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mercoledì 16 ottobre 2013

Il genocidio dell'eroico popolo Armeno


 

PREMESSA
Prendendo lo spunto dalla segnalazione di un libro fattacci dal Centro Studi Federici, abbiamo voluto approfondire l'argomento, se non per altro, almeno per rendere onore all'eroico e martoriato Popolo degli Armeni, che quasi da sempre ha subito vessazioni e aperte persecuzioni forse soprattutto a causa della sua fede cristiana. Dio lo ricompensi dandogli in cielo quel Regno e quella Patria che la cattiveria degli uomini gli nega su questa terra.
Per la realizzazione di questo nostro dossier abbiamo attinto a piene mani dal sito www.comunitaarmenia.it e da una documentata e-mail trasmessaci dall' amico Rafminimi.
Il libro segnalatoci (del quale riporteremo alcune frasi indicandole con la sigla PK seguita dal numero della pagina) è il seguente:
Viaggio tra i cristiani d'Oriente. Comunità armene in Siria e in Iran, di Pietro Kuciukian, Ed. Guerini e Associati, Milano 1996, pag. 94.
Ma procediamo con ordine.
Dopo un breve cenno storico e una scheda geografica, tratteremo più distesamente del genocidio e poi dei rapporti tra gli Armeni e l' Italia, nonché della posizione italiana di fronte a tanta barbarie.
Questo dossier ovviamente è aperto a ulteriori integrazioni e contributi.

Alcuni cenni storiciGLI ARMENI

       Le radici di questo popolo affondano già nel primo millennio a.C. quando, nel VII secolo gli Armeni, discendenti da indoeuropei, giunsero dalla Frigia. Qui si fusero con la popolazione hurrita discendente degli antichi regni preesistenti.
       Nel periodo precristiano si sono succeduti sul territorio dell'Armenia storica varie occupazioni.
Questa zona era di fondamentale importanza per il controllo delle vie di comunicazione tra Oriente ed Occidente ed il suo possesso fu a lungo conteso dalle maggiori potenze militari dell'epoca. Gli Armeni videro perciò passare sulle loro terre Persiani, Greci, Romani ed Arabi, ma, grazie anche alla rivalità esistenti tra le varie potenze, riuscirono a sopravvivere ad ognuna di esse ed a raggiungere in alcuni momenti della storia, la piena indipendenza, anzi, divenendo loro stessi signori di vasti imperi, citiamo a tal proposito Re Tigran il Grande, fondatore dell'Impero Armeno, ricordato da Cicerone come "colui che fece tremare la Repubblica Romana".
       La storia ci racconta di una nazione eternamente contesa e frazionata tra molti grandi imperi, persiano, ottomano, russo e continuamente devastata ed angariata da frotte di invasori
quali i Turchi Selgiuchidi o i Mongoli.
       La tradizione fa risalire il primo annuncio del Vangelo in Armenia agli apostoli Taddeo e Bartolomeo, ma la conversione della corte armena è dovuta all'apostolato di S. Gregorio l' Illuminatore che nel 301 battezzò il re Tiridate III e la sua corte e da allora il cristianesimo fu (prima proclamazione al mondo) religione ufficiale del regno, Religione di Stato. Questa scelta e la posizione geografica di frontiera dell'Armenia sono state cause di molte persecuzioni e guerre.
       La fine del IV secolo è segnata dalla divisione dell'Armenia tra due imperi quello romano e quello persiano (387).
       Altro avvenimento di primaria e fondamentale importanza si ha nel 405 quando il monaco predicatore (Vartabet) Mesrob Mašdotz (361-440) inventò un alfabeto proprio alla lingua armena parlata composto da 36 lettere, capace soprattutto di tradurre la Bibbia. L'invenzione segnò l'inizio di un periodo d'oro nella letteratura e nella vita spirituale della Chiesa. Tali peculiarità e la fissazione dell'armeno come lingua propria, con un proprio alfabeto diverso dal latino, dal greco, dall'arabo e dal cirillico, contribuiranno al mantenimento dell'autonomia culturale e politica degli Assiri, tanto nei riguardi dell'occidente, quanto verso i paesi confinanti di fede musulmana o bizantina.
       Le pressioni per cambiare religione non tardarono; verso la metà del V secolo, la Persia, per la sicurezza e la compattezza politica dell'impero, cercò di assimilare gli Armeni, tentando di imporre il mazdeismo. Gli Armeni pagarono un prezzo alto per il loro rifiuto nella battaglia di Avarayr nel 451, con il martirio del comandante Vartan Mamikonian e dei suoi compagni (Vasn Groni yev Haireniatz - Per la fede e la patria).
       Ciò nonostante tra occupazioni e guerre, il popolo armeno ha conosciuto varie fioriture culturali: il VI e VII secolo hanno visto rifulgere l'architettura armena. Il IX secolo, fortemente segnato dalla figura di Gregorio di Narek, il più
grande poeta mistico, vissuto tra il 945-1003, è il secolo della fioritura della città di Ani, centro economico e culturale di tutta la regione.
       Nell'undicesimo secolo l'invasione dei Turchi Selgiuchidi mette in ginocchio il paese e costringe parte della popolazione alla fuga in Cilicia, dove un principe discendente dall'antichissima dinastia imperiale dei Bagratidi, fonda il regno della Piccola Armenia (1080-1375), con capitale Sis, che rimarrà anche sede secondaria del Catholicos dopo la primaziale Etchmiadzin.
       In questo periodo, dal contatto con i crociati, nascono i primi tentativi di riunione con Roma, coronati dalla nascita di Patriarcati armeni cattolici (1307).
       All'inizio del XVI secolo, l'invasione ottomana occupa la parte occidentale dell'Armenia mentre quella orientale resta sotto il dominio persiano.
       L'Impero Ottomano non attua una politica marcatamente repressiva nei confronti delle minoranze interne, ma impone comunque su tutto il suo territorio la Sharia, la legge coranica, quale unica fonte del diritto, ed il popolo armeno, in quanto cristiano, deve subire pesanti discriminazioni.
       Nel 1800 i Russi occupano il Karabagh e le altre regioni dell'Armenia orientale.
       L'Armenia in questo periodo conosce un risveglio culturale che ha come centri Costantinopoli e Tiblisi dove vive un gran numero di Armeni.
       Tra il 1895 ed il 1907 il Sultano Abdul Hamid II, preoccupato dall'attivismo armeno ed anche dallo sviluppo economico che questo popolo sta vivendo, decide di mettere alla prova le titubanti potenze straniere punendo la popolazione armena con l'esecuzione di alcuni pogrom durante i quali vengono uccisi 200.000 (300.000 secondo altre fonti) Armeni.
       Tutto avviene sotto gli occhi delle potenze europee che, come spesso faranno anche in futuro, non riescono a prendere alcuna iniziativa concreta in difesa delle popolazioni angariate. A questo periodo risalgono i discorsi di Mussolini in difesa degli Armeni e dei Curdi, pubblicati nel 1999 dalla rivista "Orientamenti".
        La reazione armena consiste nell'intraprendere la guerriglia e nella creazione della Federazione Rivoluzionaria Armena, detta anche Dachnak, con basi nella vicina Armenia Russa e fortemente sostenuta dalle popolazioni locali.
       Approfittando degli sconvolgimenti in corso in Russia a causa della rivoluzione, gli Armeni sotto il controllo dell'impero zarista si ribellano e il 28 maggio 1918 dichiarano la propria indipendenza. In seguito, dopo la presa di alcuni territori, nell' Armenia turca viene proclamata la nascita della Repubblica Armena, che nel 1920 sarà sovietizzata.        Durante i lavori del Trattato di Sevrès viene perfino riconosciuta l'indipendenza al popolo armeno e la sua sovranità su gran parte dei territori dell'Armenia storica, ma, come altre volte in futuro, tutto resta lettera morta, carta straccia. Infatti il successivo Trattato di Losanna (1923) annulla il precedente e negha al popolo armeno persino il riconoscimento della sua stessa esistenza.
Nel settembre del 1991 dopo il crollo dell'Unione Sovietica l'Armenia dichiara la propria indipendenza e diventa l'attuale Repubblica d'Armenia.




L' Armenia chiamata anche HAYASTAN , con una superficie di 29.800 km2 (poco più grande della nostra Sicilia), è un paese montuoso che confina a nord con la Georgia, l'Azerbaigian, la Turchia e l'Iran. La capitale è Erevan, l'antica Erepuni fondata nel 782 A.C. che si trova a circa 1000 metri d'altitudine, dominata dal Monte Ararat alto 5165 metri.
Scheda:
Popolazione: 3.336.100 (nel Luglio 2001).
Gruppi etnici (1989): Armeni 93%, Azeri 3%, Russi 2%, altri (soprattutto Yezidi Kurds) 2%.
Nota: come alla fine del 1993, virtualmente tutti gli Azeri erano emigrati dall'Armenia.
Religione: Armeno Ortodossa 94%
Lingue: armeno 96%, russo 2%, altro 2%
Valuta: dracma (AMD)
Tipo di governo: repubblica
Indipendenza: 21 Settembre 1991 (dall'Unione Sovietica)
Costituzione: adottata con referendum nazionale il 5 Luglio 1995
Bandiera: tre nastri orizzontali uguali di colore rosso (in alto), azzurro (al centro) ed arancio (in basso).
Capitale: Yerevan.
Secondo ultime stime la popolazione armena ammonterebbe oggi a circa 9-10 milioni nel mondo di cui 3.500.000 in Armenia, 2.000.000-2.500.000 in Russia e 4.000.000-4.500.000 nella diaspora.



DOSSIER GENOCIDIO

      In sintesi
       Gli Armeni sino all'inizio del secolo erano l'etnia maggioritaria in Anatolia orientale; in un quarto di secolo sono pressoché scomparsi.
Maremoto? Terremoto ? Cataclisma? Peste?
No!
La risposta sta in una parola definita dall'ONU nel 1948 "Genocide". L'Enciclopedia Italiana Treccani scrive: "L'Asia Minore è quale l'hanno voluta i Turchi: vuota di Armeni". I Turchi sterminarono un milione e novecentomila Cristiani Armeni. Le atrocità commesse dai Turchi nei loro confronti portarono gli alleati ad introdurre il concetto di "crimes against humanity" in seguito usato durante il processo di Norimberga. Il massacro degli Armeni nel rapporto della Commissione dei Diritti dell'Uomo all'O.N.U. (Settembre 1973) viene definito come il primo genocidio del XX secolo perpetrato a danno di un popolo fortemente legato al perdono evangelico.
       Una delle pagine più oscure, ed al tempo stesso meno divulgate, della storia del XIX e del XX secolo é quella del genocidio perpetrato, dall'Impero Ottomano prima e dai Giovani Turchi dopo, ai danni delle popolazioni armene stanziate da sempre sul territorio che comprendeva la parte nord-orientale dell'attuale Turchia e sulle terre a nord dell'Impero Persiano, su fino alle cime del Caucaso.
       "Nel 1915 due milioni di Armeni erano stati deportati dai Turchi verso il deserto siriano di Dier es Zor allora sotto il dominio ottomano. Circa due terzi dei deportati furono uccisi dalla
       

fame, dalle epidemie, dai maltrattamenti e dagli attacchi delle bande curde" (PK 14).
       "La coesistenza fra Armeni e Turchi, che per secoli aveva "tenuto" attraverso compromessi e vantaggi reciproci, si ruppe definitivamente circa cento anni fa.
        I sultani ottomani (nel 1896 e nel 1906), i Giovani Turchi (nel 1915) e Mustafà Kemelk (dopo il 1918) scatenarono e portarono a termine il primo genocidio dell'età moderna.
       Gli Armeni scomparvero letteralmente dall'Anatolia e con essi le loro città, le loro chiese, le loro scuole, le loro biblioteche, i loro conventi-università, la loro millenaria cultura.
       Mezzo milione di Armeni riuscirono a riparare all'estero: altri trovarono rifugio a nord-est, nelle regioni transcaucasiche armene sotto dominio russo, dove fondarono la Repubblica indipendente di Armenia, che divenne poi una delle quindici repubbliche sovietiche" (PK 14).
       Oggi le stesse persone che speculano su altri olocausti, impediscono che si denunci l'olocausto armeno per non nuocere alla Turchia, paese alleato di Israele e degli Usa.
       Il "24 Aprile" è la data d'inizio dei massacri. "Tale data sarebbe dovuta divenire la giornata mondiale del genocidio, se la proposta non fosse stata ostacolata dalla lobby ebraica americana su istigazione degli ebrei di Turchia. L'iniziativa della comunità ebrea di Istanbul fu a suo tempo criticata da Simon Peres."
Quello degli Armeni è un olocausto non politicamente corretto


   Retroscena storico-politico
       L'impero ottomano alla fine del XIX secolo, è uno stato in disfacimento, la corruzione serpeggia in ogni angolo dell'impero, che in breve tempo ha visto scomparire i suoi domini in Europa con la nascita, dopo secoli di barbara oppressione, degli stati nazionali balcanici.
       I Turchi, che si erano installati nell'Anatolia greco-armena di cultura millenaria, paventano la possibilità di rivendicazioni elleniche sulle coste dell'Asia Minore (Smirne e Costantinopoli) e soprattutto la nascita di una Nazione Armena.
       Quando Abdul Hamid sale al trono, nel 1886, i Turchi e le popolazioni assimilate non riescono a raggiungere il 40% dell'intera popolazione anatolica, mentre in Asia Minore le minoranze etniche sono costituite da Greci, Armeni ed Assiri.
       Gli Armeni sono concentrati nell'est dell'impero dove, già dall'indipendenza greca 1821, la Sublime Porta (sultanato) ha fatto insediare tutti i mussulmani dei territori ottomani che via via venivano persi.
        Gli Armeni non richiedono l'indipendenza ma solo uguaglianza e libertà culturale.
       Abdul Hamid viene duramente sconfitto dai Russi, ma le conseguenze per l'impero non sono gravi poiché il primo ministro inglese Disraeli, spinto dalla tradizionale politica filo-turca del suo paese, fa sì che non si venga a formare uno stato armeno libero ma solo che vengano garantiti i diritti personali dei singoli. L'Inghilterra ottiene l'isola di Cipro.
        Il sultano, temendo una futura ingerenza europea nella questione armena e la ulteriore perdita di territori, dà inizio alle repressioni degli Armeni.
       Tra il 1894 e il 1896 vengono uccisi dai due ai trecentomila Armeni ad opera degli Hamidiés (battaglioni curdi appositamente costituiti dal sultano), senza contare le conversioni forzate all'Islam che però non hanno seguito.
       A causa delle persecuzioni si assiste ad una forte ondata emigratoria.
       E' l'inizio di una serie di massacri che durerà, in maniera più o meno forte, per trent'anni sotto tre diversi regimi turchi.
       L'atteggiamento Europeo è d'immobilismo, poichè ogni nazione ha paura che un'altra assuma maggior rilevanza nello scacchiere caucasico e mediorientale.
       Ma un nemico ancor più temibile del sultano si stava preparando: "I Giovani Turchi" ed il loro partito "Unione e Progresso" (Ittihad ve Terakki) . Questi avevano studiato in Europa e si erano imbevuti delle dottrine socialiste e marxiste che avevano elaborato "turco more". La perdita dei possedimenti europei indicava loro -quale possibilità di rivalsa- l'espansione intesa come ricongiungimento ai popoli di etnia turca: tartari, kazachi, uzbechi ecc. A causa dell'impossibilità del mantenimento dei domini europei, essi rivolgono la loro attenzione ai Turchi delle steppe dell'Asia centrale e mirano al ricongiungimento con essi per dare vita ad un entità panturca che possa andare dal Bosforo alla Cina.
       E' principalmente da queste due matrici culturali che nasce l'ideologia del panturchismo o panturanesimo (il Turan è il focolare della nazione turca, da dove i Turchi sono giunti in Asia Minore dopo una lunga marcia durata secoli). Dal marxismo i "Giovani Turchi" avevano preso l'idea di uguaglianza, ma "summum ius, summa iniuria" per essere tutti uguali dovevano essere tutti ottomani e per essere tutti ottomani bisognava essere tutti turchi e mussulmani.
       Gli ostacoli, che si frappongono a queste mire di formazione di un blocco megalitico turco, panturanico, sono costituiti da Armeni e Curdi.
       I Curdi però, pensano i Giovani Turchi, sono mussulmani e non posseggono una forte cultura, possono essere quindi assimilati facilmente (ma gli eventi del nostro tempo mostrano una realtà curda tragicamente diversa).
Gli Armeni, oltre a essere cristiani malgrado le molte e spietate persecuzioni, posseggono anche una cultura millenaria, non possono essere assimilati ed inoltre la loro presenza impedisce l'unificazione con gli altri Turchi. Vanno quindi eliminati.
       Questi concetti vengono magistralmente espressi da una valutazione del 1915 del viceconsole tedesco Dr. Max Scheubner Richter, comandante ed ufficiale di collegamento di una forza speciale turco-tedesca incaricata di azioni di guerriglia, e dall'ambasciatore austriaco Pallavicini.
        Scheubner Richter così asserisce "Ho condotto una serie di conversazioni con eminenti personalità turche, queste sono le mie impressioni: una larga parte dell'Ittihad pensa che l'impero turco dovrebbe essere basato sul principio dell'Islam e del panturchismo. I suoi abitanti non mussulmani e non turchi dovrebbero essere islamizzati con la forza o distrutti".
       Il Pallavicini riporta che, in maniera fortemente confidenziale (streng vertraulich), il Gran Visir gli aveva esposto la sua contrarietà alla politica di Talaat Pascià (capo dell'Ittihad) nei confronti degli Armeni e di non passare sopra la tendenza di dar forma ad uno stato nazionale distruggendo gli elementi estranei (durch vernichtung der fremden Elemente).
       Scrive Winston Churchill: "In 1915 the Turkish government began and ruthlessly carried out the infamous general massacre and deportation of Armenians in Asia Minor… the clearance of the race from Asia Minor was about as complete as such an act, on a scale so great, could will be… There is no resonable doubt that this crime was planned and executed for political reasons. The opportunity presented itself for clearing Turkish soil of a Christian race opposed to all Turkish ambitions, cherishing national ambitions that could be satisfied only at the expense of Turkey, and planted geographilly between Turkish and Caucasian Moslems".
       Per portare avanti il panturchismo non era pensabile appoggiarsi al "sultano rosso", poiché il suo governo era corrotto e debole, c'era invece bisogno di un governo forte e privo di remore. L'ironia della sorte vuole che proprio gli Armeni diano una mano all' Ittihad per raggiungere il potere.
       I Giovani Turchi infatti, mentre segretamente tramavano l'omicidio di massa (Massenmord, secondo il console tedesco di Trebisonda Berfgeld), esternamente si mostravano liberali e laicisti.
       Gli Armeni, pensando all'avvicinarsi di uno stato garante delle libertà fondamentali dell'uomo, appoggiano così i loro carnefici, i quali nel 1908 con un colpo di stato prendono il potere. Gli Armeni ottengono, ma solo teoricamente, uno status di cittadini a tutti gli effetti e nell'Armenia vengono formate sei entità vagamente autonome, chiamate villayet.
       

       Dunque una nuova speranza, presto disillusa. I Giovani Turchi sembrano intenzionati a creare una federazione di tutti i popoli precedentemente inclusi nell'Impero. Ma ovviamente le concezioni di nazionalismo turco e di una federazione ottomana sono decisamente antitetiche e questo porterà a considerare l'elemento armeno come un pericolo interno da combattere ed annientare.
       I Giovani Turchi avviano una prova generale del genocidio nell'aprile del 1909: in Cilicia 30.000 Armeni vengono uccisi dalle forze del loro partito Ittihad ve Terakki (Unione e Progresso).        Tutto ciò fu conseguenza dell'ideologia del panturchismo, caratterizzato da tratti nazionalisti-irredentisti di tipo mazziniano (né più né meno del contemporaneo sionismo ebraico).
       L'unione tra indipendenza nazionale e purezza razziale furono la premessa per la conquista dell'allora provincia russa dell'Azerbaigian. Tra essa e la Turchia vi erano però proprio in mezzo le terre armene. Questa nuova campagna di conquista fornisce ai Giovani Turchi la giustificazione per l'eliminazione del "pericolo armeno".
       Al convegno di Tessalonica dell'Ittihad del 18-19 ottobre del 1910 con sei discorsi il Ministro degli Interni Taalat (prima della convezione segretissima della Politbüro del partito) delinea il principio di omogeneizzazione della Turchia tramite la forza delle armi: segretamente si organizza il genocidio.
       In primo luogo intervengono nelle attività parlamentari facendo approvare una legge che permette lo spostamento di popolazioni in caso di guerra e poi il ministro Enver dà vita ad un' organizzazione speciale (Teškilati Mahsusa), il cui scopo ufficiale è quello di effettuare azioni di guerriglia in tempo di guerra, mentre in verità si tratta di una vera e propria macchina di sterminio: Enver assolda trentamila avanzi di galera, come asserisce il colonnello tedesco Stang (entlassene Sträflinge).
       Poiché alcuni paesi europei minacciano ritorsioni in caso di pericolo per gli Armeni, alcuni di questi documenti vengono salvati dagli esecutori che vogliono premunirsi a loro discolpa di un qualcosa comprovante che loro hanno semplicemente obbedito agli ordini. Questi documenti saranno usati nel processo di Costantinopoli.
       I Giovani Turchi non potevano intraprendere la loro politica di annientamento senza una scusa (Vernichtungspolitik secondo il Feldmareschall, Paul von Hindenburg), dovevano quindi aspettare l'occasione favorevole. Questa si presenta con la guerra, a causa della quale nessuna potenza sarebbe potuta intervenire. Taalat Pascià, parlando al Dr. Mordtman in merito all'abolizione di ogni concessione a favore degli Armeni, asserisce infatti: "C'est le seul moment propice".
       All'entrata in guerra si oppongono i partiti armeni, ma ogni sforzo è vano.
       Nel 1914 la situazione peggiora irrimediabilmente. In quell'anno infatti il governo turco decide di entrare in guerra a fianco degli imperi centrali e subito si lancia alla conquista dei territori azeri "irredenti". I Giovani Turchi iniziano la loro follia e per gli Armeni inizia il METZ YEGHERN (IL GRANDE MALE). Con questo nome gli Armeni chiamano il loro genocidio, causa della formazione di una vasta diaspora armena in tutto il mondo. In sei mesi i Turchi uccideranno circa due milioni di Armeni!!!
       I Giovani Turchi impongono la dittatura militare nel 1913 con Djemal, Enver e Talaat (il triumvirato della morte) ministri, della Marina, della Guerra e dell'Interno, rispettivamente. Ormai hanno pieni poteri per dirigere lo Stato, possono pianificare il genocidio perfetto.
       La Terza Armata turca, impreparata, male equipaggiata, mandata allo sbaraglio in condizioni climatiche ostili, viene presto sbaragliata a Sarikamish nel gennaio 1915 dalle forze Russe.        L'esercito turco indica i responsabili della disfatta negli Armeni che, allo scoppio della guerra avevano comunque assicurato la propria lealtà a sostegno all'impresa turca (tranne pochissime tribù che si erano unite alla rivolta degli Assiro-Caldei).
       Il clima si fa sempre più teso e, tra il dicembre del '14 ed il Febbraio del '15, il Comitato Centrale del partito Unione e Progresso, diretto dai medici Nazim e Behaeddine Chakir, decide la soppressione totale degli Armeni.
       Il piano turco, pensato e diretto dal Ministro dell'Interno Talaat Pascià, prosegue poi con la soppressione della comunità di Costantinopoli ed in particolare della ricca ed operosa borghesia armena: tra il 24, che resta a segnare la data commemorativa del genocidio, ed il 25 Aprile, 2345 notabili Armeni vengono arrestati mentre tra il Maggio ed il Luglio del 1915 gli Armeni delle province orientali di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas e Kharput vengono sterminati.
       Solo i residenti della provincia di Van riescono a riparare in Russia grazie ad una provvidenziale avanzata dell'esercito zarista.
       Nelle città viene diffuso un bando che intima alla popolazione armena di prepararsi per essere deportata; si formano così grandi colonne nelle quali gli uomini validi vengono raggruppati, portati fuori delle città e qui sterminati.
       Dopo la conclusione delle operazioni neppure un armeno è rimasto in vita in queste province.
       La seconda parte del piano prevedeva il genocidio della popolazione armena restante, sparsa su tutto il resto del territorio. Tra l'Agosto del 1915 ed il Luglio del 1916 gli Armeni vengono catturati e riuniti in carovane e in condizioni inumane vengono costretti a raggiungere Aleppo, mentre un'altra parte di deportati viene mandata verso Deir es-Zor, in Mesopotamia. Aleppo verrà raggiunta solo da pochi superstiti: i nomadi curdi, l'ostilità della popolazione turca, i tchété e le inumane condizioni a cui sono sottoposti fanno sì che i deportati periscano in gran numero lungo il cammino...

       E l'Europa sta a guardare!!!…
       
Interviene il Papa Benedetto XV, ma senza alcun risultato positivo.
La caduta del regime turco alla fine della Grande Guerra e la seguente ascesa alla guida del paese di Kemal Ataturk non cambiò la situazione, se non in peggio, infatti tra il 1920 ed il 1922 con l'attacco alla Cilicia armena ed il Massacro di Smirne, il nuovo governo portò a compimento il genocidio.
       Dopo questi ultimi crimini non un solo armeno rimane vivo in Turchia (tranne pochissimi che si erano convertiti all'Islam).

      I processi...
       La disfatta ottomana spinse i principali responsabili del genocidio ad abbandonare il paese e molti di essi fuggirono in Germania. A loro carico venne intentato un processo svoltosi nel 1919 a Costantinopoli sotto la direzione di Damad Ferid Pascià.
       Lo scopo non era evidentemente quello di rendere giustizia al martoriato popolo armeno, ma di addossare le colpe dell'accaduto sulle spalle dei Giovani Turchi discolpando al tempo stesso la nazione turca in quanto tale.
       Il risvolto pratico del processo fu minimo, in quanto nei confronti dei condannati non vennero mai presentate richieste di estradizione e successivamente i verdetti della corte vennero annullati ?!
       L'importanza del procedimento sta comunque nel fatto che durante il suo svolgimento vennero raccolte molte testimonianze che descrivono le varie fasi del genocidio, a partire proprio dalle dichiarazioni di chi ne era stato artefice.
       Altri processi vennero tenuti a riguardo di specifiche situazioni:
       - A seguito di quello per i massacri del
       

convoglio di Yozgat venne condannato il vice-governatore Kemal.
       - Nel processo di Trebisonda si ammise la responsabilità del governatore e si descrisse il modo in cui venivano effettuati gli annegamenti di donne e bambini.
       - Nel processo per il massacro nella città di Karput venne giudicato in contumacia Behaeddin Chakir e si descrisse dettagliatamente il ruolo dell'Organizzazione Speciale.
       A seguito però della riluttanza delle autorità turche ed alleate ad eseguire le sentenze da loro stesse emesse, il partito Dashnag creò un'organizzazione di giustizieri armeni che si incaricò di eliminare alcuni tra i principali responsabili del genocidio. Vennero così freddati Behaeddin Chakir, Djemal Azmi (il boia di Trebisonda), Djemal Pascià (componente del triumvirato dirigente dei Giovani Turchi) e l'ex Ministro degli Interni Talaat, ucciso per le strade di Berlino il 15 Marzo del 1921 da Solomon Tehlirian. In quest'ultimo caso le colpe a carico di Talaat emerse durante il processo furono talmente terrificanti da far assolvere Tehlirian per l'omicidio da lui compiuto.


      Modalità dello Sterminio
       Tutta l'operazione viene mascherata come un'azione di spostamento di persone da ipotetiche zone di guerra. Tutto ciò perché i Giovani Turchi vorrebbero far credere che la sparizione di due milioni di persone sia dovuta al caso.
       Vengono creati speciali battaglioni irregolari, detti tchété, in cui militano molti detenuti comuni appositamente liberati; essi hanno addirittura autorità sui governi ed i prefetti locali e quindi godono di un potere pressoché assoluto.
       L'eliminazione sistematica prende l'avvio nel 1915, quando i battaglioni regolari Armeni vengono disarmati, riuniti in gruppi di lavoro ed eliminati di nascosto.
       Viene messa in atto una rete segreta di comunicazione che, avvalendosi di un codice segreto, praticamente sarà articolata come segue: per impartire l'ordine di sterminio ad ogni comando della gendarmeria si manderà un messaggio ufficiale in cui si dirà di proteggere gli Armeni (la scusa ufficiale sarà infatti quella del trasferimento per motivi bellici) e contemporaneamente un messaggio cifrato che invece ne disporrà la carneficina (unitamente all'ordine di distruggere questo secondo messaggio in modo che non ne rimanga traccia).
       I Turchi non uccidevano subito gli artigiani, gli architetti, gli ingegneri o quelli che avevano posti di responsabilità. Li utilizzavano e li eliminavano dopo averli sfruttati.
       "La ferrovia in costruzione della Berlino-Baghdad serviva non solo al trasferimento rapido, ma anche all'annientamento: i giovani Armeni di leva, disarmati, erano destinati ai lavori forzati lungo la strada ferrata.
       I consiglieri erano ufficiali tedeschi, mentre medici turchi spostavano gli ammalati da un lager all'altro per diffondere epidemie e distribuivano veleno al posto di medicine.
       Telegrafisti turchi annunciavano l'orario delle partenze dei gruppi (a piedi, verso il deserto) e il numero dei deportati, indi attendevano dal posto telegrafico seguente conferma dell'arrivo, lontano chilometri, a oriente. Se il numero dei sopravvissuti era ancora elevato si dava ordine alle colonne di tornare indietro sulla stessa pista. Grazie al telegrafo la direzione delle operazioni a Instanbul era tenuta costantemente al corrente della situazione.
        Si faceva in modo che le piste passassero
       

vicino alle "acque salate" del deserto e si permetteva ai deportati di bere. Bere veleno" (PK18).
       Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, muoiono a migliaia. Per i pochi sopravvissuti la sorte non sarà migliore: periranno di stenti nel deserto bruciati vivi rinchiusi in caverne.
       "Alle volte qualche solerte burocrate ottomano prendeva decisioni più ferme. Convogliati a bastonate sull'orlo delle foibe, i deportati venivano gettati dentro e si appiccava poi il fuoco sopra le aperture di ingresso. Vecchi, donne e bambini morivano per asfissia sotto lo sguardo inerte dei consiglieri tedeschi, che annotavano tutto per poi inviare in patria dettagliati resoconti, che venivano archiviati con cura" (PK18).
       A queste atrocità scamperanno solo gli Armeni di Costantinopoli, vicini alle ambasciate europee, quelli di Smirne, protetti dal generale tedesco Liman Von Sanders, gli Armeni del Libano e quelli palestinesi.
       Il consuntivo numerico di questo piano criminale risulta alla fine:
       · da 1.000.000 a 1.500.000 di Armeni vengono eliminati nelle manieri più atroci. In pratica i due terzi della popolazione armena residente nell'Impero Ottomano è stata soppressa e, regioni per millenni abitate da Armeni, non ne vedranno più nemmeno uno.
       · circa 100.000 bambini vengono prelevati da famiglie turche o curde (questi ultimi, per certi versi, i più "fortunati") e da esse allevati smarrendo così tutti la propria lingua e, tranne coloro che capitarono in famiglie di curdi cristiani, la propria fede.
       · tutti gli Armeni scampati al massacro non sono più di 600.000.
       Su tutte valga la testimonianza del Console italiano Giovanni Gorrini che così scrisse: "Dal 24 giugno non ho più dormito ne mangiato. Ero preso da crisi di nervi e da nausea al tormento di dover assistere all'esecuzione in massa di quelle innocenti ed inermi persone. Le crudeli cacce all'uomo, le centinaia di cadaveri sulle strade, le donne ed i bambini caricati a bordo delle navi e poi fatti annegare, le deportazioni nel deserto: questi sono i ricordi che mi tormentano l'anima e quasi fanno perdere la ragione."

Le tappe dello Sterminio sono:
      1) Eliminazione del cervello della nazione. Il 24 Aprile 1915 vengono arrestati gli esponenti dell'élite culturale armena.
Tra questi c'è anche Krikor Zohrab, deputato del parlamento, che pensava di essere amico di Talaat.
Questi intellettuali saranno deportati all'interno dell'Anatolia e massacrati. Ci vorranno cinquant'anni per ricostruire una classe pensante.
        2) Eliminazione della forza. Gli Armeni dai 18 ai 60 anni vengono chiamati alle armi a causa della guerra in atto. Questi, da bravi cittadini, si arruolano.
Un decreto stabilisce il disarmo di tutti i militari armeni, che vengono costituiti in battaglioni del genio.
A gruppi di 100 verranno isolati e massacrati. Di 350.000 soldati armeni nessuno si salverà.
        3) E' il turno di donne vecchi e bambini. I medici Nazim e Behaeddin Chackir sguinzagliano la loro organizzazione segreta.
Nei luoghi vicino al mare si procede all'annegamento noyades.
Lo sterminio diretto viene applicato anche nelle zone in cui incombeva l'avanzata russa per il timore che alcuni si potessero salvare.
        Deportazioni (tehcir ve taktil = deportazione e massacro) - In primo luogo vengono eliminati i pochi uomini validi rimasti.
        Il capo della gendarmeria locale dà ordine ai maschi armeni di presentarsi al Comune, appena arrivati vengono imprigionati ed eliminati fuori dal villaggio.
        Si incomincia la deportazione con la scusa dello spostamento da zona di operazioni belliche; il console tedesco di Erzurum, Scheubner-Richter non esclude che i deportati venivano uccisi durante la marcia (Es ist nicht ausgeschlossen dass sie unterwegs ermordet werden = Non si nega che sono assassinati strada facendo).
        L'editto di trasferimento dovrebbe essere comunicato con cinque giorni d'anticipo, ma si dà molto meno tempo per non offrire la possibilità di
       

prepararsi.
        Fuori dal villaggio intanto aspettano curdi e turchi per impadronirsi della abitazioni. Con una legge del 10.6.1915 e altre che seguono, i beni della persone deportate vengono dichiarati "beni abbandonati" ("emvali metruke") quindi soggetti a confisca e riallocazione.
Allontanatisi i convogli, questi sono privati dei carri (bisogna camminare) si possono così facilmente eliminare le persone per fatica, senza dover usare proiettili.
        Le donne hanno una possibilità di salvezza, o convertendosi all'Islam o sposando un turco ed affidando i propri figli allo Stato.
        Durante il viaggio questi convogli vengono attaccati e depredati, anche con l'aiuto dei militari di scorta, come afferma il colonnello Stang. "Unter Duldung der militärischen Begleitung, sogar mit deren Mithife", "mit Hilfe von Amgehörigen des Heeres" Il bottino viene spartito tra Stato ed esecutori materiali.
        Dopo lunghe marce, durante le quali gli attacchi dei tchété (30.000 assassini fatti uscire di galera ed incorporati nell'organizzazione segreta) e dei curdi Hamidiés, la fame, la sete e gli stenti decimano i convogli, si giunge ai campi di sterminio della Siria che non presentano reticolati: c'è il deserto.
        Nel luglio del 1916 Talaat dà l'ordine di eliminare i superstiti. Questi vengono costipati in caverne e cosparsi di petrolio, poi viene dato loro fuoco.
        In tutta l'Armenia si può assistere al macabro spettacolo di corpi straziati e lasciati insepolti. In un rapporto del 1917 il medico militare tedesco, Stoffels, rivolgendosi al console austriaco dice di aver visto, nel 1915 durante il suo viaggio verso Mosul, un gran numero di località, precedentemente armene, nelle cui chiese e case giacevano corpi di donne e bambini bruciati e decomposti ("in einer grossen Anzahl früher armenischer Ortschaften in Kirchen und Häusern verkohlte und verweste Frauen-und Kinderleichen gesehen habe").
        I corpi delle vittime non troveranno mai cristiana sepoltura.

        Testimonianze        
        "E' dovere di noi tutti effettuare nelle sue linee più ampie la realizzazione del nobile progetto di cancellare l'esistenza degli Armeni che per secoli hanno costituito una barriera al progresso e alla civiltà dell'Impero… Siamo criticati e richiamati ad essere pietosi; questa semplificazione è una sorta di ingenuità. Per coloro che non cooperano con noi troveremo un posto che stringerà la fibra dei loro cuori delicati". (Ministro dell'Interno Talaat, 18 Nov 1915).
        "Il luogo di esilio di questa gente sediziosa è l'annientamento". (Ministro dell'Interno Talaat, 1 Dic 1915).
        "Dopo aver fatto inchieste, è risultato che solo il 10 per cento degli Armeni soggetti a deportazione generale ha raggiunto i luoghi a loro destinati; il resto è morto di cause naturali, come fame e malattie. Vi informiamo che stiamo lavorando per avere lo stesso risultato riguardo a quelli ancora vivi, usando severe misure". (Abdullahad Nouri, 10 Gen 1916).
        "Il numero settimanale dei morti durante gli ultimi giorni non era soddisfacente". (Abdullahad Nouri Bey, 20 Gen 1916.)
        "…Senza ascoltare nessuna delle loro ragioni, rimuoverli immediatamente, donne, bambini, chiunque essi siano, anche se sono incapaci di muoversi; e non lasciate che la gente li protegga, perché con la loro ignoranza mettono al primo posto guadagni materiali piuttosto che sentimenti patriottici e non riescono ad apprezzare la grande politica del governo. Perché, invece di misure indirette di sterminio usate in altri luoghi, come severità, furia (per portare avanti le deportazioni), difficoltà di viaggio, miseria, possono essere usate misure più dirette da voi, perciò lavorate con entusiasmo..." (Ministro dell'Interno Talaat, 9 Mar 1915).
        "…La Jemiet (Assemblea) ha deciso di salvare la madrepatria dalle ambizioni di questa razza maledetta e di prendersi carico sulle proprie spalle patriottiche della macchia che oscura la storia ottomana. La Jemiet, incapace di dimenticare tutti i colpi e le vecchie amarezze, ha deciso di annientare tutti gli Armeni viventi in Turchia, senza lasciarne vivo nemmeno uno e a questo riguardo è stato dato al governo ampia libertà d'azione…"
(Comitato Unione e Progresso, 25 Mar 1915)
        "Non è un segreto che il piano previsto consisteva nel distruggere la razza armena in quanto razza". (Leslee Davis, Console USA, 24 Lug 1915)
        "Non vi è alcun dubbio che questo crimine sia stato pianificato ed eseguito per ragioni politiche". (Sir Winston Churchill)
        "Credo che la storia della razza umana non comprenda un episodio terrificante come questo. Il grande massacro e le persecuzioni del passato sembrano insignificanti se comparate a quella della razza armena nel 1915". (Henry Morghentau, Amb.USA in Turchia)
        "Il governo turco si è reso colpevole di un massacro la cui atrocità eguaglia e supera qualsiasi altro che la storia abbia mai registrato". (George Cleménceau, Primo Ministro di Francia)
        "…Gli Armeni furono sospettati e sorvegliati dovunque, essi subirono una vera strage, peggiore del massacro. …Fu una strage e carneficina d'innocenti, cosa inaudita, una pagina nera, con la violazione fragrante dei più sacrosanti diritti di umanità, di cristianità e di nazionalità… La questione armena non è morta.
Anzi, essa risorge e si mantiene viva, perché la
       

giustizia internazionale, anche se tardi, ho fede che finirà per imporsi. Spero che l'auspicato avvenimento, o presto o tardi, si realizzerà; e lo auguro di gran cuore; come spero e auguro che a ciò possa contribuire principalmente l'Italia" (Giacomo Gorrini, Console d'Italia in Trebisonda) .
        "Il massacro degli Armeni è considerato come il primo genocidio del XX secolo" (Sottocommissione Diritti Umani dell'ONU, 1973)
        Durante la Prima Guerra Mondiale i massacri perpetrati dalla Turchia costituiscono crimini riconosciuti dall'ONU come genocidio. La Turchia è obbligata a riconoscere tale genocidio e le sue conseguenze". (Parlamento Europeo, 1987)
        Armin. T Wegner è stato testimone oculare dello sterminio del popolo armeno iniziato a Istanbul il 24 aprile 1915 con una retata che lasciò la nazione armena priva di una guida spirituale, culturale e politica.
        "E' a nome della Nazione Armena che io mi appello a voi, come uno dei pochi europei che sia stato testimone oculare, fin dal suo inizio, dell'atroce distruzione del Popolo Armeno nei fertili campi dell'Anatolia, oso rivendicare il diritto di farvi il quadro delle scene di sofferenza e di terrore che si sono snodate davanti ai miei occhi per circa due anni, che non si potranno mai cancellare dalla mia memoria." (Armin T. Wegner)
        "... io non accuso il popolo semplice di questo paese il cui animo è profondamente onesto, ma io credo che la casta di dominatori che lo guida non sarà mai capace, nel corso della storia, di renderlo felice, perché essa ha distrutto totalmente la nostra fiducia nelle loro capacità di incivilire ed ha tolto alla Turchia, per sempre, il diritto all'auto-governo".(Armin T. Wegner)

        In occasione dell' 85° anniversario del genocidio armeno…
        "…Tristissime furono invece le sorti della parte d'Armenia rimasta all'Impero Ottomano (Province di Erzurum, Bitlis, Van, Sivas, Mamuret -ora Elaziz- e di Diyarbakir). Dopo aver invano sperato indipendenza e libertà civili dall'interna evoluzione della Turchia… il sultano 'Abdul-Hamid ed i suoi fautori opposero il terrore organizzato in grande stile ad opera di irregolari curdi sobillati dal Governo.
        Nell'Agosto-Settembre 1894 si ebbe il primo massacro di Armeni, cui tenne dietro la vera e propria strage del 1895-96.
        L'Europa inorridì, ma la mancata unione tra diplomazia inglese (misure coercitive verso la Turchia) e quella russa (diffidenza verso un'Armenia autonoma) permise la prosecuzione della carneficina…
        La situazione si aggravò per l'inserirsi del nazionalismo dei Giovani Turchi: si ebbero così il massacro di Adanà del 1909 e, durante la prima guerra mondiale…, lo sterminio in massa del popolo armeno… La questione armena è stata così risolta distruggendo gli Armeni in quanto tali.
        L'attuale repubblica di Turchia disconosce anche il nome di Armenia, ha turchizzato le regioni orientali e eguagliato nominalmente i superstiti agli altri cittadini, cercando ad un tempo di eliminarli dalla vita dello Stato". (Dizionario Enciclopedico Italiano TRECCANI - voce "Armenia").



Il riconoscimento del Genocidio
da parte della comunità internazionale

       Il genocidio armeno è stato riconosciuto come realtà storica di cui la Turchia dovrà farsi carico in diverse sedi.
       L'ONU, anche se in sordina, ha riconosciuto il genocidio il 29 Agosto del 1985, mentre il Parlamento Europeo si è pronunciato in proposito il 18 Giugno 1997.
       Tra le prime nazione attivatesi in questo senso vi sono l'Uruguay ed alcuni stati degli USA (Massacjusetts, California, New Jersey, New York, Wisconsin, Pennsylvania, RhodeIsland, Virginia ed Illinois in ordine di tempo a partire dal 1978 al 1995), mentre né il Governo federale statunitense né il Consiglio di Stato hanno preso iniziative simili.
       Anche la Duma della Federazione Russa ha ufficialmente riconosciuto quanto accaduto agli Armeni.
       A tutt'oggi il riconoscimento del genocidio da parte della comunità internazionale sembra ancora ben lontano dall'essere una realtà ed i timidi tentativi, quali quello dell'Assemblea Nazionale Francese, di dare dignità storica ai fatti avvenuti in quegli anni sono stati tutti immediatamente insabbiati dalle inconsulte reazioni turche e dal vergognoso silenzio-assenso delle grandi potenze, primi fra tutti gli USA, che hanno sempre dato maggiore importanza ai propri interessi politici ed economici, piuttosto che alla giustizia ed al rispetto di quei principi morali ai quali spesso loro stessi fanno appello e di cui si sentono custodi.
       7 Novembre 2000: Il Parlamento Europeo riconosce ufficialmente il Genocidio. In una seduta del Parlamento europeo è stato ufficializzato un documento che riconosce ufficialmente i fatti del 1915. Il documento ha una grande valenza storico-politica sia perché rende giustizia al popolo armeno sia perché pone chiaramente alla Turchia la questione in funzione della sua candidatura per l'ingresso nella Comunità Europea.
       8 Novembre 2000 : Il Senato francese riconosce ufficialmente il Genocidio. Anche il Senato Francese nella seduta del 8 Novembre 2000 ha riconosciuto il Genocidio armeno con un unico articolo che recita "La Francia riconosce pubblicamente il genocidio armeno del 1915". Il Testo è stato approvata con 164 voti a favore e 40 contro.
       9 Novembre 2000: Il Papa riconosce il genocidio. Il Patriarca degli Armeni, Katholicos Karekin II, è stato ricevuto in Vaticano dal Papa Giovanni Paolo II ed insieme hanno pregato in una suggestiva cerimonia svoltasi nella basilica di San Pietro. Il Papa ha inoltre ricordato le persecuzioni subite dagli Armeni a causa della propria fede cristiana, mentre in un comunicato congiunto con l'armeno Katholicos ha denunciato il genocidio compiuto dai Turchi, dichiarando che "il genocidio degli Armeni, che ha dato inizio al secolo, è stato il prologo agli orrori che sarebbero seguiti".
       17 Novembre 2000: La camera dei deputati italiana ammette il genocidio. La camera dei deputati italiana ha finalmente discusso ed approvato, dopo anni di lunghe insistenze, un documento presentato già nel '98 dall'onorevole G. Pagliarini (Lega Nord) e sottoscritta da 165 deputati di vari partiti che chiede formalmente alla Turchia di riconoscere il genocidio degli Armeni e di ristabilire relazioni diplomatiche e commerciali con la Repubblica armena abolendo l'embargo attuato contro di essa. La risoluzione è stata sottoscritta da parlamentari e capigruppi di tutte le aree politiche. Anche in questo caso il governo turco ha reagito in malo modo minacciando addirittura la possibilità di riconsiderare la sua richiesta di ingresso nell'unione europea e definendo la mozione approvata "infelice" ed il comportamento del Parlamento Italiano "poco serio"[!!!].
[Il Governo italiano accetta un simile insulto?]


Riconoscimenti del Genocidio nel mondo

       Dichiarazione Congiunta dei Governi Alleati (1915)
       Senato degli Stati Uniti d'America (1916, 1920)
       Tribunale Militare di Turchia (1919)
       Trattato di Sevres (1920)
       Corte Criminale, Berlino (1921)
       Commissione per i Crimini di Guerra dell'ONU (1948)
       Camera dei Rappresentati dell'Uruguay (1965)
       Senato dell'Uruguay (1965)
       Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d'America (1975, 1984, 1996)
       Assemblea Mondiale del Consiglio delle Chiese (1979, 1983, 1989, 1995)
       Assemblea Nazionale del Quebec, Canada (1980, 1993, 1995)
       Parlamento d'Ontario, Canada (1980)
       Corte di Giustizia, Ginevra (1981)
       Parlamento di Cipro (1982, 1983, 1990, 1995)
       Tribunale Permanente dei Popoli, Parigi (1984)
       Sottocommissione per i Diritti dell'Uomo dell'ONU (1985, 1986)
       Parlamento Europeo (1987, 2000)
       Parlamento d'Argentina (1993)
       Senato d'Argentina (1993)
       Corte di Giustizia, Parigi (1995)
       Duma della Federazione Russa (1995)
       Parlamento di Bulgaria (1995)
       Parlamento di Grecia (1996)
       Camera dei Comuni di Canada (1996)
       Parlamento di Libano (1997, 2000)        Parlamento di New South Wales, Australia (1997)
       Lega dei Diritti dell'Uomo, Parigi (1998)
       Senato del Belgio (1998)
       Assemblea Nazionale di Francia (1998, 2000)
       Consiglio dell'Assemblea Parlamentare Europea (1998, 2001)
       Parlamento di Svezia (2000)
       Senato di Francia (2000)
       Vaticano (2000, 2001)
       Il Consiglio Comunale di Roma riconosce il Genocidio Armeno
       Il Parlamento Italiano riconosce il genocidio del 1915
       Camera dei Deputati 17.11.2000
       Legge Francese (2001)
       Senato Canadese (2002)
       Parlamento Europeo (2002)
       Senato Argentino (2003)
       Consiglio Nazionale della Svizzera (2003)
       14 Stati degli Stati Uniti d'America
       18 Consigli Comunali della Francia
       39 Consigli Comunali Italiani
E la Turchia quando riconoscerà il suo vergognoso genocidio???
Quando chiederà perdono a Dio, agli Armeni, all'umanità???


Riconoscimenti del Genocidio
dai Comuni d'Italia

Camponogara 05.06.1997 unanimità
Bagnacavallo 17.07.1997 unanimità
Russi 08.09.1997 unanimità
Fusignano 29.09.1997 unanimità
Montorso Vicentino 30.09.1997 unanimità
Monteforte d’Alpone 27.10.1997 unanimità
Padova 27.10.1997 unanimità
S.Agata sul Santerno 28.10.1997 unanimità
Sanguinetto 29.10.1997 unanimità
Conselice 15.11.1997 unanimità
Cotignola 17.11.1997 unanimità
Asiago 20.11.1997 unanimità
Lugo 20.11.1997 unanimità
S.Stino di Livenza 22.11.1997 unanimità
Milano 24.11.1997 unanimità
Ponte di Piave 26.11.1997 unanimità
Villafranca Padovana 27.11.1997 unanimità
Solarolo 28.11.1997 unanimità
Parma 22.12.1997 unanimità
Faenza 04.02.1998 unanimità
Imola 23.03.1998 unanimità
Venezia 30.03.1998 unanimità
Feltre 11.05.1998 unanimità
Ravenna 19.05.1998 unanimità
ANCI 17.06.1998 unanimità
Firenze 06.07.1998 unanimità
Castelsilano 14.09.1998 unanimità
Thiene 24.09.1998 unanimità
Genova 2.10.1998 unanimità
Com. Montana Feltrina 28.04.1999 unanimità
Massa Lombarda 28.09.1999 unanimità
Roma 06.03.2000 unanimità
Belluno 27.03.2000 unanimità
Salgareda 17.04.2000 unanimità
Sesto S.Giovanni 19.05.2000 unanimità
Mira 05.12.2000 unanimità
Udine 26.02.2001 unanimità
Bertiolo 24.04.2001 unanimità
XX Municipio di Roma 06.06.2001 unanimità
Provincia di Roma 16.06.2001 unanimità
Bergamo 22.10.2001 unanimità
Mogliano Veneto 13.05.2003 unanimità



Breve bibliografia

       · Un utile testo di riferimento per approfondire la vicenda armena, ma anche molti altri genocidi del XX secolo, è costituito dal testo di Yves Ternon "Lo Stato Criminale".
       · Un altro testo molto sintetico ma altrettanto significativo è "Breve Storia del Genocidio Armeno" di Claude Mutafian e Metz Yeghérn ed. Guerini ed Associati che ripercorre tutte le fasi del genocidio in modo preciso ed essenziale.
       · Un testo fondamentale è "I quaranta giorni del Mussa Dagh" scritto nel 1933 da F. Werfel ed edito da Mondadori. A questo testo si deve in pratica la memoria che in Italia si ha del genocidio.
       · Un secondo romanzo molto toccante e significativo scritto da V. Katcha è "Il pugnale nel
giardino. La saga degli Armeni" edito da Sonzogno nel 1982.
       · Il testo HAYASTAN, Diario di un viaggio in Armenia scritto da Alice Tachdjian Polgrossi è un reportage che parla degli Armeni e della loro repubblica. Edizioni del Girasole.
       · Per alcune notizie sulla storia degli Armeni gregoriani è utile il testo "Le minoranze religiose in Italia" di Silvio Ferrari e Giovan Battista Varnier, edizioni San Paolo.
       · Tutti i volumi di P. Kuciukian come Le terre di Nairì. Viaggi in Armenia editi da Guerini.
       · Viaggio tra i cristiani d'Oriente. Comunità armene in Siria e in Iran, di Pietro Kuciukian, Ed. Guerini e Associati, Milano 1996, pag. 94.


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L’olocausto armeno 1914-1918
di Alberto Rosselli
Segnalato da Centro Studi G. FedericiFonte: http://www.storico.org/OlocaustoArmeno.htm
       Nel momento in cui politicanti e politicastri auspicano l'ingresso della Turchia in Europa,
       nel momento in cui Papa Benedetto XVI stringe la mano ai turchi e spende parole di eloggio,
       crediamo che sia utile e necessario ricordare a chi per professione fa politica pensando solo al proprio portafoglio o alla propria mania di potere e di grandezza che agli Italiani non piace affatto stare assieme a gente che ancora oggi non prova né vergogna né pentimento per aver mostrato tanta bestialità, tanta crudeltà, tanta disumanità, tanta barbarie contro bambini innocenti, contro donne e vecchi inermi e indifesi, contro un intero popolo, reo soltanto di essere armeno e cristiano! E quella bestialità, crudeltà, disumanità e barbarie hanno continuato a ripetersi negli anni, fino a ieri, con l'uccisione del giornalista odiato perché armeno!
       Ripetiamo ancopra una volta che la Turchia non ha niente di che spartire con l'Europa, non è Europea. Non la vogliamo!
       Noi ci siamo già occupati del genocidio armeno, ma qui torniamo sull'argomento, sia perché spinti dalle circostanze, sia perché vogliamo dimostrare che sono in tanti  a scrivere sull'olocausto armeno perpetrato dai turchi: non è fantasia di qualcuno. Ma la Turchia ha la faccia tosta di negare la storia, di negare l'evidenza! di negare l'olocausto di un popolo, nonostante che le sue mani siano ancora lorde di quel sangue! E purtuttavia i nostri politici vogliono i turchi in Europa... forse perché similes cum similibus... Sono davvero della stessa pasta?
La Redazione
Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione
 
Storia di un genocidio dimenticato che, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, provocò la morte di più di due milioni di persone, colpevoli soltanto di appartenere ad un’etnia e  ad una cultura diverse e di professare un culto di minoranza.
 
La persecuzione scatenata, tra il 1915 e il 1918, dai turchi nei confronti del popolo armeno residente in Anatolia e nel resto dell’Impero Ottomano rappresenta forse il primo esempio dell’epoca moderna di sistematica soppressione di una minoranza etnico-religiosa.
    Una campagna di eliminazione che non scaturì soltanto dell’ideologia, scopertamente razzista, del sedicente Partito modernista e progressista dei Giovani Turchi, ma trasse le sue origini più profonde anche dall’innata, anche se inconfessabile, insofferenza che i mussulmani ottomani e curdi di Anatolia hanno sempre manifestato nei confronti di una minoranza cristiana, quella armena, portatrice di valori religiosi e culturali semplicemente diversi.
      Ma andiamo per ordine e cerchiamo di capire le motivazioni e la genesi di uno dei più orribili e meno pubblicizzati fenomeni di intolleranza etnico-religiosa del XX secolo. Lo sterminio degli armeni, verificatosi tra il 1915 e il 1918, in realtà non rappresenta che il completamento di una lunghissima campagna di persecuzioni e di discriminazioni che ebbe inizio a partire dalla seconda metà dell’Ottocento all’interno dei confini del decadente Impero Ottomano. Tra il 1894 e il 1896 ‘Abdul-Hamid, l’ultimo sovrano, o meglio despota, della Sacra Porta, diede il via ad un programma di sterminio che, sotto molti aspetti è possibile paragonare a quello nazista nei confronti del popolo ebraico (1). Fu proprio in questo periodo, infatti, che il governo turco iniziò ad applicare nei confronti degli armeni -già discriminati in molti settori della vita civile ma ancora in grado di sopravvivere più o meno decorosamente- una serie di leggi volte non soltanto a perfezionare l’isolamento civile della minoranza, ma a decretarne e a renderne possibile, in buona sostanza, lo sterminio legale: una manovra che in buona misura venne attuata anche per scaricare sugli armeni -popolo, o meglio nazione, tradizionalmente molto attiva e mediamente colta- la responsabilità dei fallimenti di una politica di governo, quella dei sultani, assolutamente deficitaria ed arretrata. La persecuzione contro gli armeni, infatti, va anche vista come il risultato di quei complessi e traumatici processi storici che tra la seconda metà del XIX secolo e i primi tredici anni del XX determinarono lo sgretolamento dell’Impero Ottomano.
 
Dopo avere dovuto rinunciare (in seguito alla guerra con l’Italia del 1911/12 e alla Prima Guerra Balcanica del 1913) a gran parte dei suoi possedimenti (Libia, Albania, Macedonia e parte delle isole dell’Egeo), il governo di Costantinopoli, entrò in una fase di crisi molto acuta. Temendo la completa dissoluzione dell’Impero, prima la Sacra Porta e poi il Partito dei Giovani Turchi, iniziarono ad assumere un atteggiamento sempre più sospettoso nei confronti delle minoranze (come quella greca, bulgara, ebraica, beduina e armena), colpevoli -scendo i vertici di Costantinopoli- di tramare nei confronti dell’Impero, minandone le fondamenta. E complice quest’ottica distorta ed inesatta, fu proprio la minoranza armena quella a destare le maggiori attenzioni. Ma la ragione di tanta diffidenza da parte dei turchi nel confronti degli armeni scaturiva anche da precise considerazioni e timori di carattere politico internazionale. La Sacra Porta, infatti, vedeva in questa minoranza, che in gran parte abitava l’area anatolica nord orientale, una possibile se non sicura alleata dell’Impero Russo cristiano ortodosso, tradizionale nemico della Sacra Porta. Un Impero che, fino dai tempi di Pietro il Grande (1682-1725) e di Nicola I (1825-55), aveva sempre cercato di sottrarre alla Turchia le regioni confinanti del Caucaso, guadagnandosi la simpatia delle comunità armene ormai stanche di sottostare al dispotico dominio ottomano. Diverse furono le guerre che, tra il XVIII e il XIX secolo, contrapposero i turchi ai russi. Nel 1876, le forze zariste, che erano intervenute a sostegno della Bulgaria, costrinsero Costantinopoli ad una resa umiliante, imponendo alla Sacra Porta il Trattato di Santo Stefano. Un documento, quest’ultimo, che sancì tra l’altro la cessione alla Russia di alcune aree dell’Anatolia nord settentrionale, abitate da armeni.
 
Tuttavia, il Trattato, non divenne mai del tutto operativo, anche a causa delle pressioni esercitate dal Primo Ministro inglese Benjamin Disraeli, da sempre ostile ad una eccessiva espansione politica e militare russa, soprattutto sui Balcani. E in seguito all’intromissione di altre potenze occidentali (come la Francia e la Prussia) avverse anch’esse alla Russia, il documento venne così parzialmente modificato, con l’eliminazione della clausola relativa alla tutela della minoranza armena. In buona sostanza, nessuna potenza occidentale volle spendere una parola in favore della popolazione cristiana, preferendo orientarsi verso una real politik. Anche se, pochi anni dopo, nel 1878, l’articolo 61 del successivo Trattato di Berlino del 1878, sancì, almeno sulla carta, il diritto alla sopravvivenza di questa sfortunata comunità. Il sostanziale disimpegno delle nazioni europee permise al dispotico Sultano Abdul Hamid di sopprimere la fragile Costituzione concessa nel 1876, abolendo tutte le libertà più elementari, istituendo nuove, severe leggi contro le minoranze religiose del Paese e costituendo nel contempo un’efficientissima polizia segreta incaricata di schiacciare il neonato Movimento Indipendentista Armeno. Non contento, il Sultano incoraggiò inoltre le tribù curde mussulmane ad emigrare verso le tradizionali zone rurali armene della Turchia orientale, aizzandole contro i cristiani. Forti dell’appoggio della Polizia Segreta e dell’Esercito Ottomano, i curdi iniziarono così ad insediarsi in territorio armeno, scacciando con la forza la locale popolazione. Costretti alla fuga, gli armeni furono quindi obbligati a trasferirsi sempre più a nord est in direzione delle regioni caucasiche russe: una manovra che la Sacra Porta, con notevole malafede, volle interpretare come un atto di slealtà nei suoi confronti e di connivenza con il nemico zarista. Fu a quel punto che il Movimento Indipendentista Armeno iniziò a frantumarsi in diversi gruppi politici e società segrete, tra cui l’Armenakan (fondato nel 1885), il partito socialdemocratico Hunchak (1887) e il più radicale movimento Dashnak (1890), con lo scopo di combattere i turchi. Ma la risposta del Sultano non si fece attendere. Il despota di Costantinopoli organizzò i membri delle tribù curde nei cosiddetti reggimenti di cavalleria Hamidye: autentiche bande armate di predoni autorizzate dal governo a perseguitare e a massacrare gli armeni dell’Anatolia Orientale.
 
Ma se gli armeni rimasti incapsulati in territorio ottomano se la passavano male, occorre dire che anche quelli che erano riusciti a rifugiarsi nelle zone russo caucasiche non poterono certo considerarsi in salvo. Nel 1881, in seguito all’assassinio dello zar Alessandro II, il primo ministro liberale di origine armena Loris Melikov, dovette rassegnare le dimissioni, in quanto ritenuto incapace di governare il sempre crescente malcontento dei nazionalisti georgiani e armeni del Caucaso. Dopo l’uscita di Melikov, i successivi governi di San Pietroburgo iniziarono quindi a manifestare una certa diffidenza se non ostilità nei confronti degli armeni, sia quelli residenti in Turchia che quelli stanziati in territorio zarista (2). Nel 1903, lo zar Nicola II tentò perfino di confiscare le proprietà della Chiesa Nazionale Armena, ordinando la chiusura delle scuole e delle altre istituzioni della Transcaucasia russa. Questo drastico cambiamento di rotta russo, consentì al Sultano Abdul-Hamid di alzare il tiro contro l’odiata minoranza, prendendo a pretesto, tra l’altro, alcuni gravi ed insensati attentati compiuti, tra il 1890 e il 1894, dalle frange estremiste del Movimento Indipendentista Armeno. La situazione stava precipitando. Nel 1894, un affiliato del Hunchak, un certo Murat, convinse le popolazioni di montagna armene del distretto di Sassun a non pagare ai capi curdi locali l’odioso hafir, o contributo per la protezione. L’ hafir era in realtà una forma di estorsione regolarizzata dal governo turco a tutto beneficio dei curdi che in questo modo potevano arricchirsi alle spalle dei contadini e dei montanari armeni.
 
L’11 marzo 1895, Gran Bretagna, Francia e Russia, scandalizzate dall’inasprirsi delle misure anti-armene, cambiarono improvvisamente atteggiamento, intimando al Sultano di concedere alla minoranza cristiana una forma di seppur limitata autonomia.
     
La richiesta venne respinta da Hamid che per contro intensificò la sua politica repressiva, giungendo a compiere vere e proprie stragi di armeni, anche nelle principali città dell’Impero. Secondo precise testimonianze dell’epoca, riportate da diplomatici italiani, francesi, inglesi e americani, in più di un’occasione, le truppe turche e curde saccheggiarono villaggi, rubarono bestiame, violentarono donne e bambini, costringendo non di rado i prelati armeni a riunirsi nelle loro chiese alle quali appiccarono fuoco dopo averne inchiodato le porte. Tra il 1894 e il 1896, le forze ottomane e curde eliminarono nei modi più barbari dai 200 ai 250.000 armeni. Questa ondata di violenza raggiunse livelli tali da indurre l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, ad invocare la destituzione del Sultano. Dal canto suo, sia lo zar che il kaiser Guglielmo II, che nel 1889 aveva già effettuato una visita di stato nella capitale del Bosforo, decisero invece di mantenere un atteggiamento neutrale nei confronti del Sultano. L’atteggiamento del kaiser scaturiva da ben precise considerazioni di carattere politico ed economico. Guglielmo II era infatti desideroso di portare a termine la costruzione della linea ferroviaria Berlino-Baghdad: un’arteria che, una volta ultimata, avrebbe consentito alla Germania di intensificare i suoi scambi commerciali con la Turchia e, soprattutto, di consentire all’Impero tedesco di allargare la sua sfera di influenza verso il Medio Oriente, la Mesopotamia e il Golfo Persico.
 
L’ultimo decennio del regno di Abdul-Hamid fu caratterizzato da una situazione politica, economica e sociale interna molto incerta densa di difficoltà, destinata a sfociare in gravi sommosse. Verso la fine dell’800, in alcuni circoli di Salonicco, un gruppo di giovani ufficiali dell’esercito, i Liberi Massoni, assieme ad alcuni esiliati politici turchi confluiti nella società segreta di Unione e Progresso, iniziarono a tramare contro il vecchio potere centrale assolutista. In seguito, il cosiddetto Movimento dei Giovani Turchi andò però ben oltre, auspicando l’eliminazione del sultano e avviando un ambizioso, rapido e radicale processo di modernizzazione socio-politica, economica e culturale dell’Impero. La rivolta, capeggiata da un gruppo di giovani ufficiali favorevoli ad una sorta di “occidentalizzazione” dell’Impero, scoppiò nel 1908, a Monastir. Il 23 luglio dello stesso anno, il Comitato Centrale di Unione e Progresso intimò al Sultano di ripristinare immediatamente la Costituzione del 1876 (da lui soppressa nel 1878), minacciando di marciare con l’esercito su Costantinopoli. Il Sultano questa volta cedette e la Costituzione venne ripristinata ufficialmente il 24 luglio 1908. Seguì un breve periodo di euforia con grandi festeggiamenti a Costantinopoli, Damasco, Baghdad e nelle città e regioni popolate dalle minoranze etniche e religiose armene, ebraiche, slave e arabe che vedevano nella rivolta militare contro il Sultano l’inizio di un nuovo periodo caratterizzato da maggiori libertà. Effettivamente, in un primo tempo, i giovani ufficiali turchi proclamarono che mussulmani, cristiani ed ebrei non sarebbero più stati divisi e avrebbero contribuito, tutti insieme e su uno stato di completa parità, alla gloriosa rinascita economica e sociale della nazione ottomana.
 
Nel 1909, dopo un fallito tentativo controrivoluzionario condotto dai sostenitori del regime assolutista di Hamid, gli ufficiali “modernisti” guidati da Taalat Pascià deposero definitivamente Hamid, costringendolo a lasciare il posto a suo fratello Muhammad (Mehemet) V. (3) E quest’ultimo, non volendo seccature, accettò di buon grado le direttive degli ufficiali rivoluzionari che, nel frattempo, avevano però cominciato ad elaborare programmi a forte contenuto nazionalista e razzista, rimangiandosi tutte le promesse di libertà (subito dopo la caduta di Hamid, i Giovani Turchi avevano dato vita ad un regime parlamentare, concedendo ad elementi cristiani, ebrei e arabi di entrare nella pubblica amministrazione e di prestare servizio nell’Esercito). Tuttavia, dopo la sconfitta subita ad opera dell’Italia nel 1912 e i rovesci subiti nell’ambito della Prima Guerra Balcanica, il 26 gennaio 1913 si verificò a Costantinopoli un nuovo colpo di stato. Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Jemal presero con la forza il potere dando vita ad una sorta di triumvirato. Abbandonati ben presto gli ideali liberali e parlamentari, i Giovani Turchi avviarono un capillare processo di “turchizzazione” dell’Impero Ottomano (una strategia politica che faceva perno sui principi del “pan-turanismo”, una corrente ideologica della “rinascita ottomana” sostenuta da Ziya Gok Alp, discepolo del sociologo francese Emile Durkheim). Imbevuti di questa dottrina, che magnificava le virtù degli antichi statisti, guerrieri e condottieri turchi, il mai completamente sopito e sostanziale atteggiamento di intolleranza dei Giovani Turchi nei confronti delle minoranze dell’Impero, soprattutto quella armena cristiana, iniziò ad emergere con estremo vigore. E verso la primavera del 1914, proprio alla vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, la Giunta dei Giovani Turchi, iniziò a pianificare scientificamente quello che si sarebbe ben presto rivelato il primo “genocidio” programmato dell’era moderna. Dopo l’entrata in guerra dell’Impero Ottomano (29 ottobre 1914) a fianco degli Imperi Centrali, la comunità armena, allo scuro delle manovre segrete dei Giovani Turchi, volle dimostrare a Costantinopoli la sua fedeltà alla nazione ottomana. E nell’estate del 1914, ad Erzerum, in occasione dell’ottavo congresso del partito Dashnak, i leader del più forte movimento indipendentista armeno invitarono tutti gli iscritti ad assolvere ai loro doveri di fedeli sudditi e soldati dell’Impero. Nel giro di poche settimane ben 250.000 armeni si arruolarono nelle forze armate turche, dimostrando, già a partire dalla sfortunata campagna, scatenata nel successivo mese di dicembre da Enver nel Caucaso contro i russi, una assoluta lealtà nei confronti del governo che, nel frattempo, stava ultimando i preparativi per scatenare contro di essi un vero e proprio massacro a sorpresa.
 
All’inizio del 1915, nel corso di una riunione segreta del Comitato di Unione e Progresso, il segretario esecutivo Nazim concluse testualmente i lavori: “Siamo in guerra; e non potrebbe verificarsi un’occasione migliore per sterminare tutta la popolazione armeno. In un momento come questo è estremamente improbabile che vi siano interventi da parte delle grandi potenze e proteste da parte della stampa; e se anche ciò accadesse tutti si troverebbero di fronte ad un fatto compiuto”. Un altro dei presenti, Hassan Fehmin, aggiunse poi. “Siamo nelle condizioni ideali per spedire sul fronte caucasico tutti i giovani armeni ancora in grado di imbracciare un fucile. E una volta là, possiamo intrappolarli e annientarli con facilità, chiusi come saranno tra le forze russe che si troveranno davanti e le forze speciali che piazzeremo alle loro spalle”. In quella data il Comitato decise che “lo sterminio degli armeni” sarebbe stato affidato ad una speciale Commissione a tre, comprendente lo stesso segretario esecutivo Nazim, Behaettin Shakir e il Ministro della Pubblica Istruzione, Shoukri, sotto il diretto controllo di Taalat Pascià. La commissione istituì a sua volta la cosiddetta Organizzazione Speciale (Teshkilate Makhsusa) nella quale entrò a fare parte una folta schiera di ex detenuti e di delinquenti ai quali venne promessa la libertà in cambio di loschi servigi. All’inizio della primavera 1915, i capi turchi scatenarono l’esercito e le solite bande curde contro gli indifesi villaggi armeni che vennero depredati. Successivamente, bande armate curde e reparti dell’esercito e della polizia, incominciarono ad arrestare - accusandoli di connivenza con il nemico russo - tutti gli esponenti dei vari partiti armeni. Nel giro di poche settimane, decine di migliaia di cristiani vennero imprigionati e sottoposti a spaventose e documentate torture. I curdi mussulmani si accanirono in modo particolare contro i sacerdoti ai quali vennero strappati gli occhi, le unghie e i denti con punteruoli roventi e tenaglie. Gevdet Bey, vali della città di Van e cognato del Ministro della Difesa Enver Pascià, fu visto dare ordine ai suoi uomini di inchiodare ferri di cavallo ai piedi delle vittime, costringendo poi quei disgraziati ad effettuare improbabili danze mortali. Il 24 aprile 1915, a Costantinopoli, nel corso di una gigantesca retata, circa 500 esponenti del Movimento Armeno vennero incarcerati e poi strangolati con filo di ferro nel profondo di sordide segrete. (4) Stando ad un rapporto ufficiale del console statunitense ad Ankara, nel luglio 1915, duemila soldati di etnia armena, reduci dalla campagna del Caucaso, vennero improvvisamente disarmati dai turchi e spediti in catene nella regione della città di Kharput con il pretesto di utilizzarli nella costruzione di una strada. Ma giunti in una vallata, i militari armeni vennero circondati da un battaglione della polizia turca e massacrati a colpi di moschetto. Tutti i cadaveri vennero poi scaraventati in una profonda grotta. Identico destino toccò ad altri 2.500 militari armeni, anch’essi condotti nei pressi di una cava di pietra, in località Diyarbakir, e lì trucidati da un grosso reparto misto formato da soldati e miliziani curdi. Sempre secondo i resoconti dei diplomatici statunitensi, i corpi delle vittime vennero seviziati, spogliati e lasciati a marcire nella cava. Nel giugno 1916, dopo avere eliminato circa 150.000 militari di origine armena, i turchi decisero di fare fuori anche un terzo degli operai armeni impiegati nella costruzione e manutenzione dell’importante linea ferroviaria Berlino-Costantinopoli-Baghdad. Ma a questo punto, gli alleati tedeschi e austriaci, che da tempo avevano palesato il loro disappunto per le orrende carneficine, denunciarono finalmente, e in maniera ufficiale, le atrocità turche. L’ambasciatore tedesco a Costantinopoli, il conte von Wolff-Metternich, si precipitò alla Sublime Porta, accusando direttamente Taalat Pascià e il Ministro degli Esteri Halil Pascià “di inutili crudeltà e persino di atti di sabotaggio”. Tuttavia, le vibranti proteste dell’ambasciatore lasciarono impassibili i capi ottomani.
 
Fu allora che molti ufficiali e sottufficiali armeni, scampati ai massacri, tentarono di organizzare sui monti la resistenza. Nell’aprile 1915, nella città di Van, alcune migliaia di civili armeni riuscirono a disarmare la locale guarnigione turca, barricandosi nel nucleo urbano dove resistettero per molti giorni alla controffensiva ottomana e curda; fino all’arrivo, provvidenziale, di una divisione di cavalleria russa che nel mese di maggio liberò dall’assedio quei disperati. Eguale successo ebbe poi la storica e ormai famosa resistenza del massiccio montuoso del Musa Dagh, nei pressi di Antiochia (Golfo di Alessandretta). Su questo acrocoro non meno di 4.000 armeni si trincerarono decisi a vendere cara la pelle. Resistettero per ben quaranta giorni agli attacchi dei reparti regolari dell’esercito ottomano e dei “volontari” civili turchi, segnando una delle pagine più eroiche della storia del popolo armeno. Alla fine, proprio quando la resistenza sembrava dovere cedere di fronte alle preponderanza dell’avversario, i reduci vennero salvati dal provvidenziale arrivo nel Golfo di Alessandretta di una squadra navale francese che riuscì in gran parte a trarli in salvo (l’epopea del Musa Dagh venne in seguito narrata da Franz Werfel nel suo celebre romanzo storico I quaranta giorni di Musa Dah). Purtroppo, altri tentativi di resistenza non ebbero la medesima fortuna, come accadde ad Urfa. Qui, tutta la guarnigione armena, composta di ex-militari e civili, dovette soccombere alle soverchianti forze ottomane che, a battaglia conclusa, massacrarono tutti i difensori ancora in vita, compresi i feriti.
 
Verso l’autunno del 1915, una volta eliminata la parte più giovane e combattiva della nazione armena, il Ministero degli Interni ottomano iniziò a pianificare lo sterminio di tutti gli adulti di età superiore ai 45 anni, che fino ad allora erano stati risparmiati perché ritenuti necessari al lavoro delle campagne, e degli ultimi prelati. Come testimonia questo brano tratto da un dispaccio inviato dal Ministro Taalat Pascià al governatore turco di Aleppo il 15 settembre 1915. “Siete già stato informato del fatto che il Governo ha deciso di sterminare l’intera popolazione armena Occorre la vostra massima collaborazione… Non sia usata pietà per nessuno, tanto meno per le donne, i bambini, gli invalidi Per quanto tragici possano sembrare i metodi di questo sterminio, occorre agire senza alcuno scrupolo di coscienza e con la massima celerità ed efficienza”. Per risparmiare denaro e per razionalizzare al massimo l’operazione, la Giunta dei Giovani Turchi avviò una deportazione di massa (dalla quale talvolta vennero però risparmiati i medici o i tecnici utili al governo, come accadde nella città di Kayseri) in modo da concentrare in pochi siti isolati tutti gli armeni ancora in vita. Una delle destinazioni prescelte fu la desolata e poverissima regione siriana di Deir al-Zor, dove, dopo una marcia a piedi di centinaia di chilometri, intere famiglie armene vennero ammassate e trucidate nei modi più raccapriccianti, tanto da sollevare le inutili proteste di un gruppo di ufficiali tedeschi e austriaci che assistette a quei tragici eventi. Queste deportazioni vennero architettate anche per facilitare l’esproprio dei beni immobili armeni. Abbandonata la precedente prassi della distruzione dei villaggi, molti dirigenti del partito dei Giovani Turchi e moltissimi funzionari di polizia e comandanti delle famigerate bande a cavallo curde ebbero modo di arricchirsi proprio in virtù di questi lasciti forzati.
 
Nell’inverno del ’15 il rappresentante tedesco a Costantinopoli, conte Wolff-Metternich -che, come si è già detto, non aveva mai mancato di stigmatizzare “il crudele e controproducente comportamento degli ottomani nei confronti delle minoranze cristiane”-  denunciò, in una missiva inviata a Berlino, questa “orribile prassi”, accusando nuovamente i Giovani Turchi di “tradimento nei confronti della comune causa tedesco-ottomana”. L’ambasciatore tedesco agì in maniera talmente diretta da indurre Enver Pascià e Taalat Pascià a chiederne a Berlino la sua sostituzione, cosa che in effetti avvenne nel 1916. A testimonianza delle dimensioni del fenomeno “espropriazioni”, dopo la fine della guerra, nel 1919, lo scrittore e storico tedesco J. Lepsius nel suo Deutschland und Armenien stimò che nel 1916 “i profitti derivati all’oligarchia dei Giovani Turchi e ai suoi lacché dai beni rapinati agli armeni fossero arrivati a toccare la cifra astronomica di un miliardo di marchi”. Per onestà va comunque detto che, in certi casi, alcuni governatori (i vali) turchi, (come quello di Angora, città nella quale vivevano 20.000 armeni), mostrarono indubbia pietà nei confronti degli armeni, arrivando anche a disubbidire alle direttive del governo. Tanto che, nel luglio del ’15, il governatore di Ankara -che si era opposto agli stermini- venne subito rimosso e sostituito con un funzionario più zelante. Come il vali Gevdet che, nell’estate del ’15, a Siirt, a sud di Bitlis, “fece massacrare -come testimonia Rafael de Nogales, un mercenario venezuelano che nel 1915 si era arruolato nell’esercito turco- oltre 10.000 tra armeni, cristiani nestoriani e giacobiti, lasciando i loro corpi ignudi in pasto agli avvoltoi e ai cani randagi”. Identici resoconti possono riscontrarsi anche nei documenti e nelle memorie di numerosi addetti diplomatici tedeschi, americani, svedesi e anche italiani. Sull’edizione del quotidiano Il Messaggero di Roma (25 agosto 1915) venne pubblicata la denuncia del console generale a Trebisonda, Giovanni Gorrini. Costui affermò che “degli oltre 14.000 armeni legalmente residenti a Trebisonda all’inizio del 1915 (dal punto di vista religioso la comunità era composta da cristiani gregoriani, cattolici e protestanti, nda) il 23 luglio dello stesso anno non ne rimanevano in vita che 90. Tutti gli altri, dopo essere stati spogliati di ogni avere, erano stati infatti deportati dalla polizia e dall’esercito ottomani in lande desolate o in vallate dell’entroterra e massacrati”. E intanto proseguiva senza soste la deportazione degli armeni destinati ai famigerati campi di raccolta (e di sterminio) della città di Deir al-Azor. Questi, privi di baracche, servizi igienici, iniziarono ad accogliere all’interno dei loro perimetri cintati da fitti sbarramenti di filo spinato sorvegliato da guardie armate, decine di migliaia di profughi. “Ben presto -come narra lo scrittore David Marshall Lang nel suo eccellente e ben documentato “Armeni, un popolo in esilio”- in questi recinti, rigurgitanti in gran parte di vecchi, donne e bambini, scoppiarono terribili epidemie di tifo e vaiolo che si allargarono a gran parte della popolazione siriana…Solo ad Aleppo, tra l’agosto 1916 e l’agosto 1917, circa 35.000 persone morirono di tifo”. Epidemie che si rivelarono talmente devastanti da mettere in allarme lo stesso generale Otto Liman von Sanders, comandante delle forze turco-tedesche in Medio Oriente. Questi, nel 1916, cercò di attivare, attraverso il suo Servizio Sanitario, una qualche forma di assistenza, sempre contrastato dalle autorità ottomane che, accecate dall’odio verso gli armeni, non si rendevano conto dell’immane disastro che avevano provocato. In terra siriana, qualche centinaio di ragazzine e di bambini armeni riuscì però a scampare alla morte per fame, malattia o alle fucilate degli aguzzini turchi. Le ragazze, soprattutto le più giovani e graziose, vennero infatti vendute per poche piastre ad alcuni possidenti arabi che le rinchiusero nei bordelli, non prima di averle fatte convertire forzatamente all’Islam. Nell’autunno del 1918, quando le forze inglesi del generale Edmund Allenby dopo avere sconfitto i turco-tedeschi a Megiddo, occuparono la Palestina e la Siria, trovarono ancora in vita alcune decine di queste derelitte, tutte marchiate a fuoco dagli stenti e dalle malattie veneree. Sorte ancora peggiore toccò ai bambini armeni rinchiusi nei campi siriani. Gran parte di questi vennero infatti sottratti alle madri e inviati anch’essi in bordelli per omosessuali o in speciali orfanotrofi per essere rieducati come turchi mussulmani da Halidé Edib Adivart, una mostruosa virago alla quale il governatore della Siria aveva affidato il compito di “raddrizzare la schiena alla ribelle gioventù armena”.
 
Nonostante tutto, il governo ottomano non si reputava ancora soddisfatto della risoluzione del “problema armeno”. Nei campi, “i cristiani infedeli morivano troppo lentamente”. Nel 1916, Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Gemal diedero quindi un ulteriore giro di vite alla loro politica di sterminio, intimando ai loro governatori e capi di polizia di “eliminare con le armi, ma se possibile, con mezzi più economici, tutti i sopravvissuti dei campi siriani e anatolici”. In questa seconda fase del massacro ebbe modo di distinguersi proprio il governatore del distretto di Deir al-Azor, certo Zekki, che ogni mattina era solito “cavalcare nei campi tra i profughi, tirare su un bambino, farlo roteare in aria, e scagliarlo contro le rocce”. Zekki - secondo quanto scrive J. Bryce (autore di “The Treatment of Armenians”), “rinchiuse 500 armeni all’interno di una stretta palizzata, costruita su una piana desertica, e li fece morire di fame e di sete”. E a dimostrazione dello zelo di questo governatore, basti pensare che, durante l’estate del 1916, i suoi uomini eliminarono oltre 20.000 armeni. Taalat Pascià, divenuto Gran Visir, arrivò addirittura a vantarsi dell’efficienza del suo governatore con l’esterrefatto ambasciatore americano Morgenthau, al quale egli ebbe anche l’ardire di chiedere “l’elenco delle assicurazioni sulla vita che gli armeni più ricchi (deceduti nei campi di sterminio) avevano precedentemente stipulato con compagnie americane, in modo da consentire al Governo di incassare gli utili delle polizze”.
 
Intanto, nelle regioni orientali e settentrionali dell’Impero Ottomano, la situazione delle comunità armene che erano riuscite a trovare rifugio nelle valli del Caucaso si fece improvvisamente drammatica. In seguito alla rivoluzione bolscevica del 1917, l’esercito russo aveva infatti iniziato a ritirarsi dall’Anatolia orientale e dalla Ciscaucasia, abbandonando gli armeni al loro destino. Rioccupata l’importante città-fortezza di Kars, le forze ottomane, ormai libere di agire, iniziarono una meticolosa caccia all’uomo, arrivando a sopprimere circa 19.000 persone in poche settimane. Identica sorte che toccò a quei profughi cristiani che, rifugiatisi preventivamente in Transcaucasia, soprattutto in Georgia e nella regione caspica di Baku, vennero massacrati dalle locali minoranze mussulmane tartare e cecene. Nel settembre del ’18, nella sola area di Baku furono eliminati 30.000 armeni.
 
Ma la guerra stava volgendo ormai al termine e nell’imminenza del crollo della Sublime Porta, i responsabili turchi delle stragi iniziarono a sparire nell’ombra, onde evitare il peggio. Quando, nell’ottobre 1918, la Turchia si arrese alle forze dell’Intesa, i principali dirigenti e responsabili del partito dei Giovani Turchi e del Comitato di Unione e Progresso vennero arrestati dagli inglesi e internati per un breve periodo a Malta. Successivamente, un tribunale militare turco condannò a morte, in contumacia, Enver Pascià, Ahmed Gemal e Nazim, accusati di avere architettato e portato a compimento, tra il 1914 e il 1918, l’olocausto armeno. Ormai espatriati, nessuno dei condannati finì però nelle mani della giustizia regolare. Ci pensò il destino e, come spesso accade, lo spirito vendicativo dell’uomo a colpire chi si era macchiato di tanti efferati crimini. Il 15 marzo 1921, Taalat Pascià, forse il più crudele dei tre triumviri di Costantinopoli, venne assassinato a Berlino da uno studente armeno, tale Soghomon Tehlirian (che venne processato da un tribunali tedesco e successivamente assolto); sorte che toccò il 21 luglio 1922 anche ad Ahmed Gemal, ucciso da un altro giovane armeno a Tbilisi, in Georgia. “Strana e sotto molti aspetti decisamente consona al personaggio fu invece la fine di Enver Pascià, il più intelligente e “idealista” dei tre: il “Piccolo Napoleone” dell’Impero, il propugnatore fanatico e determinato del Pan-Turanismo” (D.M. Lang). Rifugiatosi tra le tribù turche della remota regione asiatica centrale di Bukhara, dove pensava di portare a compimento la realizzazione del suo sogno, cioè la creazione di una Grande Nazione Turca, agli inizi degli anni Venti Enver si mise a capo di una rivolta turco-mussulmana contro il potere sovietico. Ma il 4 luglio 1922, egli venne circondato con il suo piccolo esercito da un grosso reparto bolscevico (combinazione guidato da un ufficiale armeno) e ucciso. Con la morte di Enver tramontava per sempre il progetto revanchista, di chiara matrice nazionalista e razzista, che non soltanto aveva trascinato la Turchia nel disastro del Primo Conflitto, ma che aveva contribuito a riaccendere l’atavico e mai sopito odio della popolazione turca nei confronti della minoranza armena cristiana.
      Oggi, a distanza di tanti anni, quell’impetuoso rigurgito di intolleranza etnico-religiosa che scatenò la persecuzione contro gli armeni, sta -paradossalmente- interessando un’altra minoranza, quella curda, che da colpevole fiancheggiatrice di una strage si è trasformata a sua volta in vittima di una logica di persecuzione assurda e spietata.
Alberto Rosselli























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NOTE1 - La storia del popolo armeno ha radici profonde. Gli armeni, intesi come etnia, derivano da una commistione, avvenuta in tempi remoti, tra elementi indoeuropei (gli “armenoi” che sia Erodoto che Eudossio collegano ai Frigi) ed elementi asiatici o anatolici, cioè quelle popolazioni che in antichità abitavano la parte orientale della penisola anatolica, e che non appartengono né al ceppo semita né a quello indoeuropeo. La prima apparizione degli armeni sul palcoscenico della storia avviene, molto probabilmente, nel VII secolo a.C. quando gli attacchi e le migrazioni dei cimmeri, degli sciti e dei medi da un lato e le pressioni degli assiri dall’altro, contribuirono alla caduta del regno di Urartù (Ararat, secondo gli scritti biblici). Da quel periodo, gli armeni, la cui lingua era di origine indoeuropea, si stabilirono nella regione del lago Van (Anatolia orientale), assumendo con rapidità una netta ed autonoma fisionomia culturale. Gli armeni, che si autodefiniscono haik (dal nome di un loro leggendario eroe nazionale) sono soliti chiamare la propria terra Hayastan. Inizialmente vassalli dei medi e dei persiani, gli armeni cercarono di rendersi indipendenti sotto Tigrane il Grande (I secolo a.C.) entrando a fare parte prima dell’Impero Romano (e successivamente di quello bizantino) e sasanide. Verso la fine del III secolo, gli armeni si convertirono al cristianesimo che ancora oggi rappresenta l’elemento fondamentale della loro autocoscienza etnica: peculiarità che ha assicurato a questo popolo l’odio di tutte le popolazioni anatoliche mussulmane. Dal 639 d.C. gli armeni furono dominati dagli arabi. Prima dal califfo Uthman (645) e poi dalla dinastia degli Omayyadi, la cui dominazione fu più volte spezzata da violente rivolte. Dopo la pesante sconfitta subita dai bizantini ad opera dei turchi selgiuchidi a Manzikerk o Manazgherd (1071), la regione armena cadde sotto il dominio dell’Impero selgiuchide. Sudditi dell’Impero Ottomano a partire dalla fine del XIV secolo, gli armeni furono costretti ad adottare la lingua turca, pur conservando la propria compattezza etnico-culturale grazie alla specificità religiosa. Dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi (1453), Maometto II il Conquistatore chiamò a sé nella capitale il vescovo armeno di Brussa (Bursa), elevandolo alla dignità di patriarca, con prerogative pari a quelle del patriarca greco-ortodosso. Nasceva così ufficialmente il millet, o nazione degli armeni, che assunse presto grande importanza, soprattutto economica e culturale, in seno all’impero. La comunità armena forniva infatti ai sultani banchieri, imprenditori, mercanti, funzionari, ministri, contribuendo molto alla rinascita economica di un Impero sostanzialmente incapace, attraverso la classe di potere mussulmana, di badare al suo ammodernamento interno. Fino dal XII secolo diversi missionari cattolici inviati in Anatolia dal Papa cercarono di convincere gli armeni ad abbandonare  la Chiesa ortodossa e questa politica (mal tollerata dagli ottomani) venne intensificata dopo il Concilio di Firenze (1438-1445) e sotto Sisto V, fino a raggiungere un significativo successo con la conversione, ad opera dei gesuiti, di Mechitar (Sivas 1675 - Venezia 1749), fondatore dell’Ordine da cui prende il nome e che ha sede nell’isola veneziana di San Lazzaro. Gli armeno-cattolici, perseguitati a più riprese dalle autorità ottomane e criticati dagli armeno-ortodossi, cercarono e spesso ottennero l’appoggio di potenze occidentali, prima fra tutte la Francia che nel 1866 ottenne che questa minoranza armena venisse inquadrata e tutelata sotto un’organizzazione ecclesiastica separata: il patriarcato armeno-cattolico di Cilicia. In ogni caso, fino verso la metà del XIX secolo, la nazione armena, nel suo complesso,  fu considerata dagli ottomani alla stregua di una minoranza “leale” nei confronti del potere centrale di Costantinopoli, anche se, nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, l’intensificarsi della contrapposizione diplomatico-militare tra l’Impero Ottomano e quello Russo e i sempre più frequenti attacchi delle minoranze curde e circasse di recente immigrazione (appoggiate più o meno apertamente da Costantinopoli) convinsero i sultani a comprimere sempre di più i diritti elementari dell’intera etnia armena.
2 - Secondo fonti ufficiali armene fino agli inizi del XX° secolo in Russia non vi furono sommosse da parte di nazionalisti armeni.
3 -  Sempre secondo fonti armene, durante i torbidi della “controrivoluzione” del 1909  in Cilicia circa 30.000 armeni vennero massacrati. Sembra che la responsabilità di questo eccidio, attribuita in un primo momento ai circoli vicini al Sultano, sia invece da addossare al partito dei Giovani Turchi.
4 -  I maggiorenti di Costantinopoli, arrestati il 24 aprile 1915, furono divisi in due gruppi e deportati in Anatolia dove molti di essi vennero uccisi. Tra questi vi erano intellettuali e scrittori (come Daniel Varujan, la cui opera poetica, recentemente tradotta anche in italiano, ha riscosso notevoli consensi), giornalisti e sacerdoti. Tra gli uomini di chiesa il monaco Komitas, padre della etnomusicologia armena. Komitas sopravvisse alla prigionia e alla guerra, ma in seguito agli orrori patiti impazzì, finendo i suoi giorni in un manicomio di Parigi.
 
BIBLIOGRAFIADavid Marshall Lang, Armeni, un popolo in esilio, Edizioni Calderini, Bologna 1989.
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M.S. Anderson, The Eastern Question, 1774-1923, London, 1966.
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Rafael de Nogales, Four Years beneath the Crescent, London, 1926.
Ulrich Trumpener, Germany and the Ottoman Empire, 1914-1918, Princeton, 1968.
Franz Werfel, The Forty days of Musa Dagh, trans. G.Dunlop, London, 1934.

 
 

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