare in ciò che la Rivoluzione ha, o in ciò che dovrebbe essere, di più esecrabile per un’anima cristiana o semplicemente religiosa: il laicismo, il naturalismo politico, l’ateismo sociale, il considerare l’umanità come fine a se stessa, i “diritti dell’uomo” senza la contropartita di alcun dovere e, soprattutto, senza la contropartita dei doveri verso Dio.
Che scandalo quello di tali cristiani i quali, di fatto, lavorano per consegnare ciò che il nemico non riuscirebbe mai a strappare se non avesse trovato dentro al forte simile complicità! E’ una complicità la cui efficacia decisiva è stata riconosciuta dallo stesso assalitore nel corso di una memorabile sessione seguita al voto sulla “legge di separazione”:
“ – Dico, signori – esclamò Briand, rivolgendo le sue ironiche felicitazioni ai colleghi cattolici del centro e della destra – che quando una legge è stata fatta con la vostra collaborazione…
– No - interruppe Grousseau.
– Signor Grousseau - replicò Briand -, non possiamo negare che, se gli avversari della Separazione, molto numerosi in Commissione, ci avessero detto fin dall’inizio: “State proponendo una questione che noi, come cattolici , non abbiamo il diritto di discutere; state per legiferare su una materia verso la quale siamo incompetenti nel giudizio e perciò ci ritiriamo”, sarebbe per noi stato impossibile elaborare il nostro progetto di legge”.
* * *
I giansenisti del secolo XVIII, sebbene abbiano contribuito potentemente al trionfo della Rivoluzione, avevano perlomeno la scusa di nutrire molte illusioni su ciò che essa avrebbe dovuto essere, ignorando però la natura abominevole che la originava.
Niente di simile può essere portato a difesa dei cattolici-liberali e dei nostri attuali “progressisti”. Per loro, come per tutti da allora, esiste la lezione dell’89 e quella del ’93. La Rivoluzione si è verificata e i suoi insegnamenti sono evidenti. Non solo la Rivoluzione ha avuto luogo, ma si sviluppa e continua nel mondo, rovesciando in ogni dove le onde delle sue inesorabili conseguente di laicismo e di secolarizzazione metodica, compresa la persecuzione sanguinosa o larvata …
Ma questi pretesi “cattolici” non saranno meno fermi nelle loro convinzioni. Né le Encicliche, né l’evidenza di ciò che essi – come tutti noi – sono obbligati a chiamare scristianizzazione generale delle società, è riuscita ad illuminarli.
Il loro flusso vittorioso avanza come il mare, accompagnato dalle grida insolenti e burlone di un trionfo incontestabile (10). E’ uno spettacolo che costituisce la più spaventosa ed insidiosa delle tentazioni per chiunque cedesse e dubitasse, anche solo per un istante, della coerenza e della permanenza della verità negli insegnamenti di Roma su queste questioni.
La loro avanzata non è cessata; persino gli eccessi di una Rivoluzione ogni volta più invadente non li ha convinti ad abbandonare in nulla la loro volontà di restare uniti ad essa. Sempre pronti ad additare con giudizi severi le azioni più rette dei loro fratelli in Cristo, hanno invece “tesori di indulgenze” per scusare i piromani della cristianità in Spagna e negli altri paesi, i profanatori delle tombe dei religiosi e i boia di milioni di martiri.
Dopo le condanne di Gregorio XVI a Lamennais e a “L’Avenir” del 1831, i cattolici-liberali sono stati di nuovo condannati instancabilmente da Pio IX. Leone XIII ha condannato la stessa specie di “cattolici” chiamando la loro ideologia con il nome di “Americanismo”; San Pio X con il nome di “modernismo” e con quello di “Sillon”; Pio XI li ha condannati per l’aspetto che nella Ubi Arcano Dei è chiamato “modernismo giuridico e sociale”; infine, ai nostri giorni, sono stati condannati ed etichettati con il nome di “progressismo” (Cfr., ad es., Paolo VI, Udienza Generale, del 28-10-1970; Giovanni Paolo II, Lettera al Card. Joseph Ratzinger, dell’8-4-1988. N.d.T.).
Note
(9) Non si vada a recriminare, come qualcuno osa fare, sulla presunta intempestività di Pio IX. Anche San Pio X condannò la blasfemia di queste “parità” tra Vangelo e Rivoluzione. Lo stesso Leone XIII, che alcuni non temono di presentare come un Papa “liberale”, su questo aspetto fu severo quanto Pio IX e quanto lo sarà Pio X: “… di quelli si eviti il tratto familiare – scriveva l’8 dicembre 1892 –, che si occultano sotto la maschera di universale tolleranza, di rispetto a tutte le religioni, di smania di voler conciliare le massime del Vangelo e le massime della rivoluzione, Cristo e Belial, la Chiesa di Dio e lo Stato senza Dio” (Enc. Inimica vis).
(10) Si vedano queste righe del Figaro Litteraire (14-8-1954) firmate da A. Billy: “Mi dicono che alcuni cattolici hanno presentato ai Tribunali di Roma una richiesta di riabilitazione di Lamennais. Non credo sia cosa seria … Certamente, le tendenze de L’Avenir non verrebbero condannate ai giorni nostri; sono persino arrivate ad essere le tendenze ufficiali della Chiesa: Lamennais oggi, se nelle questioni di fede fosse almeno rimasto sulle posizioni che aveva nel 1832, forse sarebbe Cardinale …”.
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Ap - Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (V)
08
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Ago2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” ("Affinché Egli regni"), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237. [LAMENNAIS] Dopo le acute crisi della persecuzione rivoluzionaria, Lamennais diede ai cattolici-liberali un impulso decisivo. A lui ed ai cattolici-liberali si possono applicare le seguenti parole di San Pio X: “non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti” (Lett. Ap. Notre Charge Apostolique).
LAMENNAIS
Dopo le acute crisi della persecuzione rivoluzionaria, toccò a Lamennais il triste onore di dare ai cattolici-liberali un impulso decisivo. Questo eresiarca può essere valutato nello stesso modo con cui San Pio X valuterà più tardi “Le Sillon”: “non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti” (Lett. Ap. Notre Charge Apostolique).
Da giovane aveva inoltre ammirato eccessivamente Rousseau e, parlando di lui, si potrebbe applicargli questa frase di Lacordaire: “Era un uomo insicuro da tutti i punti di vista” (11).
Presentatosi inizialmente come combattente i principi della sovversione, si rese presto conto che la Chiesa non avrebbe mai consentito ad essere difesa da un dottrinario arruffone. A dire il vero, Lamennais fu piuttosto molto più anti-gallicano che autenticamente ultramontano.
Tuttavia, agli inizi, vedendolo brillantemente combattere sia contro i sofisti, che il protestantesimo e la Rivoluzione, le intelligenze – o, meglio, i cuori – di cattolici in buona fede, accettarono l’eresiarca come un vendicatore predestinato della Chiesa e del nome cristiano. Si plaudiva alla sua energia, si esaltava il suo talento, si accusava d’ingratitudine, di ingiustizia, forse di gelosia alcuni eruditi i quali, senza lasciarsi portare dalla corrente d’ammirazione, giudicavano con sospetto le perniciose tendenze già contenute nell’uovo … Questi intellettuali, in effetti, non avevano molte difficoltà per fare notare la pochezza delle argomentazioni lamennaisiane, anche quand’era animata dalle migliori intenzioni. La sua dottrina della supremazia pontificia era tanto rumorosa quanto poco fondata su veri argomenti. Lo stesso gallicanesimo ecclesiastico, persino il più vicino alla legittimità, il più inoffensivo, sotto la sua penna non sembrava altro che uno stato d’eresia o di stupidità. In una parola, Lamennais risaltava soltanto per il suo aspetto distruttore.
I presagi più cupi si manifestavano intuirsi fin da allora.
Già Leone XII - molto prima della condanna de “L’Avenir” (Gregorio XVI, 15-8-1832) – manifestava timori la cui eco il Card. Bernetti trasmetteva al Duca Laval-Montmorency in una lettera del 30-8-1824:
“Abbiamo qui a Roma il sacerdote de Lamennais – scriveva l’illustre segretario di Stato – è trovo che non corrisponde in alcun modo alla sua immensa reputazione … Ha nella fisionomia e nel portamento qualcosa di meschino e maldestro che disturba … In una delle mie prime udienze, il Santo Padre mi chiese se lo avevo visto e cosa ne pensassi. Non volendo espormi su questa faccenda e avendo udito che il Papa si mostrava ben disposto verso costui, risposi in modo ambiguo. Presto rimasi stupefatto perché il Santo Padre, con voce calma e quasi triste, mi disse: ‘Bene! Lo abbiamo dunque giudicato meglio Noi di chiunque altro. Quando lo abbiamo ricevuto e parlato con lui, siamo rimasti terrorizzati. Da quel giorno Noi abbiamo incessantemente davanti agli occhi la sua faccia da condannato’. Il Santo Padre mi disse tali cose in modo così serio che non potei evitare di sorridere. ‘Sì - aggiunse guardandomi - sì, questo sacerdote ha una faccia da reprobo. C’è qualcosa dell’eresiarca sulla sua fronte …’ . Non sono riuscito a far cambiare idea al Papa.
Insomma, fin dal 1824, Leone XII rendeva partecipe il Cardinal Bernetti dei più cupi presentimenti su colui che ancora non era diventato il padre del cattolicesimo liberale. Forse qualcuno si meraviglierà del rigore di questo giudizio papale, ma è da rilevare come, solo tre anni più tardi, un semplice secolare, Villemain, confermava a modo suo la sentenza del Romano Pontefice, anche solo osservando Lamennais dal punto di vista letterario. Nel suo “Cours de Littérature francaise” (Tableau du XVIII siecle, t. II, p. 523, Ed. 1827) , parlando dell’influenza di Rousseau sui maggiori uomini del XIX secolo, scrive: “Quella [influenza] si percepisce in uno dei più veementi contradditori che i suoi scritti hanno trovato fino ad oggi. Il celebre autore de ‘L’indifferénce’, nella sua logica sfrontata e tagliente, nel suo stile impetuoso ed elaborato, mostra più di un tratto di somiglianza con il pittore de “L’Emile”, del quale egli ha forse troppo lodato l’eloquenza seduttrice. Quanto al fondo delle idee, se il sacerdote del secolo XIX confuta con gran forza le contraddizioni ed il teismo di Rousseau, si nota senza dubbio una certa predilezione nella sua stessa ostilità. Nei rudi colpi che da’ l’alunno si riconosce la lezione oratoria del maestro; si percepiscono persino il suo stile filosofico in alcune tesi sfrontate e ribelli, che questo alunno conserva benché si umili davanti alla fede. Si percepisce che l’eloquente apostolo dell’autorità è stato un assiduo lettore del “Contratto sociale” e questo spirito ardente potrebbe passare da un estremo all’altro”.
* * *
Così, il demone della Rivoluzione riuscì ad impossessarsi di colui al quale aveva prima viziato l’intelligenza.
Non staremo qui a ripetere la storia, la condanna de “L’Avenir”, la sua apostasia e la penosa fine di Lamennais. Questi appare spogliato di tutto ciò che aveva costituito la sua grandezza: il dottore, il teologo, l’apologista, sparirono. Altro non rimase che il rivoluzionario.
Se la sua apostasia ruppe l’incantesimo dal quale molti giovani furono sedotti, non fu minore il male causato dalla confusione seminata abbondantemente negli spiriti.
I suoi discepoli si allontanarono da lui. Peraltro, come osserva Cretineau-Joly, “la ferita che avevano ricevuto non si cicatrizzò rapidamente. Lamennais aveva esposto nelle sue opere dottrine così contraddittorie e principi tanto opposti che la manifestazione di pentimento non bastava da sola a calmare tanti tumulti interiori. I suoi discepoli, sia chierici che secolari, vescovi o sacerdoti, oratori o scrittori, erano sfuggiti all’incendio. Tuttavia, non smisero di respirarne il fumo: l’influenza del maestro si propagherà per mezzo di essi e nonostante essi. Essi restringeranno la controversia ad alcuni punti giudicati non gravi, che il capo della setta aveva esteso dai punti più alti fino alle questioni più elementari” (L’Elise romaine en face de la Révolution, t. II, p. 348) .
Il tono divenne meno violento, le formule più abili. Molti valutarono ciò sufficiente per tornare all’ortodossia.
In realtà, la grande illusione e, pertanto, il grande errore di una Rivoluzione presentata come essenzialmente evangelica, di una Rivoluzione non essenzialmente inconciliabile, doveva restare vivo nella maggior parte dello spirito dei suoi seguaci.
Sommamente abile per nascondersi sotto formule pie o proposizioni generose, ma non forte al punto da resistere ad un serio esame della ragione e della fede, il movimento suscitato da “gli uomini de L’Avenir”, doveva inaugurare quella serie di slogans equivoci sotto il cui segno si è realizzata, di fatto, da oltre un secolo, la secolarizzazione della società e l’apostasia delle nazioni.
ECCESSI DEL «CATTOLICESIMO LIBERALE»
Il 4 agosto del 1845,il Cardinal Bernetti scriveva ad uno dei suoi amici:
“Il nostro giovane clero è imbevuto di dottrine liberali … gli studi seri sono abbandonati … i giovani si preoccupano molto poco di divenire saggi teologi … Sono sacerdoti, ma aspirano a diventare ‘uomini’, ed è inaudito tutto quel che mescolano a questo titolo di ‘uomo’, che usano con un’enfasi ridicola … Ma questa perversione ‘umana’ della gioventù non è ciò che qui più ci preoccupa e tormenta: il nuovo clero è mille volte più infetto del vizio liberale”.
Il male non si trovava solo dall’altra parte delle Alpi.
Anche le chiese di Francia, Germania e Belgio erano infettate. Giovani sacerdoti, nutriti dall’orgoglio alla scuola di Lamennais o di Saint-Simon, avevano l’umile aspirazione ... di reggere il mondo, manipolando le Sacre Scritture per estrarne formule rivoluzionarie.
Ai nostri giorni, è lo stesso metodo utilizzato dai progressisti.
Note
(11) “La sua vita era stata preparata male: nessuna educazione regolare, niente studi guidati da un’autorità gerarchica; una stanza, dei libri, la lettura assidua di tutto ciò che gli capitava in mano, l’abbandono precoce al proprio spirito, alcune settimane di seminario prima di essere ordinato sacerdote ... e nient’altro. In verità, in teologia ignorava cose estremamente semplici, come per esempio i fondamenti della distinzione tra la natura e la Grazia. Questi difetti di base della sua formazione intellettuale, lasceranno lacune che non saranno mai colmate ... La sua vivacissima intelligenza era viziata non solo per mancanza di flessibilità, ma per non aver mai incontrato nella sua vita un punto d’appoggio capace di sostenerla e guidarla. Era un uomo insicuro da tutti i punti di vista” (Lacordaire).
Dopo le acute crisi della persecuzione rivoluzionaria, toccò a Lamennais il triste onore di dare ai cattolici-liberali un impulso decisivo. Questo eresiarca può essere valutato nello stesso modo con cui San Pio X valuterà più tardi “Le Sillon”: “non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti” (Lett. Ap. Notre Charge Apostolique).
Da giovane aveva inoltre ammirato eccessivamente Rousseau e, parlando di lui, si potrebbe applicargli questa frase di Lacordaire: “Era un uomo insicuro da tutti i punti di vista” (11).
Presentatosi inizialmente come combattente i principi della sovversione, si rese presto conto che la Chiesa non avrebbe mai consentito ad essere difesa da un dottrinario arruffone. A dire il vero, Lamennais fu piuttosto molto più anti-gallicano che autenticamente ultramontano.
Tuttavia, agli inizi, vedendolo brillantemente combattere sia contro i sofisti, che il protestantesimo e la Rivoluzione, le intelligenze – o, meglio, i cuori – di cattolici in buona fede, accettarono l’eresiarca come un vendicatore predestinato della Chiesa e del nome cristiano. Si plaudiva alla sua energia, si esaltava il suo talento, si accusava d’ingratitudine, di ingiustizia, forse di gelosia alcuni eruditi i quali, senza lasciarsi portare dalla corrente d’ammirazione, giudicavano con sospetto le perniciose tendenze già contenute nell’uovo … Questi intellettuali, in effetti, non avevano molte difficoltà per fare notare la pochezza delle argomentazioni lamennaisiane, anche quand’era animata dalle migliori intenzioni. La sua dottrina della supremazia pontificia era tanto rumorosa quanto poco fondata su veri argomenti. Lo stesso gallicanesimo ecclesiastico, persino il più vicino alla legittimità, il più inoffensivo, sotto la sua penna non sembrava altro che uno stato d’eresia o di stupidità. In una parola, Lamennais risaltava soltanto per il suo aspetto distruttore.
I presagi più cupi si manifestavano intuirsi fin da allora.
Già Leone XII - molto prima della condanna de “L’Avenir” (Gregorio XVI, 15-8-1832) – manifestava timori la cui eco il Card. Bernetti trasmetteva al Duca Laval-Montmorency in una lettera del 30-8-1824:
“Abbiamo qui a Roma il sacerdote de Lamennais – scriveva l’illustre segretario di Stato – è trovo che non corrisponde in alcun modo alla sua immensa reputazione … Ha nella fisionomia e nel portamento qualcosa di meschino e maldestro che disturba … In una delle mie prime udienze, il Santo Padre mi chiese se lo avevo visto e cosa ne pensassi. Non volendo espormi su questa faccenda e avendo udito che il Papa si mostrava ben disposto verso costui, risposi in modo ambiguo. Presto rimasi stupefatto perché il Santo Padre, con voce calma e quasi triste, mi disse: ‘Bene! Lo abbiamo dunque giudicato meglio Noi di chiunque altro. Quando lo abbiamo ricevuto e parlato con lui, siamo rimasti terrorizzati. Da quel giorno Noi abbiamo incessantemente davanti agli occhi la sua faccia da condannato’. Il Santo Padre mi disse tali cose in modo così serio che non potei evitare di sorridere. ‘Sì - aggiunse guardandomi - sì, questo sacerdote ha una faccia da reprobo. C’è qualcosa dell’eresiarca sulla sua fronte …’ . Non sono riuscito a far cambiare idea al Papa.
Insomma, fin dal 1824, Leone XII rendeva partecipe il Cardinal Bernetti dei più cupi presentimenti su colui che ancora non era diventato il padre del cattolicesimo liberale. Forse qualcuno si meraviglierà del rigore di questo giudizio papale, ma è da rilevare come, solo tre anni più tardi, un semplice secolare, Villemain, confermava a modo suo la sentenza del Romano Pontefice, anche solo osservando Lamennais dal punto di vista letterario. Nel suo “Cours de Littérature francaise” (Tableau du XVIII siecle, t. II, p. 523, Ed. 1827) , parlando dell’influenza di Rousseau sui maggiori uomini del XIX secolo, scrive: “Quella [influenza] si percepisce in uno dei più veementi contradditori che i suoi scritti hanno trovato fino ad oggi. Il celebre autore de ‘L’indifferénce’, nella sua logica sfrontata e tagliente, nel suo stile impetuoso ed elaborato, mostra più di un tratto di somiglianza con il pittore de “L’Emile”, del quale egli ha forse troppo lodato l’eloquenza seduttrice. Quanto al fondo delle idee, se il sacerdote del secolo XIX confuta con gran forza le contraddizioni ed il teismo di Rousseau, si nota senza dubbio una certa predilezione nella sua stessa ostilità. Nei rudi colpi che da’ l’alunno si riconosce la lezione oratoria del maestro; si percepiscono persino il suo stile filosofico in alcune tesi sfrontate e ribelli, che questo alunno conserva benché si umili davanti alla fede. Si percepisce che l’eloquente apostolo dell’autorità è stato un assiduo lettore del “Contratto sociale” e questo spirito ardente potrebbe passare da un estremo all’altro”.
* * *
Così, il demone della Rivoluzione riuscì ad impossessarsi di colui al quale aveva prima viziato l’intelligenza.
Non staremo qui a ripetere la storia, la condanna de “L’Avenir”, la sua apostasia e la penosa fine di Lamennais. Questi appare spogliato di tutto ciò che aveva costituito la sua grandezza: il dottore, il teologo, l’apologista, sparirono. Altro non rimase che il rivoluzionario.
Se la sua apostasia ruppe l’incantesimo dal quale molti giovani furono sedotti, non fu minore il male causato dalla confusione seminata abbondantemente negli spiriti.
I suoi discepoli si allontanarono da lui. Peraltro, come osserva Cretineau-Joly, “la ferita che avevano ricevuto non si cicatrizzò rapidamente. Lamennais aveva esposto nelle sue opere dottrine così contraddittorie e principi tanto opposti che la manifestazione di pentimento non bastava da sola a calmare tanti tumulti interiori. I suoi discepoli, sia chierici che secolari, vescovi o sacerdoti, oratori o scrittori, erano sfuggiti all’incendio. Tuttavia, non smisero di respirarne il fumo: l’influenza del maestro si propagherà per mezzo di essi e nonostante essi. Essi restringeranno la controversia ad alcuni punti giudicati non gravi, che il capo della setta aveva esteso dai punti più alti fino alle questioni più elementari” (L’Elise romaine en face de la Révolution, t. II, p. 348) .
Il tono divenne meno violento, le formule più abili. Molti valutarono ciò sufficiente per tornare all’ortodossia.
In realtà, la grande illusione e, pertanto, il grande errore di una Rivoluzione presentata come essenzialmente evangelica, di una Rivoluzione non essenzialmente inconciliabile, doveva restare vivo nella maggior parte dello spirito dei suoi seguaci.
Sommamente abile per nascondersi sotto formule pie o proposizioni generose, ma non forte al punto da resistere ad un serio esame della ragione e della fede, il movimento suscitato da “gli uomini de L’Avenir”, doveva inaugurare quella serie di slogans equivoci sotto il cui segno si è realizzata, di fatto, da oltre un secolo, la secolarizzazione della società e l’apostasia delle nazioni.
ECCESSI DEL «CATTOLICESIMO LIBERALE»
Il 4 agosto del 1845,il Cardinal Bernetti scriveva ad uno dei suoi amici:
“Il nostro giovane clero è imbevuto di dottrine liberali … gli studi seri sono abbandonati … i giovani si preoccupano molto poco di divenire saggi teologi … Sono sacerdoti, ma aspirano a diventare ‘uomini’, ed è inaudito tutto quel che mescolano a questo titolo di ‘uomo’, che usano con un’enfasi ridicola … Ma questa perversione ‘umana’ della gioventù non è ciò che qui più ci preoccupa e tormenta: il nuovo clero è mille volte più infetto del vizio liberale”.
Il male non si trovava solo dall’altra parte delle Alpi.
Anche le chiese di Francia, Germania e Belgio erano infettate. Giovani sacerdoti, nutriti dall’orgoglio alla scuola di Lamennais o di Saint-Simon, avevano l’umile aspirazione ... di reggere il mondo, manipolando le Sacre Scritture per estrarne formule rivoluzionarie.
Ai nostri giorni, è lo stesso metodo utilizzato dai progressisti.
Note
(11) “La sua vita era stata preparata male: nessuna educazione regolare, niente studi guidati da un’autorità gerarchica; una stanza, dei libri, la lettura assidua di tutto ciò che gli capitava in mano, l’abbandono precoce al proprio spirito, alcune settimane di seminario prima di essere ordinato sacerdote ... e nient’altro. In verità, in teologia ignorava cose estremamente semplici, come per esempio i fondamenti della distinzione tra la natura e la Grazia. Questi difetti di base della sua formazione intellettuale, lasceranno lacune che non saranno mai colmate ... La sua vivacissima intelligenza era viziata non solo per mancanza di flessibilità, ma per non aver mai incontrato nella sua vita un punto d’appoggio capace di sostenerla e guidarla. Era un uomo insicuro da tutti i punti di vista” (Lacordaire).
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Ap - Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (VI)
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Ago2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” ("Affinché Egli regni"), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237. [I CATTOLICI LIBERALI CONTRO IL PAPA] All’inizio del suo Pontificato, Pio IX volle che agli occhi degli uomini le calunnie della Rivoluzione contro la Chiesa apparissero senza fondamento. Fu il cosiddetto periodo liberale di questo Pontificato. Pio IX, come Plinio testimonia di Cesare, “si dimostrò clemente fino ad essere obbligato a pentirsene”.
I CATTOLICI LIBERALI CONTRO IL PAPA
All’inizio del Pontificato di Pio IX si vide dove doveva condurre tanta pazzia.
E’ noto che quando fu esaltato al trono di San Pietro, il Papa del Syllabus volle che agli occhi degli uomini le calunnie della Rivoluzione contro la Chiesa e il Papa Re apparissero senza fondamento. In questo modo non si sarebbe potuto dire che, in ore così gravi, il più alto potere spirituale della terra obbediva più ad ambizioni temporali o qualche particolare ideologia politica.
Fu il cosiddetto periodo liberale di questo Pontificato. Pio IX, come Plinio testimonia di Cesare, “si dimostrò clemente fino ad essere obbligato a pentirsene”.
Un’ampia amnistia inaugurò il suo Pontificato. Il nuovo Papa autorizzò varie riforme di governo che furono giudicate rivoluzionarie, benché non avessero altro scopo che il rappacificamento degli animi attraverso la concessione di tutto ciò che un’ovvia prudenza politica obbligava a concedere, anche alle vecchie monarchie.
Il popolo si entusiasmò, ma la Rivoluzione approfittò di queste manifestazioni per volgerle contro la Chiesa. Fu, secondo le parole di Cretineau-Joly, “l’insurrezione degli archi di trionfo” perché le lodi rivolte al Pontefice furono fatte in termini tali da costituire anche il peggiore insulto alla sua persona.
Forse che le sette non stavano sognando una rivoluzione con “cappa magna e tiara”? Così, pensarono di forzare la mano al Vicario di Gesù Cristo, agendo come se i loro desideri fossero in corso di realizzazione, cercando di rendere Pio IX prigioniero delle loro acclamazioni. Tutto quanto faceva ed ordinava era subito commentato ed esaltato in senso rivoluzionario. Dietro la consegna lanciata dalle logge, una tempesta di osanna sorgeva da ogni punto del globo. Con un sacro disprezzo delle tradizioni – proprio come oggi si fa per Giovanni XXIII – si pretendeva di fare di Pio IX una specie di Pontefice isolato, un Papa senza predecessori … il tutto al martellante grido di “Viva solo Pio IX!”.
Si capiva il suo dolore quando ripeteva: “E’ la Domenica della Palme che precede la Passione”.
Si armò di pazienza, moltiplicò le istruzioni e gli avvertimenti: tutto fu inutile.
Già l’11 febbraio del 1848, mentre una moltitudine ebbra di rivoluzione lo acclamava al balcone del Quirinale, gli fu lanciato una specie di ultimatum col grido “Basta sacerdoti nel Governo!”. Il Papa ebbe la prontezza di rispondere sul momento con queste parole d’autorità sovrana: “Non posso! Non devo! Non voglio!”: tre frasi che risuonarono come un giuramento.
Pio IX lo mantenne: il successivo 29 aprile 1848, in occasione della riunione del Sacro Collegio per il Concistoro segreto, il Papa aprì il suo cuore:
“Non è la prima volta, Venerabili Fratelli, che nel Vostro Consesso abbiamo condannato l’audacia di alcuni i quali non ebbero difficoltà di fare a Noi, e per conseguenza a questa Apostolica Sede, l’ingiuria di far credere che Noi Ci fossimo discostati dai santissimi istituti dei Nostri Predecessori, e che (orribile cosa a dirsi!) in più d’un capo Ci fossimo allontanati dalla dottrina della Chiesa . Però nemmeno adesso mancano coloro i quali parlano di Noi e Ci considerano i principali Autori dei pubblici movimenti che negli ultimi tempi non solo in altre parti d’Europa, ma anche in Italia sono accaduti. … sappiamo però che è Nostro dovere impedire lo scandalo di cui potrebbero patire gl’incauti ed i semplici, e di ributtare la calunnia, la quale ridonda in contumelia non tanto della persona della Nostra umiltà, quanto del supremo Apostolato del quale siamo insigniti, e di questa Santa Sede. E poiché quei denigratori, non potendo presentare alcun documento delle macchinazioni che Ci appongono, si ingegnano di mettere in sospetto quelle cose che Noi abbiamo fatte nell’assumere il governo dei Nostri Domini Temporali Pontifici; così Noi, per togliere loro questo appiglio di calunniare, abbiamo pensato di spiegare oggi chiaramente ed apertamente nel Vostro Consesso tutta la ragione di quelle cose” (Alloc. Non semel, del 29-4-1848).
Questa allocuzione – atto spontaneo ma necessario – strappò tutti i veli, smascherando sia la perversità dei malvagi che la pericolosa ed eccessiva ammirazione degli stupidi.
Si può immaginare la rabbia dei rivoluzionari quando videro frustrate le loro macchinazioni. Mentre avevano luogo le grottesche pantomine del sacerdote V. Gioberti, un monaco divenuto comunista, Padre Gavazzi, ed un tribuno da caffè, Ciceruacchio, ruggivano con feroci appelli a correre alle armi. Come era bastata una semplice consegna delle logge per mobilitare una campagna di acclamazioni all’estero, così fu sufficiente una seconda mobilitazione all’estero per passare all’insulto dalla sera alla mattina. Così, nel nostro Constitutionnel del 13 maggio, si leggeva:
“Ciò che ha profondamente commosso ed indignato tutto il mondo è questa professione di fede anti liberale e io direi quasi anti cristiana … Sarebbe cosa impossibile raccontarvi l’indignazione ed il furore sollevati da questa allocuzione fanatica, della quale lo stesso Gregorio XVI avrebbe forse dubitato di prendersi la responsabilità in un simile momento … Il clero, la guardia nazionale, i frati, in una parola tutti i romani, hanno dato al mondo il magnifico spettacolo dell’accordo più perfetto, della più compatta e unanime resistenza. Questo uomo, che fino a poco tempo fa era l’idolo del popolo, per il quale tutti gli italiani avrebbero affrontato il martirio, ha perso in pochi secondi tutta la sua popolarità ... “Ci ha ingannati”, esclamano con indignazione i sacerdoti che provenivano dal predicare la crociata contro l’Austria. “Ci ha tradito”, ripeteva Ciceruacchio con le lacrime agli occhi”. Ecco invece la verità sulla “brillante apertura” e sul presunto ingresso del “cattolicesimo liberale” nella Chiesa del XIX secolo!
Il progettato matrimonio tra la Chiesa e la Rivoluzione – un crimine odioso nel suo contesto storico e umano -, dopo un’esperienza così severa, avrebbe dovuto provocare almeno una certa sfiducia. Nulla di ciò accadde. Al contrario, fu proprio sotto il Pontificato di Pio IX che i cattolici liberali videro ingrossarsi le loro fila.
E’ vero che molti lo divennero in modo confuso e senza darsene pienamente conto. Alcuni lo furono solo in un modo per cui le formule liberali costituirono un linguaggio maldestro. Altri si convertirono più tardi o soltanto dopo la sonante lezione del Sillabo: un Lamorciére fu tra costoro. Altri ancora si svegliarono durante il corso degli avvenimenti, come ad esempio Ozanam, per molto tempo sedotto dai sofismi del “Quarantotto”.
Diciamo che la maggior parte fu vittima della propria ignoranza dottrinale.
In assenza di luci personali sarebbe stato facile agli interessati affidarsi e consegnarsi filialmente alle direttive delle Encicliche. Ma le teste erano troppo ubriache perché la maggioranza di costoro non avesse la tendenza a considerare il Papa e i vescovi del tempo come “antiquati”. A questo proposito, una frase del Testamento di Lacordaire è molto significativa: “Nel farmi cattolico io rimasi liberale, ma non seppi dissimulare tutto quello che mi separava, a proposito di ciò, dal clero e dai cristiani del mio tempo … ”.
«PARITA’ BLASFEME» TRA LA CHIESA E LA RIVOLUZIONE
“Si trema dinanzi al liberalismo: rendetelo cattolico e la società rinascerà”: questa frase di Lamennais (Lettera del 30-1-1829) avrà come eco milioni di altre voci, fino ai nostri giorni. Basta sostituire liberalismo con comunismo perché la formula sia della più accecante attualità.
“Invece di scegliere tra i principi dell’89 e i dogmi della religione cattolica, purifichiamo i principi con i dogmi e facciamoli marciare in accordo …”, scriveva Albert de Bloglie in un numero del Correspondant del 1856.
“Dunque, tra la Rivoluzione e la Chiesa – giudicherà Emile Ollivier – ci sono passioni, malintesi, ma non dissenso fondamentale”.
Forse che le idee dell’89 non sono state “prese dal Vangelo come tanti altri frutti squisiti?”, scriverà il sacerdote Bougaud in Le christianisme et les temps présents. E il sacerdote Constant, nel suo Bible de la Liberté, dirà: “Il Vangelo è rivoluzionario, Gesù Cristo è morto per la democrazia dell’universo”.
Più cieco, senza dubbio, fu Padre Maumus, che non avrà timore di attribuire – nel suo Eglise et la France moderne – alla “direzione suprema di Leone XIII” la realizzazione di quel che chiama “il sogno dei redattori de L’Avenir”. Ugualmente confuso fu il sacerdote Dabry, che nello stesso periodo affermerà: “La Chiesa riprende oggi il suo vero programma, il vero spirito della Rivoluzione”.
“Battezzare la Rivoluzione” o “cristianizzarla” sembrerà altrettanto facile a Etienne Lamy e al sacerdote Naudet, il quale fu direttore del Monde verso il 1895: “La Rivoluzione ha iniziato una nuova era – esclamerà cinque anni più tardi a Pau - . Alcuni dicono, e io sono tra loro, che la sua alba sorse circa duemila anni fa”.
Paul Bureau si spingerà ancora più lontano: “Forse che l’ideale di virtù comunista non fa parte della tradizione profonda del cristianesimo e specialmente del cattolicesimo? In modo simile: come non riconoscere l’impulso spirituale degli uomini che nel 1848, dopo aver acclamato la Rivoluzione e l’emancipazione dei lavoratori, assistevano alla benedizione degli alberi della libertà?” (La crise morale, p. 396).
Sintomi dello stesso male sono le quasi periodiche campagne di articoli che, in modo più o meno abile, annunciano, lasciano sperare o sostengono l’idea di una riconciliazione della Chiesa con la framassoneria.
Sintomi dello stesso male sono le frasi “sorprendenti” di certi contemporanei … Per esempio, le poche righe seguenti sono di un discorso di Maurice Schumann del 1945: “Siamo il frutto di una lunga tradizione e di un’interminabile pazienza … In Francia, la tradizione cristiana non può dissociarsi dal pensiero rivoluzionario. Si completano e si nutrono l’una con l’altra”.
Questa è anche l’ambizione di “riconciliare la visione di un Joseph de Maistre e quella di un Lamennais nella superiore unità della grande sapienza di cui San Tommaso d’Aquino è l’araldo” … ambizione della quale Jacques Maritain osa parlarci senza riderne nella sua opera Du régime temporal de la liberté (p. 147).
“Quando, alla fine del secolo XVIII – scrive altrove questo stesso autore – i Diritti dell’Uomo furono proclamati in America e in Francia ed i popoli furono invitati all’ideale della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, ha origine la grande sfida del popolo, degli uomini volgari, creduloni e dallo spirito infantile; il tutto unito a un ideale di generosità universale che eccedeva lo stesso ordine politico rispetto ai potenti di questo mondo e al loro sperimentato scetticismo. Lo sboccio evangelico che così faceva irruzione, portava il segno di un cristianesimo secolarizzato” (Christianisme et Démocratie, ed. de la Maison Française, New York 1945, p. 49).
E ancora: “La nazione non sarà veramente unita che quando un ideale abbastanza potente la trascini verso una grande opera comune, in cui le due tradizioni – della Francia di Giovanna d’Arco e la Francia dei Diritti dell’Uomo – saranno riconciliate …” (L’Unité d’un peuple libre, Le Figaro, 7-12-1944) .
Oppure: “Non è un fatto privo di significato che la Francia abbia due feste nazionali: quella del 14 luglio e la festa di Giovanna d’Arco, due feste che si compenetrano e costituiscono una stessa e sola promessa” (Pour la Justice. Articles et discours, dal 1940 al 1945, ed. de la Maison Française, New York 1945, p. 49).
Frasi tanto più dolorose per quanto il suo autore scriveva pochi anni prima: “Dal declinare del Medio Evo, la storia moderna è qualcosa di diverso dalla storia dell’agonia e della morte della cristianità? San Vincenzo Ferrer, alla fine del XIV secolo, annunciava la fine del mondo e resuscitava i morti per confermare le proprie parole. Non era la fine del mondo cristiano ciò che precisamente annunciava? Giovanna d’Arco ebbe successo nel liberare la Francia; ma fallì nella missione di far tornare gli uomini al rispetto del diritto cristiano. Successivamente, l’animale razionale si baserà solo su se stesso; la pietra angolare non sarà più Cristo. Lo spirito d’indipendenza assoluta che, in definitiva, porta l’uomo a rivendicare per se la “asetticità” e che già potremmo chiamare lo spirito della Rivoluzione anti-cristiana, si introdusse in Europa con il Rinascimento e la Riforma. Ci si sottrae all’ordine cristiano: qui la sensibilità estetica e tutte le curiosità dello spirito, là la spiritualità religiosa e la volontà, cercando di rimpiazzare in ogni dove il culto delle Tre Persone Divine con il culto dell’Io umano. Questo “Io”, represso nel secolo XVII ma rilanciato nei secoli XVIII e XIX alla conquista dell’universo, servito con perseveranza e abilità dalla contro-chiesa massonica, riuscì a separare da Dio tutto quel che è centro di potere o di autorità nei popoli” (J. Maritain, Antimoderne, pp. 174-175).
All’inizio del Pontificato di Pio IX si vide dove doveva condurre tanta pazzia.
E’ noto che quando fu esaltato al trono di San Pietro, il Papa del Syllabus volle che agli occhi degli uomini le calunnie della Rivoluzione contro la Chiesa e il Papa Re apparissero senza fondamento. In questo modo non si sarebbe potuto dire che, in ore così gravi, il più alto potere spirituale della terra obbediva più ad ambizioni temporali o qualche particolare ideologia politica.
Fu il cosiddetto periodo liberale di questo Pontificato. Pio IX, come Plinio testimonia di Cesare, “si dimostrò clemente fino ad essere obbligato a pentirsene”.
Un’ampia amnistia inaugurò il suo Pontificato. Il nuovo Papa autorizzò varie riforme di governo che furono giudicate rivoluzionarie, benché non avessero altro scopo che il rappacificamento degli animi attraverso la concessione di tutto ciò che un’ovvia prudenza politica obbligava a concedere, anche alle vecchie monarchie.
Il popolo si entusiasmò, ma la Rivoluzione approfittò di queste manifestazioni per volgerle contro la Chiesa. Fu, secondo le parole di Cretineau-Joly, “l’insurrezione degli archi di trionfo” perché le lodi rivolte al Pontefice furono fatte in termini tali da costituire anche il peggiore insulto alla sua persona.
Forse che le sette non stavano sognando una rivoluzione con “cappa magna e tiara”? Così, pensarono di forzare la mano al Vicario di Gesù Cristo, agendo come se i loro desideri fossero in corso di realizzazione, cercando di rendere Pio IX prigioniero delle loro acclamazioni. Tutto quanto faceva ed ordinava era subito commentato ed esaltato in senso rivoluzionario. Dietro la consegna lanciata dalle logge, una tempesta di osanna sorgeva da ogni punto del globo. Con un sacro disprezzo delle tradizioni – proprio come oggi si fa per Giovanni XXIII – si pretendeva di fare di Pio IX una specie di Pontefice isolato, un Papa senza predecessori … il tutto al martellante grido di “Viva solo Pio IX!”.
Si capiva il suo dolore quando ripeteva: “E’ la Domenica della Palme che precede la Passione”.
Si armò di pazienza, moltiplicò le istruzioni e gli avvertimenti: tutto fu inutile.
Già l’11 febbraio del 1848, mentre una moltitudine ebbra di rivoluzione lo acclamava al balcone del Quirinale, gli fu lanciato una specie di ultimatum col grido “Basta sacerdoti nel Governo!”. Il Papa ebbe la prontezza di rispondere sul momento con queste parole d’autorità sovrana: “Non posso! Non devo! Non voglio!”: tre frasi che risuonarono come un giuramento.
Pio IX lo mantenne: il successivo 29 aprile 1848, in occasione della riunione del Sacro Collegio per il Concistoro segreto, il Papa aprì il suo cuore:
“Non è la prima volta, Venerabili Fratelli, che nel Vostro Consesso abbiamo condannato l’audacia di alcuni i quali non ebbero difficoltà di fare a Noi, e per conseguenza a questa Apostolica Sede, l’ingiuria di far credere che Noi Ci fossimo discostati dai santissimi istituti dei Nostri Predecessori, e che (orribile cosa a dirsi!) in più d’un capo Ci fossimo allontanati dalla dottrina della Chiesa . Però nemmeno adesso mancano coloro i quali parlano di Noi e Ci considerano i principali Autori dei pubblici movimenti che negli ultimi tempi non solo in altre parti d’Europa, ma anche in Italia sono accaduti. … sappiamo però che è Nostro dovere impedire lo scandalo di cui potrebbero patire gl’incauti ed i semplici, e di ributtare la calunnia, la quale ridonda in contumelia non tanto della persona della Nostra umiltà, quanto del supremo Apostolato del quale siamo insigniti, e di questa Santa Sede. E poiché quei denigratori, non potendo presentare alcun documento delle macchinazioni che Ci appongono, si ingegnano di mettere in sospetto quelle cose che Noi abbiamo fatte nell’assumere il governo dei Nostri Domini Temporali Pontifici; così Noi, per togliere loro questo appiglio di calunniare, abbiamo pensato di spiegare oggi chiaramente ed apertamente nel Vostro Consesso tutta la ragione di quelle cose” (Alloc. Non semel, del 29-4-1848).
Questa allocuzione – atto spontaneo ma necessario – strappò tutti i veli, smascherando sia la perversità dei malvagi che la pericolosa ed eccessiva ammirazione degli stupidi.
Si può immaginare la rabbia dei rivoluzionari quando videro frustrate le loro macchinazioni. Mentre avevano luogo le grottesche pantomine del sacerdote V. Gioberti, un monaco divenuto comunista, Padre Gavazzi, ed un tribuno da caffè, Ciceruacchio, ruggivano con feroci appelli a correre alle armi. Come era bastata una semplice consegna delle logge per mobilitare una campagna di acclamazioni all’estero, così fu sufficiente una seconda mobilitazione all’estero per passare all’insulto dalla sera alla mattina. Così, nel nostro Constitutionnel del 13 maggio, si leggeva:
“Ciò che ha profondamente commosso ed indignato tutto il mondo è questa professione di fede anti liberale e io direi quasi anti cristiana … Sarebbe cosa impossibile raccontarvi l’indignazione ed il furore sollevati da questa allocuzione fanatica, della quale lo stesso Gregorio XVI avrebbe forse dubitato di prendersi la responsabilità in un simile momento … Il clero, la guardia nazionale, i frati, in una parola tutti i romani, hanno dato al mondo il magnifico spettacolo dell’accordo più perfetto, della più compatta e unanime resistenza. Questo uomo, che fino a poco tempo fa era l’idolo del popolo, per il quale tutti gli italiani avrebbero affrontato il martirio, ha perso in pochi secondi tutta la sua popolarità ... “Ci ha ingannati”, esclamano con indignazione i sacerdoti che provenivano dal predicare la crociata contro l’Austria. “Ci ha tradito”, ripeteva Ciceruacchio con le lacrime agli occhi”. Ecco invece la verità sulla “brillante apertura” e sul presunto ingresso del “cattolicesimo liberale” nella Chiesa del XIX secolo!
Il progettato matrimonio tra la Chiesa e la Rivoluzione – un crimine odioso nel suo contesto storico e umano -, dopo un’esperienza così severa, avrebbe dovuto provocare almeno una certa sfiducia. Nulla di ciò accadde. Al contrario, fu proprio sotto il Pontificato di Pio IX che i cattolici liberali videro ingrossarsi le loro fila.
E’ vero che molti lo divennero in modo confuso e senza darsene pienamente conto. Alcuni lo furono solo in un modo per cui le formule liberali costituirono un linguaggio maldestro. Altri si convertirono più tardi o soltanto dopo la sonante lezione del Sillabo: un Lamorciére fu tra costoro. Altri ancora si svegliarono durante il corso degli avvenimenti, come ad esempio Ozanam, per molto tempo sedotto dai sofismi del “Quarantotto”.
Diciamo che la maggior parte fu vittima della propria ignoranza dottrinale.
In assenza di luci personali sarebbe stato facile agli interessati affidarsi e consegnarsi filialmente alle direttive delle Encicliche. Ma le teste erano troppo ubriache perché la maggioranza di costoro non avesse la tendenza a considerare il Papa e i vescovi del tempo come “antiquati”. A questo proposito, una frase del Testamento di Lacordaire è molto significativa: “Nel farmi cattolico io rimasi liberale, ma non seppi dissimulare tutto quello che mi separava, a proposito di ciò, dal clero e dai cristiani del mio tempo … ”.
«PARITA’ BLASFEME» TRA LA CHIESA E LA RIVOLUZIONE
“Si trema dinanzi al liberalismo: rendetelo cattolico e la società rinascerà”: questa frase di Lamennais (Lettera del 30-1-1829) avrà come eco milioni di altre voci, fino ai nostri giorni. Basta sostituire liberalismo con comunismo perché la formula sia della più accecante attualità.
“Invece di scegliere tra i principi dell’89 e i dogmi della religione cattolica, purifichiamo i principi con i dogmi e facciamoli marciare in accordo …”, scriveva Albert de Bloglie in un numero del Correspondant del 1856.
“Dunque, tra la Rivoluzione e la Chiesa – giudicherà Emile Ollivier – ci sono passioni, malintesi, ma non dissenso fondamentale”.
Forse che le idee dell’89 non sono state “prese dal Vangelo come tanti altri frutti squisiti?”, scriverà il sacerdote Bougaud in Le christianisme et les temps présents. E il sacerdote Constant, nel suo Bible de la Liberté, dirà: “Il Vangelo è rivoluzionario, Gesù Cristo è morto per la democrazia dell’universo”.
Più cieco, senza dubbio, fu Padre Maumus, che non avrà timore di attribuire – nel suo Eglise et la France moderne – alla “direzione suprema di Leone XIII” la realizzazione di quel che chiama “il sogno dei redattori de L’Avenir”. Ugualmente confuso fu il sacerdote Dabry, che nello stesso periodo affermerà: “La Chiesa riprende oggi il suo vero programma, il vero spirito della Rivoluzione”.
“Battezzare la Rivoluzione” o “cristianizzarla” sembrerà altrettanto facile a Etienne Lamy e al sacerdote Naudet, il quale fu direttore del Monde verso il 1895: “La Rivoluzione ha iniziato una nuova era – esclamerà cinque anni più tardi a Pau - . Alcuni dicono, e io sono tra loro, che la sua alba sorse circa duemila anni fa”.
Paul Bureau si spingerà ancora più lontano: “Forse che l’ideale di virtù comunista non fa parte della tradizione profonda del cristianesimo e specialmente del cattolicesimo? In modo simile: come non riconoscere l’impulso spirituale degli uomini che nel 1848, dopo aver acclamato la Rivoluzione e l’emancipazione dei lavoratori, assistevano alla benedizione degli alberi della libertà?” (La crise morale, p. 396).
Sintomi dello stesso male sono le quasi periodiche campagne di articoli che, in modo più o meno abile, annunciano, lasciano sperare o sostengono l’idea di una riconciliazione della Chiesa con la framassoneria.
Sintomi dello stesso male sono le frasi “sorprendenti” di certi contemporanei … Per esempio, le poche righe seguenti sono di un discorso di Maurice Schumann del 1945: “Siamo il frutto di una lunga tradizione e di un’interminabile pazienza … In Francia, la tradizione cristiana non può dissociarsi dal pensiero rivoluzionario. Si completano e si nutrono l’una con l’altra”.
Questa è anche l’ambizione di “riconciliare la visione di un Joseph de Maistre e quella di un Lamennais nella superiore unità della grande sapienza di cui San Tommaso d’Aquino è l’araldo” … ambizione della quale Jacques Maritain osa parlarci senza riderne nella sua opera Du régime temporal de la liberté (p. 147).
“Quando, alla fine del secolo XVIII – scrive altrove questo stesso autore – i Diritti dell’Uomo furono proclamati in America e in Francia ed i popoli furono invitati all’ideale della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, ha origine la grande sfida del popolo, degli uomini volgari, creduloni e dallo spirito infantile; il tutto unito a un ideale di generosità universale che eccedeva lo stesso ordine politico rispetto ai potenti di questo mondo e al loro sperimentato scetticismo. Lo sboccio evangelico che così faceva irruzione, portava il segno di un cristianesimo secolarizzato” (Christianisme et Démocratie, ed. de la Maison Française, New York 1945, p. 49).
E ancora: “La nazione non sarà veramente unita che quando un ideale abbastanza potente la trascini verso una grande opera comune, in cui le due tradizioni – della Francia di Giovanna d’Arco e la Francia dei Diritti dell’Uomo – saranno riconciliate …” (L’Unité d’un peuple libre, Le Figaro, 7-12-1944) .
Oppure: “Non è un fatto privo di significato che la Francia abbia due feste nazionali: quella del 14 luglio e la festa di Giovanna d’Arco, due feste che si compenetrano e costituiscono una stessa e sola promessa” (Pour la Justice. Articles et discours, dal 1940 al 1945, ed. de la Maison Française, New York 1945, p. 49).
Frasi tanto più dolorose per quanto il suo autore scriveva pochi anni prima: “Dal declinare del Medio Evo, la storia moderna è qualcosa di diverso dalla storia dell’agonia e della morte della cristianità? San Vincenzo Ferrer, alla fine del XIV secolo, annunciava la fine del mondo e resuscitava i morti per confermare le proprie parole. Non era la fine del mondo cristiano ciò che precisamente annunciava? Giovanna d’Arco ebbe successo nel liberare la Francia; ma fallì nella missione di far tornare gli uomini al rispetto del diritto cristiano. Successivamente, l’animale razionale si baserà solo su se stesso; la pietra angolare non sarà più Cristo. Lo spirito d’indipendenza assoluta che, in definitiva, porta l’uomo a rivendicare per se la “asetticità” e che già potremmo chiamare lo spirito della Rivoluzione anti-cristiana, si introdusse in Europa con il Rinascimento e la Riforma. Ci si sottrae all’ordine cristiano: qui la sensibilità estetica e tutte le curiosità dello spirito, là la spiritualità religiosa e la volontà, cercando di rimpiazzare in ogni dove il culto delle Tre Persone Divine con il culto dell’Io umano. Questo “Io”, represso nel secolo XVII ma rilanciato nei secoli XVIII e XIX alla conquista dell’universo, servito con perseveranza e abilità dalla contro-chiesa massonica, riuscì a separare da Dio tutto quel che è centro di potere o di autorità nei popoli” (J. Maritain, Antimoderne, pp. 174-175).
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Ap - Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (VII)
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Ago2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” ("Affinché Egli regni"), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237. [INCOERENZA DEI CATTOLICI LIBERALI] L’apostata Renan se la prende con quel che egli chiama “(...) l’illusione dei cattolici laici che si dicono liberali. Non sapendo di teologia né di esegesi, fanno dell’adesione al cristianesimo una semplice iscrizione ad un’associazione. Prendono e lasciano a piacere (…) Chiunque abbia studiato teologia non sarebbe capace di tali contraddizioni (…) ”.
INCOERENZA DEI CATTOLICI LIBERALI
I rivoluzionari, come dimenticano presto l’interesse che li spinge ad applaudire i cattolici liberali che servono la loro causa, così non hanno mai smesso di sottolineare l’assurdità profonda e la contraddizione fondamentale della loro posizione.
“Immaginate – scriveva Michelet – un nodo ferroviario dal quale si parte verso il nord per Lilla e verso il mezzogiorno per Burdeos. Chi sarà il tonto che ritiene che quelle strade si incontreranno? Si danno le spalle: quanto più avanzano, tanto più diventano lontani l’una dall’altra. Pensate, dunque, prima di salire su quei treni. Scegliete bene il vostro vagone. I democratici cristiani non cercano forse di salire su due treni alla volta, unendo i principi della Rivoluzione e del cattolicesimo?” (cit. in Mon curé à sa place, Cavalier y de Cheyssac, Bossard, edit.).
L’apostata Renan non sarà più delicato. Dopo aver segnalato nei suoi Souvenirs d’enfance et de jeunesse (Nelson edit., p. 21), che una “delle peggiori rovine intellettuali è quella dei giochi di parole”, se la prende con quel che egli chiama “l’illusione dei cattolici laici che si dicono liberali. Non sapendo di teologia né di esegesi, fanno dell’adesione al cristianesimo una semplice iscrizione ad un’associazione. Prendono e lasciano a piacere … Chiunque abbia studiato teologia non sarebbe capace di tali contraddizioni … Il cattolicesimo che io ho imparato non è questo bolso compromesso valido per laici, che ai nostri giorni ha dato luogo a tanti malintesi … ”.
Se questo è stato il verdetto di non cattolici dichiarati, si deve accettare la severità del Cardinal Billot quando, nel suo celebre trattato De Ecclesia, scriveva: “Il liberalismo dei cosiddetti ‘cattolici liberali’ è refrattario ad ogni classificazione e non possiede se non una sola nota distintiva e caratteristica: quella della più perfetta e assoluta incoerenza”.
“La verità di questa proposizione risalta facilmente – procede l’illustre teologo – anche solo considerando i termini uniti nella denominazione ‘cattolico – liberale’”.
Infatti, cattolico è chi professa gli insegnamenti della fede cristiana e, innanzi tutto, questa verità fondamentale contenuta nel catechismo: “Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell'altra in paradiso”.
Passiamo ora alla professione di fede liberale. Non c’è dubbio che il liberale, secondo l’attuale accezione del termine, è colui che professa, approva e cerca di promuovere i cosiddetti “immortali principi del 1789”.
Vediamo cosa contengono quei principi.
Innanzi tutto, mettiamo da parte ciò che, in quei principi, non ne fa propriamente parte in quanto preso dall’antico fondo comune del diritto naturale, della giustizia naturale di cui qui non parliamo.
Sostengo che quei principi, ridotti all’espressione più semplice e seguendo la loro più esatta comprensione, proclamano l’indipendenza delle cose umane di fronte alla cose divine; la sottrazione delle istituzioni civili alla legge religiosa, la separazione del regime temporale da quello che persegue il fine ultimo e supremo; infine, in una parola, il passaggio della Città a una sfera privata dove cessa la giurisdizione divina, dove per l’uomo termina l’obbligo di riconoscere Dio e rendergli culto …
Ecco il contenuto di quei principi e questa è interpretazione ad essi più favorevole. Infatti, lo spirito degli antenati della Rivoluzione che è, d’altra parte, perfettamente conforme alla logica dei fatti realmente accaduti, porta con se anche la secolarizzazione completa e assoluta, cioè l’espulsione del principio della sovranità di Dio dal mondo e la rottura definitiva di ogni società umana con la Chiesa, Gesù Cristo, Dio …
Anche non accettandoli che in modo mitigato, come non vedere che questi principi sono tali da essere inconciliabili con i principi fondamentali del cristianesimo?; che ogni tentativo di conciliazione non può dare, necessariamente, altro risultato che la più perfetta incoerenza?
Questa incoerenza appare, dapprima, tra coloro che distinguono tra i principi astratti e la loro applicazione riconoscendo come vero quanto si è detto sulla necessità dell’unione e subordinazione dei poteri, ma solo finché resta una verità esclusivamente speculativa.
Infatti, per costoro, una cosa è l’oggetto della speculazione, altro è quanto accade nell’ordine concreto, per molti aspetti in disaccordo con le condizioni della teoria: e così pensano di aver soddisfatto le esigenze della verità, relegandola alle regioni dell’astrazione.
Ci si permetta, ciò nonostante, una domanda: i principi che essi trattano come astratti, fanno parte o no del capitolo sulla morale? Forniscono o no una norma agli atti umani, una regola che domini il nostro agire, cioè un agire che nella società umana deve essere orientato nella direzione richiesta dal fine che si deve cercare di ottenere? E se, come è evidente, quei principi sono comandamenti pratici, come non tacciare di incoerente colui che li ammettesse e, allo stesso tempo, non volesse metterli in pratica?
Peraltro, dal fatto che l’ordine concreto delle cose differisce dalle condizioni ideali della teoria, si deduce soltanto che le cose concrete non avranno mai la perfezione dell’ideale; ma non si possono derivare altre deduzioni.
Con quel modo di ragionare, si potrebbe sostenere che anche i precetti relativi alle virtù devono essere relegati al campo della speculazioni, perché le condizioni della vita non permettono tale realizzazione. Allo stesso modo si potrebbe sostenere che le scienze matematiche non possono o non devono essere applicate alle arti, magari adducendo il pretesto che il triangolo ideale – esatto, geometrico – non si incontra nella realtà o perché l’effetto sperimentale contraddice sempre il rigore del calcolo.
La stessa incoerenza si riscontra nella distinzione tipica dei cattolici liberali tra il diritto e il fatto, tra ciò che il diritto dovrebbe essere e ciò che è, di fatto, utile alla Chiesa. “Di fatto – dicono essi – il regime di unione con lo Stato è sempre stato pernicioso per la Chiesa. Infatti, questa non ha mai sofferto mali peggiori che quelli dovuti alla presenza dei “vescovi esterni”, ossia dei principi protettori, come testimoniano le lotte incessanti con gli imperatori di Bisanzio, i Cesari germanici, i Re di Francia, Inghilterra e Spagna, ecc. … La Chiesa muore a causa degli appoggi temporali che si è imprudentemente procurata. Conclusione: non c’è che un solo mezzo di salvezza, la libertà. E’ la libertà che metterà sulla fronte augusta della Chiesa la sua perduta corona. Si confiderà nella libertà come in un’amica fedele e non sarà necessario sapararsi da essa in nome di principi a priori, che conviene lasciare religiosamente nella loro regione ideale, con tutto il rispetto ad essi dovuto”.
Ecco ciò che essi pretendono.
“La peggiore condizione del cristianesimo si raggiunge quando i cristiani detengono il potere politico” (F. Mauriac, cit. da Th. Le Moign-Klipfel in Ecclesia, giugno 1952).
Ma ciò che pretendono è incoerente.
Primo, perché se i principi a priori enunciano un ordine istituito e voluto da Dio, è impossibile che il suo abbandono vada a maggior vantaggio dalla Chiesa.
Secondo, perché i fatti evocati dai cattolici liberali provano soltanto che l’uomo, per la sua debolezza, corrompe frequentemente le istituzioni divine, senza provare che, per questa stessa ragione, ciò che Dio ha ordinato e regolato debba essere revocato o ripudiato, anche solo in parte.
Terzo, perché l’argomento storico addotto dai cattolici liberali pecca d’incompletezza, perché menziona solo i mali provocati dal regime d’unione e nasconde oppure omette gli immensi beni che derivarono da esso. Beni manifestamente così abbondanti che la protezione dei principi poté alcune volte degenerare in oppressione ma che fu, nella maggior parte dei casi, un grande soccorso e un potente aiuto per la Chiesa (12).
Quarto, perché il difetto di tale incompleta enumerazione è aggravato dal fatto che ci astiene dal confrontare i mali dovuti al regime d’unione con gli orrori provocati dal regime di separazione, essendo evidente che questi ultimi superano enormemente i primi, come è provato dall’esperienza che facciamo ogni giorno.
Quinto, perché nulla è più caratteristico in questa argomentazione illogica ed informe, che il ricorso alla Libertà come soluzione, poiché la libertà contiene una tendenza al male. Ed è questo che si vuole istituire come rimedio!
«Sì, ma – dicono costoro – l’unione e la subordinazione dei poteri, per quanto sia desiderabile in se stessa, è oggi irrealizzabile. Essa ripugna allo spirito moderno e, contro questo spirito, è impossibile lottare. Prudenza vuole, pertanto, che si accetti il nuovo stato di cose, sia per impedire che peggiori che per ricavarne il maggior frutto possibile».
Così, si attaccano a questo argomento, non avendone più altri.
Orbene, dicendo questo – come osserva giudiziosamente P. Matteo Liberatore S. J. – cadono in un’incoerenza peggiore della precedente, perché vanno fuori tema.
Infatti, non si tratta assolutamente di sapere se, data la perversità del nostro secolo, si debba soffrire pazientemente ciò che non possiamo impedire o si debba, invece, lottare senza tregua per evitare un male maggiore e cercare il bene possibile (13). La questione è, semplicemente, se dobbiamo prostrarci ai principi che sono alla base di questo ordine di cose, di promuoverli con la parola, l’insegnamento e l’azione, come fanno quanti – attribuendosi ancora il nome di cattolici – si vantano anche del nome di liberali.
Sono proprio queste persone che non giungeranno a nulla, perché tenendo i piedi in due staffe nel loro vano sforzo di conciliazione, non sono riconosciuti come veri fratelli dai figli di Dio, né come partigiani sinceri dai figli della Rivoluzione (14).
* * *
L’incoerenza è, dunque, il carattere fondamentale dell’atteggiamento cattolico-liberale. Se ne possono intuire le conseguenze disastrose.
E’ chiaro che tale tendenza verso la conciliazione dell’inconciliabile conduce all’indifferenza dogmatica: «una specie di cristianesimo vago e non definito – dirà San Pio X nella Singulari quadam - che si suol chiamare interconfessionale».Tendenza terribile per la fede della maggioranza, quella fede cioè non sufficientemente formata sui dogmi, che non è di difesa di un sentimento religioso non educato!
Questo è il pericolo intravisto da San Gregorio Magno quando, nei suoi Commentari al Libro di Giobbe, parla dei cristiani che, alla fine dei tempi, «obbedendo ad una falsa politica, saranno timidi e vigliacchi nel difendere la verità e, per una colpevole tolleranza, taceranno di fronte alla violazione delle leggi divine e umane. Predicheranno la prudenza e la politica mondane e pervertiranno, con i loro sofismi e la loro parlantina, lo spirito dei semplici».
La realtà è che «credendo di portare la fede in seno alle idee liberali alcuni l’hanno perduta» (Blanc de Saint-Bonnet).
Note
(12) Per questo aspetto si considerino le parole di Pio XII: «Né bisognerebbe lasciar passare inosservata, e senza riconoscerne la benefica influenza, la stretta unione che, fino alla Rivoluzione francese, metteva in scambievoli rapporti, nel mondo cattolico, le due autorità stabilite da Dio: la Chiesa e lo Stato. L’intimità dei loro rapporti, sul terreno comune della vita pubblica, creava, generalmente, come un’atmosfera di spirito cristiano, che in buona parte dispensava dal lavoro delicato, cui oggi debbono sobbarcarsi i sacerdoti e i laici per assicurare la tutela e il valore pratico della fede» (Discorso al I Congresso Mondiale dell’Apostolato dei Laici, 14 ottobre 1951, in: Insegnamenti pontifici. Vol. 4, Il laicato, Ed. Paoline 1958, pag. 555).
(13) Cfr. Pio XII: «Potrà darsi che su questo o quel particolare sia necessario cedere davanti alla superiorità delle forze politiche. Ma in questo caso si pazienta, non si capitola. E’ ancora necessario, in caso simile, che si salvi la dottrina e si mettano in opera tutti i mezzi efficaci pera avviare la cosa a poco a poco al fine cui non si rinuncia» (Allocuzione ai padri di famiglia francesi, 18 settembre 1951, in: Insegnamenti pontifici. Vol. 6, La pace interna delle nazioni, Ed. Paoline 1962, pag. 613-614).
(14) Cfr., tra i tanti, questo passaggio di un discorso di Jules Ferry all’Assemblea Nazionale dell’11-12 giungo 1875: «Credo, signori, che nel fondo di questa dottrina (quella dei cattolici) esista qualcosa di molto diverso da una tesi liberale e voglio dirvi molto francamente e direttamente ciò che percepisco in essa. Vedo in essa la rivendicazione della Chiesa Cattolica del monopolio dell’insegnamento … Sia chiaro che la parola “libertà d’insegnamento” significa nel suo linguaggio una cosa molto diversa da quanto intendiamo noi (Approvazione della sinistra, esclamazioni dalla destra). Dal punto di vista liberale, la loro tesi non è coerente. Infatti, se chiunque ha il diritto di insegnare ha pure il diritto di conferire titoli è contraddittoria in se stessa, perché conduce, puramente e semplicemente, alla negazione assoluta dei titoli stessi».
I rivoluzionari, come dimenticano presto l’interesse che li spinge ad applaudire i cattolici liberali che servono la loro causa, così non hanno mai smesso di sottolineare l’assurdità profonda e la contraddizione fondamentale della loro posizione.
“Immaginate – scriveva Michelet – un nodo ferroviario dal quale si parte verso il nord per Lilla e verso il mezzogiorno per Burdeos. Chi sarà il tonto che ritiene che quelle strade si incontreranno? Si danno le spalle: quanto più avanzano, tanto più diventano lontani l’una dall’altra. Pensate, dunque, prima di salire su quei treni. Scegliete bene il vostro vagone. I democratici cristiani non cercano forse di salire su due treni alla volta, unendo i principi della Rivoluzione e del cattolicesimo?” (cit. in Mon curé à sa place, Cavalier y de Cheyssac, Bossard, edit.).
L’apostata Renan non sarà più delicato. Dopo aver segnalato nei suoi Souvenirs d’enfance et de jeunesse (Nelson edit., p. 21), che una “delle peggiori rovine intellettuali è quella dei giochi di parole”, se la prende con quel che egli chiama “l’illusione dei cattolici laici che si dicono liberali. Non sapendo di teologia né di esegesi, fanno dell’adesione al cristianesimo una semplice iscrizione ad un’associazione. Prendono e lasciano a piacere … Chiunque abbia studiato teologia non sarebbe capace di tali contraddizioni … Il cattolicesimo che io ho imparato non è questo bolso compromesso valido per laici, che ai nostri giorni ha dato luogo a tanti malintesi … ”.
Se questo è stato il verdetto di non cattolici dichiarati, si deve accettare la severità del Cardinal Billot quando, nel suo celebre trattato De Ecclesia, scriveva: “Il liberalismo dei cosiddetti ‘cattolici liberali’ è refrattario ad ogni classificazione e non possiede se non una sola nota distintiva e caratteristica: quella della più perfetta e assoluta incoerenza”.
“La verità di questa proposizione risalta facilmente – procede l’illustre teologo – anche solo considerando i termini uniti nella denominazione ‘cattolico – liberale’”.
Infatti, cattolico è chi professa gli insegnamenti della fede cristiana e, innanzi tutto, questa verità fondamentale contenuta nel catechismo: “Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell'altra in paradiso”.
Passiamo ora alla professione di fede liberale. Non c’è dubbio che il liberale, secondo l’attuale accezione del termine, è colui che professa, approva e cerca di promuovere i cosiddetti “immortali principi del 1789”.
Vediamo cosa contengono quei principi.
Innanzi tutto, mettiamo da parte ciò che, in quei principi, non ne fa propriamente parte in quanto preso dall’antico fondo comune del diritto naturale, della giustizia naturale di cui qui non parliamo.
Sostengo che quei principi, ridotti all’espressione più semplice e seguendo la loro più esatta comprensione, proclamano l’indipendenza delle cose umane di fronte alla cose divine; la sottrazione delle istituzioni civili alla legge religiosa, la separazione del regime temporale da quello che persegue il fine ultimo e supremo; infine, in una parola, il passaggio della Città a una sfera privata dove cessa la giurisdizione divina, dove per l’uomo termina l’obbligo di riconoscere Dio e rendergli culto …
Ecco il contenuto di quei principi e questa è interpretazione ad essi più favorevole. Infatti, lo spirito degli antenati della Rivoluzione che è, d’altra parte, perfettamente conforme alla logica dei fatti realmente accaduti, porta con se anche la secolarizzazione completa e assoluta, cioè l’espulsione del principio della sovranità di Dio dal mondo e la rottura definitiva di ogni società umana con la Chiesa, Gesù Cristo, Dio …
Anche non accettandoli che in modo mitigato, come non vedere che questi principi sono tali da essere inconciliabili con i principi fondamentali del cristianesimo?; che ogni tentativo di conciliazione non può dare, necessariamente, altro risultato che la più perfetta incoerenza?
Questa incoerenza appare, dapprima, tra coloro che distinguono tra i principi astratti e la loro applicazione riconoscendo come vero quanto si è detto sulla necessità dell’unione e subordinazione dei poteri, ma solo finché resta una verità esclusivamente speculativa.
Infatti, per costoro, una cosa è l’oggetto della speculazione, altro è quanto accade nell’ordine concreto, per molti aspetti in disaccordo con le condizioni della teoria: e così pensano di aver soddisfatto le esigenze della verità, relegandola alle regioni dell’astrazione.
Ci si permetta, ciò nonostante, una domanda: i principi che essi trattano come astratti, fanno parte o no del capitolo sulla morale? Forniscono o no una norma agli atti umani, una regola che domini il nostro agire, cioè un agire che nella società umana deve essere orientato nella direzione richiesta dal fine che si deve cercare di ottenere? E se, come è evidente, quei principi sono comandamenti pratici, come non tacciare di incoerente colui che li ammettesse e, allo stesso tempo, non volesse metterli in pratica?
Peraltro, dal fatto che l’ordine concreto delle cose differisce dalle condizioni ideali della teoria, si deduce soltanto che le cose concrete non avranno mai la perfezione dell’ideale; ma non si possono derivare altre deduzioni.
Con quel modo di ragionare, si potrebbe sostenere che anche i precetti relativi alle virtù devono essere relegati al campo della speculazioni, perché le condizioni della vita non permettono tale realizzazione. Allo stesso modo si potrebbe sostenere che le scienze matematiche non possono o non devono essere applicate alle arti, magari adducendo il pretesto che il triangolo ideale – esatto, geometrico – non si incontra nella realtà o perché l’effetto sperimentale contraddice sempre il rigore del calcolo.
La stessa incoerenza si riscontra nella distinzione tipica dei cattolici liberali tra il diritto e il fatto, tra ciò che il diritto dovrebbe essere e ciò che è, di fatto, utile alla Chiesa. “Di fatto – dicono essi – il regime di unione con lo Stato è sempre stato pernicioso per la Chiesa. Infatti, questa non ha mai sofferto mali peggiori che quelli dovuti alla presenza dei “vescovi esterni”, ossia dei principi protettori, come testimoniano le lotte incessanti con gli imperatori di Bisanzio, i Cesari germanici, i Re di Francia, Inghilterra e Spagna, ecc. … La Chiesa muore a causa degli appoggi temporali che si è imprudentemente procurata. Conclusione: non c’è che un solo mezzo di salvezza, la libertà. E’ la libertà che metterà sulla fronte augusta della Chiesa la sua perduta corona. Si confiderà nella libertà come in un’amica fedele e non sarà necessario sapararsi da essa in nome di principi a priori, che conviene lasciare religiosamente nella loro regione ideale, con tutto il rispetto ad essi dovuto”.
Ecco ciò che essi pretendono.
“La peggiore condizione del cristianesimo si raggiunge quando i cristiani detengono il potere politico” (F. Mauriac, cit. da Th. Le Moign-Klipfel in Ecclesia, giugno 1952).
Ma ciò che pretendono è incoerente.
Primo, perché se i principi a priori enunciano un ordine istituito e voluto da Dio, è impossibile che il suo abbandono vada a maggior vantaggio dalla Chiesa.
Secondo, perché i fatti evocati dai cattolici liberali provano soltanto che l’uomo, per la sua debolezza, corrompe frequentemente le istituzioni divine, senza provare che, per questa stessa ragione, ciò che Dio ha ordinato e regolato debba essere revocato o ripudiato, anche solo in parte.
Terzo, perché l’argomento storico addotto dai cattolici liberali pecca d’incompletezza, perché menziona solo i mali provocati dal regime d’unione e nasconde oppure omette gli immensi beni che derivarono da esso. Beni manifestamente così abbondanti che la protezione dei principi poté alcune volte degenerare in oppressione ma che fu, nella maggior parte dei casi, un grande soccorso e un potente aiuto per la Chiesa (12).
Quarto, perché il difetto di tale incompleta enumerazione è aggravato dal fatto che ci astiene dal confrontare i mali dovuti al regime d’unione con gli orrori provocati dal regime di separazione, essendo evidente che questi ultimi superano enormemente i primi, come è provato dall’esperienza che facciamo ogni giorno.
Quinto, perché nulla è più caratteristico in questa argomentazione illogica ed informe, che il ricorso alla Libertà come soluzione, poiché la libertà contiene una tendenza al male. Ed è questo che si vuole istituire come rimedio!
«Sì, ma – dicono costoro – l’unione e la subordinazione dei poteri, per quanto sia desiderabile in se stessa, è oggi irrealizzabile. Essa ripugna allo spirito moderno e, contro questo spirito, è impossibile lottare. Prudenza vuole, pertanto, che si accetti il nuovo stato di cose, sia per impedire che peggiori che per ricavarne il maggior frutto possibile».
Così, si attaccano a questo argomento, non avendone più altri.
Orbene, dicendo questo – come osserva giudiziosamente P. Matteo Liberatore S. J. – cadono in un’incoerenza peggiore della precedente, perché vanno fuori tema.
Infatti, non si tratta assolutamente di sapere se, data la perversità del nostro secolo, si debba soffrire pazientemente ciò che non possiamo impedire o si debba, invece, lottare senza tregua per evitare un male maggiore e cercare il bene possibile (13). La questione è, semplicemente, se dobbiamo prostrarci ai principi che sono alla base di questo ordine di cose, di promuoverli con la parola, l’insegnamento e l’azione, come fanno quanti – attribuendosi ancora il nome di cattolici – si vantano anche del nome di liberali.
Sono proprio queste persone che non giungeranno a nulla, perché tenendo i piedi in due staffe nel loro vano sforzo di conciliazione, non sono riconosciuti come veri fratelli dai figli di Dio, né come partigiani sinceri dai figli della Rivoluzione (14).
* * *
L’incoerenza è, dunque, il carattere fondamentale dell’atteggiamento cattolico-liberale. Se ne possono intuire le conseguenze disastrose.
E’ chiaro che tale tendenza verso la conciliazione dell’inconciliabile conduce all’indifferenza dogmatica: «una specie di cristianesimo vago e non definito – dirà San Pio X nella Singulari quadam - che si suol chiamare interconfessionale».Tendenza terribile per la fede della maggioranza, quella fede cioè non sufficientemente formata sui dogmi, che non è di difesa di un sentimento religioso non educato!
Questo è il pericolo intravisto da San Gregorio Magno quando, nei suoi Commentari al Libro di Giobbe, parla dei cristiani che, alla fine dei tempi, «obbedendo ad una falsa politica, saranno timidi e vigliacchi nel difendere la verità e, per una colpevole tolleranza, taceranno di fronte alla violazione delle leggi divine e umane. Predicheranno la prudenza e la politica mondane e pervertiranno, con i loro sofismi e la loro parlantina, lo spirito dei semplici».
La realtà è che «credendo di portare la fede in seno alle idee liberali alcuni l’hanno perduta» (Blanc de Saint-Bonnet).
Note
(12) Per questo aspetto si considerino le parole di Pio XII: «Né bisognerebbe lasciar passare inosservata, e senza riconoscerne la benefica influenza, la stretta unione che, fino alla Rivoluzione francese, metteva in scambievoli rapporti, nel mondo cattolico, le due autorità stabilite da Dio: la Chiesa e lo Stato. L’intimità dei loro rapporti, sul terreno comune della vita pubblica, creava, generalmente, come un’atmosfera di spirito cristiano, che in buona parte dispensava dal lavoro delicato, cui oggi debbono sobbarcarsi i sacerdoti e i laici per assicurare la tutela e il valore pratico della fede» (Discorso al I Congresso Mondiale dell’Apostolato dei Laici, 14 ottobre 1951, in: Insegnamenti pontifici. Vol. 4, Il laicato, Ed. Paoline 1958, pag. 555).
(13) Cfr. Pio XII: «Potrà darsi che su questo o quel particolare sia necessario cedere davanti alla superiorità delle forze politiche. Ma in questo caso si pazienta, non si capitola. E’ ancora necessario, in caso simile, che si salvi la dottrina e si mettano in opera tutti i mezzi efficaci pera avviare la cosa a poco a poco al fine cui non si rinuncia» (Allocuzione ai padri di famiglia francesi, 18 settembre 1951, in: Insegnamenti pontifici. Vol. 6, La pace interna delle nazioni, Ed. Paoline 1962, pag. 613-614).
(14) Cfr., tra i tanti, questo passaggio di un discorso di Jules Ferry all’Assemblea Nazionale dell’11-12 giungo 1875: «Credo, signori, che nel fondo di questa dottrina (quella dei cattolici) esista qualcosa di molto diverso da una tesi liberale e voglio dirvi molto francamente e direttamente ciò che percepisco in essa. Vedo in essa la rivendicazione della Chiesa Cattolica del monopolio dell’insegnamento … Sia chiaro che la parola “libertà d’insegnamento” significa nel suo linguaggio una cosa molto diversa da quanto intendiamo noi (Approvazione della sinistra, esclamazioni dalla destra). Dal punto di vista liberale, la loro tesi non è coerente. Infatti, se chiunque ha il diritto di insegnare ha pure il diritto di conferire titoli è contraddittoria in se stessa, perché conduce, puramente e semplicemente, alla negazione assoluta dei titoli stessi».
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Ap - Nemici della Ch: Le quinte colonne della secolarizzazione (VIII)
30
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Ago2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset [IMPOTENZA DEL CATTOLICI LIBERALI] Con la volontà di conciliare l'inconciliabile - essenzialmente assurda -, pretendendo di unire la negazione all'affermazione, l'errore e la verità, la Rivoluzione e la Chiesa, il cattolicesimo liberale non poteva condurre ad altro che al deplorevole affondamento del senso della verità, dell'amore della verità.
IMPOTENZA DEL CATTOLICI LIBERALI
La loro volontà di conciliare l’inconciliabile - essenzialmente assurda - snerva fatalmente ciò che è, che deve essere elementare in ogni essere intelligente: l’odio verso l’errore e l’amore alla verità. «L’affermazione viene uccisa – diceva Mons. Pie – se la si lascia indifferentemente accanto alla negazione»: pretendendo di unire la negazione all’affermazione, vale a dire la Rivoluzione e la Chiesa, il cattolicesimo liberale non poteva condurre ad altro che al deplorevole affondamento del senso della verità, separandola dal di lei amore.
«Il favore a tali equivoci, il mascherare tutti gli errori, il diffonderli uno dopo l’altro dando a ciascuno il nome di una verità, è la calamità suprema – diceva Blanc de Saint-Bonnet -. Questo è aver trovato il mezzo per accecare definitivamente gli uomini … Per questo motivo, colui che oggi nega la verità fa meno danni di quegli che la proclama a metà. In Francia c’è sufficiente buon senso per scorgere il primo errore, ma non si conosce abbastanza la filosofia per vedere il secondo. La parvenza di verità con cui si riveste il cattolicesimo liberale, se da un lato attrae nuove reclute, dall’altro mantiene la società nell’impotenza di lottare contro l’errore … Poi, quando il male ha messo radici profonde, i liberali dichiarano che non si può far meglio che ritirarsi prudentemente. Dopo essersi impossessati delle masse con l’errore, il conquistare le altre classi con la paura è come condurre la società all’ultima capitolazione … ”.
Siamo di fronte a un ottimismo ingenuo, quando non criminale: utile nella prima fase per bloccare, nella seconda per condurre all’abbandono totale della lotta. Tale è lo spettacolo che ci han dato e ci danno i cattolici liberali.
Essi cominciano col dire che tra la Chiesa e la Rivoluzione non ci sono che fraintendimenti; che sarebbe sufficiente se i cattolici fossero concilianti perché il nemico lasciasse cadere le armi. Tuttavia, una volta fatte queste concessioni, non appena il tumulto aumenta, presentano l’abdicazione come unica soluzione possibile.
Curiosi soldati, in verità, che vorrebbero essere considerati come conquistatori quando non hanno proposto altro che abbandoni, ripiegamenti, concessioni e ritirate. Curiosi soldati che, ad ogni avanzata del nemico, si sforzano di dimostrare la legittimità delle proprie sconfitte. Ieri c’era il problema del trionfo delle leggi laiche? Se diamo loro ascolto, niente di essenziale era stato perduto, giacché lo stesso potere temporale del Papa è ben diverso da quello spirituale. Se li ascoltiamo, è la società cristiana del Medio Evo quella che offriva tutti i segni di una “penosa” confusione, mentre quella odierna darebbe, tutto sommato, l’esempio di ciò che è sempre stato lo spirito del cristianesimo.
L’avventura di ciò che è stato chiamato “ralliement” è, a questo proposito, molto significativa. Poche volte si è verificato che il cosiddetto “finire con la capitolazione” sia stato portato così lontano dai cattolici liberali.
Quando si sa contro cosa Leone XIII chiedeva di fare fronte, quando si conosce perché supplicava di unirsi “come un sol uomo”, quando si scopre cosa si è invece cercato di far passare sotto l’etichetta di “ralliement”, è impossibile non vedere che è esattamente il contrario di quel che chiedeva con la Au milieu de solicitudes ad essere stato realizzato.
Il “ralliement”, che per l’evidente tradimento dei cattolici liberali, ha portato all’accettazione pura e semplice delle conquiste della Rivoluzione, nel pensiero di Leone XIII era e doveva essere una mobilitazione generale di tutte le forze cattoliche. Il Sovrano Pontefice, nel suo appello del 16 febbraio 1892, lungi dall’invitare ad un’accettazione dell’aggressivo laicismo, invitava i cristiani di Francia a combattere per una città cattolica (15).
Con il pretesto di liberare la religione dalla politica, fu "liberata" la politica dalla religione: che è cosa ben diversa, non essendo altro che laicismo (16).
Tuttavia, come aveva già osservato Montalembert «certi sacerdoti parlano di Nostro Signore Gesù Cristo come del “divino repubblicano”. E’ sempre lo stesso spirito di adorazione servile della forza laica e del potere vincente» (Lettera di Montalembert a Dom Gueranger).
Quanti continuano a censurare i cortigiani e i “preti di corte” dell’Ancien Regime e non si rendono conto della bassezza e del servilismo davanti al sovrano dei nostri giorni, che non è già il Re Cristianissimo, ma la massa, l’opinione, la Rivoluzione! Ecco il segreto dell’impotenza liberale e, finalmente, del suo tradimento. Da ciò la celebre confessione del comunista Florimond Bonte (a Lilla, il 10-4-1927): «Quanto a voi, democratici cristiani, noi non vi combattiamo. Ci siete troppo utili. Se volete sapere quale compito portate avanti, guardatemi. Esco dalle vostre fila. Prima della guerra ero uno dei vostri. Successivamente sono giunto alla logica conclusione dei principi che mi avete insegnato. Grazie a voi, il comunismo penetra dove mai lascereste entrare i suoi uomini: nelle vostre scuole, nei vostri patronati, nei vostri centri culturali e nei vostri sindacati. Continuate a lavorare intensamente. Tutto ciò che farete per voi, democratici cristiani, lo farete a favore della Rivoluzione comunista».
Si comprende, a questo punto, la severità dei giudizi della Chiesa.
«Vi sono alcuni che mostrano di voler marciare in accordo coi nostri nemici – scriveva Pio IX– e che si sforzano di stabilire un’alleanza tra la giustizia e l’iniquità per mezzo delle dottrine cosiddette cattolico-liberali, le quali, poggiando sui principi più perniciosi, lusingano il potere laico quando invade gli ambiti spirituali e trascinano gli animi al rispetto o almeno alla tolleranza delle leggi più inique, quasi non fosse scritto “nessuno può servire due padroni”. Questi sono molto più pericolosi e più fatali degli aperti nemici, sia perché inosservati, e forse anche senza che se ne accorgano gli sforzi loro, sia perché limitandosi fra certi confini di riprovate opinioni, presentano un’apparenza di probità e di intemerata dottrina, la quale affascina gl’imprudenti amatori delle conciliazioni, e trae in inganno gli onesti, i quali si opporrebbero all’errore aperto; e così dividono gli animi, squarciano l’unità, e fiaccano quelle forze che insieme unite si dovrebbero opporre agli avversari». (17)
Ancora una volta, non ci compete descrivere qui quale fu la responsabilità o il grado di colpevolezza di coloro che han fatto sparire il Syllabus.
Basti sapere che fu, effettivamente, fatto scomparire. Ci è sufficiente il fatto che lo fu per ottenere un fine che, come veniva detto, il rigore del Sillabo impediva di ottenere. Basti, soprattutto, vedere a quale bel risultato è stata portata la società grazie alle giravolte di questa alta strategia.
Poco dopo la guerra del 1870, l’Assemblea Nazionale ce ha lasciato un esempio: «Era in gran parte composta da liberali – scrive Samuel Denis (Histoire contemporaine, t. IV, p. 647) – che, per colmo, erano cristiani ferventi e convinti».
Orbene, «Composta – come osserva il canonico Roul (in L’Eglise catolique et le droit commun, Castermann edit., Parigi) – da monarchici, l’Assemblea nazionale non seppe restituire la Francia al suo re. Composta in maggioranza da cattolici, non seppe restituire la Francia al suo Dio. E’ un fatto, a prima vista, inesplicabile. Smette di esserlo quando si considera fino a che punto l’Assemblea era sottomessa al liberalismo».
Nell’Univers del 22 febbraio 1876, Louis Veuillot potrà, dunque, ricavare la lezione di un’Assemblea Nazionale composta praticamente da cattolici liberali: «Tutto il male da essi temuto è aumentato. Tutto il bene che potevano sperare e che dovevano conservare è morto. Le loro intenzioni potevano essere anche eccellenti, ma hanno realizzato molto bene il male, e han compiuto molto male il bene».
Note
(15) Si vedano questi passaggi dell’Enciclica menzionata: «tutti i cittadini sono tenuti ad allearsi per mantenere alla nazione il sentimento religioso vero, e per difenderlo al bisogno, se mai una scuola atea, in dispetto delle proteste della natura e della storia, si sforzasse di cacciar Dio dalla società, sicura con ciò di annientare tosto il senso morale al fondo stesso della coscienza umana. Su questo punto, tra uomini che non hanno perduto la nozione dell’onestà, nessun dissidio è possibile … Povera Francia! Dio solo può misurare l’abisso di mali in cui piomberebbe, se questa legislazione, lungi dal migliorarsi, s’ostinasse in un tal traviamento, che finirebbe per strappare dalla mente e dal cuore dei Francesi la Religione che li ha resi così grandi. Ed ecco precisamente il terreno sul quale, messo da banda ogni dissenso politico, i buoni debbono unirsi come un sol uomo per combattere, con tutti i mezzi legali ed onesti, tali abusi progressivi della legislazione … non si possono mai approvare quei punti di legislazione, che siano ostili alla Religione e a Dio; v’è, al contrario, il dovere di riprovarli … I Cattolici perciò si guardino con somma cura dal sostenere una tale separazione. Infatti, volere che lo Stato si separi dalla Chiesa, sarebbe per conseguenza logica volere che la Chiesa fosse ridotta alla libertà di vivere secondo il diritto comune a tutti i cittadini. Questa situazione, egli è vero, si produce in certi Paesi … Ma nella Francia, nazione cattolica per le sue tradizioni e per la Fede presente della grande maggioranza dei suoi figli, la Chiesa non deve essere posta nella condizione precaria, che subisce presso altri popoli» (Leone XIII, Enciclica Au milieu des solicitudes, del 16 Febbraio 1892).
Alla luce di questi testi, notiamo il seguente passaggio, estratto da un articolo di Jean Bouvard, apparso su La Còte-d’or Catolique di venerdì 23 gennaio 1953, nel quale – a proposito del “ralliement” – si dice: «La solenne esortazione di Papa Leone XIII, che invitava ‘tutte le famiglie spirituali francesi’ a stringersi attorno alla Repubblica, è un fatto che si deve ricordare fino a quando i detrattori del regime non lo sostituiranno con qualcosa di meglio, anche se volessero addurre a proprio favore la copertura .. teologica o presunta tale».
Presentare il “ralliement” come una solenne esortazione di Papa Leone XIII rivolta a tutte “le famiglie spirituali francesi” per stringersi solo attorno alla Repubblica! C’è solo da ricavarne la certezza della grassa ignoranza della maggior parte dei lettori su questa questione, perché uno scrittore si azzardi a parlarne sperando che vengano stampate bugie tanto grossolane. Siamo di fronte a un altro documento da aggiungere all’espediente di quel che Padre Meinville ha chiamata scherzando «la deformazione singolare, cosciente o meno, ma metodica e costante, degli insegnamenti pontifici di Leone XIII».
(16) Cfr. Leone XIII, Enc. Cum multa sint dell’8-12-1882: «Taluni infatti sono soliti distinguere la politica dalla religione, non solo ma addirittura le disgiungono nettamente in modo che nulla vi vogliono scorgere di comune né ritengono che l’una possa influire sull’altra. Costoro, per certo, non sono molto lontani da chi preferisce una società costituita e amministrata senza Dio Creatore e Signore di tutte le cose».
(17) Lettera Per tristissima al Circolo Sant’Ambrogio di Milano, del 6-3-1873, parz. in: Insegnamenti pontifici. Vol. 11, La Chiesa, Ed. Paoline 1961, pag. 320-321.
Ugualmente, rivolgendosi alla Federazione dei Circoli Cattolici del Belgio, Pio IX tornerà sulla stessa idea: «Ciò che più lodiamo nella vostra impresa religiosa è che siete – si dice – pieni di avversione contro i principi cattolico liberali, i quali cercate di cancellare dagli intelletti tanto quanto vi è possibile. Quanti sono imbevuti di tali principi fanno professione, è vero, di amore e rispetto alla Chiesa e sembrano consacrarsi ala sua difesa con l’intelligenza e le opere; tuttavia non lavorano meno a pervertire il suo spirito e la sua dottrina: ciascuno di costoro, a seconda della particolare modo d’essere del suo spirito, propende a mettersi al servizio di Cesare o di quanti inventano diritti in favore della falsa libertà. Questo errore insidioso è più pericoloso di un’aperta inimicizia, perché si copre col velo ingannevole dello zelo e della carità e, sforzandovi di combatterlo e ponendo un’attenta cura nell’allontanare da esso gli ingenui, estirperete la fatale radice delle discordie e lavorerete efficacemente a produrre e mantenere una stretta unità nelle anime …».
La loro volontà di conciliare l’inconciliabile - essenzialmente assurda - snerva fatalmente ciò che è, che deve essere elementare in ogni essere intelligente: l’odio verso l’errore e l’amore alla verità. «L’affermazione viene uccisa – diceva Mons. Pie – se la si lascia indifferentemente accanto alla negazione»: pretendendo di unire la negazione all’affermazione, vale a dire la Rivoluzione e la Chiesa, il cattolicesimo liberale non poteva condurre ad altro che al deplorevole affondamento del senso della verità, separandola dal di lei amore.
«Il favore a tali equivoci, il mascherare tutti gli errori, il diffonderli uno dopo l’altro dando a ciascuno il nome di una verità, è la calamità suprema – diceva Blanc de Saint-Bonnet -. Questo è aver trovato il mezzo per accecare definitivamente gli uomini … Per questo motivo, colui che oggi nega la verità fa meno danni di quegli che la proclama a metà. In Francia c’è sufficiente buon senso per scorgere il primo errore, ma non si conosce abbastanza la filosofia per vedere il secondo. La parvenza di verità con cui si riveste il cattolicesimo liberale, se da un lato attrae nuove reclute, dall’altro mantiene la società nell’impotenza di lottare contro l’errore … Poi, quando il male ha messo radici profonde, i liberali dichiarano che non si può far meglio che ritirarsi prudentemente. Dopo essersi impossessati delle masse con l’errore, il conquistare le altre classi con la paura è come condurre la società all’ultima capitolazione … ”.
Siamo di fronte a un ottimismo ingenuo, quando non criminale: utile nella prima fase per bloccare, nella seconda per condurre all’abbandono totale della lotta. Tale è lo spettacolo che ci han dato e ci danno i cattolici liberali.
Essi cominciano col dire che tra la Chiesa e la Rivoluzione non ci sono che fraintendimenti; che sarebbe sufficiente se i cattolici fossero concilianti perché il nemico lasciasse cadere le armi. Tuttavia, una volta fatte queste concessioni, non appena il tumulto aumenta, presentano l’abdicazione come unica soluzione possibile.
Curiosi soldati, in verità, che vorrebbero essere considerati come conquistatori quando non hanno proposto altro che abbandoni, ripiegamenti, concessioni e ritirate. Curiosi soldati che, ad ogni avanzata del nemico, si sforzano di dimostrare la legittimità delle proprie sconfitte. Ieri c’era il problema del trionfo delle leggi laiche? Se diamo loro ascolto, niente di essenziale era stato perduto, giacché lo stesso potere temporale del Papa è ben diverso da quello spirituale. Se li ascoltiamo, è la società cristiana del Medio Evo quella che offriva tutti i segni di una “penosa” confusione, mentre quella odierna darebbe, tutto sommato, l’esempio di ciò che è sempre stato lo spirito del cristianesimo.
L’avventura di ciò che è stato chiamato “ralliement” è, a questo proposito, molto significativa. Poche volte si è verificato che il cosiddetto “finire con la capitolazione” sia stato portato così lontano dai cattolici liberali.
Quando si sa contro cosa Leone XIII chiedeva di fare fronte, quando si conosce perché supplicava di unirsi “come un sol uomo”, quando si scopre cosa si è invece cercato di far passare sotto l’etichetta di “ralliement”, è impossibile non vedere che è esattamente il contrario di quel che chiedeva con la Au milieu de solicitudes ad essere stato realizzato.
Il “ralliement”, che per l’evidente tradimento dei cattolici liberali, ha portato all’accettazione pura e semplice delle conquiste della Rivoluzione, nel pensiero di Leone XIII era e doveva essere una mobilitazione generale di tutte le forze cattoliche. Il Sovrano Pontefice, nel suo appello del 16 febbraio 1892, lungi dall’invitare ad un’accettazione dell’aggressivo laicismo, invitava i cristiani di Francia a combattere per una città cattolica (15).
Con il pretesto di liberare la religione dalla politica, fu "liberata" la politica dalla religione: che è cosa ben diversa, non essendo altro che laicismo (16).
Tuttavia, come aveva già osservato Montalembert «certi sacerdoti parlano di Nostro Signore Gesù Cristo come del “divino repubblicano”. E’ sempre lo stesso spirito di adorazione servile della forza laica e del potere vincente» (Lettera di Montalembert a Dom Gueranger).
Quanti continuano a censurare i cortigiani e i “preti di corte” dell’Ancien Regime e non si rendono conto della bassezza e del servilismo davanti al sovrano dei nostri giorni, che non è già il Re Cristianissimo, ma la massa, l’opinione, la Rivoluzione! Ecco il segreto dell’impotenza liberale e, finalmente, del suo tradimento. Da ciò la celebre confessione del comunista Florimond Bonte (a Lilla, il 10-4-1927): «Quanto a voi, democratici cristiani, noi non vi combattiamo. Ci siete troppo utili. Se volete sapere quale compito portate avanti, guardatemi. Esco dalle vostre fila. Prima della guerra ero uno dei vostri. Successivamente sono giunto alla logica conclusione dei principi che mi avete insegnato. Grazie a voi, il comunismo penetra dove mai lascereste entrare i suoi uomini: nelle vostre scuole, nei vostri patronati, nei vostri centri culturali e nei vostri sindacati. Continuate a lavorare intensamente. Tutto ciò che farete per voi, democratici cristiani, lo farete a favore della Rivoluzione comunista».
Si comprende, a questo punto, la severità dei giudizi della Chiesa.
«Vi sono alcuni che mostrano di voler marciare in accordo coi nostri nemici – scriveva Pio IX– e che si sforzano di stabilire un’alleanza tra la giustizia e l’iniquità per mezzo delle dottrine cosiddette cattolico-liberali, le quali, poggiando sui principi più perniciosi, lusingano il potere laico quando invade gli ambiti spirituali e trascinano gli animi al rispetto o almeno alla tolleranza delle leggi più inique, quasi non fosse scritto “nessuno può servire due padroni”. Questi sono molto più pericolosi e più fatali degli aperti nemici, sia perché inosservati, e forse anche senza che se ne accorgano gli sforzi loro, sia perché limitandosi fra certi confini di riprovate opinioni, presentano un’apparenza di probità e di intemerata dottrina, la quale affascina gl’imprudenti amatori delle conciliazioni, e trae in inganno gli onesti, i quali si opporrebbero all’errore aperto; e così dividono gli animi, squarciano l’unità, e fiaccano quelle forze che insieme unite si dovrebbero opporre agli avversari». (17)
Ancora una volta, non ci compete descrivere qui quale fu la responsabilità o il grado di colpevolezza di coloro che han fatto sparire il Syllabus.
Basti sapere che fu, effettivamente, fatto scomparire. Ci è sufficiente il fatto che lo fu per ottenere un fine che, come veniva detto, il rigore del Sillabo impediva di ottenere. Basti, soprattutto, vedere a quale bel risultato è stata portata la società grazie alle giravolte di questa alta strategia.
Poco dopo la guerra del 1870, l’Assemblea Nazionale ce ha lasciato un esempio: «Era in gran parte composta da liberali – scrive Samuel Denis (Histoire contemporaine, t. IV, p. 647) – che, per colmo, erano cristiani ferventi e convinti».
Orbene, «Composta – come osserva il canonico Roul (in L’Eglise catolique et le droit commun, Castermann edit., Parigi) – da monarchici, l’Assemblea nazionale non seppe restituire la Francia al suo re. Composta in maggioranza da cattolici, non seppe restituire la Francia al suo Dio. E’ un fatto, a prima vista, inesplicabile. Smette di esserlo quando si considera fino a che punto l’Assemblea era sottomessa al liberalismo».
Nell’Univers del 22 febbraio 1876, Louis Veuillot potrà, dunque, ricavare la lezione di un’Assemblea Nazionale composta praticamente da cattolici liberali: «Tutto il male da essi temuto è aumentato. Tutto il bene che potevano sperare e che dovevano conservare è morto. Le loro intenzioni potevano essere anche eccellenti, ma hanno realizzato molto bene il male, e han compiuto molto male il bene».
Note
(15) Si vedano questi passaggi dell’Enciclica menzionata: «tutti i cittadini sono tenuti ad allearsi per mantenere alla nazione il sentimento religioso vero, e per difenderlo al bisogno, se mai una scuola atea, in dispetto delle proteste della natura e della storia, si sforzasse di cacciar Dio dalla società, sicura con ciò di annientare tosto il senso morale al fondo stesso della coscienza umana. Su questo punto, tra uomini che non hanno perduto la nozione dell’onestà, nessun dissidio è possibile … Povera Francia! Dio solo può misurare l’abisso di mali in cui piomberebbe, se questa legislazione, lungi dal migliorarsi, s’ostinasse in un tal traviamento, che finirebbe per strappare dalla mente e dal cuore dei Francesi la Religione che li ha resi così grandi. Ed ecco precisamente il terreno sul quale, messo da banda ogni dissenso politico, i buoni debbono unirsi come un sol uomo per combattere, con tutti i mezzi legali ed onesti, tali abusi progressivi della legislazione … non si possono mai approvare quei punti di legislazione, che siano ostili alla Religione e a Dio; v’è, al contrario, il dovere di riprovarli … I Cattolici perciò si guardino con somma cura dal sostenere una tale separazione. Infatti, volere che lo Stato si separi dalla Chiesa, sarebbe per conseguenza logica volere che la Chiesa fosse ridotta alla libertà di vivere secondo il diritto comune a tutti i cittadini. Questa situazione, egli è vero, si produce in certi Paesi … Ma nella Francia, nazione cattolica per le sue tradizioni e per la Fede presente della grande maggioranza dei suoi figli, la Chiesa non deve essere posta nella condizione precaria, che subisce presso altri popoli» (Leone XIII, Enciclica Au milieu des solicitudes, del 16 Febbraio 1892).
Alla luce di questi testi, notiamo il seguente passaggio, estratto da un articolo di Jean Bouvard, apparso su La Còte-d’or Catolique di venerdì 23 gennaio 1953, nel quale – a proposito del “ralliement” – si dice: «La solenne esortazione di Papa Leone XIII, che invitava ‘tutte le famiglie spirituali francesi’ a stringersi attorno alla Repubblica, è un fatto che si deve ricordare fino a quando i detrattori del regime non lo sostituiranno con qualcosa di meglio, anche se volessero addurre a proprio favore la copertura .. teologica o presunta tale».
Presentare il “ralliement” come una solenne esortazione di Papa Leone XIII rivolta a tutte “le famiglie spirituali francesi” per stringersi solo attorno alla Repubblica! C’è solo da ricavarne la certezza della grassa ignoranza della maggior parte dei lettori su questa questione, perché uno scrittore si azzardi a parlarne sperando che vengano stampate bugie tanto grossolane. Siamo di fronte a un altro documento da aggiungere all’espediente di quel che Padre Meinville ha chiamata scherzando «la deformazione singolare, cosciente o meno, ma metodica e costante, degli insegnamenti pontifici di Leone XIII».
(16) Cfr. Leone XIII, Enc. Cum multa sint dell’8-12-1882: «Taluni infatti sono soliti distinguere la politica dalla religione, non solo ma addirittura le disgiungono nettamente in modo che nulla vi vogliono scorgere di comune né ritengono che l’una possa influire sull’altra. Costoro, per certo, non sono molto lontani da chi preferisce una società costituita e amministrata senza Dio Creatore e Signore di tutte le cose».
(17) Lettera Per tristissima al Circolo Sant’Ambrogio di Milano, del 6-3-1873, parz. in: Insegnamenti pontifici. Vol. 11, La Chiesa, Ed. Paoline 1961, pag. 320-321.
Ugualmente, rivolgendosi alla Federazione dei Circoli Cattolici del Belgio, Pio IX tornerà sulla stessa idea: «Ciò che più lodiamo nella vostra impresa religiosa è che siete – si dice – pieni di avversione contro i principi cattolico liberali, i quali cercate di cancellare dagli intelletti tanto quanto vi è possibile. Quanti sono imbevuti di tali principi fanno professione, è vero, di amore e rispetto alla Chiesa e sembrano consacrarsi ala sua difesa con l’intelligenza e le opere; tuttavia non lavorano meno a pervertire il suo spirito e la sua dottrina: ciascuno di costoro, a seconda della particolare modo d’essere del suo spirito, propende a mettersi al servizio di Cesare o di quanti inventano diritti in favore della falsa libertà. Questo errore insidioso è più pericoloso di un’aperta inimicizia, perché si copre col velo ingannevole dello zelo e della carità e, sforzandovi di combatterlo e ponendo un’attenta cura nell’allontanare da esso gli ingenui, estirperete la fatale radice delle discordie e lavorerete efficacemente a produrre e mantenere una stretta unità nelle anime …».
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Ap - Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (IX)
05
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Set2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” (Affinché Egli regni), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237.) [LA METAMORFOSI DEI CATTOLICI-LIBERALI] Il cattolicesimo liberale fu chiaramente condannato dalla Chiesa ed era perciò obbligato ad alcune precauzioni. Non è strano, pertanto, che il cattolicesimo liberale abbia sempre cercato formule nuove, capaci di sfuggire alle censure romane. L’Americanismo fu uno dei “sottoprodotti” del cattolicesimo liberale come disse Augusto Sabatier, decano della facoltà di teologia protestante di Parigi affermando che «l’americanismo è figlio del liberalismo».
LA METAMORFOSI DEI CATTOLICI-LIBERALI
Nel giungere a quella che fu chiamata “la prova del potere”, il cattolicesimo liberale era chiaramente condannato dalla Chiesa ed era perciò obbligato ad alcune precauzioni.
Non è strano, pertanto, che il cattolicesimo liberale, condannato benché vittorioso, abbia sempre cercato formule nuove, capaci di sfuggire alle censure romane. I suoi fedeli ritenevano, infatti, che le condanne fossero dovute più all’uso di formule imprudenti, al significato letterale delle parole, molto più che dal loro contenuto ideologico. Perciò ebbero la costante tendenza a dire le stesse cose con modi differenti.
L’Americanismo fu uno dei “sottoprodotti” del cattolicesimo liberale e Augusto Sabatier, allora decano della facoltà di teologia protestante di Parigi, certamente non si sbagliò affermando che «l’americanismo è figlio del liberalismo».
D’altra parte, qualunque sia stata la sincerità di coloro che lo professavano, si deve convenire sul fatto che le loro nuove tesi erano più efficaci. Non c’era più la pretesa di affermare che la Rivoluzione venisse dal Vangelo o che era necessario operare per la riconciliazione tra Chiesa e sovversione. Non si doveva più nemmeno parlare di Rivoluzione: al suo posto si doveva utilizzare l’espressione “civiltà moderna”.
«Il pensiero dominante – scriveva Augusto Sabatier – è quello d’unire il secolo con la Chiesa, di cercare una conciliazione tra la tradizione della Chiesa e le aspirazioni del secolo, di far cessare il conflitto tra la teologia dei seminari e le scienze moderne …».
Molto più chiaramente, Leone XIII scriveva nella sua Lettera al Card. Gibbons: «Il fondamento dunque delle nuove opinioni accennate a questo si può ridurre: perché coloro che dissentono possano più facilmente essere condotti alla dottrina cattolica, la chiesa deve avvicinarsi maggiormente alla civiltà del mondo progredito, e, allentata l'antica severità, deve accondiscendere alle recenti teorie e alle esigenze dei popoli. E molti pensano che ciò debba intendersi, non solo della disciplina del vivere, ma anche delle dottrine che costituiscono il "deposito della fede". Pretendono perciò che sia opportuno, per accattivarsi gli animi dei dissidenti, che alcuni capitoli di dottrina, per così dire di minore importanza, vengano messi da parte o siano attenuati, così da non mantenere più il medesimo senso che la chiesa ha tenuto costantemente per fermo» (Lett. Enc. Testem benevolentiae, 22-1-1899).
Tratto significativo: l’atteggiamento degli americanisti di fronte alla condanna di Leone XIII fu quello dei giansenisti. Approvarono pubblicamente gli insegnamenti del Papa nella Testem benevolentiae, ma proclamarono per ogni dove che tale eresia non era mai esistita e che il condannarla era lottare contro castelli in aria (18). Tuttavia, per i sostenitori della tesi della “eresia fantasma”, è deplorevole che i nemici della Chiesa abbiano dato un’importanza sorprendente alla realtà del pericolo denunciato da Leone XIII.
«I vinti – scriverà in “Le Siècle” Raoul Ollier (del 12 marzo 1899) – sono uomini che potranno anche avere ristrettezza di vedute, ma sognavano un inizio di riconciliazione tra la loro fede religiosa e il loro amore alla libertà. I vincitori sono i più furibondi apologisti del fanatismo, sono gli ispiratori e i redattori di fogli che vorrebbero riportarci ai tempi delle guerre di religione».
“Le Temps” (del 24 marzo 1899), organo del protestantesimo, era meno pessimista: «Coloro che, nel clero come tra i laici, cercano un rinnovamento, un’azione sociale più profonda, un rapporto più cordiale con la società moderna, non hanno motivo di perdersi d’animo … ».
Il protestante Sabatier indica come gli americanisti potrebbero «trionfare di tutte le resistenze …». «Raddoppiando – affermava – i loro atti di sottomissione alla Santa Sede, motivando tutto con l’autorità del Papa e facendo professione di una piena obbedienza alle sue direttive» (Cfr. i due articoli apparsi nel Journal de Genéve Il 20 ottobre 1898 e il 19 marzo 1899).
Sempre di taglio protestante, ne “La Revue Chrétienne» (1 ottobre 1899), uno dei protagonisti del movimento, il rinnegato Abate Charbonnel, non dubitava di scrivere: «E’ proprio quello che succederà, è il modo con cui si produrrà il guadagno più temibile per la Chiesa Cattolica. L’abate X, come tutti i difensori dell’americanismo, senza voler ascoltare ragioni , si chiuderà nelle sue promesse di obbedienza e di fedeltà, continuando a diffondere le idee attive che risveglieranno l’indipendenza personale e la libera vitalità delle coscienze. Tanto meglio! Noi non dobbiamo fare altro che osservare come poco a poco si svilupperà la loro opera».
Di conseguenza, si tratta di un pericolo derivane da una tattica posta intelligentemente in luce dal P. Charles Maignen in “Nouveau catholicisme et nouveau clergé” (pp. 435-436): «I moderni innovatori non pretendono assolutamente di farla finita con Roma, né di sollevarsi apertamente contro l’autorità pontificia, ma hanno confessato chiaramente di accoppiare, in un certo senso, l’influenza di quella stessa autorità e di farla servire all’avvento del loro partito. Nel campo della teoria, per gli innovatori non si tratta già di negare un dogma, ma di dare, a seconda dell’occasione che si presenta, un senso nuovo a tutti dogmi. Nel campo dei fatti, la questione non è se resistere al Papa, ma di far credere alla pubblica opinione che quanti guidano il partito sono gli unici interpreti fedeli del pensiero del Papa. Gli innovatori dispongono di mezzi potenti per conseguire i loro scopi: uno – che è di ogni tempo – è l’intrigo, attraverso il quale si sforzano di far penetrare i propri partigiani all’interno della Chiesa e dello Stato. Un altro, molto moderno e molto temibile, è la stampa, che sanno usare abilmente per creare un clima di generale simpatia verso tali correnti d’opinione, tanto più perniciose alla vita della Chiesa quanto più sembrano inoffensive e spontanee».
* * *
Fu pertanto naturale vedere come l’onda modernista irrompesse poco dopo questo americanismo che, secondo quanto si diceva, non era mai esistito. Con il modernismo, si otterrà il trionfo della tattica dell’eresia - consistente nel non abbandonare la Chiesa per operare segretamente al suo interno - come mai era accaduto.
La stessa Enciclica Pascendi, sebbene dovesse riuscire nello smascherare l’errore, non riuscirà a far abbandonare ai settari «il disegno di turbare la pace della Chiesa», come si legge nel Motu proprio Sacrorum Antistitum (del 1 settembre 1910) di San Pio X: «Non cessano, infatti, di attrarre e congregare in assemblee segrete nuovi aderenti e, grazie alla loro mediazione, inoculare nelle vene della società cristiana il veleno delle loro opinioni pubblicando libri e riviste nelle quali nascondono o mascherano i nomi dei redattori … ».
Orbene, cosa fu il modernismo se non un nuovo tentativo, il più insidioso, il più abile, il più universale di tutti, per cercare di realizzare l’impossibile sogno dei cattolici liberali e degli americanisti?
Infatti, nella Pascendi, San Pio X parla dei modernisti «che fanno propri» i principi degli americanisti. Nell’Enciclica condanna, ancora una volta, la preferenza concessa alle cosiddette “virtù attive” a detrimento di quelle virtù evangeliche qualificate come “passive”.
«Più che mai – segnala Mons. Cauly (19) – il nemico ha compreso che per trionfare, invece di lottare frontalmente contro il cattolicesimo, era necessario crearsi degli alleati nel suo seno, che lavorassero per trasformarlo e distruggerlo. Per conseguire questo fine, il liberalismo cerca, sotto il nome di modernismo, di penetrare al cuore stesso della Chiesa per strapparle non solo i laici ma anche i sacerdoti, incaricati della cura d’anime. Gli innovatori, che professano le opinioni più contraddittorie, sono d’accordo nel chiedere che, nella Chiesa come nella società civile, il popolo sia sovrano e che le idee da questo successivamente formulate, o trasformate e ringiovanite dalla coscienza universale, vengano introdotte nell’insegnamento impartito al clero …».
Cosa ha fatto il modernismo?
Una rivista che difendeva la causa della Chiesa, “Corrispondenza romana”, disse: «Il modernismo è stato vinto da Pio X, ma si tratta del modernismo organizzato, dottrinale. Resta lo stato dell’anima modernista …».
Sarà temerario attribuire troppa importanza a certe ammissioni?
Per esempio a quella del modernista tedesco Schell, dopo che fu inserito nell’"Indice" dei libri proibiti: «Facendo ciò, si credeva di screditarci nell’anima dei nostri partigiani; ancor più, mi si forzava a separarmi dalla Chiesa per una mancata sottomissione … Questo sarebbe stato il trionfo dei miei avversari. I miei numerosi partigiani non vogliono separarsi dalla Chiesa: nonostante tutte le misure che possa prendere la reazione, vogliono introdurre in essa tali tendenze» (Estratti dalla corrispondenza di Schell citati da Mons. Cauly, op. cit.).
«I modernisti rimangono nel cattolicesimo – scriverà a sua volta un modernista inglese, nel “Journal de Genève” (Cit. da Mons. Cauly, op. cit., p. 142) – perché per essi è l’unica maniera per continuare ad essere qualcosa. Il giorno in cui fossero cacciati, si smetterebbe di occuparsi di loro e del loro sistema. Ciò non è molto leale da parte loro, ma è molto abile».
Tutto ciò spiega perché Paolo VI abbia creduto sua dovere denunciare, non molto tempo fa, il permanere di un modernismo sempre attuale. Il modernismo dei tempi di San Pio X che, nel suo Paysan de la Garonne, Jacques Maritain ha sfrontatamente definito una modesta allergia rispetto a quello che oggi trionfa.
Note
(18) Il Card. Gibbons, arcivescovo di Baltimora; Monsignor Ireland, arcivescovo di Saint-Paul; Mons. Keane, rettore del’Università Cattolica di Washington, furono i più sospettati di americanismo. E’ ad essi che, verosimilmente, fa allusione questo passaggio di un articolo de La Vie Intellectuelle (giugno 1950), nel quale si può leggere: «… I vescovi negarono che tali errori fossero mai stati sostenuti in America e si sottomisero … ». Diversamente, sembra che si sia dimenticato ciò che altri quattro vescovi americani scrissero a Leone XIII per affermare che l’americanismo non era una “eresia fantasma”: «Posto che molti sembrano abusare del nostro silenzio e della nostra astensione – precisavano -, abbiamo giudicato opportuno non differire ulteriormente la nostra risposta e di esprimere a Vostra Santità la più profonda gratitudine per la Lettera davvero apostolica con la quale Sua Santità ha represso, con tanta fermezza quanta violenza, quegli errori dai quali non sono esenti alcuni dei nostri concittadini … Allo stesso tempo non possiamo evitare di esprimere il nostro dolore e la nostra giusta indignazione nel vedere un gran numero di cittadini e, soprattutto, un gran numero di giornalisti cattolici, affermare di riprovare e rifiutare tali errori e, tuttavia, non mancare di proclamare in ogni occasione, al modo dei giansenisti, che quasi nessun americano ha sostenuto tali false opinioni e che perseguitato un fantasma …». Alla luce di queste parole, non ci si sorprende che l’abate Klein, il cui nome fu anch’esso coinvolto in questo affare, abbia scelto come titolo per il suo quarto libro di “Memorie”: Un’eresia fantasma: L’Americanismo (edito nel 1948).
(19) Cfr. Liberalisme et Modernisme (de Gigord, 1911), p. 89. Il 28 luglio 1906, nella sua Enciclica Pieni l’animo, San Pio X scriveva: «E' similmente da riprovare nelle pubblicazioni cattoliche ogni parlare, che ispirandosi a novità malsana, derida la pietà dei fedeli ed accenni a nuovi orientamenti della Chiesa, nuove aspirazioni dell'anima moderna, nuova vocazione sociale del clero, nuova civiltà cristiana, e simili».
Nel giungere a quella che fu chiamata “la prova del potere”, il cattolicesimo liberale era chiaramente condannato dalla Chiesa ed era perciò obbligato ad alcune precauzioni.
Non è strano, pertanto, che il cattolicesimo liberale, condannato benché vittorioso, abbia sempre cercato formule nuove, capaci di sfuggire alle censure romane. I suoi fedeli ritenevano, infatti, che le condanne fossero dovute più all’uso di formule imprudenti, al significato letterale delle parole, molto più che dal loro contenuto ideologico. Perciò ebbero la costante tendenza a dire le stesse cose con modi differenti.
L’Americanismo fu uno dei “sottoprodotti” del cattolicesimo liberale e Augusto Sabatier, allora decano della facoltà di teologia protestante di Parigi, certamente non si sbagliò affermando che «l’americanismo è figlio del liberalismo».
D’altra parte, qualunque sia stata la sincerità di coloro che lo professavano, si deve convenire sul fatto che le loro nuove tesi erano più efficaci. Non c’era più la pretesa di affermare che la Rivoluzione venisse dal Vangelo o che era necessario operare per la riconciliazione tra Chiesa e sovversione. Non si doveva più nemmeno parlare di Rivoluzione: al suo posto si doveva utilizzare l’espressione “civiltà moderna”.
«Il pensiero dominante – scriveva Augusto Sabatier – è quello d’unire il secolo con la Chiesa, di cercare una conciliazione tra la tradizione della Chiesa e le aspirazioni del secolo, di far cessare il conflitto tra la teologia dei seminari e le scienze moderne …».
Molto più chiaramente, Leone XIII scriveva nella sua Lettera al Card. Gibbons: «Il fondamento dunque delle nuove opinioni accennate a questo si può ridurre: perché coloro che dissentono possano più facilmente essere condotti alla dottrina cattolica, la chiesa deve avvicinarsi maggiormente alla civiltà del mondo progredito, e, allentata l'antica severità, deve accondiscendere alle recenti teorie e alle esigenze dei popoli. E molti pensano che ciò debba intendersi, non solo della disciplina del vivere, ma anche delle dottrine che costituiscono il "deposito della fede". Pretendono perciò che sia opportuno, per accattivarsi gli animi dei dissidenti, che alcuni capitoli di dottrina, per così dire di minore importanza, vengano messi da parte o siano attenuati, così da non mantenere più il medesimo senso che la chiesa ha tenuto costantemente per fermo» (Lett. Enc. Testem benevolentiae, 22-1-1899).
Tratto significativo: l’atteggiamento degli americanisti di fronte alla condanna di Leone XIII fu quello dei giansenisti. Approvarono pubblicamente gli insegnamenti del Papa nella Testem benevolentiae, ma proclamarono per ogni dove che tale eresia non era mai esistita e che il condannarla era lottare contro castelli in aria (18). Tuttavia, per i sostenitori della tesi della “eresia fantasma”, è deplorevole che i nemici della Chiesa abbiano dato un’importanza sorprendente alla realtà del pericolo denunciato da Leone XIII.
«I vinti – scriverà in “Le Siècle” Raoul Ollier (del 12 marzo 1899) – sono uomini che potranno anche avere ristrettezza di vedute, ma sognavano un inizio di riconciliazione tra la loro fede religiosa e il loro amore alla libertà. I vincitori sono i più furibondi apologisti del fanatismo, sono gli ispiratori e i redattori di fogli che vorrebbero riportarci ai tempi delle guerre di religione».
“Le Temps” (del 24 marzo 1899), organo del protestantesimo, era meno pessimista: «Coloro che, nel clero come tra i laici, cercano un rinnovamento, un’azione sociale più profonda, un rapporto più cordiale con la società moderna, non hanno motivo di perdersi d’animo … ».
Il protestante Sabatier indica come gli americanisti potrebbero «trionfare di tutte le resistenze …». «Raddoppiando – affermava – i loro atti di sottomissione alla Santa Sede, motivando tutto con l’autorità del Papa e facendo professione di una piena obbedienza alle sue direttive» (Cfr. i due articoli apparsi nel Journal de Genéve Il 20 ottobre 1898 e il 19 marzo 1899).
Sempre di taglio protestante, ne “La Revue Chrétienne» (1 ottobre 1899), uno dei protagonisti del movimento, il rinnegato Abate Charbonnel, non dubitava di scrivere: «E’ proprio quello che succederà, è il modo con cui si produrrà il guadagno più temibile per la Chiesa Cattolica. L’abate X, come tutti i difensori dell’americanismo, senza voler ascoltare ragioni , si chiuderà nelle sue promesse di obbedienza e di fedeltà, continuando a diffondere le idee attive che risveglieranno l’indipendenza personale e la libera vitalità delle coscienze. Tanto meglio! Noi non dobbiamo fare altro che osservare come poco a poco si svilupperà la loro opera».
Di conseguenza, si tratta di un pericolo derivane da una tattica posta intelligentemente in luce dal P. Charles Maignen in “Nouveau catholicisme et nouveau clergé” (pp. 435-436): «I moderni innovatori non pretendono assolutamente di farla finita con Roma, né di sollevarsi apertamente contro l’autorità pontificia, ma hanno confessato chiaramente di accoppiare, in un certo senso, l’influenza di quella stessa autorità e di farla servire all’avvento del loro partito. Nel campo della teoria, per gli innovatori non si tratta già di negare un dogma, ma di dare, a seconda dell’occasione che si presenta, un senso nuovo a tutti dogmi. Nel campo dei fatti, la questione non è se resistere al Papa, ma di far credere alla pubblica opinione che quanti guidano il partito sono gli unici interpreti fedeli del pensiero del Papa. Gli innovatori dispongono di mezzi potenti per conseguire i loro scopi: uno – che è di ogni tempo – è l’intrigo, attraverso il quale si sforzano di far penetrare i propri partigiani all’interno della Chiesa e dello Stato. Un altro, molto moderno e molto temibile, è la stampa, che sanno usare abilmente per creare un clima di generale simpatia verso tali correnti d’opinione, tanto più perniciose alla vita della Chiesa quanto più sembrano inoffensive e spontanee».
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Fu pertanto naturale vedere come l’onda modernista irrompesse poco dopo questo americanismo che, secondo quanto si diceva, non era mai esistito. Con il modernismo, si otterrà il trionfo della tattica dell’eresia - consistente nel non abbandonare la Chiesa per operare segretamente al suo interno - come mai era accaduto.
La stessa Enciclica Pascendi, sebbene dovesse riuscire nello smascherare l’errore, non riuscirà a far abbandonare ai settari «il disegno di turbare la pace della Chiesa», come si legge nel Motu proprio Sacrorum Antistitum (del 1 settembre 1910) di San Pio X: «Non cessano, infatti, di attrarre e congregare in assemblee segrete nuovi aderenti e, grazie alla loro mediazione, inoculare nelle vene della società cristiana il veleno delle loro opinioni pubblicando libri e riviste nelle quali nascondono o mascherano i nomi dei redattori … ».
Orbene, cosa fu il modernismo se non un nuovo tentativo, il più insidioso, il più abile, il più universale di tutti, per cercare di realizzare l’impossibile sogno dei cattolici liberali e degli americanisti?
Infatti, nella Pascendi, San Pio X parla dei modernisti «che fanno propri» i principi degli americanisti. Nell’Enciclica condanna, ancora una volta, la preferenza concessa alle cosiddette “virtù attive” a detrimento di quelle virtù evangeliche qualificate come “passive”.
«Più che mai – segnala Mons. Cauly (19) – il nemico ha compreso che per trionfare, invece di lottare frontalmente contro il cattolicesimo, era necessario crearsi degli alleati nel suo seno, che lavorassero per trasformarlo e distruggerlo. Per conseguire questo fine, il liberalismo cerca, sotto il nome di modernismo, di penetrare al cuore stesso della Chiesa per strapparle non solo i laici ma anche i sacerdoti, incaricati della cura d’anime. Gli innovatori, che professano le opinioni più contraddittorie, sono d’accordo nel chiedere che, nella Chiesa come nella società civile, il popolo sia sovrano e che le idee da questo successivamente formulate, o trasformate e ringiovanite dalla coscienza universale, vengano introdotte nell’insegnamento impartito al clero …».
Cosa ha fatto il modernismo?
Una rivista che difendeva la causa della Chiesa, “Corrispondenza romana”, disse: «Il modernismo è stato vinto da Pio X, ma si tratta del modernismo organizzato, dottrinale. Resta lo stato dell’anima modernista …».
Sarà temerario attribuire troppa importanza a certe ammissioni?
Per esempio a quella del modernista tedesco Schell, dopo che fu inserito nell’"Indice" dei libri proibiti: «Facendo ciò, si credeva di screditarci nell’anima dei nostri partigiani; ancor più, mi si forzava a separarmi dalla Chiesa per una mancata sottomissione … Questo sarebbe stato il trionfo dei miei avversari. I miei numerosi partigiani non vogliono separarsi dalla Chiesa: nonostante tutte le misure che possa prendere la reazione, vogliono introdurre in essa tali tendenze» (Estratti dalla corrispondenza di Schell citati da Mons. Cauly, op. cit.).
«I modernisti rimangono nel cattolicesimo – scriverà a sua volta un modernista inglese, nel “Journal de Genève” (Cit. da Mons. Cauly, op. cit., p. 142) – perché per essi è l’unica maniera per continuare ad essere qualcosa. Il giorno in cui fossero cacciati, si smetterebbe di occuparsi di loro e del loro sistema. Ciò non è molto leale da parte loro, ma è molto abile».
Tutto ciò spiega perché Paolo VI abbia creduto sua dovere denunciare, non molto tempo fa, il permanere di un modernismo sempre attuale. Il modernismo dei tempi di San Pio X che, nel suo Paysan de la Garonne, Jacques Maritain ha sfrontatamente definito una modesta allergia rispetto a quello che oggi trionfa.
Note
(18) Il Card. Gibbons, arcivescovo di Baltimora; Monsignor Ireland, arcivescovo di Saint-Paul; Mons. Keane, rettore del’Università Cattolica di Washington, furono i più sospettati di americanismo. E’ ad essi che, verosimilmente, fa allusione questo passaggio di un articolo de La Vie Intellectuelle (giugno 1950), nel quale si può leggere: «… I vescovi negarono che tali errori fossero mai stati sostenuti in America e si sottomisero … ». Diversamente, sembra che si sia dimenticato ciò che altri quattro vescovi americani scrissero a Leone XIII per affermare che l’americanismo non era una “eresia fantasma”: «Posto che molti sembrano abusare del nostro silenzio e della nostra astensione – precisavano -, abbiamo giudicato opportuno non differire ulteriormente la nostra risposta e di esprimere a Vostra Santità la più profonda gratitudine per la Lettera davvero apostolica con la quale Sua Santità ha represso, con tanta fermezza quanta violenza, quegli errori dai quali non sono esenti alcuni dei nostri concittadini … Allo stesso tempo non possiamo evitare di esprimere il nostro dolore e la nostra giusta indignazione nel vedere un gran numero di cittadini e, soprattutto, un gran numero di giornalisti cattolici, affermare di riprovare e rifiutare tali errori e, tuttavia, non mancare di proclamare in ogni occasione, al modo dei giansenisti, che quasi nessun americano ha sostenuto tali false opinioni e che perseguitato un fantasma …». Alla luce di queste parole, non ci si sorprende che l’abate Klein, il cui nome fu anch’esso coinvolto in questo affare, abbia scelto come titolo per il suo quarto libro di “Memorie”: Un’eresia fantasma: L’Americanismo (edito nel 1948).
(19) Cfr. Liberalisme et Modernisme (de Gigord, 1911), p. 89. Il 28 luglio 1906, nella sua Enciclica Pieni l’animo, San Pio X scriveva: «E' similmente da riprovare nelle pubblicazioni cattoliche ogni parlare, che ispirandosi a novità malsana, derida la pietà dei fedeli ed accenni a nuovi orientamenti della Chiesa, nuove aspirazioni dell'anima moderna, nuova vocazione sociale del clero, nuova civiltà cristiana, e simili».
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Ap - Nemici della Ch: Le “quinte colonne” della secolarizzazione (X)
12
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Set2010
Inserito da calogero
Argomento: Apologetica
di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” (Affinché Egli regni), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237.) [IL MODERNISMO SOCIALE] Dopo il modernismo, ma quasi ad esso contemporaneo si manifestò il “Sillon”. Nel condannarlo, San Pio X scriverà: (...) Venne il giorno in cui il Sillon mise in evidenza, per occhi chiaroveggenti, tendenze inquietanti. Il Sillon usciva di strada. Sarebbe potuto capitare diversamente? I suoi fondatori, giovani, entusiasti e pieni di fiducia in sé stessi, non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti».
IL MODERNISMO SOCIALE
Dopo il modernismo, ma quasi ad esso contemporaneo si manifestò il “Sillon”.
Nel condannarlo, San Pio X scriverà:
«Era l’indomani della memorabile Enciclica del nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, sulla condizione degli operai. La Chiesa, per bocca del suo capo supremo, aveva riservato sugli umili e sui piccoli tutte le tenerezze del suo cuore materno, e sembrava invocare paladini sempre più numerosi della restaurazione dell’ordine e della giustizia nella nostra turbata società ...
di fatto, il Sillon innalzò in mezzo alle classi operaie lo stendardo di Gesù Cristo, il segno della salvezza per gli individui e per le nazioni, alimentando la sua attività sociale alle sorgenti della grazia, imponendo il rispetto della religione agli ambienti meno favorevoli, abituando gli ignoranti e gli empi a sentir parlare di Dio, e spesso sorgendo, nel corso di pubblici contraddittori, di fronte a un pubblico ostile, sollecitato da una domanda o da una espressione sarcastica, per gridare ad alta voce e con fierezza la propria fede. Erano i tempi belli del Sillon; è il suo lato bello, che spiega gli incoraggiamenti e le approvazioni che non hanno risparmiato a esso l’episcopato e la Santa Sede, fino a quando questo fervore religioso ha potuto velare il vero carattere del movimento del Sillon ...
Venne il giorno in cui il Sillon mise in evidenza, per occhi chiaroveggenti, tendenze inquietanti. Il Sillon usciva di strada. Sarebbe potuto capitare diversamente? I suoi fondatori, giovani, entusiasti e pieni di fiducia in sé stessi, non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti».
Già il 21 ottobre 1901 si poteva leggere nel “Le Sillon”: «Veri cristiani, Victor Hugo, Combeferre, Courbeyrac: poiché tutti quelli che ammettono l’ideale della bellezza, della giustizia, della bontà, anche se sono ingiusti e rancorosi verso il cattolicesimo, sono con noi»
Al contrario, tutti poterono vedere il “Sillon” accodarsi a quanti insultavano Giovanna d’Arco. Se mai esiste un nome capace di esprimere “un ideale di bellezza, di giustizia e di bontà”, non è questo?
Il “Sillon” si alleava con i protestanti e persino con le “Unioni cristiane”, la cui finalità confessa era di trascinare la gioventù di ogni paese verso una religiosità liberata da ogni dogma.
Nel 1905, su “L’Universe”, apparivano alcune caratteristiche righe su Gorki firmate da Marc Sangnier. Esse indicano ciò che si potrebbe brutalmente chiamare il suo “fiuto” rivoluzionario, in quanto individuano già da quell’anno i primi segnali della Rivoluzione moscovita, l’approssimarsi di questo nuovo “Islam”, che il fondatore del “Sillon” tratterà con tanta indulgenza quando il comunismo arriverà al potere. «A questi anarchici – scriveva – dall’anima profondamente mistica, dai sogni turbati e dolci che la Santa Russia rinchiude piamente nel suo vasto seno come germi inquietanti di rivolta e di strana seduzione … mostriamo loro il vero cristianesimo e vi si butteranno ardentemente in esso, pazzamente, come dolorosa fine delle loro inquiete ricerche».
Non ci si deve meravigliare se , due anni dopo ciò, si poteva leggere sul “Sillon”: «La Rivoluzione del 1793 non fu anti religiosa. Un Robespierre, un Danton, un Desmoulins, erano profondamente religiosi … la loro filosofia religiosa era la sostanza stessa del cristianesimo di cui viveva la Francia» (25 aprile 1907).
Si può ben capire la santa indignazione di San Pio X di fronte a queste «parità blasfeme»; «Vangelo interpretato a proprio comodo»; «Un Cristo sfigurato e sminuito».
il “Sillon” fu condannato il 25 agosto del 1910.
Condanna severa, ma quanto fondata! Tanto esplicitata e motivata che è molto difficile, per chi ha letto la Lettera Pontificia sul “Sillon”, affermare che San Pio X denunciò solo la faciloneria di alcune formule e non la piena dottrina di Marc Sangnier e dei suoi compagni.
Nessuno ignora che il capo del “Sillon” «si sottomise umilmente». Non c’è dubbio che il primo impulso ci obbliga ad ammirare tale atteggiamento in ore per lui tanto umilianti.
Tuttavia, abbiamo il dovere di evidenziare che Marc Sangnier non cessò, per tutto il resto della sua vita, di continuare a propagandare le stesse idee.
Non giudichiamo, certo: ma esponiamo i fatti!
Il 18 gennaio del 1920, ne “La Democratie”, Sangnier scriverà: «Abbiamo mai avuto ragioni più potenti per sperare? Non lo credo. Le idee per quali, da quasi vent’anni, hanno lottato i nostri amici con una capacità tanto meritoria – nella buona quanto nella cattiva sorte – trionfano oggi per tutta la Francia».
Orbene, ecco qua ciò che chiarisce in modo preciso la faccenda, perché basta un solo sguardo al testo di San Pio X per provare che le idee che trionfarono a quel tempo sono quelle del “Sillon”; è facile dimostrare che esse continuarono ad essere diffuse da Marc Sangnier.
In costante assonanza con tutte le attività massonicheggianti, pacifiste e socialisteggianti, non avrà remore di prendere la parola persino alle sessioni della “Lega dei diritti dell’Uomo” o di intervenire a questo o quel consesso laicista o internazionalista.
Campione del “pacifismo”, sarà uno dei testimoni abituali a favore degli “obiettori di coscienza” nei processi a loro carico e dalle colonne dei periodici “Le Volontaire”, “La Jeune Republique”, “L’Eveil des Peuples”: articoli e disegni propaganderanno, sosteranno e stimoleranno questa rivolta della codardia contro il dovere di servire la Patria in armi.
Bouglé, Albert Bayet, César Chambrun, Pierre Cot, tra i tanti, saranno suoi collaboratori.
Sangnier farà passeggiare attraverso tutta la Francia il suo Museo “Guerra o Pace?”, destinato a ispirare orrore verso il servire in armi grazie a odiose quanto artefatte ricostruzioni dei campi di battaglia. Era una propaganda fondata su equivoci infami: In un diorama si vedeva un soldato francese trapassare con la baionetta uno tedesco e, a fianco, un apache che assassina un passante. La didascalia diceva “Quello è un eroe, questo un assassino”. La tecnica consisteva nel fare appello al generoso amore della pace cristiana per far seccare nelle anime le sorgenti del patriottismo, preparare ribelli utili in una guerra civile interna e abbattere lo spirito in modo da rendere la Francia la prima vittima nel 1940.
«Far venire a patti la giustizia e l‘iniquità, conciliare le tenebre con la luce» sono la tentazione permanente cui ci sottopongono da due secoli: da Lamennais e la sua scuola, al cattolicesimo liberale, all’americanismo, al modernismo e al “Sillon”…
Pio XI, all’inizio del suo Pontificato, denunciava nella Enciclica Ubi arcano Dei, quel che definiva «un modernismo giuridico e sociale» (20). Sempre lo stesso errore.
Durante il «fronte popolare» in Francia, abbiamo visto i «cristiani-rossi» prendere posizione – nonostante i passaggi molto chiari dell’Enciclica Divini redemptoris - a favore dei boia della Spagna cattolica.
E oggi? Non siamo giunti ad un certo ideale di «Nuova Cristianità» nella quale anche cattolici poco formati corrono il rischio di venire incarcerati quali perturbatori di una pace sociale tutta fatta di indifferenza religiosa (21)?
E’ una «Nuova Cristianità» che vediamo ogni volta più contraria alla concezione di unità sociale realizzata nella fede in Cristo e nella vera Chiesa (22).
Infine, nessuno ignora l’invasione di un “progressismo” più o meno mitigato, tipo ideale della Quinta Colonna che la Rivoluzione non può fare a meno di desiderare presente tra noi.
«Come scoprire i progetti del nemico»? Con questo titolo, nel volume L’Homme nouveau, Paul Morin ha fatto alcune osservazioni pertinenti (che di seguito riassumiamo).
Siamo più che mai nell’ora delle Quinte Colonne … vale a dire delle complicità documentate che la Rivoluzione ha trovato nelle fila cattoliche.
Nel suo rapporto al quarantesettesimo Congresso della “Lega francese dell’insegnamento” Marcel Déat aveva già detto:
«Devo dire che questa attitudine dello spirito è feconda e più efficace da molti punti di vista sulla condotta di molti cattolici francesi i quali, per disgrazia della Chiesa e nostro godimento, possiamo dire che qualche volta sono anticlericali, spesso per nulla “beati” e quasi sempre altro non sono che cattolici d’osservanza esteriore, che non hanno nessuna cura di ubbidire alle indicazioni – senza dubbio molto precise – che il Papa da’ loro nelle sue encicliche» (pag. 11).
I prolifici cristiani-rossi di prima della guerra hanno come successori i nostri attuali "progressisti" .. e mai vi sono stati così tanti documenti dai quali si rivela una volontà di abbattere la Chiesa dal suo interno.
Crediamo alle parole dell'abbé R. Davezies nel suo La Rue dans l'Eglise: «le parole dei miei compagni mi son sembrate notevoli per du eragioni essenziali: perché son le parole di uomini impegnati nel combattimento politico o sindacale; perché i cristiani che le pronunciano, sebbene facciano una critica radicale alla Chiesa , non hanno mai pensato di lasciarla. Rimangono, al contrario, fermamente all'interno della Chiesa e vogliono fare da lì la Rivoluzione».
E' una tattica la cui efficacia è stata celebrata anche da "La Pasionaria" [Dolores Ibarruri, della quale si dice che durante la Guerra Civile Spagnola del 1936-39 uccidesse i prigionieri nemici azzannandoli all acarotide, N.d.T.] in un discorso del 1963 al Circulo Julian Grimau nella capitale di Cuba, La Havana: «Ora sappiamo che con la forza non otterremo nulla. Ma esistono altri mezzi per raggiungere la vittoria: mescolarci a loro. Vi sono molti dei nostri che si trovano in posti di responsabilità: questi apriranno la strada ad altri. Dobbiamo avvicinarci ai cattolici, agli studenti, alla classe media ... E' necessario dividere le loro forze. Il fanatismo della fede ha unito gli spagnoli. Davanti al nome di Dio si mettono sull'attenti. Perciò è necessario non ferire i sentimenti cattolici fino a quando potremo imporre la nostra legge. Le nuove correnti apparse tra i cattolici francesi, totalmente divisi, possono essere la nostra grande soluzione per la Spagna».
Non mancano gli enti che, senza lasciar spazio a dubbi, proclamano la loro alleanza con la Rivoluzione ... Témoignage Chretién, Christianisme Social, Economie et Humasnime, La lettre, Fréres du monde, Terre Entiére, I.D.O.C. Si tratta di associazioni che, tutte, han firmato un manifesto al quale appartengono i seguenti paragrafi: «La Rivoluzione ci si presenta come la sola via possibile e presuppone un cambiamento radicale delle strutture economiche e politiche. Ma non ci sarà rivoluzione strutturale senza rivoluzione culturale. Non ignoriamo che questa rivoluzione implica una revisione del cristianesimo nelle sue forme di pensiero, d'espressione e d'azione. Siamo convinti che il nostro impegno deve inscriversi nella lotta delle classi e delle masse oppresse, per la loro liberazione tanto in Francia come nel mondo. La lotta rivoluzionaria si inscrive nella prospettiva della costruzione del regno di Dio, senza identificarsi con esso. Riconosciamo il diritto di ogni cristiano - come di ogni uomo -, di partecipare a questo processo rivoluzionario, comprendendo in esso la lotta rmata. Esprimiamo come comunità ilnostro appoggio ai credenti che a causa del loro impegno vengono esclusi dalla propria chiesa locale e si sentono soli nella fede».
E' necessario mettere in risalto l'azione del movimento PAX (in polacco: Stowarzyszenie PAX, Pax Christi, N.d.T.), autentico componente dell'apparato poliziesco comunista polacco, denunciato come tale in una celebre Lettera (Cfr. Document Pax, diffuso dal D.I.D., in vendita nel C.L.C.) del Cardinal Wyszynski: «Disponendo di considerevoli finanziamenti ... PAX favorisce i viaggi in Polonia di cattolici francesi, sacerdoti e laici, che prende a suo carico e rimanda a casa con una visione parziale ,unilaterale ed erronea della situazione polacca. I sacerdoti francesi diretti da PAX incontrano in Polonia dei sacerdoti "patriottici", mentre i vescovi rifiutano di incontrarli per timore di indiscrezioni ... In Francia, gli agenti di PAX sono in contatto permanente con centri di cattolici progressisti che prendono le loro difese quando si prospetta qualche pericolo».
Infine, si ricordi la dichiarazione di Küng a proposito dell'apostasia dell'inglese Davis (Cfr. Informations Catholiques Internationales: 1 luglio 1967, pp. 26-30): «Quanti restiamo nella Chiesa abbiamo motivi molto buoni per farlo ... Non si tratta solo di interpretare la Chiesa, ma di cambiarla ...» (formula curiosa e rivelatrice; Lenin [in realtà Marx, N.d.T.] diceva: «I filosofi finora hanno interpretato in modo diverso il mondo, quello che conta è cambiarlo»).
La Rivoluzione ... La sua Quinta colonna ... Le sue Quinte colonne.
Uno dei più temibili pericoli che la Chiesa abbia mai sofferto.
Pertanto, niente di strano se Paolo VI è arrivato a dire che «La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. Si pensava a una fioritura, a un’espansione serena ... La Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte» (Discorso ai membri del Pontificio Seminario Lombardo, 7 dicembre 1968).
Note
(20) «Molti sono, infatti, quelli che credono o dicono di tenere le dottrine cattoliche sull'autorità sociale, sul diritto di proprietà, sui rapporti fra capitale e lavoro, sui diritti degli operai, sulle relazioni fra Chiesa e Stato, fra religione e patria, fra classe e classe, fra nazione e nazione, sui diritti della Santa Sede e le prerogative del Romano Pontefice e dell'episcopato, sui diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore Redentore, Signore degli individui e dei popoli. Ma poi parlano, scrivono e, quel che è peggio, operano come non fossero più da seguire, o non col rigore di prima, le dottrine e le prescrizioni solennemente ed inevitabilmente richiamate ed inculcate in tanti documenti pontifici, nominatamente di Leone XIII, Pio X, e Benedetto XV. Contro questa specie di modernismo morale, giuridico, sociale, non meno condannevole del noto modernismo dogmatico, occorre pertanto richiamare quelle dottrine e quelle prescrizioni, che abbiamo detto; occorre risvegliare in tutti quello spirito di fede, di carità soprannaturale e di cristiana disciplina, che solo può dare la loro retta intelligenza ed imporre la loro osservanza. Tutto questo occorre più che mai fare con la gioventù, massime poi con quella che si avvia al Santuario, perché nella generale confusione non sia, come dice l'Apostolo, "portata intorno da ogni vento di dottrina per i raggiri degli uomini, per le astuzie onde seduce l'errore"».
(21) Si legge in un articolo di Jacques Maritain intitolato I fondamenti della democrazia: «Qui, se vogliamo completare il nostro pensiero e non aver paura delle parole, dobbiamo segnalare che dove c’è fede divina o umana, lì si incontrano anche degli eretici che minacciano l’unità della comunità, sia religiosa o civile. Nella società sacrale l’eretico era colui che rompeva l’unità religiosa. In una società laica di uomini liberi l’eretico è colui che rompe le “convinzioni comuni e pratiche democratiche”: il totalitario, colui che nega la libertà – la libertà del suo vicino -, la dignità della persona umana e il potere morale della legge. Non desideriamo che sia bruciato, espulso dalla città, posto fuori legge o gettato in un campo di concentramento. Ma la comunità democratica deve difendersi contro di lui - sia egli materialista, agnostico, cristiano o ebreo, musulmano o buddista – allontanandolo dal governo per il potere di una forte opinione pubblica e bene informata o, se la su a attività costituisce un pericolo per lo Stato, consegnandolo alla giustizia» (in El Pueblo de Buenos Aires del 13 maggio 1945). Così, nella “Nuova Cristianità”, il delitto punibile con la scomunica immediata è la negazione della “libertà libertaria” della persona umana: il cattolico che sostenesse il diritto pubblico della Immortale Dei di Leone XIII o della Quas primas di Pio XI, dovrebbe essere consegnato alla giustizia quale violatore del nuovo diritto pubblico cristiano.
(22) «Siamo stati molto lenti a renderci conto che l’unione che nel Medioevo esisteva tra la Chiesa e lo Stato costituiva un’anomalia (!) più che una norma cristiana» (!!!); così il P. Victor White O.P., nell’importante rivista The Commonwealth del 4 settembre 1953.
Dopo il modernismo, ma quasi ad esso contemporaneo si manifestò il “Sillon”.
Nel condannarlo, San Pio X scriverà:
«Era l’indomani della memorabile Enciclica del nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, sulla condizione degli operai. La Chiesa, per bocca del suo capo supremo, aveva riservato sugli umili e sui piccoli tutte le tenerezze del suo cuore materno, e sembrava invocare paladini sempre più numerosi della restaurazione dell’ordine e della giustizia nella nostra turbata società ...
di fatto, il Sillon innalzò in mezzo alle classi operaie lo stendardo di Gesù Cristo, il segno della salvezza per gli individui e per le nazioni, alimentando la sua attività sociale alle sorgenti della grazia, imponendo il rispetto della religione agli ambienti meno favorevoli, abituando gli ignoranti e gli empi a sentir parlare di Dio, e spesso sorgendo, nel corso di pubblici contraddittori, di fronte a un pubblico ostile, sollecitato da una domanda o da una espressione sarcastica, per gridare ad alta voce e con fierezza la propria fede. Erano i tempi belli del Sillon; è il suo lato bello, che spiega gli incoraggiamenti e le approvazioni che non hanno risparmiato a esso l’episcopato e la Santa Sede, fino a quando questo fervore religioso ha potuto velare il vero carattere del movimento del Sillon ...
Venne il giorno in cui il Sillon mise in evidenza, per occhi chiaroveggenti, tendenze inquietanti. Il Sillon usciva di strada. Sarebbe potuto capitare diversamente? I suoi fondatori, giovani, entusiasti e pieni di fiducia in sé stessi, non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti».
Già il 21 ottobre 1901 si poteva leggere nel “Le Sillon”: «Veri cristiani, Victor Hugo, Combeferre, Courbeyrac: poiché tutti quelli che ammettono l’ideale della bellezza, della giustizia, della bontà, anche se sono ingiusti e rancorosi verso il cattolicesimo, sono con noi»
Al contrario, tutti poterono vedere il “Sillon” accodarsi a quanti insultavano Giovanna d’Arco. Se mai esiste un nome capace di esprimere “un ideale di bellezza, di giustizia e di bontà”, non è questo?
Il “Sillon” si alleava con i protestanti e persino con le “Unioni cristiane”, la cui finalità confessa era di trascinare la gioventù di ogni paese verso una religiosità liberata da ogni dogma.
Nel 1905, su “L’Universe”, apparivano alcune caratteristiche righe su Gorki firmate da Marc Sangnier. Esse indicano ciò che si potrebbe brutalmente chiamare il suo “fiuto” rivoluzionario, in quanto individuano già da quell’anno i primi segnali della Rivoluzione moscovita, l’approssimarsi di questo nuovo “Islam”, che il fondatore del “Sillon” tratterà con tanta indulgenza quando il comunismo arriverà al potere. «A questi anarchici – scriveva – dall’anima profondamente mistica, dai sogni turbati e dolci che la Santa Russia rinchiude piamente nel suo vasto seno come germi inquietanti di rivolta e di strana seduzione … mostriamo loro il vero cristianesimo e vi si butteranno ardentemente in esso, pazzamente, come dolorosa fine delle loro inquiete ricerche».
Non ci si deve meravigliare se , due anni dopo ciò, si poteva leggere sul “Sillon”: «La Rivoluzione del 1793 non fu anti religiosa. Un Robespierre, un Danton, un Desmoulins, erano profondamente religiosi … la loro filosofia religiosa era la sostanza stessa del cristianesimo di cui viveva la Francia» (25 aprile 1907).
Si può ben capire la santa indignazione di San Pio X di fronte a queste «parità blasfeme»; «Vangelo interpretato a proprio comodo»; «Un Cristo sfigurato e sminuito».
il “Sillon” fu condannato il 25 agosto del 1910.
Condanna severa, ma quanto fondata! Tanto esplicitata e motivata che è molto difficile, per chi ha letto la Lettera Pontificia sul “Sillon”, affermare che San Pio X denunciò solo la faciloneria di alcune formule e non la piena dottrina di Marc Sangnier e dei suoi compagni.
Nessuno ignora che il capo del “Sillon” «si sottomise umilmente». Non c’è dubbio che il primo impulso ci obbliga ad ammirare tale atteggiamento in ore per lui tanto umilianti.
Tuttavia, abbiamo il dovere di evidenziare che Marc Sangnier non cessò, per tutto il resto della sua vita, di continuare a propagandare le stesse idee.
Non giudichiamo, certo: ma esponiamo i fatti!
Il 18 gennaio del 1920, ne “La Democratie”, Sangnier scriverà: «Abbiamo mai avuto ragioni più potenti per sperare? Non lo credo. Le idee per quali, da quasi vent’anni, hanno lottato i nostri amici con una capacità tanto meritoria – nella buona quanto nella cattiva sorte – trionfano oggi per tutta la Francia».
Orbene, ecco qua ciò che chiarisce in modo preciso la faccenda, perché basta un solo sguardo al testo di San Pio X per provare che le idee che trionfarono a quel tempo sono quelle del “Sillon”; è facile dimostrare che esse continuarono ad essere diffuse da Marc Sangnier.
In costante assonanza con tutte le attività massonicheggianti, pacifiste e socialisteggianti, non avrà remore di prendere la parola persino alle sessioni della “Lega dei diritti dell’Uomo” o di intervenire a questo o quel consesso laicista o internazionalista.
Campione del “pacifismo”, sarà uno dei testimoni abituali a favore degli “obiettori di coscienza” nei processi a loro carico e dalle colonne dei periodici “Le Volontaire”, “La Jeune Republique”, “L’Eveil des Peuples”: articoli e disegni propaganderanno, sosteranno e stimoleranno questa rivolta della codardia contro il dovere di servire la Patria in armi.
Bouglé, Albert Bayet, César Chambrun, Pierre Cot, tra i tanti, saranno suoi collaboratori.
Sangnier farà passeggiare attraverso tutta la Francia il suo Museo “Guerra o Pace?”, destinato a ispirare orrore verso il servire in armi grazie a odiose quanto artefatte ricostruzioni dei campi di battaglia. Era una propaganda fondata su equivoci infami: In un diorama si vedeva un soldato francese trapassare con la baionetta uno tedesco e, a fianco, un apache che assassina un passante. La didascalia diceva “Quello è un eroe, questo un assassino”. La tecnica consisteva nel fare appello al generoso amore della pace cristiana per far seccare nelle anime le sorgenti del patriottismo, preparare ribelli utili in una guerra civile interna e abbattere lo spirito in modo da rendere la Francia la prima vittima nel 1940.
«Far venire a patti la giustizia e l‘iniquità, conciliare le tenebre con la luce» sono la tentazione permanente cui ci sottopongono da due secoli: da Lamennais e la sua scuola, al cattolicesimo liberale, all’americanismo, al modernismo e al “Sillon”…
Pio XI, all’inizio del suo Pontificato, denunciava nella Enciclica Ubi arcano Dei, quel che definiva «un modernismo giuridico e sociale» (20). Sempre lo stesso errore.
Durante il «fronte popolare» in Francia, abbiamo visto i «cristiani-rossi» prendere posizione – nonostante i passaggi molto chiari dell’Enciclica Divini redemptoris - a favore dei boia della Spagna cattolica.
E oggi? Non siamo giunti ad un certo ideale di «Nuova Cristianità» nella quale anche cattolici poco formati corrono il rischio di venire incarcerati quali perturbatori di una pace sociale tutta fatta di indifferenza religiosa (21)?
E’ una «Nuova Cristianità» che vediamo ogni volta più contraria alla concezione di unità sociale realizzata nella fede in Cristo e nella vera Chiesa (22).
Infine, nessuno ignora l’invasione di un “progressismo” più o meno mitigato, tipo ideale della Quinta Colonna che la Rivoluzione non può fare a meno di desiderare presente tra noi.
«Come scoprire i progetti del nemico»? Con questo titolo, nel volume L’Homme nouveau, Paul Morin ha fatto alcune osservazioni pertinenti (che di seguito riassumiamo).
Siamo più che mai nell’ora delle Quinte Colonne … vale a dire delle complicità documentate che la Rivoluzione ha trovato nelle fila cattoliche.
Nel suo rapporto al quarantesettesimo Congresso della “Lega francese dell’insegnamento” Marcel Déat aveva già detto:
«Devo dire che questa attitudine dello spirito è feconda e più efficace da molti punti di vista sulla condotta di molti cattolici francesi i quali, per disgrazia della Chiesa e nostro godimento, possiamo dire che qualche volta sono anticlericali, spesso per nulla “beati” e quasi sempre altro non sono che cattolici d’osservanza esteriore, che non hanno nessuna cura di ubbidire alle indicazioni – senza dubbio molto precise – che il Papa da’ loro nelle sue encicliche» (pag. 11).
I prolifici cristiani-rossi di prima della guerra hanno come successori i nostri attuali "progressisti" .. e mai vi sono stati così tanti documenti dai quali si rivela una volontà di abbattere la Chiesa dal suo interno.
Crediamo alle parole dell'abbé R. Davezies nel suo La Rue dans l'Eglise: «le parole dei miei compagni mi son sembrate notevoli per du eragioni essenziali: perché son le parole di uomini impegnati nel combattimento politico o sindacale; perché i cristiani che le pronunciano, sebbene facciano una critica radicale alla Chiesa , non hanno mai pensato di lasciarla. Rimangono, al contrario, fermamente all'interno della Chiesa e vogliono fare da lì la Rivoluzione».
E' una tattica la cui efficacia è stata celebrata anche da "La Pasionaria" [Dolores Ibarruri, della quale si dice che durante la Guerra Civile Spagnola del 1936-39 uccidesse i prigionieri nemici azzannandoli all acarotide, N.d.T.] in un discorso del 1963 al Circulo Julian Grimau nella capitale di Cuba, La Havana: «Ora sappiamo che con la forza non otterremo nulla. Ma esistono altri mezzi per raggiungere la vittoria: mescolarci a loro. Vi sono molti dei nostri che si trovano in posti di responsabilità: questi apriranno la strada ad altri. Dobbiamo avvicinarci ai cattolici, agli studenti, alla classe media ... E' necessario dividere le loro forze. Il fanatismo della fede ha unito gli spagnoli. Davanti al nome di Dio si mettono sull'attenti. Perciò è necessario non ferire i sentimenti cattolici fino a quando potremo imporre la nostra legge. Le nuove correnti apparse tra i cattolici francesi, totalmente divisi, possono essere la nostra grande soluzione per la Spagna».
Non mancano gli enti che, senza lasciar spazio a dubbi, proclamano la loro alleanza con la Rivoluzione ... Témoignage Chretién, Christianisme Social, Economie et Humasnime, La lettre, Fréres du monde, Terre Entiére, I.D.O.C. Si tratta di associazioni che, tutte, han firmato un manifesto al quale appartengono i seguenti paragrafi: «La Rivoluzione ci si presenta come la sola via possibile e presuppone un cambiamento radicale delle strutture economiche e politiche. Ma non ci sarà rivoluzione strutturale senza rivoluzione culturale. Non ignoriamo che questa rivoluzione implica una revisione del cristianesimo nelle sue forme di pensiero, d'espressione e d'azione. Siamo convinti che il nostro impegno deve inscriversi nella lotta delle classi e delle masse oppresse, per la loro liberazione tanto in Francia come nel mondo. La lotta rivoluzionaria si inscrive nella prospettiva della costruzione del regno di Dio, senza identificarsi con esso. Riconosciamo il diritto di ogni cristiano - come di ogni uomo -, di partecipare a questo processo rivoluzionario, comprendendo in esso la lotta rmata. Esprimiamo come comunità ilnostro appoggio ai credenti che a causa del loro impegno vengono esclusi dalla propria chiesa locale e si sentono soli nella fede».
E' necessario mettere in risalto l'azione del movimento PAX (in polacco: Stowarzyszenie PAX, Pax Christi, N.d.T.), autentico componente dell'apparato poliziesco comunista polacco, denunciato come tale in una celebre Lettera (Cfr. Document Pax, diffuso dal D.I.D., in vendita nel C.L.C.) del Cardinal Wyszynski: «Disponendo di considerevoli finanziamenti ... PAX favorisce i viaggi in Polonia di cattolici francesi, sacerdoti e laici, che prende a suo carico e rimanda a casa con una visione parziale ,unilaterale ed erronea della situazione polacca. I sacerdoti francesi diretti da PAX incontrano in Polonia dei sacerdoti "patriottici", mentre i vescovi rifiutano di incontrarli per timore di indiscrezioni ... In Francia, gli agenti di PAX sono in contatto permanente con centri di cattolici progressisti che prendono le loro difese quando si prospetta qualche pericolo».
Infine, si ricordi la dichiarazione di Küng a proposito dell'apostasia dell'inglese Davis (Cfr. Informations Catholiques Internationales: 1 luglio 1967, pp. 26-30): «Quanti restiamo nella Chiesa abbiamo motivi molto buoni per farlo ... Non si tratta solo di interpretare la Chiesa, ma di cambiarla ...» (formula curiosa e rivelatrice; Lenin [in realtà Marx, N.d.T.] diceva: «I filosofi finora hanno interpretato in modo diverso il mondo, quello che conta è cambiarlo»).
La Rivoluzione ... La sua Quinta colonna ... Le sue Quinte colonne.
Uno dei più temibili pericoli che la Chiesa abbia mai sofferto.
Pertanto, niente di strano se Paolo VI è arrivato a dire che «La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. Si pensava a una fioritura, a un’espansione serena ... La Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte» (Discorso ai membri del Pontificio Seminario Lombardo, 7 dicembre 1968).
Note
(20) «Molti sono, infatti, quelli che credono o dicono di tenere le dottrine cattoliche sull'autorità sociale, sul diritto di proprietà, sui rapporti fra capitale e lavoro, sui diritti degli operai, sulle relazioni fra Chiesa e Stato, fra religione e patria, fra classe e classe, fra nazione e nazione, sui diritti della Santa Sede e le prerogative del Romano Pontefice e dell'episcopato, sui diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore Redentore, Signore degli individui e dei popoli. Ma poi parlano, scrivono e, quel che è peggio, operano come non fossero più da seguire, o non col rigore di prima, le dottrine e le prescrizioni solennemente ed inevitabilmente richiamate ed inculcate in tanti documenti pontifici, nominatamente di Leone XIII, Pio X, e Benedetto XV. Contro questa specie di modernismo morale, giuridico, sociale, non meno condannevole del noto modernismo dogmatico, occorre pertanto richiamare quelle dottrine e quelle prescrizioni, che abbiamo detto; occorre risvegliare in tutti quello spirito di fede, di carità soprannaturale e di cristiana disciplina, che solo può dare la loro retta intelligenza ed imporre la loro osservanza. Tutto questo occorre più che mai fare con la gioventù, massime poi con quella che si avvia al Santuario, perché nella generale confusione non sia, come dice l'Apostolo, "portata intorno da ogni vento di dottrina per i raggiri degli uomini, per le astuzie onde seduce l'errore"».
(21) Si legge in un articolo di Jacques Maritain intitolato I fondamenti della democrazia: «Qui, se vogliamo completare il nostro pensiero e non aver paura delle parole, dobbiamo segnalare che dove c’è fede divina o umana, lì si incontrano anche degli eretici che minacciano l’unità della comunità, sia religiosa o civile. Nella società sacrale l’eretico era colui che rompeva l’unità religiosa. In una società laica di uomini liberi l’eretico è colui che rompe le “convinzioni comuni e pratiche democratiche”: il totalitario, colui che nega la libertà – la libertà del suo vicino -, la dignità della persona umana e il potere morale della legge. Non desideriamo che sia bruciato, espulso dalla città, posto fuori legge o gettato in un campo di concentramento. Ma la comunità democratica deve difendersi contro di lui - sia egli materialista, agnostico, cristiano o ebreo, musulmano o buddista – allontanandolo dal governo per il potere di una forte opinione pubblica e bene informata o, se la su a attività costituisce un pericolo per lo Stato, consegnandolo alla giustizia» (in El Pueblo de Buenos Aires del 13 maggio 1945). Così, nella “Nuova Cristianità”, il delitto punibile con la scomunica immediata è la negazione della “libertà libertaria” della persona umana: il cattolico che sostenesse il diritto pubblico della Immortale Dei di Leone XIII o della Quas primas di Pio XI, dovrebbe essere consegnato alla giustizia quale violatore del nuovo diritto pubblico cristiano.
(22) «Siamo stati molto lenti a renderci conto che l’unione che nel Medioevo esisteva tra la Chiesa e lo Stato costituiva un’anomalia (!) più che una norma cristiana» (!!!); così il P. Victor White O.P., nell’importante rivista The Commonwealth del 4 settembre 1953.
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