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mercoledì 14 agosto 2013

INTERVISTA A MONS GUERARD DE LAURIERS

INTERVISTA A MONS GUERARD DE LAURIERS
Sodalitium N. 13 – Maggio 1987
CURRICULUM VITAE
Nato nel 1898 vicino a Parigi, Michel Guerard Des Lauriers frequenta gli istituti dell'insegnamento laico. Entra alla Scuola Normale Superiore [fondata nello stes­so tempo di quella di Pisa] nel 1921, e passa l'e­same di concorso di matematica nel 1924.
Studia due anni a Roma, con il professor T. Levi-Civita, e prepara una tesi che so­sterrà alla Sorbona sotto la presidenza del Pro­fessor Elie Cartan.
Entrato nell'Ordine dei Predicatori nel 1925, vi fece professione nel 1930, ed è ordina­to Sacerdote nel 1931. Professore all'Universi­tà domenicana del Saulchoir dal 1933, insegna ugualmente all'Università Pontificia del Laterano a partire dal 1961. Questo soggiorno ro­mano fu l'occasione, per il Padre Guérard des Lauriers, di elaborare la parte dottrinale e di collaborare alla redazione originale [dovuta a Cristina Guerrini della lettera intitolata: "Breve esame critico del Novus 'ordo missae'"; (Il testo originale, preceduto da una breve notizia storica, è stato recentemente ristampato dalle "Editions Sainte Jeanne d'Are": les Guillots-Villegenon-18260 Vailly Sur Sauldre) lettera indirizzata a Paolo VI il 5 giugno 1969 [festa del Corpus Christi], dai Cardinali Ottaviani e Bacci. Questo passo valse al Padre Guérard des Lauriers il congedo dal Laterano nel giugno del 1970: nello stesso tempo del Ret­tore Mons. Piolanti ed una quindicina di pro­fessori, tutti giudicati indesiderabili. Da allora il Padre Guérard des Lauriers vive "extra conventum, cum permissu superiorum".
Il Padre Guérard del Lauriers è l'autore di parecchie opere di teologia e di numerosi arti­coli concernenti la filosofia delle scienze, la cri­tica della conoscenza, la teologia spirituale. È membro dell'Accademia Pontificia di San Tommaso d'Aquino.
Il Padre Guérard des Lauriers ha pubbli­cato, nel 1978, e poi nei "Cahiers de Cassiciacum", una tesi fino ad ora non confutata; que­sta tesi consiste nell’affermare la vacanza for­male della Sede Apostolica, certamente a partire dal 7 dicembre 1965.
Il Padre Guérard des Lauriers ha ricevuto la Consacrazione eposcopale il 7 maggio 1981, da Mons. Pierre Martin Ngo Dinh Thuc, già Arcivescovo di Hué: Consacrazione valida, secondo il rito tradizionale integralmente os­servato; Consacrazione lecita e legale secondo il potere di Legato conferito da Pio XI a Mons. P.M. Ngo Dinh Thuc, il 15 marzo 1938. (La fotocopia di questo documento è stata riprodotta nella Rivi­sta: "Sous la Bannière", N. 9, gennaio-febbraio 1987; p. 10. [Alle "Editions Sainte Jeanne d'Arc" cf nota 1). 
 INTERVISTA CON MONS. GUÉRARD DES LAURIERS
Monsignore, questo colloquio non può ri­spondere a tutte le domande che ci piacerebbe porVi. Permetteteci di concentrare in poche ri­ghe le linee essenziali e scottanti di cui ci occu­piamo. I fedeli italiani potranno così capire chi siate, quali siano le Vostre idee a proposito del­la crisi nella Chiesa, come avete scelto di agire, per non abbandonare la strada della Verità e restare incessantemente fedele alla Chiesa, messa violentemente in stato di privazione. Ecco le domande: 
-         1) Sodalitium: Avete collaborato per molto tempo con la Fraternità San Pio X e siete stato professore ad Ecóne fino al 1977. Perché si è conclusa la Vostra collaborazione con Mons. Lefebvre?
-         Mons. G.: Ho collaborato con Monsignor Lefebvre dall'inizio della sua opera. Friburgo ed Ecòne, alla fine del 1970. Il 25 dicembre 1970, Monsignor Lefebvre ha celebrato la Messa di mezzanotte ed ha pronunciato l'o­melia; è tornato allora, per la gioia di tutti, all’integrità del rito tradizionale. Ho cele­brato la Messa del giorno, ho pronunciato l'omelia di cui ho ancora lo schema, ed ho ca­lorosamente ringraziato Mons. Lefebvre. Sono rimasto professore ad Ecòne fino al set­tembre 1977: data in cui ho predicato il ritiro per il rientro in Seminario. Sono stato conge­dato poco tempo dopo. Mi è stato persino ri­fiutato di poter rendere visita ai Fratelli Dome­nicani che Mons. Lefebvre aveva accettato ad Ecòne come studenti. Motivo di questa esclu­sione: avevo espresso più volte in "circoli pri­vati" [intra muros], ed avevo fatto, durante una lezione pubblica, un'allusione perfetta­mente chiara alla "tesi" [2a].
-         2) Sodalitium: Allora avete elaborato la Vo­stra tesi teologica sui punti fondamentali: il Con­cilio, il Magistero, il Papato. Potete riassumerci brevemente:
a)      in cosa consiste la Vostra tesi teologica?
b)      in cosa, specialmente, fa difetto l’atteggiamen­to dottrinale di Mons. Lefebvre?
-         Mons. G.: [2a] La "tesi" detta di "Cassiciacum" (esposta nei "Les Cahiers de Cassiciacum" N. da 1 a 6-1979-1981 - 18avenue Bellevue. 06100 N1CE).
[I.] L'enunciato della tesi di "Cassiciacum" [designata d'ora in poi con: "tesi C"].
a Questa tesi richiede un presupposto metafisico che è indispensabile esplicitare. 
Ogni ente creato è composto. Se questo ente è materiale [e non puro spirito], questa composi­zione è quella della materia e della forma. La forma si definisce: "quo aliquid habet esse": "ciò secondo cui tal ente ha di essere"; così l'a­nima è la forma del composto umano. La ma­teria, globalmente considerata, è, nell'ente, ciò che è distinto dalla forma ed ha l'essere me­diante la forma; la materia soggetto si defini­sce: "quod habet esse": "ciò che, nell'ente con­creto, ha l'essere"; così il corpo unito all'ani­ma, nel composto umano.
Da ciò risulta che dal punto di vista della metafisica, [che è quello dell'essere], la materia è determinata dalla forma; c'è dalla materia alla forma, un rapporto ontologico [on, ontos: l'ente] che è di determinato a determinante.
Di modo che, se nello stesso ente concre­to, si trovano due "parti" A e B, tali che A è, dal punto di vista ontologico, determinato da B; e se si vuole caratterizzare questo rapporto che è nell'ente tra A e B, mettendosi dal punto di vista dell'ente, si deve dire questo.
Considerare questo ente materia­liter è considerare in questo ente la "parte" A.
Considerare questo stesso ente formaliter, è considerare in esso la "parte" B. Consi­derare tale essere umano materialiter è considerare in lui il corpo, e tutto quello che ha rapporto col corpo. Considerare questo stesso essere umano formaliter, è considerare in lui l'anima, e tutto quello che ha rapporto con l'anima.
Perché introdurre questa distinzione: ma­terialiter-formaliter (?) la quale sem­bra un'astrazione ed una complicazione?
Se si fa così è per preoccupazione di realismo, perché il discorso sia più conforme alla realtà. Infatti, ciò che esiste, è il tutto, il compo­sto, è l'uomo che è unitamente corpo e anima.
Il corpo senz'anima non è neppure un corpo umano; l'anima umana separata non è una per­sona.
Se si vuoi cogliere il corpo e l'anima così come sono nella realtà, bisogna con­siderarli nel tutto; bisogna considerare: tal essere umano secondo il suo corpo, il che è considerarlo materialiter [dal punto di vista della "materia"]; e bisogna considerare tal essere umano secondo la sua anima, il che è considerarlo formaliter [dal punto di vista della "forma"].
La distinzione: mate­rialiter-formaliter, che è una que­stione di "punti di vista", sembra dunque esse­re più astratta della distinzione: materia-forma, la quale è una distinzione di "cose".
Tuttavia, nella realtà, la distinzione: materialiter-formaliter rispetta meglio la concretezza dell'ente, e la vera natura delle "parti" quali sono realmente nell'ente e soltanto nell'ente.
Da questa conformità massimale alla realtà, ne segue necessariamente che la di­stinzione materialiter-formaliter ha, ex se, una portata analogica che non può avere la distinzione materia-forma: la quale concerne, non l'esse in quanto tale, ma solamente una categoria particolare di enti creati.
b Il rapporto che esiste tra la persona fisi­ca del Papa ed il carisma papale, si trova chia­ramente precisato per mezzo della distinzione: materialiter-formaliter.
Spieghiamolo considerando un "caso con­creto".
Il Cardinale E. Pacelli è l'eletto di un Conclave valido, ma non è ancora Papa.
Tuttavia, differentemente da tutti gli altri Cardinali, il Cardinal Pacelli, e lui solo, è in disposizione ultima a divenire Papa: esattamente come, nel corso di una generazione, la materia che sta per divenire quella del generato e in disposizio­ne ultima a ricevere la forma di questo.
Si può dunque dire, per analogia, che la persona fisica eletta da un Conclave, supposto valido, è costi­tuita Papa Materialiter; e ciò Ipso Facto: a condizione, tuttavia, che la detta persona fisica non sia ipotecata da un Obex rimasto occulto sospendente in essa l'ef­fetto normale dell'elezione.
Il Cardinale E. Pacelli accetta l'elezio­ne. Riceve, nell'atto stesso di questa accettazione, la Comunicazione esercitata da Cristo in favore di Pietro e dei successori di Pietro [Giovanni XXI 15-17].
Il Cardinal E. Pacel­li é dunque costituito Vicario di Gesù Cristo.
E, poiché è molto precisamente nell"essere Vi­cario di Gesù Cristo che consiste il fatto di es­sere Papa, si dice che la stessa persona fisica, ovvero il Cardinal E. Pacelli, che in virtù dell'elezione era Papa soltanto materialiter, diventa Papa formaliter nell'atto stesso in cui accetta l'elezione.
In questa secon­da tappa [formaliter], vi è tuttavia una conditio sine qua non: e ciò esattamente come nella prima tappa [materialiter].
Que­sta condizione è evidente, ed è la seguente: oc­corre che, nel momento stesso in cui il Cardi­nal E. pacelli afferma esteriormente di ac­cettare l'elezione, non ponga interiormen­te, in modo occulto, un obex che l'abbia impe­dito di RICEVERE la Comunicazione promes­sa ed esercitata da Cristo.
Se si fosse accertato ulteriormente che un tal obex fosse esistito nel­l'atto dell'accettazione, il Cardinal E. Pa­celli non sarebbe stato in alcun momento Papa Formaliter.
La distinzione formaliter-materialiter, intesa come ora è stata esposta, è stata utilizzata da San Roberto Bellarmino.
Questa distinzione e le due condizioni sine qua non che sono state precisate, si impongono d'altro canto, per la metafisica del "senso co­mune", ed in virtù del diritto naturale fondato da questa metafisica, esigito da essa; e, di conseguenza, soggiacente anche al diritto di­vino, a fortiori al diritto canonico ed al diritto puramente ecclesiale.
j L'enunciato della "tesi C", conforme­mente alla distinzione formaliter-materialiter.
La "tesi C" riguarda il rapporto di cui si è trattato nel paragrafo precedente [b]: rapporto tra la persona fisica che "occupa", almeno ap­parentemente, la sede episcopale di Roma, ed il carisma che è proprio al Papa.
La "tesi C" comprende due parti, confor­memente ai due membri della distinzione-chia­ve [formaliter-materialiter].
A] L""occupante" della Sede apostolica [il Cardinal Montini, almeno dopo il 7 dicembre 1965, Mons. Lucani, Mons. Wojtyla] non è papa formaliter.
Non bisogna desi­gnarlo con il nome di Papa.
Vale a dire che il detto "occupante" non è, in alcuno dei suoi atti, il Vicario di Gesù Cristo. Questi atti, precisamente in quanto pretendono essere atti del Papa, in quanto Papa, sono nulli. Non c'è nulla di cui disobbe­dire agli "ordini" pretesamente portati da Mons. Wojtyla: poiché non è in atto il Vicario di Gesù Cristo: tutte le ordinazioni portate a questo pseudo-titolo sono vane, nulle, senza nessuna por­tata nella realtà.
Bisogna, non “disobbedire”, ma ignorare.
B] L’"occupante" della Sede apostolica è tuttavia "papa" materialiter.
Si può pertanto designarlo col  nome di "papa": le virgolette co-significano che non é Papa.
Vale a dire che l'"occupante" occupa la Sede in una maniera illegittima e sacrilega [poi­ché non è Papa, e si fa passare per tale]: ma la occupa materialmente.
Designare un Papa autentico richiede canonicamente l'aver precedentemente con­statato e dichiarato la vacanza reale della Sede materialmente occupata. 
C] Riassumendo, si può dire. Al più tardi dal 7 dicembre 1965, vi è vacanza forma­le della Sede apostolica, benché questa Sede sia stata e sia "occupata" materialmente dal susseguirsi di tre per­sone, tutte in stato di Scisma capitale.
[II.] La prova della "tesi C", in ciascuna delle sue due parti.
µ La prova della parte [A], cioè: (l'"occu­pante" la Sede apostolica NON È Papa FOR­MALITER. Poiché, come è stato spiegato pre­cedentemente [I b], l'eletto di un Conclave supposto valido è costituito Papa Formali­ter nell'atto stesso della sua accettazione, solo se, nell'istante stesso in cui pone pub­blicamente questo atto, non pone interiormente un altro atto, e non è interiormente in uno stato occulto che l'impedirebbe di riceve­re la Comunicazione promessa ed esercitata da Cristo.
Poiché in effetti è nel ricevere questa Co­municazione che si è, in atto, Vicario di Cristo, cioè Papa Formaliter, opporsi volonta­riamente a questa ricezione è rendere vo­lontariamente impossibile che si possa essere Papa Formaliter.
Si deve evidentemente, a priori, presume­re la lealtà della persona che accetta di essere l'eletto di un Conclave valido.
Tuttavia. Leone XIII ha espressamente dichiarato ("Apostolicæ Curæ", 13 IX 1896; D.S. 3318): "La Chie­sa deve giudicare dell'intenzione in quanto questa è manifestata esteriormente".
L’”occu­pante" [la Sede apostolica] ha avuto realmen­te, accettando l'elezione del Conclave, l'inten­zione di ricevere la Comunicazione esercitata da Cristo?
Per rispondere a questa domanda, secondo Leone XIII, bisogna considerare i FATTI.
Se l'"occupante" aveva avuto, in real­tà, l'intenzione di ricevere la suddetta comuni­cazione, allora doveva in seguito, abi­tualmente, conformarsi a tutte le esigen­ze di detta comunicazione.
Se, al contrario, si accerta che, continuamente e siste­maticamente, l'”occupante" va contro le esigenze più fondamentali che sono inerenti alla Comunicazione esercitata da Cristo, bi­sogna concludere, (stando a Leone XIII) che l'”occupante" non aveva in realtà l'intenzione di riceverla, e che, in conseguenza, non è mai stato [o ha cessato di essere] Papa Formaliter.
Ora, nel caso presente, le esigenze della Comunicazione esercitata da Cristo in favore di Pietro e dei suoi successori sono di due tipi:
-         Le une sono nei fatti presupposte alla Comuni­cazione; ma sono dell'ambito dell'ontologia: di modo che, benché di ordine naturale, sono imperiosamente necessitanti per la Comunicazio­ne perché le sono immanenti.
-         Le altre esigenze sono conseguenti alla Comunicazione, e sono di ordine sovrannaturale "quoad substantiam".
Esaminiamo successivamente questi due tipi di esigenze osservando come si com­porta, verso ciascuna rispettivamente, l'"occu­pante" della Sede apostolica.
Gesù Cristo, istituendo la Sua Chiesa come società umana visibile ha ipso facto sanzionato, per questa Chiesa che è la Sua, le norme che sono immanenti per natura e, dunque necessa­riamente, ad ogni Società di questo tipo.
Ora, ci limitiamo qui a ricordarlo, in ogni Società, l'esi­stenza stessa dell'autorità richiede di essere fon­data sul proposito di realizzare il bene comune che è il fine della detta Società.
Una "persona" fisica o morale che, in seno ad una Società, per­seguirebbe abitualmente ed in molte maniere, l'annientamento del bene comune che è proprio a questa Società, una tal "persona" dunque non può essere l'autorità nella detta Società.
La Chiesa, nascendo secondo questa legge, "eam non minuit, sed sacravit: non la diminuì ma la consacrò" [come "Gesù, nascendo da Ma­ria, ha, in Lei, consacrato la Verginità, e non l'ha diminuita].
Ora osserviamo che, da 25 anni, con dei procedimenti indiretti ma molto efficaci e convergenti, l'occupante" della Sede apostoli­ca persegue la degradazione di quello che invece dovrebbe promuovere, cioè il "Bene" affidato in proprio alla Chiesa dal Suo divino Fondatore, particolarmente l'oblazione pura ed il deposito rivelato.
Ne consegue che l'”occupan­te" la Sede apostolica non può essere, nella Chie­sa, l'”Autorità". Dunque non è Papa Formaliter.
La Comunicazione esercitata da Cristo in favore del Suo autentico Vicario presenta egualmente delle "prerogative" [e, viste dal di fuori, delle esigenze] che le sono conseguenti.
La principale è l'infallibilità. È rivelato che l'Infallibilità comporta due forme:
-         il Magistero Straordinario Solenne [il Papa pronuncia "ex cathedra" (dogma dell’Immacolata Concezione dichiarato da Pio IX, e quello dell’Assunzione da Pio XII)];
-         il Magistero Ordina­rio Universale [l’insieme dei Vescovi, dispersi o riuniti, in comunione col Papa (Assunzione, prima della definizione di Pio XII)].
È dunque impossibile che l'autentico Vicario di Gesù Cristo, quando si pronuncia secondo l'una o l'altra di queste due forme, affermi una cosa che sostenga l'opposizione di contraddizione con una dottrina già rivelata.
Il 7 dicem­bre 1965, il Cardinal Montini ha promulgato, impegnando almeno [cf (3)] il Magistero Ordi­nario Universale, una proposizione concernente la "libertà religiosa" che sostiene l'opposizione di contraddizione con la dottrina infalli­bilmente definita da Pio IX nell'Enciclica "Quanta Cura" legata al "Syllabus" [08 XII 1864].
Bisogna dunque concludere, stando a Leone XIII, che, ponendo quest'atto, il Cardinal Montini non aveva l'intenzione di ricevere la Comunicazione esercitata da Gesù Cristo, dunque non era più Papa Formaliter.
Riassumendo [α].
Il Vicario di Gesù Cri­sto non può agire, come tale, che con­formemente al carisma che tiene dalla Comunicazione esercitata in suo favore da Gesù Cristo.
Non può dunque agire che con­formemente alle norme naturali fondamentali sanzionate ed assunte da Gesù Cristo, e con­formemente alla Verità già manifestata da Gesù Cristo.
Qualsivoglia contraddizione, os­servabile ed osservata su uno di questi due punti, prova, necessariamente a posteriori, che l'autore di un simile delitto non può essere il Vicario di Gesù Cristo.
β La prova della parte [B], cioè: l'”occu­pante" la Sede apostolica è "papa" Materialiter.
Abbiamo precedentemente spiegato [I β] in che senso conviene dire che l'eletto di un Conclave supposto valido sia, anche prima della sua accettazione, papa materialiter, a condizione tuttavia: che, in primo luogo, il Conclave sia valido [quante 'voci' sono circolate, plausibili se non fondate, con­cernenti gli ultimi tre Conclavi... Tisserand, Siri...]; che, secondariamente, l'eletto appa­rente non sia ipotecato da un obex rimasto oc­culto e che sospende in lui l'effetto normale dell'elezione [Se, per esempio, si provasse con cer­tezza che Mons. Wojtyla apparteneva ad una società occulta anticristiana prima della sua elezione].
Ora, l'esistenza di un eventuale obex, sco­perto a posteriori, sia nel "Conclave" che eleg­ge, sia nella persona così scelta, non è suffi­ciente ad infirmare che costui sia, almeno provvisoriamente, "papa" Materialiter. Perché un dato certo, ma che non è d'ordine ontologico, non può essere immanente alle Norme divine stesse.
Un tal dato non può dunque aver valore e forza nella Chiesa che in virtù di un ordinamento e di una promulgazione fatta dall'autentica Auto­rità della Chiesa.
E, poiché una tale Autorità, attualmente, fa difetto, nessuno è attualmente qualificato, nella Chiesa [intendiamo: la vera Chiesa; non come tale la Chiesa che presiede Mons. Wojtyla] per dichiarare che dopo il 7 dicembre 1965, il Cardinal Montini ha cessato di essere "papa" Materialiter.
La stessa osservazione vale per gli "occu­panti" la Sede apostolica che sono succeduti al cardinal Montini; ciò nella sola misu­ra in cui una "gerarchia" che lo è soltanto materialiter può perpetuarsi. Una tale perpetuazione non è, ex se, impossibile.
Essa richiede tuttavia espressamente delle Consa­crazioni episcopali che siano certamente vali­de.
E, poiché il nuovo rito è dubbio, gli "occu­panti" [della Sede apostolica] ben presto non saranno più che delle "comparse".
Mons. Woj­tyla è, a questo riguardo e come minimo, un eminente precursore.
Come si salverà, in queste condizioni, l'Apostolicità della Chiesa?
Checché ne sia di que­sto mistero, che ci vela attualmente il "mistero d'iniquità", bisogna evidentemente sostenere che la successione apostolica sarà salvaguarda­ta, ininterrotta "fino alla fine del secolo" [Matteo XXVIII 20].
La "visibilità" non è una nota della Chiesa; essa ha subito delle eclissi, poiché è solamente la possibilità di diritto, non sempre realizzata di fatto [cf il Grande Scisma] di osservare l'Apostolicità.
Mentre l'Apostolicità è una nota, permanente come la Chiesa stessa. È necessario quindi tenere asso­lutamente la norma, senza la quale la succes­sione apostolica si troverebbe oggettivamente ininterrotta.
Questa regola, imperiosa ed evidente, è la seguente.
La persona fisica o morale che ha, nella Chiesa, qualità per dichiarare la vacanza totale della Sede apostolica è identica a quella che, nella Chiesa, ha qualità per prov­vedere alla provvigione della stessa Sede apo­stolica.
Chi dichiara attualmente: "Mons. Wojtyla non è per nulla papa [neanche materialtter]", deve: o convocare il Conclave, o mostrare le credenziali che lo costituiscono di­rettamente ed immediatamente Legato di No­stro Signore Gesù Cristo.
Queste ultime osservazioni mostrano suffi­cientemente che la portata oggettiva della do­manda: "L'occupante della Sede apostolica è, sì o no, 'papa' materialiter(?)", è talmente fuori della nostra portata, che concretamente e realmente, la risposta a questa domanda non ha quasi impatto sul comportamento effettivamen­te possibile del fedele legato alla Tradizione.
[2b] In cosa soprattutto fa difetto l'attitu­dine dottrinale di Mons. Lefebvre?
La viziosità principale del "Lefebvrismo" con­siste in una radicale doppiezza, la quale inocu­la l'eresia.
[I.] "In verbis". Doppiezza.
A proposito di ogni avvenimento, vi sono sempre due affer­mazioni contrarie tra di loro, concernenti i rapporti con "Roma": l'una per dei circoli ri­stretti [Non c"è niente da aspettarsi da Roma. Mons. Lefebvre sta per consacrare dei Vescovi"]: l'altra per i grandi uditori (Cresime. Ordi­nazioni); ["Tutto sta per aggiustarsi. Non com­promettete tutto. Nessuna Consacrazione epi­scopale"]. L'ultimo "numero" di questa pan­tomima che dura da dieci anni ha avuto luogo l'otto dicembre 1986. Mons. Lefebvre, in una lettera aperta a Giovanni Paolo II, tenuta se­greta fino all'otto dicembre, ed in seguito man­tenuta nel silenzio, ritiene "che bisogna consi­derare come nulle tutte le riforme conciliari e tutti gli atti di Roma che sono compiuti in que­sta empietà". Questa dichiarazione, letta il mattino dell'otto dicembre nei Priorati, ha trattenuto dei Seminaristi che erano decisi a non rinnovare le loro promesse e dunque a la­sciare la Fraternità. Tuttavia, avendo dato agli Econiani la consegna di non parlare di questa lettera, Mons. Lefebvre continua ad affermare che Giovanni Paolo II è veramente Papa. Così, secondo Mons. Lefebvre, una persona è l'Au­torità, e tuttavia, gli atti che pone questa perso­na, in quanto è l'Autorità, possono essere nulli, "devono essere considerati come nulli".
Mons. Lefebvre ha un così straordinario habitus della duplicità che lo spinge con cinismo fino ad affermare la contraddizione.
[II.] "In factis". Inganno e bestemmia.
La pratica dei Priorati insegna di fatto nella pras­si, benché senza dirlo, che da un'autentica "Autorità" [Mons. Wojtyla sia veramente "papa", ergo sarebbe in atto il Vicario di Gesù Cristo], procede una "missio" talmente viziata [la cosiddetta nuova messa, l'ecumenismo... Assisi ed il resto...] che Mons. Lefebvre rifiuta di conformarvisi.
Ciò equivale, nell'agire, ad una bestem­mia contro la santità della Chiesa. La MISSIO che procede veramente dalla Chiesa non può essere che santa.
Questa eresia, diffusa in tutte le Cappelle e le Scuole tenute da "Ecòne", è la seguente: "il Magistero ordinario universale della Chiesa non è infallibile". Ora, la Verità, tenuta dalla Tradizione, e confermata dal Vaticano I, è che il Magistero Ordinario Universale é Infallibile. (Cf M.L. Guérard del Lauriers: "De Vatican II a Wojtyla", apud:" Sousla Bannière", supplemento al N. 8 [Edizioni Sainte Jea'nne d'Are, les Guillots: 18260 VILLEGENON]).
[III.] "In verbis et factis". Inganno, diffu­sione dell'eresia.
Da almeno dieci anni si è in­segnato ad Ecòne, si è ripetuto ed imposto ai fedeli dei Priorati, ed ai bambini innocenti e senza difesa che frequentano le scuole tenute dalla Fraternità San Pio X, che il Magistero è infallibile solamente se il Papa parla "ex cathedra". La qual cosa equivale a negare l'infallibilità del magistero ordinario universale, la quale, però, è affermala da tutta la Tradizione, particolarmente dal Vaticano I.
Il "Lefebvrismo" diffonde dunque l'eresia, per poter proclamare che Mons. Wojtyla è veramente Papa, e poter così conservare i suffragi dei ge­nerosi fedeli che vengono messi sulla strada dell'inferno invece di dichiarar loro la Verità.
3) Sodalitium: Si dice che, dato che il Vati­cano II non ha definito dei dogmi, la presenza indiscutibile e d'altra parte riconosciuta di errori contro la Fede nei testi conciliari, non pone alcun
problema quanto all'infallibilità della Chiesa.
Tutto ciò è vero? E se non lo è, come giudicare una tale asserzione
?
Mons. G.: La qualificazione del Vaticano II [Cf Cahiers de Cassiciacum: N. 1 pp. 14-15; N. 6 pp. 13-81].
Era lecito al Vaticano II non definire dei dogmi. Ma è un errore o una menzogna affer­mare, sulla natura del Vaticano II, delle con­tro-verità.
Un Concilio ecumenico convocato ed approvato dal Papa appartiene per lo meno e per definizione al Magistero Ordinario Univer­sale della Chiesa. Per sé, cioè se le cose sono conformi a quello che ne esige la natura, i do­cumenti che emanano da una assemblea di questo genere e che rilevano formalmente della luce della Fede [ed è il caso nella definizione della "libertà religiosa"] e che trattano di una dottrina già infallibilmente promulgata, sono ipso facto promulgati con la nota dell'infallibi­lità. Il Vaticano II ha potuto, a rigore, affer­marsi "ordinario"; ma non ha fatto e non pote­va fare che una promulgazione le cui clausole comportano che canonicamente l'infallibilità pos­sa non dover essere infallibile.
4) Sodalitium: Cosa pensare, dunque, di Paolo VI e Giovanni Paolo II?
Mons. G.: Dio ha giudicato. Dio giudi­cherà. Quanto a noi, non giudichiamo... almeno dell'intenzione.
Questi "papi" professano l'eresia e sono per lo meno affetti da "Scisma capitale" [Cf Cahiers de Cassiciacum N. 3-4]. Il meglio che c'è da fare è, mi pare, non considerarli.
"Nec nominetur in vobis" [Efesini V 3]. Sed tamen oremus pro eis [ma tuttavia pre­ghiamo per loro]: Miserere, de Profundis.
5) Sodalitium: Cosa ne pensare delle Messe tradizionali celebrate da sacerdoti che, pur essendo critici nei riguardi di Roma, sostengono che Giovanni Paolo II è veramente Papa e lo no­minano nel Te igitur, nel corso del Canone della Messa?
Mons. G.: Messe tradizionali, celebrate con menzione di Giovanni Paolo II nel corso del Te igitur.
Il Sacerdote che celebra una tal Messa pronuncia le seguenti parole: "In primis quae Tibi offerimus pro Ecclesia Tua sancta catholica...: una cum famulo tuo Papa nostro Johanne Paulo...".
Queste Messe sono comunemen­te designate con il nome di: "messe una cum".
È necessario, in questa proclamazione, considerare due cose: d'un lato ciò che vi è di­rettamente significato: dall'altro, ciò che vi si trova indirettamente consignificato, a causa del contesto.
[I.] Ciò che è direttamente significato dal­la formula: "una cum". Il delitto di sacrilegio.
Il senso generale della supplica è determi­nato dalle parole: "quae tibi offerimus pro...".
Ma, checché ne sia di questo senso generale, la locuzione “una cum” afferma che la Chiesa [di Cristo e di Dio: "tua"], santa e cattolica, è "una cum" il servo di Dio che è nostro Papa Giovanni Paolo II.
La locuzione “una cum” afferma dunque che: reciprocamente Mons. Wojtyla è "uno (insieme), con" [è una cosa sola con] la Chiesa di Gesù Cristo, santa e cat­tolica.
Ora, l'abbiamo dimostrato [2a. γ], questa affermazione è un errore. Perché, dato che W. persiste a proferire ed a promulgare l'e­resia, non può essere il Vicario di Gesù Cristo; non può, in quanto "papa" come si dovrebbe [famulo tuo Papa nostro], essere "una sola cosa con" la Chiesa di Gesù Cristo.
L'una cum afferma dunque, e proclama, un errore con­cernente concretamente la Fede.
Essendo così, bisogna concludere che la Messa "una cum" è "ex se" oggettivamente macchiata di sacrilegio.
La Messa, difatti, è l'azione sacra per eccellenza, poiché il Sacer­dote opera "in Persona Christi".
E se questo ruolo strumentale concerne eminentemente l'atto consacratone è egualmente realizzato per derivazione durante ciò che precede e pre­para quest'atto, o ne segue immediatamente.
Ora, tutto ciò che include un'azione sacra deve essere puro, vale a dire conforme a ciò che ne esige la natura.
Una proclamazione che specifi­ca immediatamente l'esercizio concreto della Fede, deve sempre essere vera, tenuto conto della Fede stessa.
Deve esserla, ad un secondo titolo, se è fatta durante un'azione sacra. Dun­que, se una proclamazione che specifica imme­diatamente l'esercizio concreto della Fede è fatta durante un'azione sacra, e se è erronea, costituisce ipso facto ed oggettiva­mente un delitto, non solo contro la Fede ma anche contro l'azione sacra.
Una tale proclamazione è dunque macchiata [ipotecata] d'un delitto che è del genere: "sacrilegio"; e ciò oggettivamente ed ineluttabil­mente, checché ne sia del peccato commesso dai partecipanti [cf 6].
[II.] Ciò che é indirettamente consignifi­cato dalla formula "una cum".Il delitto di Sci­sma Capitale.
"Quae tibi offerimus pro...". Si tratta di una offerta che è fatta in favore di. Ecco ciò che è significato direttamente.
Per questo qualcuno [specialmente Dom Gerard Calva o.s.b.] ha preteso che al Te igitur si preghi per il Papa e per nulla con il Papa. Si tratta di una veduta superficiale. Infatti, bisogna osser­vare che in questa prima parte del Te igitur, il Papa è considerato in quanto papa, poi­ché, precisamente, è menzionato "una cum Ec­clesia". A questo proposito, conviene rispondere ad una obiezione alle­gata da Mons. Lefebvre e da quelli che lo seguono. Pretendono dire: "rifiutarsi di menzionare W. al Te igitur" e dicono: "rifiutarsi di pregare per il Papa". Nient’affatto. Al contrario, è eminente­mente conveniente pregare per W. come persona privata, di pre­gare per lui e per la sua conversione, al Memento dei vivi. Mentre è evidentemente impossibile pregare per una persona in quanto essa assumerebbe in atto la funzione di es­sere il Vicario di Gesù Cristo, mentre questa persona pone degli atti che sospendono assolutamente l'esercizio di questa funzione.
D'altronde, l'applicazione del frutto della Messa ["pro"], richiesta come aleatoria in fa­vore delle persone private nei due Memento è richiesta nel Te igitur: in modo eguale, unitamente [una cum] in favore della Chiesa e del Papa, come gratuita, certo, "ex parte Dei", ma come necessaria poiché cer­ta "ex parte nostri".
Da quest'ultima osservazione, risulta la seguente conseguenza.
Ricordiamo che l'"applicazione" del meri­to non è necessaria [o: "de condigno"] che in due casi, ovvero:
1) Questa "applicazione" è fatta da Cristo in persona: Lui, e Lui solo, me­rita, in diritto, per gli altri;
2) Questa "ap­plicazione" è fatta alla persona stessa che ac­quista il merito: ciascuno merita "de condi­gno" per sé stesso. Dunque, siccome l'applica­zione del frutto della Messa è fatta di dirit­to a persona morale che costituiscono uni­tamente ed in modo eguale [una cum] la Chiesa ed il Papa.
È necessario che questa stessa persona morale sia al principio del Sacrificio di cui essa ha il diritto di ricevere il frutto.
D'Altronde, si afferma comunemente che, se la Messa è primordialmente il Sacrificio di Cristo, essa è egualmente ed unitamente il Sacrificio della Chiesa. [È per questo che, se il Sacerdote che offre il Sacrificio, quanto all'esercizio dell'atto, opera in Persona Christi, senza mediazione della Chiesa, tuttavia, quanto alla specifica­zione dell'atto, il Sacerdote non può operare che nella mediazione della chiesa. Poiché solamente la Chiesa ha divi­namente qualità per garantire con certezza:
- la conformità alla Verità dell'articolo che pro­mulga nel Nome di Cristo;
- la conformità alla Realtà del rito che essa prescrive in Nome di Cristo. (Il Sacerdote che fa uso di un rito pren­de ipso facto l'intenzione dell'autorità che è re­sponsabile di questo rito... s'intravedono tutte le conseguenze)].
E, nella Chiesa in ordine, tramite la me­diazione esercitata dalla Gerarchia, è il Papa in definitiva che conferisce la "missione" di cele­brare qualsiasi Messa.
Il Papa è, nella Chiesa, il "Sommo Pontefice". Ed è perché Chiesa e Papa unitamente [una cum] comandano nella Chiesa militante l'offerta del Sacrificio proprio a questa Chiesa, che hanno diritto "in primis" al frutto di questo Sacrificio: nell'ordine creato, essi sono "in primis" quanto al termine [cioè l'applicazione del frutto], perché sono "in primis" quanto al prin­cipio [cioè l'intimazione della celebrazione].
Si vede così qual'è la vera portata dell'e­spressione: "una cum". Non significa soltanto che, celebrando il sacrificio della Messa, si pre­ga per la Chiesa e per il Papa, come per [pro] tale persona privata o tale intenzione partico­lare.
"Una cum" consignifica, implicitamente ma necessariamente, che, celebrando il Sacrificio della Messa, si celebra in unione con e sotto la dipendenza di questa persona morale che sono unitamente [una cum] la Chiesa ed il Papa; visto che questa per­sona morale ha diritto in primis al frutto del sacrificio: diritto in primis che solo può fondare metafisicamente il fatto di partecipare di diritto in primis all'atto di Cristo-Sa­cerdote che offre questo stesso Sacrificio.
Da tutto ciò deriva la qualificazione che conviene attribuire alla Messa tradizionale "una cum".
Una simile Messa è valida [supponendo che il sacerdote sia stato ordinato validamen­te], a causa del rito che, come il Deposito, re­sta divinamente garantito dal Magistero della Chiesa. Ma, checché ne voglia soggettivamente il celebrante, l'atto che pone com­porta oggettivamente ed inelutta­bilmente l'affermazione di essere in comu­nione con [una cum], e persino sotto la dipen­denza [papa nostro] di una persona in stato di scisma capitale.
L'atto d'una celebrazione simile è dunque macchiato di un delitto che è del genere: "scisma"; ciò oggettivamente ed ineluttabilmente, checché ne sia del peccato commesso dai partecipanti: pre­te celebrante, fedeli assistenti, [cf 6].
6) Sodalitium: Potete precisare, per favore, le difficoltà suscitate dall'assistenza ad una Mes­sa tradizionale celebrata "una cum"?
Mons. G.: Difficoltà suscitate dal fatto di assistere ad una Messa tradizionale "una cum".
Queste difficoltà risultano da quanto ab­biamo esposto.
Bisogna evidentemente lasciare da parte i casi nei quali l'assistenza ad una tale Messa è necessitata da un motivo estrinseco [ragione di famiglia, per esempio], essendo sottinteso che la persona che assiste ad una tale Messa mani­festerà nettamente ed ostensibilmente che assi­ste senza partecipare.
Se quest'ultima clausola [manifesta­re che non si partecipa] non è realiz­zata, allora, ex se, il solo fatto di assistere co­stituisce una partecipazione, una cauzione data alla celebrazione.
E siccome questa é ipo­tecata oggettivamente ed inelut­tabilmente dal delitto di sacrilegio e dal delitto di scisma, non ne segue forse che parte­cipando a questa celebrazione si incorre nella colpevolezza di questi delitti?
La risposta è, di diritto, affermativa. Ne segue che, di diritto, i fedeli attaccati alla Tradizione non devono assistere alla Mes­sa tradizionale una cum. E questo tenuto con­to: in primo luogo di se stessi, in secondo luogo della Testimonianza che devono rendere agli altri.
Questa risposta, di diritto, affermati­va, può essere praticamente tenuta in sospeso da due considerazioni. La prima è di ordine ge­nerale, tenuto conto delle regole della morale.
Un delitto non è peccato che se è conosciuto come tale. L'ignoranza scusa se è candida; ac­cresce la colpevolezza se è calcolata, ecc. ... Un buon numero di fedeli attaccati alla Tradizione non comprendono nè la portata, nè, in conse­guenza, la gravita dell'”una cum".
Bisogna istruirli [cf 10]. Ma, finché non hanno ca­pito, non si può incolparli d'assistere alla Mes­sa tradizionale una cum ...
Dio solo scruta i cuori!
La seconda considerazione che può tenere in sospeso la norma del diritto [ovvero: non assistere alla "Messa una cum”] dipende dalla situazione at­tuale.
Può accadere che dei fedeli non abbiano praticamente altro mezzo di comunicare che assi­stendo ad una Messa una cum.
Ora, se è possibile vivere e progredire nello stato di grazia senza co­municare, questa privazione non va esente da diffi­coltà e talvolta da pericoli. E, come la Chiesa ha sempre ammesso che in pericolo di morte si possa ricorrere ad un confessore anche scomunicato, non conviene forse di ricorrere ad una Messa una cum per partecipare al Sacrificio e comunicarvi?
Pio XII l'ha ricordato con autorità: nella Chiesa militante, è la salvezza delle anime che costituisce la finalità delle finalità.
L'assistenza alla "Messa una cum" può essere quindi oggetto di un "caso di Coscienza". Ogni caso è un caso; e deve essere risol­to in definitiva dalla coscienza dell'interessato, ma non senza i consigli e le direttive comunicati da un Sacerdote "non una cum". Né rigorismo univoco, che non tiene conto della coscienza di ciascuno; né lassismo sentimentale: per esempio, una persona che può comunicare ogni quindici giorni ad una Messa "non una cum", non ha alcuna ragione e non deve quindi, nell'intervallo, assistere ad una "Messa una cum", ancor meno comunicarvi.
Nota:
Mons. Guérard sostiene che egli, in questa materia, esprime unica­mente la sua opinione, ed ammette i buoni diritti dell'altra opinione, secondo cui non è lecito neanche per motivi pastorali (il desiderio dei Sacramenti) assistere e comunicare ad una "Messa una cum".
7) Sodalitium: Monsignore, nel 1981 siete stato consacrato Vescovo da Monsignor Thuc.
Questo Vescovo non è sempre stato chiaro nei suoi atti. In seguito a questa Consacrazione siete stato "scomunicato" dal Cardinal Ratzinger. Cosa pensare di tutto ciò?
Mons. G.: Ho ricevuto la Consacrazione episcopale, il 7 maggio 1981, da Mons. Pierre Martin Ngo Dinh Thuc.
Affermo che questa Consacrazione è valida, legale per quanto si poteva e perfettamente lecita.
Si chiama "legale", ciò che è conforme alla lettera della legge. Si dice "lecito", ciò che è conforme al fine voluto dalla legge. La virtù di epikeia, consiste nel trascurare la "lettera", se essa si rivela contraria al "fine".
[I.] La Consacrazione è valida.
Atteso che:
1) il rito tradizionale è stato in­tegralmente osservato [fatta eccezione della lettura del "mandato romano"];
2) Mons. Thuc ed io avevamo l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
[II.] La Consacrazione è legale, nel limite del possibile.
In effetti, bisogna sapere che, con un Bre­ve datato 5 marzo 1938, Pio XI istituì Mons. Thuc come suo Legato ["deputamus in Nostrum Legatum Petrum Martinum Ngò-Dhin-Thuc Episcopum titularem Saesinensem ad fines nobis notos, cum omnibus necessariis facultatibus"].
Mons. Thuc aveva quindi il potere di Consa­crare dei Vescovi, senza sottoporre antecedentemente il caso alla Santa Sede, e quindi senza "mandato romano".
Mons. Thuc conservò questo stesso potere, quando fu istituito Arcivescovo di Huè da Pio XII.
Lo prova il fatto che fu Mons. Thuc, e non l'Amministratore Apostolico, che scelse e consacrò tutti i Vescovi del Vietnam tra il 1940 ed il 1950 [Mons. Thuc me ne spiegò, di viva voce, e non senza un'insistente malizia, la ragione (nasco­sta e vera).
In questo modo le pensioni, le spe­se in caso di malattia ecc. dei suddetti Vescovi, tutti questi oneri incombevano ai fedeli del Vietnam; mentre avrebbero dovuto incombere su "Roma", se questi stessi Vescovi fossero stati consacrati dall'Amministratore Apostolico.
Checché ne sia di questa "divertente" "fina­lità", resta che, riguardo allo stretto punto di vista della causa formale, "Roma", di fat­to, sotto Pio XII, ha confermato Mons. Thuc nei suoi poteri e prerogative di Legato.
Mons. Thuc aveva coscienza di averli conservati, e ne fece parte oralmente a più persone: "quando si troveranno questi Documenti dopo la mia morte".
Ma questi Documenti non furo­no messi in luce, e "aggiornati" che molto tar­divamente [passarono attraverso molteplici e pericolose vicissitudini], per cui non è stato possibile avvalersene, come sarebbe stato op­portuno. È quindi con la più grande buona fede e persino in tutto candore, che Mons. Thuc procedette a fare Consacrazioni ed Ordi­nazioni.
Pensava, a giusto titolo, di averne ca­nonicamente il diritto; poiché questo diritto non gli era stato tolto. (Mons. Thuc aveva così: pensione e doni per soccorrere i rifugiati vietnamiti. Cf il mio articolo sul BOC (abbreviazione di "Bulletin del'Occident Chrétien"): N. 103-(B.P. 112.92313 Sèvres Cèdex).
Le suddette Consacrazioni ed Ordinazioni, fatte da Mons. Thuc, sono "legali": vale a dire conformi alla "lettera" della legge? Perché lo fos­sero perfettamente, sarebbe stato necessario che dopo aver posto l'atto [non "prima", perché Mons. Thuc aveva giuridicamente il potere], Mons. Thuc sottoponesse il caso all'Autorità.
Ma Mons. Thuc riteneva, come io stesso, che non ci sia più Autorità; benché, paradossalmente e sventuratamente, ci tenne a restare egualmente in buone relazioni con l’"autorità".: [Si legga: Autorità = la vera Autorità, di cui vi è attual­mente "vacanza formale"; "autorità" = pseudo - Autorità che infierisce dal 7 dicembre 1965]. Da tutto ciò, due conseguenze:
Da un punto di vista oggettivo, vale a dire considerando in sé stesse le Consacrazio­ni ed Ordinazioni compiute da Mons. Thuc, esse sono tanto "legali" quanto si poteva [e che si può]. Poiché, da un lato, Mons. Thuc aveva giuridicamente il potere di compierle senza il "mandato romano"; e, d'altra parte, era e resta impossibile "denunciare" queste Consacrazio­ni ed Ordinazioni ad una Autorità che, in atto ed in quanto tale, non esiste.
La "legalità" del­le suddette Consacrazioni ed Ordinazioni è, come ogni cosa attualmente nella Chiesa militante, in stato di privazione, in ragione della "vacanza formale" della Sede Apostolica.
Da un punto di vista soggettivo, vale a dire considerando le suddette Consacrazioni ed Ordinazioni come uno dei comportamenti di Mons. Thuc, si è obbligati di osservare che sono state per lui la "spada di dolore" e la pie­tra di scandalo. Esse esigevano che rompesse con "Roma", e lo fece a parole; ma desiderava, per le "ragioni del cuore", aver dei riguardi per "Roma", e fu preso nella trappola dove trovò la morte.
"Noli judicare si non vis errare". Checché ne sia di questa intima agonia e del Giudizio di Dio, resta il fatto che le Consacrazioni e le Or­dinazioni compiute da Mons. Thuc sono state tanto legali quanto si può partecipando secon­do la loro natura allo stato di privazione che colpisce attualmente tutta la Chiesa militante, e distintamente ognuno dei suoi componenti...
La Chiesa Corpo Mistico, Sposa di Cristo, re­stando vergine, anche in terra, di qualsiasi pri­vazione.
[III.] La Consacrazione è lecita.
Per ben comprenderlo, bisogna ricordare che, nella Chiesa militante considerata in quanto essa è un collettivo umano, ogni legge puramente ecclesiastica [la vacanza e la provvisione della Sede aposto­lica fan parte di questo tipo di legge], anche quelle che portano una senten­za latae sententiae e non ha forza ese­cutoria che in virtù dell'Autorità attualmente esercitata.
Se potesse essere altrimenti, se po­tessero esistere, nella Chiesa militante, delle leggi puramente ecclesiastiche con forza esecu­toria indipendentemente dall'Autorità, biso­gnerebbe che, almeno per queste leggi, l'Auto­rità ricevesse il suo proprio mandato dalla Chiesa militante in quanto quest'ultima è un collettivo umano.
Ma questa dottrina è esplici­tamente condannata dal Vaticano I come erro­nea [D.S. 3045].
Ogni legge puramente eccle­siastica è dunque,  radicalmente,  una legge dell'Autorità: la quale, per essenza, è monar­chica [monós arché].
Ne segue che ogni legge puramente eccle­siastica può essere sottomessa, ed è attual­mente sottomessa, alle vicissitudini stesse delle leggi umane.
D'un lato, può venir meno l'Autorità che dà forza alla legge; ed è ciò che succede, a causa della vacanza formale della Sede apostolica. D'altra parte, può acca­dere, per accidens, che applicare la lettera della legge nuoccia, invece di realizzarlo, al fine vo­luto dalla legge.
È esattamente quanto accade attualmente. L'esigenza del "mandato roma­no", esigenza rafforzata da Pio XII, come con­dizione di ogni Consacrazione episcopale, è or­dinata per meglio salvaguardare ed affermare il carattere monarchico dell'Autorità, che si esercita su di ogni Vescovo, e su tutti i Vescovi della cattolicità.
Ora, sotto Karol Wojtyla, una "consacrazione" fatta con il "mandato ro­mano" comporta che: in primo luogo la per­sona "consacrata" [supposto che lo sia] sia ipso facto in stato di Scisma capitale, come lo è W. stesso; e che, in secondo luogo, la "consacrazio­ne" fatta secondo il nuovo rito che è dubbio, sia essa stessa dubbia, e deve dunque essere consi­derata praticamente come non valida.
La fe­deltà al "mandato romano" ha dunque come conseguenza, a breve scadenza, che W. sarà il monarca assoluto di un'assemblea mondiale i cui membri rivestiranno per l'occasione le inse­gne episcopali, benché non siano per nulla Ve­scovi, né per conseguenza successori degli Apostoli.
"La lettera uccide, lo Spirito vivifica" [2 Cor III. 6; cf Romani II 27-29].
Quando la lettera della legge [la prescrizione del "mandato romano"] ha per effetto di distruggere il fine voluto dalla legge [cioè l'unità, e pertanto la realtà stessa della Chiesa militante] allora è virtù, è la virtù di epikeia, non tener conto della lettera della legge, nella stretta e sola misura in cui ciò è necessario per continuare ad assicurare il fine voluto dalla leg­ge.
Gli atti che sono posti, per necessità, con­tro la lettera della legge, in vista di assicurare il fine voluto dalla legge, tali atti sono detti "leci­ti", benché siano illegali.
Questa dottrina è sempre stata ammessa dalla Chiesa.
Affermiamo dunque che le Consacrazioni conferite da Mons. Thuc, legali quanto si pote­va [II.] poiché Mons. Thuc era dispensato dal "mandato romano", furono e restano per­fettamente lecite; benché, come ab­biamo spiegato [II.], la loro "legalità" resti ipo­tecata dalla privazione che colpisce attualmente la Chiesa militante.
[IV.] Il "cardinal" Ratzinger mi ha notifi­cato [mediante il Nunzio a Parigi, e non il Ge­nerale dei Domenicani] che avevo incorso la scomunica "latae sententiae".
Mi esortava a "ritornare", promettendomi una buona acco­glienza!
- Non ho risposto a questo messaggio, per le ragioni seguenti:
"Ex parte objecti". La sentenza è, in sé stessa, priva di ogni fondamento: come è stato precedentemente esposto [II, III].
"Ex parte subjecti"; id est: Josephi Ratzin­ger, et "auctoritatis". I soli atti dell'"autorità" che possano non essere vani sono esclusiva­mente quelli ordinati a ciò che perduri nella Chiesa, materialiter, la gerarchia: materialiter soltanto, poiché [cf 2a], l'"autorità" non ha potere nella Chiesa che "materialiter" e non "formaliter".
Così, per esempio, l'atto con il quale l'"autorità" riconoscerebbe il valo­re e la portata ecclesiale delle Consacrazioni conferite da Mons. Thuc: tale atto sarebbe va­lido.
Mentre ogni atto che non è espressamente ordinato alla permanenza della gerarchia [al­meno "materialiter"] è vano.
Non bisogna tener conto di una cosa priva di fondamento, che è vana; è il consiglio di San Giovanni (2 Giovanni 10-11 ).
- Il messaggio del "cardinal" Ratzinger mi ha divertito, ed anche rallegrato. Di tutti i Vescovi che professano integralmente la Fede cattolica, io sono il solo che sia "scomunicato" dalla "Roma" di W.
Non essendo in alcun modo in comunione con quella "Roma", rendo grazie che essa abbia, almeno su di un punto, dichiarato qual'è la Verità.
8) Sodalitium: Nel 1984 e nel 1986 avete con­sacrato due Vescovi, senza l'accordo di Roma. Per­ché fate questo? Pensate di dover ancora consacrare dei Vescovi ed ordinare dei sacerdoti?
Mons. G.: Ho consacrato due Vescovi senza "mandato romano": Mons. Storck [30.IV.84]; Mons. Mac Kenna [22.VIII.86].
[I.] È necessario che duri sulla terra l’Oblazione Pura. L'Oblatio Munda [“Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti. Malachia I, 11].
Alcuni mi attribuiscono l'intenzione di voler "salvare la Chiesa". Al contrario, rifiuto di associarmi con quanti professano "in direc­to" questo proposito.
Poiché Dio solo, Gesù solo (cf. 11) salverà la Sua Chiesa nel Trionfo di Sua Madre. Di questo fatto ne sono certo, non spetta a me sapere il "come".
Tuttavia, credo dover sacrificare ogni cosa, fare tutto ciò che è in mio potere, perché perduri in terra l'oblatio munda. La Messa tradizionale tale quale la celebrano Monsignor Lefebvre ed i sacerdoti ordinati da Lui, questa Messa celebrata una cum W. è, checché ne voglia il celebrante, oggettivamente macchiata di una doppia impurità che appartiene al sacrilegio ed allo scisma capitale [cf 5].
La Messa perpetuata dalla "Fraternità San Pio X" non è, non può essere, l'oblatio munda. Questa cir­costanza di diritto è ancor più rinforzata dalla ben aggravante circostanza che segue: in vista di [sembrar] giustificare la loro celebra­zione una cum W., gli Econiani non esitano ad affermare e diffondere l'errore, vale a dire che corrompono la Fede dei fedeli inoculandogli l'eresia.
Se Monsignor Lefebvre non avesse profa­nato la Messa tradizionale, esigendo che sia ce­lebrata una cum Wojtyla io non avrei neppure pensato né di ricevere, né tanto meno di conferi­re, l'Episcopato.
Misereor Super Sacrifichimi. Ecco la ragione primordiale, e da sé stessa ne­cessitante per chi la percepisce, per la quale ho accettato di ricevere e per la quale propongo di conferire l'Episcopato.
[II.] È eminentemente conveniente che duri sulla terra la Missio istituita da Cristo [Matteo XXVIII 18-20].
La Missio comprende certamente l'of­ferta dell'Oblatio Munda: e questo in­nanzitutto.
Ma essa è più ampia: "Andate, in­segnate, battezzate, educate". Essa è confidata a tutti gli Apostoli unitamente, e a ciascuno ri­spettivamente.
Essa è quindi realmente distinta dalla Sessio, vale a dire dalla giurisdizione promessa [Matteo XVI 18-19], e poi conferita [Giovanni XXI 15-17] plenariamente, a Pietro da solo; comunicata agli altri per partecipazione a Pietro e quindi solamente nella mediazio­ne di Pietro.
Ai sacerdoti "fedeli" che contesta­no, come fosse una "novità sospetta", la distin­zione reale tra la Missio e la Sessio, mi li­mito a porre una domanda: «Voi confessate i fedeli. Ne avete ricevuto il potere nel momento della vostra ordinazione sacerdotale. Ma que­sta è, molto precisamente, la Missio, nella se­conda delle sue funzioni ["battezzate", ammi­nistrate tutti i sacramenti].
Ma, da chi, da quale persona fisica o mo­rale, tenete quei poteri che, secondo il Concilio di Trento, sono richiesti perché possiate usare validamente del Potere ricevuto nel momento della vostra ordinazione? No, voi non avete "questi poteri", tanto meno, se possibile, se siete di Ecòne. Perché allora riconoscereste uffi­ciale di essere "sospesi a divinis"» (Ora scomunicati. NdT). Voi rispondete: "la Chiesa supplisce". Ma questa sup­plenza" è assicurata nella Chiesa in ordine, da una legge puramente ecclesiastica: la quale, come tutte le leggi di questo genere, è attual­mente priva di forza esecutoria. Non c'è quin­di "supplenza".
La Verità è che voi potete usare del Pote­re, senza avere i "poteri", perché attualmente il Decreto di Trento è privo di forza esecutoria. La Verità è, di conseguenza, che esercitate la Missio, benché siate privati della partecipazione normalmente richiesta alla Sessio... per il motivo che tutta la Chiesa militante è essa stessa in questo stesso stato di privazio­ne (riguardo alla Sessio) dal quale vi trovate colpiti. La Missio e la Sessio sono quindi, nel seno della Chiesa militante, due parti coessenziali realmente distinte, di diritto inseparabili, di fatto attualmente dissociate: la Sessio è tenuta in sospeso dalla vacanza formale della Sede Apostolica [cf 1]; la Missio perdura, nella misura del possibile, nei sacerdoti e fedeli che si professano attaccati alla Tradizione; Missio in stato di privazione, lo ripetiamo.
In queste condizioni, ecco l'alternativa che devono decidere i fedeli attaccati alla Tra­dizione:
A)    O non continuare la Missio. Poiché essa, in stato di privazione essendo stata diser­tata dalla Sessio, si trova ipso facto anormata, votata a molteplici pericoli, a cominciare dall'eresia e lo scisma. Il solo sacramento pos­sibile, e certamente valido, sarebbe il Battesi­mo.
Esso basta perché Dio doni la Fede e la grazia santificante.
Questo partito non è quindi di diritto im­possibile. E quello che prendono alcuni rarissimi fedeli.
B)    Oppure continuare la Missio. Perché si stima che è di fatto impossibile conserva­re la grazia santificante, ed anche la sola Fede, senza i sacramenti.
In dubiis Libertas! Si può scegliere: sia A sia B.
Ma:
1) che ciascuno rispetti la scelta altrui;
2) che ciascuno si conformi rigorosamente al­l'esigenza interna, ontologica, della sua pro­pria scelta.
Io ho scelto B. Rispetto profondamente le persone che hanno scelto A: che Dio le aiuti. Ma riprovo che alcune di queste persone criti­chino e giudichino con "ossessione", come se fossero l'Autorità, la scelta B che sono libere di non fare... e persino agiscano di fatto come se avessero scelto B.
Se si sceglie di proseguire la Missio, af­finché la Fede e la Vita siano conservate per il più gran numero, è evidentemente necessario che ci siano dei Vescovi. Nessun Sacramento è possibile senza Sacerdozio, né Sacerdozio senza Vesco­vi. Ho esaminato questa questione nell'articolo: "Consacrare dei Vescovi?"  [Sous la  Bannière. Supplemento al N. 3 gennaio- febbraio 1986].
Misereor Super Turbam! Questa è la seconda ragione per la quale ho accettato di ricevere, e per la quale propongo di conferi­re l'Episcopato.
[III.] Le norme che presiedono a queste Consacrazioni episcopali senza "mandato ro­mano".
a. Le norme che derivano dal Diritto ca­nonico, aventi corso nella "Chiesa in ordine".
Le leggi, anche puramente ecclesiastiche. Sono l'espressione della Saggezza. Conservano sem­pre valore direttivo anche se per accidens, alienano la loro forza esecutoria. Bisogna quindi vegliare a che non si ponga alcun atto che contravverrebbe alla Saggezza ispiratrice di queste leggi. A questo riguardo, occorre preci­sare quanto segue:
1) Le consacrazioni conferite da Monsignor Thuc sono lecite e legali per quanto si poteva.
Le consacrazioni conferite dai Vescovi consa­crati da Monsignor Thuc sono lecite, benché il­legali.
Nessuna di queste consacrazioni, tutte lecite, ha conferito la giurisdizione ai Vescovi così consacrati. Nessun Vescovo può aver giu­risdizione se non sotto la movenza dell'autenti­co Vicario di Gesù Cristo. È ciò che Pio XII ha voluto riaffermare vigorosamente, rinforzan­do la censura portata contro le consacrazioni senza mandato romano. È questa una ragione di sovrappiù per tenere il carattere relativo del­la giurisdizione che è inerente all'Episcopato.
I rapporti tra i Vescovi consacrati da Mons. Thuc sono cosa buona in sé stessa. Ma si deve, si dovrà dichiarare chiaramente che un'eventuale assemblea di questi vescovi non gode, come tale, nella Chiesa, di alcuna giuri­sdizione. Potrebbe svolgere il ruolo d'un fer­mento. Ma non sarebbe abilitata a restaurare la Gerarchia.
b. Le regole dettate dall'epikia: la quale fonda il fatto che le dette consacrazioni sono lecite.
Le Consacrazioni senza mandato romano sono attualmente e provvisoriamente lecite in vista della salus animarum; la quale è, secondo Pio XII, la lex suprema della Chiesa militante. Ne seguono due conseguenze:
- Conseguenza "positiva". Bisogna moltiplicare tali Consacrazioni, di modo che sussi­sta su tutta la terra l'Oblatio Munda e la Missio. La principale condizione è che dei sacerdoti siano atti e consentano ad assumere tale responsabilità.
- Conseguenza "negativa". Non bisogna che l'assenza di riferimento all'Autorità [inesi­stente in atto] sbocchi in un'anarchia che sarebbe in contraddizione con la natura stessa della Chiesa militante. Perciò tutti i Vescovi consacrati senza "mandato romano" proce­denti da Mons. Thuc, devono prendere l'impe­gno solenne e pubblico di sottomettersi incon­dizionatamente al Papa se, durante la loro vita, Gesù ne darà uno alla Sua Chiesa. Aggiun­go che attualmente, adesso e checché ne sia di una divina soluzione [11], l'unità tra i detti Ve­scovi non può riposare su di una pseudo-gerarchia forgiata artificialmente tra di loro. L'uni­tà non può riposare che sulla Fede; precisan­do quest'ultima, quanto all'applicazione at­tuale e concreta, conformemente alle modalità che sono state ora esposte, o a quelle che una discussione basata su tutti i dati Oggettivi che comporta l'attuale situazione imporrebbe. 
9) Sodalitium: Cosa ne pensate di un'even­tuale Consacrazione di Vescovi da parte di Monsignor Lefebvre, che riconosce Giovanni Paolo II come vero Papa, ma gli disobbedisce regolar­mente?
Mons. G.: Eventuali consacrazioni di Ve­scovi da parte di Mons. Lefebvre.
[I.] Ciò che importa primordialmente nell'occorrenza [vale a dire riguardo allo stato della Chiesa]. È evidentemente la persona del "Consacrato". È quindi a partire dalle condi­zioni concernenti la persona del "Consacrato" che bisogna precisare [o esaminare] quelle che concernono la persona del Consacratore.
[II.] Ora, il Vescovo atto a perpetuare la Missio nella Chiesa militante deve soddisfare alle condizioni seguenti:
A. Essere consacrato validamente, lecita­mente, legalmente per quanto è possibile [cf 7]. Far parte della Chiesa. Certamente. Ora, perché si possa affermare con certezza [mora­le] di tal fedele che professa integralmente tutta la Missio, che questo fedele ha effettivamen­te la Fede e che fa parte della Chiesa militante, è necessario, lo abbiamo dimostrato. ("L'Eglise militante au temps de Mgr. Wojtyla" [B.O.C. N. 101. giugno 1985. pp. 12-24: in particolare, pp. 18-19].
B. Che questo fedele ponga come principio che ogni membro della Chiesa militante debba esaminare attentamente la questione del Papa finché non l'abbia risolta categoricamente.
C. Che questo fedele affermi la vacanza al­meno "formale" della Sede Apostolica.
D. Che questo fedele professi di doversi sot­tomettere al Papa quando Cristo ne darà uno alla sua Chiesa.
[III.] Un Vescovo consacrato da Monsignor Lefebvre potrebbe soddisfare a queste condizioni?
La risposta affermativa non presenta difficoltà che per le condizioni B e C.
Mons. Lefebvre, affermando che Mons. Wojtyla è papa ed inti­mando ai fedeli di non esaminare questa que­stione, rende impossibile il poter afferma­re con certezza che egli stesso faccia parte della Chiesa fondata da Gesù Cristo.
Si deve certo desiderarlo e si può supporlo; ma è im­possibile esserne sicuri. La stessa incertezza ipotecherebbe evidentemente il fatto dell'ap­partenenza alla Chiesa per un Vescovo consa­crato da Mons. Lefebvre finché questi conti­nuerà a riconoscere e di esigere di riconoscere che W. è investito della suprema Autorità.
[IV.] La risposta alla domanda [9] è subor­dinata alla dichiarazione che farà [?] Mons. Le­febvre nell'atto di un'eventuale consacrazione. Se, nell'occasione di un'eventuale Consacrazio­ne, Mons. Lefebvre sconfessa la sua attuale posi­zione, ed afferma la vacanza almeno formale della Sede Apostolica, tutte le condizioni [II] sa­ranno di fatto realizzate. Non ci si potrà, allora, che rallegrare. La Missio sarebbe assicurata dall'opera di Ecòne che sboccherebbe infine, lealmente, nella realtà.
D'altra parte, è proprio a Monsignor Le­febvre, in quanto già Arcivescovo di Dakar e di Tulle, che incombe di completare quest'opera; poiché Mons. Ngo Dinh Thuc è deceduto il 13 dicembre 1984, e che almeno per quel che concerne l'agire, Mons. de Castro Mayer non fa che seguire Mons. Lefebvre.
Per quanto mi ri­guarda, SE Mons. Lefebvre professa infine la sana dottrina che sola può giustificare la sua azione, non desidero altro che restare nella soli­tudine dalla quale non sono uscito che per l'Oblatio Munda.
Se, nell'occasione di un'eventuale Consacrazio­ne, Mons. Lefebvre non dichiara espressamente e pubblicamente la sconfessione della sua attuale posizione, anche se esteriormente non riaffermasse di riconoscere W. come Vicario in atto di Gesù Cristo: allora, la duplicità (l'ultimo episodio [in data] di questa satanica doppiezza fu il "colpo dell'otto dicembre 1986". Letta integralmente intra muros, nei Priorati in cui bisognava convincere i Seminaristi esitanti [e perfino risoluti a lasciare Ecòne] nel rinnovare le loro promesse l’otto dicembre, la "Dichiarazione" di Mons. Lefebvre [e di de Castro Mayer] non è stata letta pubblicamente nella sua integralità almeno in certi Priorati. St. Nicolas in particolare: la parte principale, che sconfessa il Vaticano II e W. è stata omessa. Così i Seminaristi "duri" sono restati; ed i fedeli continuano ad essere in­gannati), che mette sistematicamente in opera Mons. Lefebvre esige di temere il peggiore dei compromessi. Tali "Consacrazioni ' sarebbero ordinate, satanicamente e magistralmente, per me­glio assicurare il "ralliement" (l'adesione), (e questo anche se Mons. Lefebvre persiste a non vederlo - L'ho spiegato nell'articolo citato: nota 4), della falange "tradizionale" alla chiesa ufficiale.
10) Sodalitium: Cosa pensate della "testimo­nianza della Fede" necessariamente richiesta oggi, sia da parte dei sacerdoti che da parte dei fedeli?
Mons. G.: Testimonianza della Fede, neces­sariamente richiesta, da parte dei Sacerdoti e da parte dei fedeli.
[I.] Il dovere di testimoniare. "Fideles Christi fidem aperte confiteri tenentur quotics eorum silentium, tergiversatio aut ratio agendi secumferret implicitam fidei negationem, contemptum religionis, iniuriam Dei vel scandalum proximi" [Canone 1325. § 1].
Questo Canone non fa che precisare l'av­vertimento così severo, reiterato da Gesù stes­so: "Invero, se uno avrà vergogna di me e delle mie parole, il Figliuolo dell'uomo avrà vergo­gna di lui quando verrà nella sua gloria ed [in quella] del Padre e dei suoi santi Angeli" [Luca IX. 26; luglio 29]; "Chi m'avrà rinnegato da­vanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò da­vanti al Padre mio che è nei Cieli" [Matteo X. 33; novembre 29]. Testimoniare è inerente alla vita della Fede. È una norma divina. Il Diritto Canonico precisa che il silenzio, vale a dire il fatto di non testimoniare, può costituire un rinnegamento della Fede.
Che ci sia sulla terra un uomo che è il Vi­cario di Gesù Cristo, al quale ogni fedele di Gesù Cristo deve essere sottomesso: è una veri­tà di Fede. Sapere chi è quest'uomo condizio­na immediatamente l'esercizio della Fede, e costituisce in conseguenza una questione di fronte alla quale ogni fedele è tenuto a pren­dere posizione. È una legge divina.
Che ci sia, in seno alla Chiesa militante, un Magistero ordinario universale che è in­fallibile, è una verità di Fede. Ogni fedele deve professarla, e deve denunciare l'errore di coloro i quali la negano. È una legge divina.
[II.] L'esercizio della Testimonianza. Vi è una Testimonianza della Fede, mediante le opere, tanto mediante l'opera della vita quan­to mediante le parole, che deve essere perma­nente; è questa la sostanza senza la quale le for­me più particolari di questa stessa Testimo­nianza rischiano assai d'essere vane. "Che gli uomini vedano le vostre opere buone e glorifi­chino il vostro Padre del Cielo" [Matteo V, 16]. La situazione attuale esige tuttavia d'insi­stere sul particolare dovere di testimoniare de­finito in [I.]
Riguardo a ciò, occorre precisare due cose; concernono ognuno, in priorità i sacerdoti, ma anche ogni fedele.
In primo luogo, l'atto di testimoniare de­v'essere compiuto secondo la misura che impe­rano la Saggezza e la Prudenza. Denunciare l'eresia, denunciare il "facilismo" che vi con­duce, è necessario per salvaguardare la Vita; ma questa denuncia, che è negativa, per sua natura non dà la Vita. Non è pertanto con­veniente che questo compito indispensabile diventi il principale, se non l'unico oggetto delle catechesi [o omelie] domenicali, o delle con­versazioni che si scambiano i fedeli attaccati alla Tradizione. "Charitas non gaudet super iniquitate, congaudet autem Veritati" [I Cor. XIII, 6]. L'annuncio e la distribuzione della Verità rivelata sostentano, ed essi soli fruttuo­samente, il rigoroso dovere di "Testimoniare". "Intus reformari": ecco la rinuncia che costa, e che dà portata alla critica degli altri.
In secondo luogo, ed in controparte, non bisogna dispensarsi dal rigoroso dovere di te­stimoniare: "Fideles... aperte confiteri tenen­tur". Come l'ho spiegato [I] si tratta di una leg­ge divina: la quale ha valore e portata ex se, e non solo da parte dell'Autorità attuale della Chiesa. È quindi un delitto, ed in sé un peccato estremamente grave, quello che commettono i sacerdoti di Ecóne, incitando i fedeli a non considerare la questione del Papa [benché essa tocchi immediatamente la Fede], fissando in seguito i medesimi fedeli nel loro funesto acce­camento con l'odioso insegnamento di un'ere­sia. Mons. Lefebvre, e gli Econiani, allegano, per giustificare il loro comportamento, il falla­ce pretesto: "Non turbare i fedeli". Certo ciò è conveniente quanto al modo di procedere pas­so a passo con riguardo; ma rifiutare per [falso] principio di far Luce: è il peccato contro lo Spi­rito Santo, peccato che non può esser perdona­to [Matteo XII, 31]. D'altra parte. Gesù non si è mai prefisso di "non turbare". Lui. "la Veri­tà" [Giovanni XIV. 6], ha voluto innanzi­tutto "rendere testimonianza alla verità. [Giovanni XVIII.37]. Ha "gridato”, la Veri­tà [Giovanni VII, 37], "senza guardare in fac­cia alle persone" [Marco XII, 14]: il che è stato fatto proprio da San Pietro [Atti. X,34] e da San Paolo [Romani II, 11]. Ne segue, inelutta­bilmente, che Gesù, [in nome della Verità] è "venuto per separare, [fare] che l'uomo abbia per nemici quelli della sua casa" [Matteo X,35-36]. Gesù, lungi dal mirare a "non turbare" i discepoli "principianti" la cui motivazione sa­rebbe impura, rimprovera questa impurità [Giovanni VI. 26]; e persino, II, invita i Dodici ad abbandonarlo [Giovanni VI. 67]. San Pie­tro risponde: "Signore, e da chi ce ne andremo? Tu solo hai parole di Vita eterna" [Giovanni VI 68]. San Pietro fa così spontaneamente la prova che Gesù fonda la sua Chiesa: sulla Veri­tà. Sono i fondatori delle sette che, per reclutare degli adepti, usano sistematicamente lo slogan: "non turbare". Non turbate né la falsa tranquillità né il gioco delle passioni. Allora voi [Satana mediante voi] avrete milioni e mi­lioni di partigiani. Tutto ciò è un grave peccato contro la Testimonianza della Santissima Fede.
11) Sodalitium: Come prospettate l'ulterio­re svolgimento di questa crisi spaventosa?
Mons. G.: Svolgimento ulteriore, soluzio­ne... della "crisi": vale a dire della vacanza for­male della Sede Apostolica?
Si designa comunemente con la locuzione: "crisi della Chiesa" lo stato di privazione nella quale si trova la Chiesa militante [vale a dire il Corpo Mistico di Cristo sussistente in terra, il quale non è la "chiesa ufficiale" in quanto tale]. Questo stato di privazione ha una causa "per accidens", per rimozione della causa pro­pria. Questa causa "per accidens" è la vacanza formale della Sede Apostolica, almeno a parti­re dal 7 XII 1965.
Come può cessare questa “vacanza”? Il pro­cesso normale, canonico, è ben noto. Ciò che resta di Autorità nella Chiesa militante, se il Papa cade nell'eresia o lo scisma, è la persona morale [designata qui sotto con M] che costi­tuisce l'insieme gerarchizzato dei Vescovi resi­denziali professanti [quindi, integralmente la Fede cattolica. Questa persona morale M deve rivolgere al "papa" [ex-Papa] una ingiunzione; e deve convocare il Conclave, il che assicura, almeno in potenza, la Successione Apostolica, considerando quest'ultima dal punto di vista formaliter. [È quanto ac­cade quando muore il Papa: in particolare quando il Conclave, debitamente convocato, deve essere differito per cause estrinseche]. Se il "papa" persiste nel suo errore, ipso facto è fuori dalla Chiesa, e non è più papa in nessun senso, neppure materialiter. Se il "papa" abiura il suo errore, spetta al Conclave "decidere" l'alternativa: o questo "papa" pentito ritorna Papa formaliter: oppure, conformemente alla bolla di Paolo IV, questo "papa" ha alienato in se stesso, a causa dell'eresia, l'attitudine a di­ventare Papa formaliter che gli aveva conferi­to.
Davanti alla chiesa, il fatto di es­sere regolarmente eletto da un Conclave vali­do. La Chiesa non giudica mai il Papa. Ma spetta alla Chiesa [Conclave convocato da M] decidere se, si o no, esiste nel "papa" pentito "riviviscenza canonica" dell'attitudine eccle­siale ad essere Papa. Così la Chiesa giudica nel "papa" solo di ciò che, in quest'ultimo, spetta formalmente alla Chiesa.
Questo processo canonico non può evi­dentemente svolgersi, che se la persona mo­rale M è una realtà. Ora, attualmente, i soli Vescovi di cui si sia sicuri che fanno parte della Chiesa militante [Corpo Mistico di Cristo, sus­sistente in terra] sono coloro i quali "procedo­no" da Mons. Ngo Dinh Thuc [cf 9 II]: in effet­ti, essi sono unanimi (alcuni di essi sono ancora timidi, e persino reticenti, quando si tratta di proclamare pubblicamente quanto, adesso, affer­mano [infine] privatamente),
[al contrario di Mons. Lefebvre e di Mons. de Castro Mayer] nell'affermare la vacanza almeno formale della Sede Apostolica. Ma la mia opinione personale è: che, innanzitutto, l'insieme del "Vescovi-Thuc" non è gerarchizzabile né di diritto, né di fatto; che, secondariamente, questo insieme espressamente ordinato alla Missino, ed estra­neo alla Sessio, è metafisicamente e giuridicamente inabile a costituire la persona mo­rale M.
Ho designato sotto il nome di conclavismo l'opinione e la tendenza contraria, che ri­getto assolutamente.
In mancanza di M, non esiste una soluzio­ne "canonica"!
Gesù solo rimetterà la Chiesa in ordine, nel e col Trionfo di Sua Madre. Sarà allora evidente per tutti che la salvezza sarà ve­nuta dall'Alto.
12) Sodalitium: Cosa pensate del gruppo di Sacerdoti e seminaristi italiani, che si sono costi­tuiti nell'"Istituto Mater Boni Consilii"?
Mons. G.: Istituto Mater Boni Consilii.
Sono felice di manifestare a quest'Istituto ed ai suoi membri, i miei auguri sovrannaturali e la mia fervente simpatia. Non posso che ap­provare la finalità dell'Istituto, visto che com­porta il diffondere tra i fedeli ciò che precisa­mente credo essere la verità, e di cui l'essenzia­le è stato rammentato qui sopra.
Soprattutto apprezzo, e ne rendo grazie a Dio, il fatto che i Sacerdoti dell'Istituto abbia­no la lealtà ed il coraggio di spiegare la verità a tutti, senza usar preferenze. "I poveri sono evangelizzati" [Matteo XI.5]. È questo il segno ultimo che Gesù stesso dà a Giovanni, i cui di­scepoli interrogano Gesù: "Sei Tu Colui che viene o ne dobbiamo aspettare un altro" [Mat­teo XI 2], Il segno cruciale che l'Istituto viene da Gesù, è che rispetta gli umili.
"Aver riguar­di", "non turbarli", equivale in fondo a disprezzarli come se io solo fossi sufficientemen­te penetrante per capire tutto e sufficientemen­te forte per portarlo: equivale a tenere al loro suffragio per se stesso, piuttosto che alla loro salvezza mediante la verità ["Veritas liberavit vos" (Giovanni VIII 32), Veritas! non mendacium!] - Taluni professano "in principio" la ve­rità concernenti la situazione della Chiesa. Ma si sforzano di occultare questa "professione di Fede"; e si separano ostensibilmente da coloro che la proclamano chiaramente... "opportune et importune" [II Timoteo IV 2]. L'Istituto "Mater Boni Consilii" è concepito e nato nella Carità della Verità. Dominus incipit. Ipse perficiat.

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