Risposta al numero speciale de “La Tradizione cattolica” sul sedevacantismo (n. 1/2003, 52)
di DON FRANCESCO RICOSSA
La Tradizione Cattolica [d’ora innanzi indicata con la sigla TC] è la “rivista ufficiale del Distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X” dal 1986, quando sostituì – in questo ruolo – proprio la nostra rivista “Sodalitium”. Il primo numero dell’anno 2003 (n. 52) è monotematico, interamente consacrato cioè alla questione del “sedevacantismo”, la posizione secondo la quale la Sede Apostolica è attualmente vacante.
L’editoriale dell’abbé Simoulin. Autore, contenuto, scopo del numero speciale sul “sedevacantismo”.
In un editoriale, il superiore di distretto, l’abbé Michel Simoulin, presenta al lettore il “dossier”. Quanto all’autore, esso è presentato come “l’opera comune dei sacerdoti del Distretto d’Italia” (p. 3). In realtà, ed è risaputo, l’autore principale è un unico sacerdote del Distretto: lo scriviamo solo perché questo fatto influisce non poco sulle motivazioni e le argomentazioni dello scritto, che si discostano frequentemente dal modo abituale di argomentare della Fraternità. Quanto al carattere ufficiale dello scritto, “esso non pretende essere una presa di posizione o una dichiarazione ufficiale della Fraternità” (p. 3). Quanto al valore dell’argomentazione, essa “non pretende nemmeno confutare direttamente le dette tesi” sedevacantiste (p. 3). Per ammissione stessa del superiore di Distretto, quindi, il dossier manca di autorevolezza. Per quel che riguarda le persone alle quali esso è diretto, vengono esclusi i sacerdoti che sostengono le tesi “non confutate”: “questo studio si indirizza quindi, non ai ‘maggiori’, ai dottori o maestri del sedevacantismo…”, con i quali evidentemente non si intende aprire alcun dialogo o discussione: “sicuramente Dio ha più misericordia per i semplici (…) che non ne ha per i dotti” (p. 4). Si noti che questo rifiuto di dialogo contraddice quanto scrive al contrario il Dossier nella sua premessa (pp. 6-7), ma questo non ci deve stupire, visto quanto accennato a proposito del vero autore dello stesso… Se la TC non si rivolge ai Sacerdoti “sedevacantisti”, a chi si rivolge? A due categorie di persone: ai fedeli “sedevacantisti”, ed ai propri lettori. I fedeli “sedevacantisti” sono tutti raffigurati come dei “semplici, i quali per lo più fanno fiducia ai maestri (…) senza sempre avere studiato o senza capire l’argomentazione…”. Il dossier si rivolge poi ai fedeli della Fraternità: essi “possono essere turbati dalle accuse e dalle critiche fatte alla Fraternità, affinché sappiano che non siamo così sprovvisti d’intelligenza o di scienza teologica – come alcuni cercano di far credere – e nemmeno di coraggio per affrontare una situazione difficilissima” (p. 4). Il turbamento di molti fedeli della Fraternità - di cui parla l’abbé Simoulin - è quindi il motivo che lo ha spinto a uscire dal silenzio costantemente tenuto a proposito del problema e, in particolar modo, della nostra rivista; senza citare Sodalitium l’abbé Simoulin era stato costretto di già a dare qualche risposta, su Roma felix, a proposito dei Tribunali creati dalla Fraternità (Sodalitium, n. 52, novembre 2000) o a proposito dell’infallibilità del Papa nella canonizzazione dei santi (Sodalitium, n. 54, giugno 2002) soprattutto dopo l’uscita dalla Fraternità del priore di Rimini, don Ugo Carandino (Sodalitium, n. 53, dicembre 2001) divenuto in seguito membro Dell’Istituto Mater Boni Consilii. Il silenzio osservato finora, infatti, non era dovuto certo al desiderio di “non inasprire i nostri rapporti con sacerdoti che erano una volta nostri fratelli, o con fedeli che erano una volta nostri amici” (TC, p. 4), ma alla volontà di non dare alle tesi diverse da quelle della Fraternità il minimo spazio o la minima notorietà: “DobbiaMo radicalmente ignorare coloro che ci hanno lasciato, anche se ci attaccano, o anche se fanno delle cose buone – scriveva l’abbé Simoulin ai sacerdoti del Distretto italiano della Fraternità San Pio X il 26 gennaio 1998 – Ci sono certi nomi che non devono mai essere pronunciati né scritti: Sodalitium, Simple lettre, Paladino, Milani, Vinson, ecc…” (cf Opportune, importune, n. 5, Pasqua 2003, p. 1).
Il numero speciale de La Tradizione Cattolica segna pertanto un momento importante nella storia dell’opposizione cattolica al Vaticano II: il momento in cui, anche in Italia, la Fraternità ha dovuto pubblicamente ammettere che la questione della Sede Vacante non può non essere affrontata. Di questo, ce ne felicitiamo.
IL DOSSIER “IL SEDEVACANTISMO: UNA FALSA SOLUZIONE A UN VERO PROBLEMA”
Dopo aver esaminato l’editoriale dell’abbé Simoulin, passiamo senz’altro al “dossier” sul sedevacantismo.
Prima parte: CRITICHE SUL METODO
Quello che il dossier promette e non mantiene…Inizia il Dossier con una “premessa” nella quale l’Autore espone il fine ed il modo di argomentare del suo studio. Quanto al fine, l’Autore promette al lettore – per permettergli un valido giudizio – di chiarire “in cosa consista la posizione sedevacantista, come si articoli e come si giustifichi” (p. 6). Quanto al modo, egli si propone, nella sua esposizione, “di contribuire alla creazione di un clima di autentica carità” (ibidem). Il doppio intento è lodevole, ma l’Autore ha purtroppo fallito nel suo scopo. Vediamo innanzi tutto se abbia realmente cercato di chiarire in cosa consista e come si giustifichi la posizione sedevacantista… Il dossier pretende dedicare 20 pagine ad esporre il sedevacantismo. Di fatto ne dedica 2. La principale difficoltà incontrata nel rispondere al dossier sul sedevacantismo è stata quella di dare un ordine alle obiezioni e agli argomenti presentati in maniera confusa ed oscura. A questa difficoltà si aggiunge quella che deriva dal fatto che non è stato rispettato il progetto presentato nel sommario, pubblicato a p. 2.
Il numero speciale, infatti, è diviso in due parti: “Parte I: Che cos’è il sedevacantismo” (pp. 6-22); “Parte II: una falsa soluzione” (pp. 23-62). Almeno un terzo dello studio, quindi, dovrebbe essere consacrato, come promesso, all’esposizione della tesi che si vuole confutare. Le cose non stanno così. Dopo un’introduzione (pp. 6-9) il dossier avrebbe dovuto esaminare, nella prima parte, le due posizioni “sedevacantiste”: il sedevacantismo stretto e la Tesi di Cassiciacum. Alla prima posizione – il sedevacantismo stretto - è dedicata di fatto una sola pagina o poco più (pp. 9-11). Pur non abbracciando questa posizione, siamo sconcertati di fronte alla presentazione caricaturale che ne è fatta, riducendo il sedevacantismo stretto (denominato conclavismo) ad una serie di antipapi che nella storia e nell’elaborazione dottrinale (della quale non è fatta parola) del sedevacantismo non hanno svolto alcun ruolo. Più spazio è dedicato alla Tesi di Cassiciacum (in pratica tutto il dossier, e questo per motivi strettamente collegati all’autore).
Ma quanto spazio è stato utilizzato per esporre la Tesi di Padre Guérard des Lauriers? In verità, la sola p. 11. Ne risulta che la prima parte del lavoro (pp. 6-21), che avrebbe dovuto essere consacrata all’esposizione chiara ed onesta delle due posizioni da confutare, vi dedica invece al più due paginette, mentre il resto della prima parte consiste in una critica anticipata delle suddette posizioni. Papa Pio IX definì l’infallibilità pontificia durante il Concilio Vaticano I In particolare, il dossier avrebbe dovuto presentare gli argomenti addotti dai sedevacantisti.
Ma di queste prove non c’è alcuna traccia, Il che evita all’autore la fatica di confutarle. Un vecchio assioma scolastico recita:
“addurre una difficoltà non equivale a dimostrare falsa un’argomentazione”. Il dossier, come vedremo, consisterà sostanzialmente in una continua variazione su di un unico tema: contro il sedevacantismo il dossier avanza – come obiezione – la dottrina sull’indefettibilità della Chiesa. Vedremo in seguito come questa obiezione – certamente importante – non è probante. Esso dimentica però di esporre le prove che avanziamo per dimostrare che la Sede Apostolica è (formalmente) vacante: un lavoro scientificamente corretto ha il dovere di esporre queste prove per poi dimostrarle false, cosa che il dossier si guarda bene dal fare. Tutto teso a sottolineare (ed esasperare) le divergenze esistenti tra i vari sedevacantismi, l’Autore dimentica proprio quel punto capitale sul quale l’accordo è quasi unanime: Giovanni Paolo II non può essere Papa proprio in virtù del dogma dell’infallibilità del Papa e della Chiesa. Il sedevacantismo (che si pretende studiare) prende le mosse proprio dall’infallibilità del Papa e/o della Chiesa: infallibilità del magistero ordinario universale infallibilità pratica nel promulgare le leggi canoniche infallibilità pratica nel promulgare le leggi liturgiche infallibilità pratica nella canonizzazione dei santi. Ora, la Fraternità San Pio X stessa ammette – ed anzi difende a spada tratta – la tesi secondo la quale vi sono degli errori: nel Concilio Vaticano II nel nuovo codice di diritto canonico nel nuovo rito della Messa e nelle altre riforme liturgiche in alcune canonizzazioni compiute dopo il Concilio Quindi di fatto il Vaticano II e le riforme che ne sono seguite non sono garantiti dall’infallibilità quando invece avrebbero dovuto esserlo.
Non possono venire dalla Chiesa. Non possono venire dal Papa. Paolo VI e Giovanni Paolo II che hanno promulgato e confermato questi atti non possono essere l’Autorità.
Di tutto ciò il lettore de La Tradizione Cattolica – in un dossier dedicato al sedevacantismo e che pretende esporne le giustificazioni – non troverà traccia (quanto all’argomento proprio alla Tesi di Cassiciacum sull’assenza abituale e oggettiva di procurare il bene/fine della Chiesa in Paolo VI e Giovanni Paolo II, non si troverà un’esposizione e una confutazione, ma solo una allusione, a p. 11, nota 1). Questa sola lacuna sarebbe già sufficiente a screditare totalmente il dossier sul sedevacantismo della TC. Da questa lacuna discendono due conseguenze: da un lato l’Autore si sente esentato – come abbiamo detto – dal confutare gli argomenti sedevacantisti. Dall’altro, gli risulta così possibile accusare i sedevacantisti di pregiudizio e apriorismo disonesto: se non capiscono e persino deformano la teologia è perché “per essi il fatto che Paolo VI e successori non siano papi è un dato scontato e acquisito; di conseguenza, del Bellarmino o di altri autorevoli autori ci si serve non per cercare la verità in modo disinteressato, sforzandosi onestamente di capire cosa dicono, ma semplicemente per trovare argomenti a dimostrazione di una verità già scontata e acquisita in partenza (…) pure in essi [i guérardiani] si ritrova talora l’atteggiamento di chi intende far quadrare la teologia e la realtà con un giudizio già formulato a priori…” (p. 54) [si noti che il Dossier scrive il contrario a p. 7]. Evidentemente, se si sopprimono gli argomenti che hanno portato a una conclusione così grave come quella della Sede vacante, una tale conclusione non può essere che frutto di pregiudizio, apriorismo, testardaggine…
All’autore chiedo se non è invece vero il contrario: se cioè la posizione sua e dei sacerdoti della Fraternità non sia – quella sì – dettata da un giudizio aprioristico, fondato sull’autorevolezza di Mons. Lefebvre. E più concretamente chiedo: se Mons. Lefebvre avesse dichiarato categoricamente che la Sede era vacante (come fu più volte sul punto di fare) l’autore avrebbe abbandonato Mons. Lefebvre o sarebbe diventato anch’egli sedevacantista?
Il dossier esaspera – per i propri fini – le divergenze tra le posizioni sedevacantiste. Se il dossier poco spiega in cosa consista e come si giustifichi il sedevacantismo, si dilunga invece sul come esso “si articoli” (p. 6). L’autore ammette – a ragione – la confusione che da parte della Fraternità San Pio X è stata sempre fatta tra le due posizioni in cui “si articola” il sedevacantismo (sedevacantismo stretto e Tesi di Cassiciacum) (p. 13), ma poi esaspera le differenze innegabili tra le due posizioni per opporle l’una all’altra, e confutare l’una con gli argomenti dell’altra, e viceversa (cf L’inconciliabilità tra sedevacantismo stretto e Tesi di Cassiciacum, pp. 12-14). È troppo chiedere che le due posizioni siano presentate come sono, con le loro differenze e le loro concordanze?
Per la Tesi di Cassiciacum Giovanni Paolo II non è formalmente Papa; alla domanda se, sì o no, Giovanni Paolo II è Papa, la Tesi risponde “no”. Cassiciacum e sedevacantismo formalmente concordano (1).
Una “serena e spassionata riflessione”? (p. 6)
Il dossier non mantiene quindi le sue promesse: il lettore non saprà da esso in cosa consista e come si giustifichi il sedevacantismo.
Mantiene almeno la promessa riguardante quel clima di autentica carità che è presupposto per poter “tranquillamente trattare questo tema” ? Non si direbbe, leggendo che si attribuisce ai “confratelli” sedevacantisti “livore e veleno” (p. 48), ragionamenti da rabbini (p. 15) o da farisei (pp. 42-43), mettendo più che in dubbio la loro buona fede ed onestà intellettuale (in questo caso la mia: p. 56). Anche le liste dei pittoreschi antipapi sedevacantisti (p. 9) e dei vescovi consacrati da Mons. Thuc (pp. 44-45) non è “innocente”. Per carità, non c’è alcuna intenzione di “ridicolizzare” l’avversario (p. 10), anche se questo sarà, concretamente, l’effetto che la pubblicazione di queste liste avrà sul lettore della “Tradizione Cattolica”… L’intenzione dell’Autore, quindi, era buona e, ne sono convinto, anche sincera; non si è purtroppo realizzata, perché troppe sono ancora le animosità che rendono difficile un dibattito veramente obbiettivo.
Seconda parte: IL “VERO PROBLEMA” E LA SOLUZIONE PROPOSTA DALLA “TRADIZIONE CATTOLICA”
Prima di esporre le obiezioni che la TC muove alla nostra posizione, e le nostre risposte, mi sembra opportuno esaminare la soluzione al problema dell’Autorità che il dossier propone ai lettori. Inizierò col ricordare quale sia la materia del contendere (e la sua importanza), per poi analizzare la soluzione proposta.
Il “vero problema”: il Papa. Importanza del Papa nella fede cattolica e per la salvezza Parlare di “sedevacantismo” vuol dire parlare del Papa (e scrivo Papa con la maiuscola, com’è giusto, e com’è corrente fare in italiano, e non con la minuscola, com’è abitudine in Francia e come scrive il “dossier” – il cui autore non è tuttavia francese). Ho scritto che il grande assente del “dossier” sul sedevacantismo è proprio il sedevacantismo, ovvero in cosa consista e come si giustifichi questa posizione. Allo stesso modo, e a maggior ragione, potrei dire che il grande assente del “dossier” è il Papa. Eppure, in teoria, rifiutare la posizione sedevacantista vorrebbe dire dimostrare che Giovanni Paolo II è il legittimo pontefice della Chiesa Cattolica, ovvero il Successore di Pietro, il Vicario di Cristo (“dolce Cristo in terra”, secondo l’espressione di Santa Caterina), al quale si deve non solo subordinazione gerarchica, ma “vera ubbidienza, non solo nelle questioni che riguardano la fede e i costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina e al governo della Chiesa” (Vaticano I, Pastor æternus, DS 3060 e 3064). Dimostrare falsa la posizione sedevacantista significa applicare a Giovanni Paolo II quanto scrive il Concilio Vaticano I a proposito del Romano Pontefice: “il primato apostolico, che il Romano Pontefice [per la TC, Giovanni Paolo II] possiede sulla Chiesa universale come successore di Pietro, Principe degli Apostoli, comprende anche il supremo potere del magistero (…). Infatti i Padri del Concilio Costantinopolitano IV, seguendo le orme dei loro predecessori, formularono questa solenne professione di fede: ‘Prima condizione per la salvezza è quella di custodire la regola della retta fede. E poiché non può diventare lettera morta l’espressione del Signore Nostro Gesù Cristo che dice – Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 16,18) – questa affermazione si verifica nei fatti, perché nella Sede Apostolica la religione cattolica è sempre stata conservata senza macchia e la dottrina cattolica sempre professata nella sua santità. (…) [Il Papa, per il II Concilio di Lione] “come ha il dovere di difendere soprattutto la verità della fede, così le dispute che sorgessero a proposito della fede devono essere risolte dal suo giudizio. (…) [I Vescovi] “hanno riferito a questa Sede Apostolica specialmente i pericoli emergenti in materia di fede, perché i danni causati alla fede venissero riparati soprattutto dove la fede non può avvertire deficienze. (…) Perciò questo carisma di verità e di fede, giammai defettibile, è stato accordato da Dio a Pietro e ai suoi successori su questa cattedra, perché esercitassero questo altissimo ufficio per la salvezza di tutti, perché l’universale gregge di Cristo, allontanato per opera loro dall’esca avvelenata dell’errore, fosse nutrito col cibo della dottrina celeste, e, eliminata ogni occasione di scisma, tutta la Chiesa fosse conservata nell’unità e, stabilita sul suo fondamento, si ergesse incrollabile contro le porte dell’inferno” (Concilio Vaticano I, Pastor æternus, DS 3071-3075). Dimostrare falso il sedevacantismo significa anche applicare a Giovanni Paolo II quanto è stato definito relativamente all’obbligo dell’obbedienza al Papa per salvarsi: “dichiariamo, affermiamo, definiamo che l’essere sottomessi al Romano Pontefice [per la TC, Giovanni Paolo II] è, per ogni creatura umana, necessario per la salvezza” (Bonifacio VIII, Unam sanctam, DS 875); “nessun uomo (…) potrà alla fine essere salvato, al di fuori della fede della Chiesa stessa e della obbedienza ai Pontefici Romani [per la TC, Paolo VI e Giovanni Paolo II]” (Clemente VI, DS 1051); “Fra i comandamenti di Cristo poi, non occupa un posto minore quello che ci comanda di essere incorporati con il battesimo nel Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, e di aderire a Cristo e al suo Vicario [nel caso, Giovanni Paolo II] mediante il quale [Giovanni Paolo II] Lui stesso [Cristo] governa in terra in modo visibile la Chiesa. Per questo non si salva colui che, sapendo che la Chiesa è stata divinamente istituita da Cristo, rifiuta tuttavia di sottomettersi alla Chiesa o rifiuta l’obbedienza al Pontefice Romano [nel caso, Giovanni Paolo II], vicario di Cristo in terra” (Pio XII, lettera del S Uffizio al escovo di Boston, DS 3867). Riconoscere Giovanni Paolo II senza obbedirgli equivale a dichiararsi scismatici: “A che cosa serve infatti proclamare il dogma cattolico del primato del Beato Pietro e dei suoi successori, ed aver diffuso tante dichiarazioni di fede cattolica e di obbedienza verso la Sede Apostolica, quando le azioni in sé smentiscono apertamente le parole? Forse che non diventa persino meno scusabile la caparbietà, quanto più si riconosce il doveroso impegno dell’obbedienza? Forse che l’autorità della Sede Apostolica non si estende oltre ciò che è stato da Noi disposto, o basta avere comunione di fede con essa, senza obbligo d’obbedienza, perché si possa considerare salva la fede cattolica? (…) Si tratta infatti, Venerabili Fratelli e diletti Figli, dell’obbedienza che si deve prestare o negare alla Sede Apostolica; si tratta di riconoscerne la suprema potestà, anche nelle vostre Chiese, quanto meno per ciò che riguarda la fede, la verità e la disciplina; chi l’avrà negata è un eretico. Chi invece l’avrà riconosciuta, ma orgogliosamente rifiuti di obbedirle, è degno dell’anatema” (Pio IX, Enc. Quae in patriarchatu, n. 23 e 24, del 1 settembre 1876) (2). Obbedienza che si estende anche alle censure canoniche inflitte dall’autorità: “la frode più usata per ottenere il nuovo scisma è il nome di cattolico, che gli autori e i loro seguaci assumono ed usurpano malgrado siano stati ripresi dalla Nostra autorità e condannati con Nostra sentenza. Fu sempre cosa importante per eretici e scismatici dichiararsi cattolici e dirlo pubblicamente, gloriandosene, per indurre in errore popoli e Principi. (…)”; invece il Papa insegna che “chiunque sia stato indicato come scismatico dal Pontefice Romano, finché non ammetta espressamente e rispetti la sua autorità, debba cessare di usurpare in qualsiasi modo il nome di cattolico. Tutto questo non può minimamente giovare ai Neoscismatici che, seguendo Mons Lefebvre e Mons de Castro Mayer nel 1983 quando firmarono la lettera aperta a Giovanni Paolo II le vestigia degli eretici più recenti, giunsero al punto di protestare che era ingiusta e quindi di nessun conto e valore quella sentenza di scisma e di scomunica comminata contro di essi in Nostro nome (…). Queste ragioni sono del tutto nuove e sconosciute agli antichi Padri della Chiesa e inaudite. (…) Per questo avendo gli eretici giansenisti osato insegnare simili affermazioni, cioè che non si deve tener conto di una scomunica inflitta da un legittimo Prelato con il pretesto che è ingiusta, certi di adempiere, nonostante quella, il proprio dovere – come dicevano – il Nostro Predecessore Clemente XI di felice memoria, nella Costituzione ‘Unigenitus’ pubblicata contro gli errori di Quesnel, proscrisse e condannò tali proposizioni, per niente diverse da alcuni articoli di Giovanni Wicleff, già condannati in precedenza dal Concilio di Costanza e da Martino V. Infatti, sebbene possa avvenire che per l’umana incapacità qualcuno possa essere colpito ingiustamente di censure dal proprio Prelato, è tuttavia necessario – come ha ammonito il Nostro predecessore San Gregorio Magno – ‘che colui che è sotto la guida del proprio Pastore abbia il salutare timore di essere sempre vincolato, anche se ingiustamente colpito, e non riprenda temerariamente il giudizio del proprio Superiore, affinché la colpa che non esisteva non diventi arroganza a causa dello scottante richiamo’. Se poi ci si deve preoccupare di uno condannato ingiustamente dal suo Pastore, che cosa non dovremmo dire, però, di coloro che, ribelli al loro Pastore e a questa Sede Apostolica, lacerano e fanno a pezzi l’inconsutile veste di Cristo, cioè la Chiesa? (…) Ma, affermano i Neoscismatici, non si è trattato di dogmi ma di disciplina (…); e quindi a coloro che la contestano non possono non essere negati il nome e la prerogativa di cattolici: e Noi non dubitiamo che a voi non sfuggirà quanto sia futile e vano questo sotterfugio. Infatti, tutti coloro che ostinatamente resistono ai legittimi Prelati della Chiesa, specialmente al Sommo Pontefice di tutti, e si rifiutano di eseguire i loro ordini, non riconoscendo la loro dignità, dalla Chiesa cattolica sono sempre stati riconosciuti scismatici” (Pio IX, Enciclica Quartus supra, del 6 gennaio 1873, nn. 6-12) (3).
Questa è la dottrina cattolica, della vera Tradizione cattolica, ma non dell’omonima rivista, che a questa dottrina non fa il minimo accenno. E questo per evidenti motivi. Infatti, la posizione della Fraternità San Pio X è del tutto opposta a quella or ora ricordata.
Si sostiene che Giovanni Paolo II è Papa, ma la sua autorità è ridotta ad una vana parola: al suo magistero (potestas docendi) è negata non solo l’infallibilità, ma persino l’esistenza (Giovanni Paolo II non insegnerebbe mai: “è chiaro che in questa prospettiva qualunque tipo di insegnamento – in senso stretto e autentico – da parte di Giovanni Paolo II diviene tecnicamente impossibile,
perde la propria ragion d’essere e quindi la possibilità di esistere” TC, p. 25), al suo governo (potestas regendi) è rifiutata qualsiasi obbedienza. E non vi è traccia, in tutto il dossier, di quell’amore per il Papa che contraddistingue il vero cattolico.
La “posizione prudenziale”, soluzione della Fraternità San Pio X al problema dell’autorità del Papa
Alla posizione sedevacantista, definita “una falsa soluzione”, il Dossier contrappone la “posizione prudenziale” della Fraternità San Pio X. In cosa consiste questa posizione? Di fronte al quesito che si pone alla coscienza di ogni cattolico: Giovanni Paolo II è – sì o no – il Vicario di Cristo, al quale si deve aderire (nell’insegnamento, nella disciplina, nella comunione ecclesiastica) per essere salvi, la soluzione prudenziale consiste nel rispondere: “non si sa”. Il che equivale a dire che questa domanda è di nessuna reale importanza per un cattolico.
Se qualcuno pensa che il dossier sul sedevacantismo abbia dimostrato che Giovanni Paolo II è Papa, deve ricredersi proprio in base a quanto scrive il dossier: la “soluzione a carattere prudenziale” proposta, intende “poter agire in base ad un sufficiente numero di elementi che però non contemplano la soluzione definitiva del problema dell’autorità nella Chiesa” (p. 20). Anzi, la posizione della Fraternità si discosterebbe da quella sedevacantista proprio per il fatto che “prima ancora di differire nei contenuti, la posizione della Fraternità e quelle di stampo sedevacantista differiscono radicalmente quanto al livello su cui si collocano; di conseguenza qualunque spiegazione che la Fraternità possa avanzare circa la situazione dell’autorità di Giovanni Paolo II è realmente e qualitativamente un elemento sul quale essa ammette la possibilità di discussione, nel caso del sedevacantismo, invece, le posizioni di fondo sull’autorità di Giovanni Paolo II sono istanze assolute, certe e indiscutibili” (p. 20). Per cui – coerentemente – l’intento del dossier non è “quello di dimostrare che Giovanni Paolo II sia papa” (sempre p. 20). Questa posizione è – naturalmente –quella di Mons. Lefebvre, citato dal suo anonimo ma non ignoto discepolo: “forse un giorno, fra trenta o quarant’anni, una sessione di cardinali riunita da un futuro papa studierà e giudicherà il pontificato di Paolo VI; forse dirà che vi sono elementi che avrebbero dovuto saltare agli occhi dei contemporanei, delle affermazioni di questo papa assolutamente contrarie alla Tradizione [Mons. Lefebvre non ha atteso molto tempo per sostenere lui stesso questa posizione, e nella Pasqua del 1986 attribuì a se stesso la possibilità di essere “nell’obbligo di credere che questo papa non è papa” n.d.a.]. Preferisco fino ad ora considerare come papa colui che, per lo meno, è sul soglio di Pietro; e se un giorno si scoprisse in modo certo che questo papa non era papa, avrò tuttavia fatto il mio dovere” (p. 62). Quindi, la posizione “della carità e della prudenza”, che di fatto però esclude ogni sedevacantista – tacciato di spirito scismatico – dalla Fraternità San Pio X (4), ammette in teoria la possibilità che la Sede Apostolica sia vacante – e possa essere in un futuro dichiarata tale (5).
Vediamo di tirare da questa posizione definita “necessaria” (cf p. 20), alcune conseguenze. PRIMA CONSEGUENZA: la posizione secondo la quale Giovanni Paolo II sarebbe Papa è, secondo i suoi stessi sostenitori – non definitiva, relativa, incerta, discutibile, non dimostrata. SECONDA CONSEGUENZA: tutti gli argomenti che il Dossier della TC presenta (e che esamineremo in seguito) sono anch’essi argomenti non definitivi, relativi, incerti, discutibili, non dimostrati. Altrimenti, la prima conseguenza non sarebbe vera.
TERZA CONSEGUENZA: in particolare, un Papa futuro potrà e dovrà dirci se Paolo VI e Giovanni Paolo II erano, sì o no, legittimi.
“Potrà”: pertanto l’argomento del Dossier di cui ci occuperemo in seguito (Paolo VI e Giovanni Paolo II sono Papi perché sono stati riconosciuti dalla Chiesa universale; affermare il contrario vuol dire che la Chiesa ha cessato di esistere per un lungo periodo) non ha alcun valore. “Dovrà”: pertanto Giovanni Paolo II non è quel Papa che può garantire della sua legittimità.
Perché attendere un Papa futuro quando si presuppone che ci sia un Papa attualmente (Giovanni Paolo II stesso)? “Se Giovanni Paolo II è papa – osserva don Carandino su Opportune, importune – non c’è bisogno di attendere il pronunciamento della Chiesa di domani. La ‘Chiesa’ di oggi si è già pronunciata sul Concilio, sulla nuova messa e anche sullo stesso Mons. Lefebvre, che considera scismatico e scomunicato” (n. 5, p. 2). QUARTA CONSEGUENZA: la posizione prudenziale considera secondaria la questione di sapere se c’è e chi è attualmente il Papa, ovverosia la regola prossima della Fede. Questo equivale, come abbiamo detto, ad escludere di fatto tutto l’insegnamento della Chiesa sul Papa, sulla sua autorità, sulla necessaria sottomissione al Papa per salvarsi, dal deposito della Rivelazione e dalla Tradizione che si pretende difendere. Il Papa diventerà – per chi adotta questa soluzione prudenziale – un elemento del tutto marginale nella pratica della propria fede cattolica. QUINTA CONSEGUENZA: chi adotta la soluzione prudenziale – che non si pronuncia definitivamente sulla legittimità di Giovanni Paolo II - si espone ad un certo naufragio, qualunque posizione decida di praticare: si tratta quindi di una posizione altamente imprudente! Se infatti Giovanni Paolo II è Papa, ci si espone allo scisma resistendogli abitualmente e venendo scomunicati da lui e separati dalla sua comunione. Se invece Giovanni Paolo II non fosse Papa, ci si espone al pericolo di seguire un falso papa, citandolo nel Canone della Messa e prospettando la possibilità di ricevere un riconoscimento canonico da parte sua: anche solo il prospettare un accordo, nel dubbio che egli possa non essere il legittimo Pontefice, è moralmente inaccettabile e pericoloso. SESTA CONSEGUENZA: la soluzione prudenziale rischia fortemente di essere una soluzione che verrà dimostrata falsa, come è già accaduto nella storia della Fraternità a proposito del quesito sulla liceità morale di partecipare alla nuova messa. Il biografo di Mons. Lefebvre, Mons. Bernard Tissier de Mallerais (6), espone molto bene questo caso nel capitoletto intitolato, appunto, “Un problema, l’assistenza alla nuova messa”, e nei capitoli successivi. Bisogna sapere che fin dal 1971 i Padri Guérard des Lauriers, Barbara e Vinson (tutti “sedevacantisti”)
presero pubblicamente posizione contro l’assistenza alla nuova messa (cf. Sodalitium, n. 50, p. 74). Da Mons. Tissier apprendiamo che persino Mons. De Castro Mayer, in una lettera a Mons. Lefebvre del 29 gennaio 1969, comunicava al suo confratello nell’episcopato la sua convinzione al proposito: “non si può partecipare alla nuova messa e per esservi presenti vi deve essere una ragione grave. Non si può collaborare alla diffusione di un rito che, benché non eretico, conduce all’eresia. È la regola che do ai miei amici” (p. 441). Mons. Tissier approva invece la “prudenza” di Mons. Lefebvre (che consistette nel cambiare spesso posizione). Nel 1969-1970, il fondatore della Fraternità sostiene – prudenzialmente! - che non solo si può ma si deve assistere alla nuova messa, e che è persino lecito celebrarla (cf. pp. 441- 442); i seminaristi di Mons. Lefebvre danno l’esempio, poiché, in sua assenza, “andranno ad assistere insieme alla messa presso i bernardini di Maigrauge, ove un anziano religioso celebra la nuova messa in latino” (p. 441). Mons. Tissier definisce questa posizione una “attitudine di prudente aspettativa” (p. 442; d’altra parte solo nel 1971 Mons. Lefebvre decide definitivamente di rifiutare la nuova messa: p. 487). Nel dicembre 1972, nelle sue
conferenze ai seminaristi, ripropone la necessità di assistere eventualmente alla nuova messa per soddisfare al precetto domenicale; Mons. Tissier commenta: “così, l’arcivescovo si distacca dai sacerdoti Coache e Barbara che, in occasione delle ‘marce su Roma’ che hanno organizzato nella Pentecoste degli anni 1971 e 1973 hanno fatto fare ai pellegrini e ai bambini un ‘giuramento di fedeltà alla messa di San Pio V’” (p. 490). Ancora nel 1973 predica: “cercate la messa tridentina, o almeno la consacrazione detta in latino” (p. 478). Ma ecco che in una lettera privata del 23 novembre 1975 (dopo, quindi, la soppressione del seminario e della Fraternità decretata da Paolo VI), Mons. Lefebvre scrive che la nuova messa “non obbliga per compiere il precetto domenicale” (p. 490). “Nel 1975, ammetterà ancora una ‘assistenza occasionale’ alla nuova messa, quando si teme di restare a lungo senza comunione. Ma nel 1977 è quasi assoluto: ‘conformandoci all’evoluzione che si produce poco a poco negli spiriti dei sacerdoti (…) dobbiamo evitare, direi quasi in maniera radicale, ogni assistenza alla nuova messa” (p. 491). “Ben presto – scrive ancora Mons. Tissier – Mons. Lefebvre non tollera più che si partecipi alla messa celebrata secondo il nuovo rito…” (p. 491). Non dice, il biografo, che questo “ben presto” data solo del giugno 1981, in occasione della divisione prodottasi a Ecône sulle tesi di don Cantoni, allora professore in seminario (favorevole all’assistenza alla nuova messa, spalleggiato in ciò dallo stesso direttore, l’abbé Tissier) (7). Nel 1982, ogni candidato al sacerdozio della Fraternità dovrà giurare di non consigliare a nessuno l’assistenza alla nuova messa e nel 1983 il distretto italiano esporrà – come posizione di Mons. Lefebvre – la dottrina secondo la quale si commette oggettivamente peccato assistendo alla nuova messa (8). Riassumendo: per la Fraternità San Pio X: dal 1969 al 1975 era obbligatorio assistere, in certi casi, alla nuova messa, sotto pena di peccato. Dal 1975 al 1981 era lecito non assistere alla nuova messa, come assistervi. Dal 1981 in poi, è illecito assistervi, sotto pena di peccato. Vediamo quindi come la “posizione prudenziale” di Mons. Lefebvre e della Fraternità San Pio X su di un’importante questione morale (la non assistenza alla messa è materia di grave peccato) e dottrinale (l’assistenza al nuovo messale dipende dal giudizio dottrinale che si porta sulla riforma liturgica) è consistita in una continua evoluzione ove il punto d’arrivo (per ora) (9) è diametralmente contrario al punto di partenza, e sposa la posizione di coloro che venivano inizialmente condannati come “imprudenti” da Mons. Lefebvre (Coache, Barbara, Vinson, Guérard des Lauriers, lo stesso Mons. de Castro Mayer). Dietro a questi continui cambiamenti di posizione, nessuna motivazione di principio, ma solo il tener conto “dell’evoluzione che si produce poco a poco nello spirito dei sacerdoti”: la fede e la morale al seguito, quindi, dell’opinione… Non viene in mente all’autore del dossier che il caso della “posizione prudenziale” sull’assistenza alla nuova messa è assolutamente analogo a quello sulla legittimità di Giovanni Paolo II? Per concludere: la “soluzione prudenziale” proposta dalla TC è dottrinalmente infondata, intimamente contraddittoria e altamente imprudente. L’unico punto condivisibile è quello secondo il quale la Chiesa gerarchica (cardinali, vescovi residenziali, un futuro Concilio o un futuro Papa) dovrà pronunciarsi con autorità sulla questione della legittimità di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Nel frattempo però il problema non può essere lasciato insoluto, perché fin da adesso i fedeli devono sapere se l’attuale
occupante della Sede Apostolica è – sì o no– il Vicario di Cristo al quale è doveroso essere sottomessi (non solo a parole) per poter conseguire l’eterna salvezza.
Terza parte: LA “PRESENTAZIONE DEL TEMA A CARATTERE STORICO” DA PARTE DELLA TC. LACUNE ED ERRORI STORICI CHE RENDONO CADUCHE TUTTE LE DEDUZIONI CHE IL DOSSIER PRETENDE FARE DA UN PUNTO DI VISTA STORICO
“Intendiamo intraprendere la nostra analisi sul sedevacantismo – scrive la TC – con una presentazione del tema a carattere storico, il più possibile semplice, per permettere al lettore di cogliere il problema di fondo nella sua concretezza e nella sua immediatezza…” (p. 7) (10). Seguirò l’Autore nel suo intento. La breve storia del “sedevacantismo” (pp. 7-8) ha uno scopo ben preciso: dimostrare che la tesi “sedevacantista” sarebbe tardiva (una “prima e lacunosa presa di posizione” in Messico nel 1973, seguita in Francia da una più chiara e strutturata nel 1976) (cf p. 8). Da questo dato storico, l’Autore intende dedurre due conclusioni. La prima è che dottrinalmente il sedevacantismo è falso, poiché sarebbe impossibile - per l’indefettibilità della Chiesa - che dal 1965 al 1973-76 nessuno si sia accorto che la Sede era vacante (cf pp. 28-34, 40-41, 50-60). La seconda, di ordine pratico, è che il sedevacantismo avrebbe rotto la precedente unità dei tradizionalisti attorno a Mons. Lefebvre: “sarebbe auspicabile – conclude l’Autore – che il sedevacantismo avesse l’umiltà e il coraggio di trarre le ultime conseguenze dalla constatazione di questa necessità (11) affinché il mondo tradizionalista possa ritrovare quella unità iniziale lacerata il giorno della proclamazione della vacanza della Sede Apostolica” (p. 60). Dimostrerò che – anche solo da un punto di vista storico – queste conclusioni sono, per riprendere un’espressione usata contro di me, “semplicemente false” (cf p. 29).
Il sedevacantismo non fu tardivo. Esso fu persino “preventivo”! Le prese di posizione sedevacantiste sulla questione del Papa dal 1962 in poi. L’Autore del numero speciale della TC è giovane e non ha conosciuto altro che la Fraternità; si spiega forse così la sua ignoranza della storia del “tradizionalismo” malgrado le “diligenti ricerche” (cf p. 29, nota 7) fatte. Come egli stesso ci chiede (ibidem), gli diamo qualche informazione al proposito. Dimostreremo che il sedevacantismo è esistito in un certo senso prima ancora del 1965, e che la questione del Papa è stata al centro delle discussioni dei “tradizionalisti” (sedevacantisti o no) fin dal principio, mentre la “soluzione prudenziale” (consistente nel disinteresse per questa questione, considerata secondaria se non oziosa e nociva) sia stata propria alla sola Fraternità san Pio X.
I cattolici messicani. Padre Saenz y Arriaga (12) (1962/65)
Nel titoletto ho spiegato che il “sedevacantismo” non solo non fu tardivo, ma fu addirittura “preventivo”. Faccio allusione al libro Complotto contro la Chiesa, pubblicato sotto lo pseudonimo di Maurice Pinay; la sua prima edizione – quella italiana - data del Copertina del libro “Complotto contro la Chiesa” pubblicato nel 1962 1962 e fu distribuita a tutti i Padri Conciliari nell’ottobre dello stesso anno, dopo 14 mesi di lavoro da parte degli autori (13). Non si può richiedere – direi – una data di nascita più antica e più pubblica (a Roma, nell’aula stessa di san Pietro) del sedevacantismo. Il libro in questione denuncia le trattative in corso tra il Card. Bea (incaricato da Giovanni XXIII) e le autorità giudaiche (particolarmente il B’naï B’rith) per ottenere dal Concilio appena convocato una dichiarazione in favore del giudaismo. Questa dichiarazione avrebbe ottenuto lo scopo di mettere il Vaticano II in contraddizione con il Vangelo, il consenso unanime dei Padri e diciannove secoli di magistero infallibile della Chiesa. I giudei vogliono che in tal modo la “santa Chiesa contraddica se stessa, perdendo autorità sui fedeli, perché evidentemente proclameranno che un’istituzione che si contraddice non può essere divina” (p. XIX). Nell’introduzione all’edizione austriaca (gennaio 1963) si legge: “l’audacia del comunismo, della massoneria e dei giudei giunge a tal punto che già si parla di controllare l’elezione del prossimo Papa, pretendendo collocare sul trono di San Pietro uno dei loro complici nel rispettabile corpo cardinalizio” (p. 3). Secondo gli autori, tale piano non è nuovo: “come lo dimostreremo in questa opera, con documenti di indiscutibile autenticità, i poteri del Dragone infernale giunsero a collocare nel Pontificato un cardinale manovrato dalle forze di Satana, dando la momentanea senzazione di essere i padroni della Santa Chiesa. Nostro Signore Gesù Cristo, che non l’ha mai abbandonata, ispirò l’azione ed armò il braccio di uomini pii e combattivi come San Bernardo, San Norberto, il cardinal Aimerico (…) che non riconobbero la qualifica di Papa al cardinal Pierleoni, questo lupo con pelle di agnello che cercò per molti anni di usurpare il trono di San Pietro, scomunicandolo e relegandolo alla qualifica di Antipapa che si meritava” (p.4). Ed in effetti, l’intero capitolo XXV (Un cardinale cripto-giudeo usurpa il papato) è consacrato al caso dell’antipapa Anacleto II Pierleoni. Come si vede, per gli autori del libro Complotto contro la Chiesa (laici ed ecclesiastici legati all’Università di Guadalajara e all’Unione cattolica Trento), solo un antipapa come il Pierleoni avrebbe potuto promulgare il documento Nostra Aetate che il cardinal Bea preparava in Concilio; costui fu Paolo VI, eletto nel giugno del 1963. Dopo "complotto contro la Chiesa" non mancarono altri interventi su questo tema durante il Concilio (14). Nonostante ciò, e nonostante l’opposizione della minoranza concilare guidata da Mons. Carli, Vescovo di Segni (e coadiuvata dai Vescovi arabi), e nonostante numerosi incidenti di percorso che fecero pensare a un accantonamento dello schema, si giunse alla vigilia del voto definitivo della dichiarazione conciliare Nostra aetate. I cattolici che si opponevano al Concilio e a Nostra aetate fecero un ultimo tentativo per cercare di sbarrare la strada alla Dichiarazione.
Henri Fesquet, inviato del giornale Le Monde, scrive in un suo articolo del 16 ottobre 1965: “Bisogna soprattutto menzionare il libello di quattro pagine che hanno ricevuto i vescovi. È preceduto da questo titolo lungo quanto curioso: ‘Nessun concilio né alcun papa possono condannare Gesù, la Chiesa cattolica, apostolica e romana, i suoi Pontefici e i Concili più illustri. Ora, la dichiarazione sugli ebrei comporta implicitamente una tale condanna, e per questa ragione deve essere rigettata’. Nel testo, si leggono queste affermazioni impressionanti: ‘I giudei desiderano adesso spingere la Chiesa a condannarsi tacitamente e a screditarsi davanti al mondo intero. È evidente che solo un antipapa e un conciliabolo Potrebbero approvare una dichiarazione di questo genere. Ed è ciò che pensano con noi un numero sempre più grande di cattolici sparso nel mondo, i quali sono decisi a operare nel modo adesso necessario per salvare la Chiesa da una tale ignominia’ (…)” (15). Gli storici della Tradizione Cattolica dovranno pertanto ammettere che il “sedevacantismo” non ha visto la nascita nel 1973/76, ma prese pubblica posizione, rivolgendosi a tutti i Padri Conciliari, dal 1962 al 1965, cioè dall’inizio alla fine del Vaticano II. Dovranno anche ammettere che questi cattolici condannarono la dichiarazione Nostra aetate, mentre Mons. Lefebvre (che pure ne aveva chiesto il rifiuto assieme a Mons. Carli e Mons. Proença Sigaud con una lettera ai Padri Conciliari distribuita in aula l’11 ottobre) (16) non fece parte – secondo le sue stesse dichiarazioni (17) – degli 88 Padri che non votarono il documento conciliare il 28 ottobre 1965 (18). Questi soli fatti storici rovinano totalmente tutte le tesi della Tradizione Cattolica fondate sul carattere tardivo del sedevacantismo. Per completezza, aggiungerò altre testimonianze sull’esistenza del “sedevacantismo” prima del 1973/76, data di nascita di questa posizione secondo gli storici diligenti de La Tradizione Cattolica. “Intendiamo intraprendere la nostra analisi sul sedevacantismo – scrive la TC – con una presentazione del tema a carattere storico, il più possibile semplice, per permettere al lettore di cogliere il problema di fondo nella sua concretezza e nella sua immediatezza…” (p. 7) (10). Seguirò l’Autore nel suo intento. La breve storia del “sedevacantismo” (pp. 7-8) ha uno scopo ben preciso: dimostrare che la tesi “sedevacantista” sarebbe tardiva (una “prima e lacunosa presa di posizione” in Messico nel 1973, seguita in Francia da una più chiara e strutturata nel 1976) (cf p. 8). Da questo dato storico, l’Autore intende dedurre due conclusioni. La prima è che dottrinalmente il sedevacantismo è falso, poiché sarebbe impossibile - per l’indefettibilità della Chiesa - che dal 1965 al 1973-76 nessuno si sia accorto che la Sede era vacante (cf pp. 28-34, 40-41, 50-60). La seconda, di ordine pratico, è che il sedevacantismo avrebbe rotto la precedente unità dei tradizionalisti attorno a Mons. Lefebvre: “sarebbe auspicabile – conclude l’Autore – che il sedevacantismo avesse l’umiltà e il coraggio di trarre le ultime conseguenze dalla constatazione di questa necessità (11) affinché il mondo tradizionalista possa ritrovare quella unità iniziale lacerata il giorno della proclamazione della vacanza della Sede Apostolica” (p. 60). Dimostrerò che – anche solo da un punto di vista storico – queste conclusioni sono, per riprendere un’espressione usata contro di me, “semplicemente false” (cf p. 29).
Il sedevacantismo non fu tardivo. Esso fu persino “preventivo”! Le prese di posizione sedevacantiste sulla questione del Papa dal 1962 in poi. L’Autore del numero speciale della TC è giovane e non ha conosciuto altro che la Fraternità; si spiega forse così la sua ignoranza della storia del “tradizionalismo” malgrado le “diligenti ricerche” (cf p. 29, nota 7) fatte. Come egli stesso ci chiede (ibidem), gli diamo qualche informazione al proposito. Dimostreremo che il sedevacantismo è esistito in un certo senso prima ancora del 1965, e che la questione del Papa è stata al centro delle discussioni dei “tradizionalisti” (sedevacantisti o no) fin dal principio, mentre la “soluzione prudenziale” (consistente nel disinteresse per questa questione, considerata secondaria se non oziosa e nociva) sia stata propria alla sola Fraternità san Pio X.
I cattolici messicani. Padre Saenz y Arriaga (12) (1962/65)
Nel titoletto ho spiegato che il “sedevacantismo” non solo non fu tardivo, ma fu addirittura “preventivo”. Faccio allusione al libro Complotto contro la Chiesa, pubblicato sotto lo pseudonimo di Maurice Pinay; la sua prima edizione – quella italiana - data del Copertina del libro “Complotto contro la Chiesa” pubblicato nel 1962 1962 e fu distribuita a tutti i Padri Conciliari nell’ottobre dello stesso anno, dopo 14 mesi di lavoro da parte degli autori (13). Non si può richiedere – direi – una data di nascita più antica e più pubblica (a Roma, nell’aula stessa di san Pietro) del sedevacantismo. Il libro in questione denuncia le trattative in corso tra il Card. Bea (incaricato da Giovanni XXIII) e le autorità giudaiche (particolarmente il B’naï B’rith) per ottenere dal Concilio appena convocato una dichiarazione in favore del giudaismo. Questa dichiarazione avrebbe ottenuto lo scopo di mettere il Vaticano II in contraddizione con il Vangelo, il consenso unanime dei Padri e diciannove secoli di magistero infallibile della Chiesa. I giudei vogliono che in tal modo la “santa Chiesa contraddica se stessa, perdendo autorità sui fedeli, perché evidentemente proclameranno che un’istituzione che si contraddice non può essere divina” (p. XIX). Nell’introduzione all’edizione austriaca (gennaio 1963) si legge: “l’audacia del comunismo, della massoneria e dei giudei giunge a tal punto che già si parla di controllare l’elezione del prossimo Papa, pretendendo collocare sul trono di San Pietro uno dei loro complici nel rispettabile corpo cardinalizio” (p. 3). Secondo gli autori, tale piano non è nuovo: “come lo dimostreremo in questa opera, con documenti di indiscutibile autenticità, i poteri del Dragone infernale giunsero a collocare nel Pontificato un cardinale manovrato dalle forze di Satana, dando la momentanea senzazione di essere i padroni della Santa Chiesa. Nostro Signore Gesù Cristo, che non l’ha mai abbandonata, ispirò l’azione ed armò il braccio di uomini pii e combattivi come San Bernardo, San Norberto, il cardinal Aimerico (…) che non riconobbero la qualifica di Papa al cardinal Pierleoni, questo lupo con pelle di agnello che cercò per molti anni di usurpare il trono di San Pietro, scomunicandolo e relegandolo alla qualifica di Antipapa che si meritava” (p.4). Ed in effetti, l’intero capitolo XXV (Un cardinale cripto-giudeo usurpa il papato) è consacrato al caso dell’antipapa Anacleto II Pierleoni. Come si vede, per gli autori del libro Complotto contro la Chiesa (laici ed ecclesiastici legati all’Università di Guadalajara e all’Unione cattolica Trento), solo un antipapa come il Pierleoni avrebbe potuto promulgare il documento Nostra Aetate che il cardinal Bea preparava in Concilio; costui fu Paolo VI, eletto nel giugno del 1963. Dopo "complotto contro la Chiesa" non mancarono altri interventi su questo tema durante il Concilio (14). Nonostante ciò, e nonostante l’opposizione della minoranza concilare guidata da Mons. Carli, Vescovo di Segni (e coadiuvata dai Vescovi arabi), e nonostante numerosi incidenti di percorso che fecero pensare a un accantonamento dello schema, si giunse alla vigilia del voto definitivo della dichiarazione conciliare Nostra aetate. I cattolici che si opponevano al Concilio e a Nostra aetate fecero un ultimo tentativo per cercare di sbarrare la strada alla Dichiarazione.
Padre Guérard des Lauriers, l’abbé Coache (1969)
é noto che il “tradizionalismo” esce allo scoperto soprattutto con la promulgazione del nuovo messale, nel 1969. Possiamo dimostrare che a quella data, i principali difensori della Messa cattolica in Francia erano “sedevacantisti”. L’abbé de Nantes narra infatti (a modo suo) della riunione tenutasi presso di lui alla Maison Saint-Joseph a Saint-Parres-les-Vaudes il 21 luglio 1969 (prima della promulgazione del nuovo messale, avvenuta nel novembre dello stesso anno). Si recarono dall’abbé de Nantes l’abbé Philippe Rousseau, i padri messicani Saenz y Arringa (19) e Charles Marquette, l’abbé Coache e Padre M.L. Guérard des Lauriers, più un laico di Versailles (Alain Tilloy); Padre Barbara era già ospite dell’abbé de Nantes, indipendentemente dal gruppo che gli rese visita. Secondo la testimonianza dell’abbé de Nantes e dei suoi religiosi, i sacerdoti che vennero a fargli visita sostenevano l’invalidità della nuova messa e la vacanza della Sede Apostolica. La conferma di questa testimonianza si trova in una lettera di Padre Guérard des Lauriers dell’otto agosto seguente all’abbé de Nantes, nella quale fa riferimento alla visita del 21 luglio, e sostiene essere dimostrato – dall’approvazione del nuovo messale – che il “cardinale Montini” non è Papa (20).
Argentina, Stati Uniti, Germania… (1967/69)
L’influenza dell’abbé de Nantes (allora enorme, a causa della sua opposizione al Vaticano II fin dal principio) faceva esitare persone come Padre Barbara o, in Argentina, il prof. Disandro, che poneva però anch’egli, già nel maggio del 1969, la questione della Sede vacante (21). Negli Stati Uniti non mancarono ben presto i “sedevacantisti”, fin almeno dal 1967, se non prima, come lo testimonia la lettera del dott. Kellner al cardinale Browne del 28 aprile di quell’anno (22). Così pure in Germania, dove nel 1966 era stato fondato l’Una Voce-Gruppe Maria; fin dal 1969 il prof. Reinhard Lauth, dell’Università di Monaco, si dichiarò per la vacanza della Sede Apostolica (23). La tesi della TC pertanto (nessuna traccia di “sedevacantismo” prima del 1973/76) è dimostrata falsa.
Posizioni diverse
Vale la pena infine esaminare due altre posizioni che – pur non essendo necessariamente “sedevacantiste” – nulla hanno a che vedere con la “posizione prudenziale” di Mons. Lefebvre. Durante il Concilio Vaticano II, oltre ai cattolici messicani dei quali abbiamo parlato, si distinsero anche i francesi dell’abbé de Nantes, ed i brasiliani riuniti attorno ai Vescovi di Campos (de Castro
Mayer) e di Diamantina (Proença Sigaud, che però accettò poi pienamente le riforme). In guisa d’appendice, citerò la posizione della più importante rivista francese diretta da laici cattolici, Itinéraires. Quale fu la loro posizione sulla questione?
L’abbé de Nantes, già parroco di Villemaur, nelle sue Lettres à mes amis rifiutò fin dal principio i documenti concilari, per cui, fino al 1969, fu considerato di fatto il punto di riferimento del “tradizionalismo” (24). Nel dicembre 1967 (CRC, n. 3), l’abbé de Nantes studiò in maniera approfondita il caso del Papa eretico, seguendo l’opinione del Cardinal Journet. I fedeli non potevano contestare la validità dell’elezione di Paolo VI a causa dell’accettazione pacifica della Chiesa universale (è l’argomento della TC) (25). Sposando la tesi del Cardinal Journet (il Papa eretico non è deposto ipso facto, ma deve essere dichiarato tale dalla Chiesa), l’abbé de Nantes constatava che Paolo VI, apostata, eretico, scandaloso e scismatico, doveva essere dichiarato deposto dal Clero romano (i Cardinali). “È loro dovere [di chi constata gli errori di Paolo VI] di portare questa accusa davanti alla Chiesa. Prima, avvertendo il Papa stesso, poi facendo appello (…) al magistero infallibile di questo Papa (26) o, in mancanza di ciò, al Concilio. Formalmente, spetta al clero di Roma, e principalmente ai cardinali-vescovi, suffraganei del vescovo di Roma, l’incarico di condurre a termine una così pericolosa ma urgente missione per la salvezza della Chiesa”. “Una tale azione – scriveva – (…) ha la preminenza su qualunque altra cura e costituisce la più alta carità, poiché il Pesce – ICTUS _ marcisce dalla Testa se la Funzione suprema non è tolta ad un uomo già morto” (27). In questa prospettiva, vide nella lettera d’approvazione dei Cardinali Ottaviani e Bacci al Breve esame critico del novus ordo missae (1969) l’inizio del processo canonico a Paolo VI. Con questo scopo, il 10 aprile 1973 fece pervenire a Paolo VI un Liber accusationis ove Giovanni Battista Montini venne accusato di apostasia, eresia e scisma. In questo contesto, chiese ai Vescovi (e specialmente, seppur senza nominarlo, a Mons. Lefebvre) di rompere la comunione con Paolo VI. “Resta allora l’ultimo rimedio, eroico, il solo che tema Colui che ha scientemente e pertinacemente invertito il senso della sua missione divina e apostolica. Bisogna che un Vescovo, anch’egli successore degli Apostoli, membro della Chiesa docente, collega del Vescovo di Roma e come lui ordinato al bene comune della Chiesa, rompa la sua comunione con lui finché non avrà dato prova della sua fedeltà all’ufficio del suo supremo pontificato” (28). “È evidente che l’abbé Georges de Nantes si augurava che Mons. Lefebvre dichiarasse al più presto la sua sottrazione di obbedienza a Paolo VI, rompendo la sua comunione con lui, secondo le antiche formule di un San Basilio [citata già nel 1965] o di un San Colombano” (29). La proposta inquietò Paolo VI. Già nel 1969 la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva chiesto all’abbé de Nantes di “sconfessare l’accusa d’eresia portata contro Papa Paolo VI e la conclusione aberrante (…) sull’opportunità della sua deposizione da parte dei cardinali” (formula di ritrattazione); di fronte al suo rifiuto, ci si limitò a notificare che egli “squalifica l’insieme dei suoi scritti e delle sue attività” (Notificazione del 9 agosto 1969) (30). Dopo la dichiarazione di Mons. Lefebvre del novembre 1974, il Vescovo fu convocato a Roma dalla Commissione cardinalizia istituita da Paolo VI. Nei loro interrogatori del marzo 1975 i cardinali Garrone e Tabera manifestarono la loro preoccupazione che Mons. Lefebvre ascoltasse l’appello dell’abbé de Nantes. Non solo Mons. Lefebvre non lo fece (scrisse anzi al sacerdote francese il 19 marzo 1975 “se un vescovo rompe con Roma, [quel vescovo] non sarò io”), ma sconfessò con i Cardinali il suo stesso manifesto "quelle cose “le ho scritte in un momento d’indignazione”) (31). Invano: la Fraternità fu egualmente soppressa (6 maggio 1975). Mons. Lefebvre romperà egualmente con “Roma”, ma per dei motivi disciplinari…
Mons. de Castro Mayer Il Vescovo di Campos, ancora legato a quei tempi alla Società Brasiliana Tradizione, Famiglia e Proprietà, inviò a Paolo VI uno studio di Arnaldo Xavier Vidigal da Silveira, membro fondatore della TFP, sul nuovo messale di Paolo VI e sull’ipotesi teologica del Papa eretico (32). La connessione tra i due temi era evidente. L’autore, che a differenza del cardinal Journet, propende per la tesi secondo la quale il Papa eretico è per il fatto stesso deposto (la considera certa); invita però a nuovi studi sul tema al fine di trovare un accordo tra i teologi che permetta di applicare con certezza, nella pratica, questa conclusione (p. 281; cf pp. 214-216) (33). La posizione di Vidigal da Silveira e di Mons. de Castro Mayer, non era ancora apertamente “sedevacantista”; ammonivano però dal non tenerne conto: “supponiamo che qualcuno tenga per certa, senz’altro problema, l’opinione” secondo la quale un Papa eretico è ancora Papa prima di essere deposto: “costui dovrebbe, logicamente, accettare come dogma una nuova solenne definizione che farebbe un papa eretico prima della proclamazione della dichiarazione di eresia. Una tale accettazione sarebbe inconsiderata, poiché, secondo quanto sostengono autori di gran peso, un tale papa potrebbe già aver perso il pontificato, e definire pertanto come dogma una proposizione falsa” (p. 215). Conseguentemente, Mons. de Castro Mayer non emarginò mai i “sedevacantisti” (al contrario di Mons. Lefebvre), aderì all’iniziativa dei “guérardiani” della Lettera a qualche vescovo (del gennaio 1983), e sostenne addirittura la vacanza della Sede (senza curarsi dalla “pacifica accettazione della Chiesa”) a Ecône, prima delle consacrazioni episcopali. Se non diede maggiore pubblicità e seguito alla sua convinta posizione sedevacantista, ciò fu dovuto al desiderio di non compromettere le sue relazioni con Mons. Lefebvre, come quest’ultimo ebbe occasione di dichiarare: “Se non fosse per me, Mons. de Castro Mayer sarebbe sedevacantista. Si astiene dal sedevacantismo, per non disunirci”(Mons. Williamson, “lettera pastorale”: Campos - Cos’è andato male? Giugno 2002). La conseguenza di tutto ciò, è stato l’accordo coi modernisti stipulato dai Mons. Rangel e Rifan…
Itinéraires
La rivista Itinéraires (diretta da Jean Madiran)era la più prestigiosa rivista francese che avesse preso posizione contro i nuovi catechismi e contro la nuova messa. Pur sostenendo una posizione più moderata di quella, ad esempio, di un Padre Guérard des Lauriers (che era però collaboratore della rivista), non esitò, al momento della “promulgazione” del nuovo messale, ad esporre ai suoi lettori la questione del “papa eretico” e delle varie posizioni dei teologi sulla perdita del pontificato in questa evenienza (34). Il problema era per lo meno pubblicamente posto. La pubblica azione dei “tradizionalisti” in genere nacque senza l’appoggio palese di Mons. Lefebvre. Il sedevacantismo non può pertanto aver rotto un’unità iniziale attorno alla Fraternità San Pio X “Sarebbe auspicabile – così conclude la TC – che il sedevacantismo avesse l’umiltà e il coraggio di trarre le ultime conseguenze dalla constatazione di questa necessità, affinché il mondo tradizionalista possa ritrovare quella unità iniziale lacerata il giorno della proclamazione della vacanza della Sede Apostolica” (p. 60). Ma è proprio vero che “l’unità iniziale” era costruita attorno a Mons. Lefebvre e alla Fraternità San Pio X? (cf. p. 8). Ed è vero che la colpa della lacerazione di questa “unità iniziale” è da attribuirsi ai “sedevacantisti”? Possiamo tranquillamente rispondere “no” ad entrambi i quesiti. Il ruolo di Mons. Lefebvre, già durante il Concilio, ove fu presidente del Coetus internationalis Patrum, è indiscutibile e a tutti noto; non gli saremo mai abbastanza grati per tutto quanto egli ha fatto per la Chiesa. Precisiamo però senza tema di smentite che, dalla fine del Concilio fino alla dichiarazione del 21 novembre 1974, e persino fino alla fine del 1975, Mons. Lefebvre volle sempre – in pubblico – distinguere la sua persona e la sua opera da quella dei “tradizionalisti”.
Pubblicamente, egli non sostenne i primi oppositori al Concilio ed i primi oppositori alla nuova Messa.
Mons. Lefebvre ed il Concilio (1964-1969)
Dal 1965 al 1969 il “tradizionalismo” è impegnato nel rifiutare il Vaticano II; in Francia, spicca il nome dell’abbé de Nantes.
Quale fu la posizione di Mons. Lefebvre? Lo chiederemo al suo biografo, Mons. Tissier de Mallerais. Mons. Lefebvre votò “placet” a tutti i documenti conciliari tranne due (Gaudium et spes; Dignitatis humanæ); anche questi due documenti – malgrado le affermazioni in contrario di Mons. Lefebvre (35) – furono da lui sottoscritti e promulgati con Paolo VI (pp. 332-334): “una volta che
uno schema era promulgato dal papa – spiega Mons. Tissier per giustificare questa accettazione del Vaticano II – non era più uno schema ma un atto del magistero, cambiando così di natura” (p. 333). Nel 1968 Mons. Lefebvre disse (la conferenza è riportata in Un vescovo parla):“I testi del concilio, e particolarmente quelli di Gaudium et spes e quello della Libertà religiosa, sono stati sottoscritti dal papa e dai vescovi, quindi non possiamo dubitare del loro contenuto” (p. 399). Nello stesso anno, il Vescovo si dichiarava ottimista – sulla rivista Itinéraires – grazie a Paolo VI (p. 402). “Nessun capofila della resistenza cattolica in Francia e altrove – commenta Tissier – manifestava la minima velleità di mettere in dubbio le decisioni conciliari: né Mons. Lefebvre nei suoi commenti, né dei laici eminenti come Jean Madiran (…) Jean Ousset (…) o Marcel Clement” (p. 403): evidentemente l’abbé de Nantes, che era processato proprio nel 1968, o Padre Saenz sono sconosciuti (!) al biografo… In una parola: tutta la lodevole pubblica attività di Mons. Lefebvre tra il 1965 ed il 1969 si svolge però nell’ambito dell’accettazione del Vaticano II, quando invece esisteva di già la critica aperta al Concilio (36).
Mons. Lefebvre dopo la “promulgazione” del nuovo messale (1969-1974/75)
Nel 1969, con la promulgazione del nuovo messale, si sviluppa il cosiddetto movimento “tradizionalista”. Non c’è alcun dubbio sul fatto che – dietro le quinte – Mons. Lefebvre è sempre presente per sostenere ed incoraggiare quanti si opposero al Novus Ordo Missae (N.O.M.). Tuttavia, Mons. Lefebvre (che nel 1969 aveva aperto un suo seminario e che nel novembre del 1970 aveva fatto approvare la Fraternità San Pio X dal Vescovo di Friburgo) non prese pubblicamente posizione, fino a quando non fu costretto ad uscire allo scoperto dalla visita apostolica al seminario di Ecône (1974) e alle successive sanzioni (1975-1976). Nessuno contesterà quanto scrisse Alexandre Moncriff sulla rivista francese della Fraternità San Pio X, Fideliter, in occasione della morte dell’abbé Coache: “La Fraternità San Pio X era stata fondata da Mons. Lefebvre solo nel novembre 1970 e si occupava allora di formare i suoi primi seminaristi: era ben lungi dall’aver raggiunto lo sviluppo che conobbe soprattutto a partire dal 1976. Una lettera inedita di Mons. Lefebvre all’abbé Coache, datata 25 febbraio 1972, mostra come Mons. Lefebvre, preso dalla difficile fondazione della sua Fraternità, era ancora in disparte: ‘Reverendo (…) vogliate comprendere che per la sopravvivenza dell’opera che perseguo, Dio sa in qual dedalo di difficoltà!, non posso far nulla di pubblico e solenne in una diocesi senza avere il placet del vescovo (…) Ci sono già lamentele contro il seminario. Sto riuscendo a dimostrarne la falsità e lentamente mi radico e progredisco. Ma se mi metto canonicamente nel torto, tutte le porte mi saranno chiuse per delle nuove fondazioni, per delle nuove incardinazioni. Questo vale per me, a causa della sopravvivenza e del progresso della mia opera, ma non vale necessariamente per lei (…) Mi troverà troppo prudente. Ma è l’affetto che porto a questa gioventù clericale che mi porta ad esserlo. Mi devo estendere, ed ottenere il Diritto Pontificio’ [ovvero, che la Fraternità fosse riconosciuta non solo dal Vescovo – di diritto diocesano – ma anche dalla Santa Sede – di diritto pontificio; n.d.a.]” (37).
Questo spiega tutti i silenzi, tutte le assenze di Mons. Lefebvre e della sua Fraternità fino alla fine del 1974. Spiega l’attitudine “prudenziale” sull’assistenza alla nuova messa, della quale abbiamo già parlato. Spiega il fatto che, al contrario dei Cardinali Ottaviani e Bacci, non sottoscrisse il Breve esame critico del Novus Ordo Missae (38). Spiega il fatto che – malgrado l’accorato appello di Jean Madiran sulla rivista Itinéraires (39), e l’esempio di altri sacerdoti (40) – si sia rifiutato di prendere
pubblicamente posizione contro la nuova messa (41). Spiega il fatto che né lui né la Fraternità abbiano partecipato alle Marce romane di Pentecoste del 1970 (1.500 persone), 1971 (5.000 persone) e 1973 (22 paesi diversi, 700 pellegrini solo dalla Francia) organizzati dall’abbé Coache con Padre Barbara, P. Saenz, Elisabeth Gerstner e Franco Antico, anzi ne decretò di fatto la morte nel 1975 (42).
Spiega il fatto che nel 1968-72 non sostenne le processioni del Corpus Domini a Montjavoult (la parrocchia dell’abbé Coache), riunione annuale di tutti i “tradizionalisti” francesi che arrivò a contare 5.000 partecipanti o, nel 1973, l’iniziativa, sempre dell’abbé Coache, di fondare a Flavigny un seminario minore (43) (ancora nel 1977, l’occupazione di Saint-Nicolas-du-Chardonnet a Parigi, non solo non fu l’opera della Fraternità, ma fu persino pubblicamente condannata dal direttore del seminario di Ecône!). Mgr Tissier, nella sua biografia di Mons. Lefebvre (p. 523), fissa alla fine del 1975 la data nella quale il Vescovo tradizionalista mise in causa il Concilio e Paolo VI (“Fino al 1975 Mons. Lefebvre bada di non attaccare il concilio e il papa. Il 30 maggio 1975, in conferenza dichiara ai seminaristi: ‘Soprattutto, non dite mai: Monsignore è contro il papa, contro il concilio, non è vero!’”).
Potrei moltiplicare gli esempi, ma quanto scritto fin qui è sufficiente a sfatare la pretesa storica della TC. La resistenza pubblica al nuovo messale, come al Concilio, nacque senza Mons. Lefebvre; tra i primi, troviamo i nomi di sacerdoti che erano o diventarono “sedevacantisti” (delle varie correnti): Padre Guérard, Padre Barbara, l’abbé Coache, Padre Saenz. Il “sedevacantismo” non venne a dividere un preesistente movimento, ma piuttosto contribuì a fondarlo! Mons. Lefebvre ed i sedevacantisti. Chi operò la rottura, e perché (1977-1979) Nonostante ciò la TC sostiene che furono i sedevacantisti a dividere il movimento di opposizione al Concilio e alla riforma liturgica. La storia dimostra come – in realtà – la decisione di operare questa divisione è da attribuirsi alla Fraternità San Pio X, e non ai sedevacantisti. Questi ultimi, infatti, malgrado la loro posizione ben diversa da quella di Mons. Lefebvre, rimasero sempre al suo fianco: fino al 1974, perché prendesse pubblicamente posizione sulla Messa e sul Concilio, dal 1974 al 1977, perché prendesse posizione sulla questione del Papa.
Il 6 maggio 1975, infatti, il Vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo, Mons. Mamie, soppresse canonicamente, con l’accordo di Paolo VI, la Fraternità San Pio X (44). Anche se ancora il 22 giugno 1976 Mons. Lefebvre si dichiarava “in piena comunione di pensiero e di fede” con Paolo VI (45), la sospensione a divinis inflittagli il 22 luglio da quest’ultimo dopo le ordinazioni del 29 giugno, spinsero il Vescovo francese a dichiarare in luglio che la “chiesa conciliare” era una chiesa scismatica (46) e ipotizzare pubblicamente in agosto la vacanza della Sede apostolica (47). È evidente che – in questi frangenti – i sedevacantisti non potevano che essere in prima fila tra i sostenitori di Mons. Lefebvre, la cui popolarità “sale alle stelle” in quel periodo (Tissier, p. 515). Padre Guérard, professore a Ecône, Padre Barbara nella rivista Forts dans la Foi, persino i sedevacantisti messicani (48), sostengono Mons. Lefebvre, al punto che il parroco della Divina Provvidenza ad Acapulco, padre Carmona (che sarà consacrato nel 1981 da Mons. Thuc) fu scomunicato dal suo Vescovo per aver celebrato una Messa in sostegno di Mons. Lefebvre l’8 dicembre 1976 (49). La collaborazione tra i sedevacantisti e la Fraternità di Mons. Lefebvre fu compromessa dalle trattative tra quest’ultimo e Paolo VI/Giovanni Paolo II. Già alla Messa di Lille del 29 agosto 1976, dove pure Mons. Lefebvre ebbe parole durissime verso i riformatori (preti bastardi, messa bastarda), egli invocò una udienza presso Paolo VI per poter fare “l’esperienza della tradizione” (Tissier, pp. 517-518). L’udienza fu accordata l’11 settembre 1976, e nel maggio successivo il Card. Seper, incaricato da Paolo VI, iniziò i colloqui col Vescovo tradizionalista. In quel periodo (febbraio 1977) la posizione sul Papa fu quella poi pubblicata nel libro Il colpo da maestro di Satana: la Sede vacante era una ipotesi possibile, alla quale era pre-ferita la posizione di Paolo VI Papa legittimo ma liberale (50). Ed è proprio nel 1977 che vengono discretamente allontanati da Ecône i due principali sostenitori francesi del sedevacantismo: Padre Barbara (la cui rivista Forts dans la Foi sarà vietata in seminario dopo la pubblicazione del n. 51 del novembre 1977) (51) e Padre Guérard des Lauriers, che non fu più invitato a tenere le sue lezioni a Ecône dopo aver predicato gli esercizi per i seminaristi nel settembre 1977 (52). Malgrado ciò, sia Padre Barbara nella sua rivista, sia Padre Guérard continuarono a sostenere Mons. Lefebvre (Padre Guérard inviò persino a Ecône, nel 1978, i suoi giovani domenicani, cf Tissier, p. 549). La rottura definitiva avvenne dopo la morte di Paolo VI (6 agosto 1978) e l’udienza accordata a Mons. Lefebvre da Giovanni Paolo II (18 novembre 1978) dove la formula “il Concilio alla luce della Tradizione” (G.P.II, 6 novembre 1978) sembrò poter diventare il minimo comune denominatore. Mons. Lefebvre scrisse così una lettera a Giovanni Paolo II il 24 dicembre 1978, resa pubblica dalla Lettera agli amici e benefattori n. 16 (19 marzo 1979) nella quale Mons. Lefebvre chiedeva la libertà per la messa tradizionale: “I Vescovi decidererebbero dei luoghi, delle ore riservate a questa Tradizione. L’unità si ritroverebbe immediatamente attorno al Vescovo del luogo”. Fu allora che Padre Guérard des Lauriers, per primo, condannò pubblicamente l’accordo proposto da Mons. Lefebvre (“Monseigneur, nous ne voulons pas de cette paix”). È in questo contesto che Mons. Lefebvre prenderà la decisione di rompere coi sedevacantisti con la dichiarazione dell’8 novembre 1979 (“Posizione di Mons. Lefebvre sulla Nuova Messa e il Papa”), pubblicata sulla rivista interna Cor unum (n. 4, nov. 1979) (53) e fatta diffondere tra i fedeli dalla rivista Fideliter, dove veniva omesso però quest’ultimo capoverso: “Conseguentemente, la Fraternità Sacerdotale San Pio X dei padri, dei Fratelli, delle Suore, delle Oblate, non può tollerare nel suo seno dei membri che rifiutano di pregare per il Papa [in quanto tale, n.d.a.] e che affermano che tutte le Messe del Novus Ordo sono invalide” (Cor unum, n. 4, p. 8). Solo in seguito a questa pubblica dichiarazione Padre Barbara (Forts dans la Foi, n.1, nuova serie, primo trimestre 1980) e gli altri sedevacantisti si dissociarono pubblicamente da Mons. Lefebvre. Seguirono le espulsioni o le uscite dalla Fraternità di sacerdoti che aderivano alle tesi di Padre Guérard o di Padre Barbara: Lucien e Seuillot nel 1979 (tesi di Cassiciacum), Guépin e Belmont nel 1980 (tesi di Cassiciacum), Barthe nel 19808 sedevacantismo), Egrégyi nel 1981 (sedevacantismo), 12 sacerdoti americani nel 1983, quattro italiani nel 1985 (Cassiciacum), 2 sudamericani, con 21 seminaristi, nel 1989, ecc. Una lettera di Mons. Lefebvre a Giovanni Paolo II dell’8 marzo 1980 riassume chiaramente i motivi che spinsero Mons. Lefebvre a questa rottura coi sedevacantisti: “Santo Padre, Per porre fine a dei dubbi che si diffondono (…) concernenti il mio atteggiamento e il mio pensiero riguardo al papa, al Concilio e alla Messa del Novus Ordo e temendo che questi dubbi giungano fino a Vostra Santità, mi permetto di affermare di nuovo ciò che ho sempre espresso:
1) Che non ho alcuna esitazione (54) sulla legittimità e la validità della Vostra elezione e che di conseguenza io non posso tollerare che non si rivolgano a Dio le preghiere prescritte dalla santa Chiesa per Vostra Santità. Io ho già dovuto reprimere queste idee e continuo a farlo nei confronti di qualche seminarista e qualche prete che si è lasciato influenzare da ecclesiastici estranei alla Fraternità.
2) Che sono pienamente d’accordo con il giudizio che Vostra Santità ha dato del Concilio Vaticano II il 6 novembre 1978 alla riunione del sacro Collegio: ‘Che il Concilio deve essere compreso alla luce di tutta la Santa Tradizione e sulla base del magistero costante della Santa Chiesa’. 3) Quanto alla Messa del Novus Ordo, malgrado tutte le riserve che si devono fare al suo riguardo, io non ho mai affermato che essa sia in se invalida o eretica. Renderò grazie a Dio e a Vostra Santità se queste dichiarazioni potranno permettere il libero uso della liturgia tradizionale e il riconoscimento da parte della Chiesa della Fraternità San Pio X come di tutti quelli che, sottoscrivendo queste dichiarazioni, si sono sforzati di salvare la Chiesa perpetuando la sua Tradizione.
Che Vostra Santità si degni di accettare i miei sentimenti di profondo e filiale rispetto In Xto e Maria”. Da quanto detto finora appare evidente che non furono i sedevacantisti a rompere con Mons. Lefebvre, ma fu questi a sacrificarli, con lo scopo di portare avanti le trattative con Giovanni Paolo II, miranti ad ottenere il riconoscimento della Fraternità. Pertanto, la versione dei fatti data dalla Tradizione cattolica è falsa, e atta a fuorviare i lettori che non hanno vissuto di persona gli avvenimenti qui narrati.
Quarta parte: ANALISI DELLE OBIEZIONI TEOLOGICHE OPPOSTE AL SEDEVACANTISMO DALLA TRADIZIONE CATTOLICA: ESSE SI RIASSUMONO NELL’INDEFETTIBILITÀ DELLA CHIESA.
SODALITIUM RISPONDE A CIASCUNA DI ESSE, E MOSTRA COME SIANO PIUTTOSTO LE POSIZIONI DELLA FRATERNITÀ E DEI MODERNISTI CHE – IN MODO DIVERSO – SI OPPONGONO A DETTA INDEFETTIBILITÀ
Fin dalle prime battute, la TC – seguendo le tracce di don Piero Cantoni (55) - obietta sostanzialmente a ogni sedevacantismo l’indefettibilità della Chiesa: “Era e resta in gioco la visibilità della Chiesa e la sua continuità nel tempo (indefettibilità), elementi costitutivi e indispensabili all’esistenza stessa della Chiesa Cattolica” (p. 9). Prima di esaminare le singole obiezioni, è necessario precisare la nozione di indefettibilità della Chiesa, dapprima in se stessa, e poi nella situazione attuale della Chiesa. L’indefettibilità della Chiesa L’Enciclopedia Cattolica così definisce l’indefettibilità: “proprietà soprannaturale della vera Chiesa, per cui essa rimarrà, fino alla fine del mondo, così come Gesù Cristo l’ha istituita. Tale concetto include: a) la durata perpetua o perennità della Chiesa; b) la perseveranza della medesima in ciò che costituisce la sua essenza, cioè nella sua costituzione e nelle sue proprietà specifiche. Ne segue che per l’indefettibilità la Chiesa rimarrà sempre identica a se stessa, e non perderà alcuna delle sue note. Così intesa, l’indefettibilità racchiude tutte le altre proprietà della Chiesa: costituzione gerarchica e monarchica, infallibilità, visibilità” (56).
L’articolo continua così: “che la Chiesa sia indefettibile è verità di fede cattolica, chiaramente contenuta nella S. Scrittura [cita Mt XVI, 18; Mt XXVIII, 20; Jo XIV, 16] e insegnata dal magistero ordinario. Non è ancora stata direttamente definita dal magistero solenne, però il Concilio Vaticano aveva preparato uno schema di definizione nei seguenti canoni [il primo contro i ‘pessimisti’, per i quali la Chiesa si sarebbe corrotta; il secondo contro gli ‘ottimisti’, per i quali la Chiesa verrà sostituita da una nuova, migliore, realtà n.d.r.]: 1) ‘Si quis dixerit eamdem Christi Ecclesiam posse offundi tenebris aut infici malis, quibus a salutari fidei morumque veritate aberret, ab originali sua institutione deviet, aut depravata et corrupta tandem desinat esse, anathema sit’; 2) ‘Si quis dixerit praesentem Dei Ecclesiam non esse ultimam ac supremam consequendae salutis oeconomiam, sed expectandam esse aliam per novam et pleniorem divini Spiritus effusionem, anathema sit’” (voce ‘indefettibilità della Chiesa’, vol. VI, colonne 1792-1794). Il magistero ordinario si è espresso nel decreto Lamentabili (n. 53) [“la costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione”. Tesi condannate] e nella Bolla Auctorem Fidei che condanna come eretica questa proposizione del sinodo giansenista di Pistoia: “in questi ultimi secoli si è diffuso [nella Chiesa] un generale offuscamento sulle verità di maggiore importanza che riguardano la religione, e che sono la base della fede e della dottrina morale di Gesù Cristo” (Denz. 1501; Denz.-Sch. 2601: l’offuscamento delle verità nella Chiesa). [Sia la Fraternità San Pio X, sia i seguaci del Vaticano II, sostengono in un certo senso che si sarebbe offuscata la verità nella Chiesa: per gli uni nel presente, per gli altri nel passato] (57). La Chiesa è dotata di un’unica gerarchia distinta secondo due ragioni: quella di ordine e quella di giurisdizione (can. 108§3). Poiché la Chiesa è perenne ed indefettibile (DS 2997: “sempre stabile e salda fino alla consumazione dei secoli”), così lo saranno in essa il potere di ordine (finalizzato alla santificazione delle anime) e quello di giurisdizione (che include la potestas regiminis – il governo della Chiesa – e la potestas magisterii che assicura l’insegnamento infallibile della verità rivelata). La perennità della Chiesa (governo e magistero) è fondata sul primato romano (58), il quale è altresì perenne: “L’eterno Pastore e guardiano delle nostre anime per perpetuare l’opera salutare della redenzione, ha deciso di edificare la Santa Chiesa (…). Perché l’episcopato stesso fosse uno e indiviso e perché la moltitudine di tutti i credenti fosse conservata nell’unità della fede e della comunione (…) prepose il Beato Pietro agli altri Apostoli e stabilì nella sua persona il principio perpetuo e il fondamento visibile di questa duplice unità. E poiché le porte dell’inferno, con odio ogni giorno crescente, insorgono da ogni parte contro questo fondamento stabilito da Dio, per rovesciare se possibile la Chiesa, (…) crediamo necessario (…) proporre a tutti i fedeli (…) la dottrina che devono credere e conservare sull’istituzione, la perpetuità e la natura del sacro primato apostolico, su cui poggia la forza e la solidità di tutta la Chiesa” (Vaticano I, Pastor aeternus, D 1821, DS 3050-3052). “…Se dunque qualcuno dirà che non è per istituzione dello stesso Cristo Signore o per diritto divino che il Beato Pietro ha sempre dei successori nel primato sulla Chiesa universale (…) sia anatema” (ibidem, Cap. 2, canone, DS 3058, cf anche DS 3056-3057). Se è perenne e indefettibile il Primato di Pietro, è tale anche il suo infallibile magistero: “Perciò questo carisma di verità e di fede, giammai defettibile, è stato accordato da Dio a Pietro e ai suoi successori su questa cattedra, perché esercitassero questo altissimo ufficio per la salvezza di tutti, perché l’universale gregge di Cristo, allontanato per l’opera loro dall’esca avvelenata dell’errore, fosse nutrito col cibo della celeste dottrina e, eliminata ogni occasione di scisma, tutta la Chiesa fosse conservata nell’unità e, stabilita sul suo fondamento, si ergesse incrollabile contro le porte dell’inferno” (ibidem, DS 3071). Questa dottrina è pienamente abbracciata e creduta da tutti i membri dell’Istituto Mater Boni Consilii, e da tutti coloro che seguono la Tesi detta di Cassiciacum.
L’indefettibilità nella situazione attuale della Chiesa.
La posizione dei “tradizionalisti” in generale e della Fraternità San Pio X in particolare sul potere di giurisdizione e di magistero nella situazione attuale. Abbiamo visto come la Chiesa sia indefettibile: non solo non può scomparire ma non può neppure mancare alla sua missione. L’indefettibilità infatti le è stata accordata non solo per durare materialmente di fatto (come può succedere anche a una falsa religione, a una setta eretica, a una struttura puramente umana) ma per “per applicare a tutte le generazioni umane i frutti della (…) redenzione” (DS 2997), “per perpetuare l’opera salutare della redenzione” (DS 3050). Essa pertanto non può (perché divinamente assistita) dare ai suoi figli del veleno (Vaticano I, DS 3070-3071) né per quel che riguarda il potere di santificare le anime mediante i sacramenti, né per quel che riguarda il governo della Chiesa ed il suo insegnamento. Ora, una grave difficoltà si presenta a questo proposito a tutti i cosiddetti “tradizionalisti”. Essi, infatti, non si limitano a condannare degli abusi: “la critica dei ‘tradizionalisti’ non concerne principalmente degli abusi commessi da dei membri della Chiesa discente [sacerdoti, fedeli] e neppure delle deviazioni di parti più o meno estese dell’Episcopato. Essa concerne innanzitutto ed essenzialmente degli errori e deviazioni contenuti nel Concilio stesso, e poi nelle riforme ufficiali susseguenti (specialmente in materia di liturgia e sacramenti) nonché nei testi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II che si prefiggono di applicare il Concilio. Abbiamo mostrato in altra occasione (Cahiers de Cassiciacum, n. 5, pp. 61-72) che le principali tendenze abitualmente etichettate come ‘tradizionaliste’ formulano effettivamente questa critica. Il fatto che Mons. de Castro Mayer abbia sottoscritto la ‘Lettre à qualques Evêques…’ e in seguito il testo firmato congiuntamente da Mons. Lefebvre e da Mons. de Castro Mayer (Fideliter, n. 36, nov.-dic. 1983) confermano che è proprio questo il cuore della battaglia ‘tradizionalista’” (59). Se stanno così le cose, qual è la “grave difficoltà” di cui parlavo? Diamo di nuovo la parola all’abbé Lucien: “se (…) si afferma che questa ‘gerarchia’ è formalmente la Gerarchia cattolica, si cade nel secondo dei ‘grandi e fatali errori’ denunciati da Leone XIII a questo proposito [a proposito cioè dell’indefettibilità]: dal che deriva che sono in grande e fatale errore coloro i quali si foggiano in mente a proprio arbitrio una Chiesa quasi nascosta e non visibile; come pure coloro che la considerano una umana istituzione, con una certa organizzazione, una disciplina e riti esterni, ma senza una perenne comunicazione di doni e della grazia divina, e senza quelle cose che con aperta e quotidiana manifestazione attestino che la sua vita soprannaturale deriva da Dio’ (Satis cognitum, Insegnamenti Pontifici, La Chiesa, n. 543)” (60). Ora, qual è la posizione della Fraternità San Pio X sul Vaticano II, l’insegnamento post-conciliare e l’attuale gerarchia? (61). Quanto al potere di magistero, la Fraternità San Pio X rifiuta l’insegnamento del Concilio e dei Papi conciliari, anzi la TC suppone persino probabile l’inesistenza di questo magistero in quanto tale (62). Quanto al potere di giurisdizione, la Fraternità San Pio X rifiuta l’obbedienza alle autorità dichiarate legittime. Quanto al potere legislativo, la Fraternità rifiuta il nuovo Codice di diritto canonico. Quanto al potere di santificazione, la Fraternità San Pio X rifiuta i sacramenti amministrati con i nuovi riti, ed invita i propri fedeli dall’astenersi da quelle celebrazioni. Ne segue che il riconoscimento di Giovanni Paolo II è più nominale che reale; è ammessa l’esistenza di una gerarchia, di un magistero, di una giurisdizione: ma questa gerarchia, questo magistero, questa giurisdizione, questi riti esterni sono dichiarati privi di “quella perenne comunicazione di doni e della grazia divina, e senza quelle cose che con aperta e quotidiana manifestazione attestino che la sua vita soprannaturale deriva da Dio”. Né il magistero conciliare, né la disciplina attuale, né la liturgia rinnovata della messa e dei sacramenti sono stimati venire da Dio… La TC dovrebbe pertanto capire che non intendiamo tanto difendere le opinioni personali di Padre Guérard contro Mons. Lefebvre o la Fraternità. Il nostro intento è diverso. Sodalitium approva la critica di Mons. Lefebvre (e altri) al Vaticano II, e cerca per l’appunto di dimostrare che questa critica non implica un attacco all’indefettibilità e perennità della Chiesa, che è un articolo della nostra fede, come invece potrebbe far credere proprio la posizione della TC. Difendendo la Tesi di Cassiciacum siamo convinti di difendere anche l’essenziale della posizione di Mons. Lefebvre, ovvero il rifiuto del Vaticano II e della nuova Messa in nome dell’ortodossia cattolica, poiché la Tesi ci sembra la migliore soluzione che la teologia possa dare al problema dell’indefettibilità della Chiesa dopo il Vaticano II.
La “Tesi di Cassiciacum” implica davvero la fine della Chiesa docente (pp. 23-26) e la fine del potere di giurisdizione (pp. 26-27)?
È quello che sostiene il Dossier, alle pagine citate, ripetendo anche in questo caso quanto a suo tempo scrisse don Cantoni (63).
La nostra risposta si trova di già implicitamente in questo articolo, nel capitolo dedicato all’indefettibilità della Chiesa; cerchiamo di renderla esplicita. La Chiesa che crediamo indefettibile è la Chiesa fondata da Cristo, pertanto una Chiesa essenzialmente gerarchica. Nella Chiesa vi è per istituzione divina una sola gerarchia, che si distingue quanto all’ordine e quanto alla giurisdizione. La gerarchia, in ragione dell’ordine, comporta Vescovi, sacerdoti e ministri inferiori; riguardo alla giurisdizione essa comporta il Pontificato supremo e l’episcopato subordinato (cf can. 108). La Chiesa sarà quindi perenne nel suo potere d’ordine come nel suo potere di giurisdizione e di magistero, aliter et aliter, però (in maniera diversa). Per quel che riguarda la perennità del potere d’ordine, la situazione attuale della Chiesa non pone una grave difficoltà: la divina Provvidenza ha fatto in modo che l’offerta del Divin Sacrificio e l’amministrazione dei sacramenti non venisse a cessare malgrado il tentativo di abolizione compiuto con la riforma liturgica del Vaticano II, e questo neppure nella Chiesa di rito latino. Le consacrazioni episcopali hanno assicurato la trasmissione nella Chiesa dell’episcopato per quel che riguarda il potere d’ordine, e la perennità del sacerdozio per la gloria di Dio e la salvezza delle anime (64). La difficoltà si pone per il potere di governare la Chiesa e di insegnare con autorità, il che dipende dal potere di giurisdizione alla cui sommità è Pietro. Se infatti ammettiamo la Sede Vacante, dov’è, si chiede la TC, la Chiesa docente? Dov’è la Chiesa gerarchica?
I sedevacantisti rispondono in genere che, a ogni morte di Papa e prima della valida elezione del successore, senza che nulla specifichi la durata di questo tempo, la Chiesa è per l’appunto priva di Papa, priva quindi di un Capo visibile (è acefala, è vedova del suo pastore): eppure essa non cessa di esistere, e non è resa vana la promessa di perpetuità, della Chiesa come del primato.
La TC non accetta questa spiegazione: “anche nei periodi ordinari di sede vacante – scrive a proposito del potere di magistero – cioè tra la morte di un papa e l’elezione del suo successore, questo corpo permane – nell’episcopato – come corpo docente (…) sarebbe infatti mostruoso pensare che la Chiesa Docente muoia col papa per poi risorgere il giorno dell’elezione del nuovo pontefice” (p. 23); “questa autorità – scrive parimenti a proposito della giurisdizione – comunicata alla Chiesa è assolutamente perenne: è stata, è, e sarà presente tutti i giorni fino alla fine dei tempi (inclusi i momenti compresi tra la morte di un papa e l’elezione del suo successore, nei quali continua a sussistere nell’episcopato) (…)” (p. 26). Come ben avverte il lettore, la TC sposta il problema dalla perennità e indefettibilità del primato papale, a quella dell’episcopato gerarchico: la risposta sedevacantista che si fonda sulla possibilità della vacanza della sede apostolica è considerata vana perché oltre al Papa verrebbero a mancare i vescovi, nel loro compito di insegnare e governare. Don Cantoni diceva: non è più il problema del “Papa eretico” [ammesso e studiato da tutti i teologi], ma della “Chiesa eretica” [Papa e vescovi assieme]! Senza dubbio, i vescovi residenziali fanno parte della Chiesa gerarchica e della Chiesa docente. Senza dubbio, anche l’episcopato, in quanto d’istituzione divina, è perenne nella Chiesa. Non solo lo ammetto, ma lo professo pubblicamente.Ma la TC non considera sufficientemente come l’episcopato è fondato sul primato, e la perennità dell’episcopato su quella del primato (Vaticano I, D 1821, DS 3051-3052); lo abbiamo visto precedentemente. Mi sembra che da questa verità si possano trarre molte conseguenze. Innanzitutto, se la perennità della successione nel primato è solo moralmente ininterrotta, si dovrà dire la stessa cosa di quella dell’episcopato. Ora, per il primato è sufficiente una continuità morale, che può essere interrotta da una più o meno lunga vacanza della sede: scrive al proposito Padre Zapelena s.j., dell’Università Gregoriana, parlando della perennità del Primato di Pietro (rivelato da Cristo, Mt XVI,18, e definito dalla Chiesa, D. 1825): “Si tratta di una successione che deve durare continuamente fino alla fine dei secoli. È sufficiente, evidentemente, una continuità morale, che non è interrotta durante il tempo in cui viene eletto il nuovo successore [la sede vacante]” (65). Se questo è vero del capo, sarà anche vero del corpo episcopale. Questa conclusione è confermata dalla considerazione dei compiti del Vescovo residenziale che per la TC sono ininterrotti e perenni in ogni istante del tempo in cui vive la Chiesa: la giurisdizione e il magistero. Ora, se la giurisdizione ed il magistero papale possono, durante la vacanza della sede,
non esistere in atto, a maggior ragione ciò potrà succedere alla giurisdizione e al magistero episcopale. Infatti, il vescovo governa solo una porzione particolare della Chiesa, e non la Chiesa universale, e deriva dalla Prima Sede, ovvero dal Papa, fonte e principio di ogni giurisdizione ecclesiastica tutta la sua giurisdizione. Lo stesso, e ancor più, si dica del magistero. Il magistero episcopale, non solo quello di un singolo vescovo, ma anche quello di tutti i vescovi riuniti, NON è infallibile senza il Papa; durante la vacanza (più o meno lunga) della sede romana, pertanto, NON esiste in atto un magistero infallibile Che possa con certezza guidare i fedeli, la hiesa discente. Senza il Papa la Chiesa – fondata su Pietro (Mt XVI, 18) - è veramente acefala (priva di capo visibile), vedova del suo pastore (senza governo), priva di magistero infallibile: manca in atto, ma non in potenza, la Chiesa gerarchica come Cristo l’ha costituita (ovvero monarchica e non episcopaliana) (66); l’esistenza dell’episcopato subalterno non cambia sostanzialmente le cose da questo punto di vista: la Chiesa – lo ricordo alla TC – non è collegiale ma monarchica, fondata
sul Primato di Pietro. In cosa allora l’assenza assoluta di vescovi residenziali o di cardinali potrebbe compromettere l’esistenza della Chiesa nella sua indefettibile durata? Solo nel rendere impossibile l’elezione del successore al soglio di Pietro.“Durante la vacanza della sede primaziale – continua Zapelena nel passo citato precedentemente - rimane nella Chiesa il diritto e il compito (assieme alla divina promessa) di eleggere qualcuno che succeda legittimamente al Papa defunto nei diritti del primato. Durante tutto questo tempo la costituzione ecclesiastica non muta in quanto il potere supremo non è devoluto al collegio dei vescovi o dei cardinali, ma resta la legge divina concernente l’elezione del successore”. Dove si trova dunque la Chiesa gerarchica, la Chiesa docente, come l’ha voluta Cristo, ovvero fondata sul primato di Pietro, durante la vacanza della Sede apostolica? L’assioma ubi Petrus ibi Ecclesia è sempre valido. Là dov’è Pietro, lì è la Chiesa. Durante la sede vacante, “il Papato, tolto il Papa, si trova nella Chiesa solo in una potenza ministralmente elettiva, poiché essa può, durante la Sede vacante, eleggere il Papa mediante i cardinali o, in un caso (accidentale) per mezzo di sé stessa” (Gaetano, De comparatione auctoritate Papae et Concilii, n. 210) (67). Durante la sede vacante, non è tanto il magistero fallibile dei vescovi o il governo ridotto e locale dei vescovi che mantiene la Chiesa di Cristo: è il fatto che Essa abbia questa potenza elettiva del nuovo Papa, come lo ricorda Lucien citando P. Goupil e Antoine (68).
Ora, la Tesi di Cassiciacum sostiene per l’appunto che, nella particolarissima vacanza della sede apostolica che stiamo vivendo, resta sempre possibile la provvisione della medesima sede e l’avere nuovamente un legittimo Papa, sia perché l’attuale occupante della sede apostolica potrebbe recuperare la sua piena legittimità (come lo scrisse, prima di Padre Guérard – nel 1543!- il Cardinale Girolamo Albani) (69), sia perché i vescovi o i cardinali anche materialiter possono procedere ad una valida e giuridicamente legittima elezione papale, grazie alla successione materiale nelle sedi (70), oppure, ritrovata la loro autorità, procedere alla constatazione dell’eresia formale di Giovanni Paolo II e all’elezione di un successore. Il sedevacantismo quindi, almeno nella Tesi di Cassiciacum (71), non implica la negazione dell’indefettibilità della Chiesa, poiché ammette l’esistenza del papato “nella potenza ministralmente elettiva della Chiesa”. Non bisogna mai dimenticare – parlando dell’indefettibilità – che la Chiesa può eccezionalmente attraversare, e sta attraversando attualmente, dei periodi di grave crisi. Il caso esemplare del Grande Scisma d’Occidente.
Il lettore che ci ha seguito fin qui potrà essere rimasto perplesso, e chiedersi se le spiegazioni date finora salvaguardano effettivamente l’indefettibilità, l’apostolicità e la visibilità della Chiesa. La risposta è senza dubbio affermativa. Il medesimo lettore però non deve mai dimenticare che la Chiesa può attraversare eccezionalmente, ed attraversa attualmente (72), dei periodi di grave crisi, simboleggiati dalla tempesta che squassa, nel racconto evangelico, la Barca di Pietro, mentre il Signore sembra dormire (Mt VIII, 25; Lc VIII, 24). “…Nonnumquam Ecclesia tantis gentilium pressuris non solum afflicta sed et fondata est ut, si fieri possit, Redemptor ipsius eam prorsus deseruisse ad tempus videretur” scrive al proposito San Beda il Venerabile. Uno studio accurato del Grande Scisma d’Occidente ci mostrerà la somiglianza (non certo l’identità: la storia non si ripete mai) tra quella crisi e quella attuale, particolarmente per qual che riguarda la visibilità, l’apostolicità e l’indefettibilità della Chiesa. Com’è noto, lo scisma iniziò nel 1378, con l’elezione di Urbano VI alla quale fu opposta quella di Clemente VII. Esso durò fino al 1417, quando 23 cardinali di tre “obbedienze” diverse (quella pisana di Giovanni XXIII, quella avignonese di Benedetto XIII e quella romana di Gregorio XII) coadiuvati da altri 30 ecclesiastici non cardinali, nel corso del Concilio di Costanza (indetto da Giovanni XXIII, dell’obbedienza pisana) elessero Papa Martino V, il quale fu accettato da quasi tutta la cristianità (alcuni avignonesi durarono nello scisma fino a circa il 1467; e dal 1439 al 1449 si riaprì lo scisma del Concilio di Basilea). Pur ammettendo come legittimi Papi quelli dell’obbedienza romana, si deve dire che molto si dubitò nel passato; Alessandro VI si considerava il successore di Alessandro V, un papa “pisano” e non “romano”, e san Vincenzo Ferrer († 1419) seguì, dal 1378 al 1415, il papa “avignonese” Benedetto XIII (Pedro de Luna) del quale fu anche confessore… Alcuni hanno pensato che tutti e tre i papi erano oggettivamente papi dubbi, e pertanto papi nulli: in questo caso la cristianità si sarebbe trovata non con tre papi (il che è impossibile) o con un papa e due antipapi, ma con un lunghissimo periodo di sede vacante (73). Pur difendendo la legittimità dell’obbedienza “romana”, il teologo gesuita Zapelena non considera impossibile l’ipotesi secondo la quale, essendo tutti e tre i pretendenti al soglio pontificio dei papi dubbi, sarebbero stati dei papi nulli, puramente putativi. In questo caso, vennero a mancare in atto nella Chiesa la giurisdizione ed il magistero… e persino dei legittimi elettori, da un punto di vista puramente legale (tutti i cardinali e i vescovi residenziali erano altresì dubbi!); proprio ciò che per la TC (e a suo tempo don Cantoni) sarebbe ipotesi impossibile, poiché contraria alla Fede. Non così pensa l’eminente teologo della Gregoriana Timoteo Zapelena; egli si limita a spiegare come, in questa ipotesi, Cristo avrebbe supplito alla giurisdizione in quanto necessario (all’elezione) in favore di quanti godevano almeno di un “titolo colorato” (apparente) a partecipare a quel Conclave atipico (74), che di fatto elesse Martino V… L’indefettibilità e la visibilità della Chiesa non sarebbero state compromesse anche in questa eventualità, poiché ancora si poteva procedere ad una valida elezione del Papa; è quanto abbiamo sostenuto nel capitoletto precedente. Per concludere: la nostra posizione (al contrario di quella della Fraternità San Pio X) non compromette l’indefettibilità della Chiesa, pur descrivendo ed analizzando teologicamente una situazione che la TC stessa definisce come quella della “tragedia conciliare” (p. 24).
La fine della professione della Fede e della Oblazione pura (carattere tardivo del sedevacantismo) (pp. 27-29; 40-41)
Questa obiezione della TC si richiama anch’essa all’indefettibilità: la Chiesa cessa di esistere se – anche in un solo momento – viene a cessare la pubblica professione di fede e la celebrazione del divin sacrificio. Ora, per i sedevacantisti, la vacanza della Sede Apostolica farebbe parte della pubblica professione di fede, e la celebrazione della Messa in comunione con dei falsi papi (“messa una cum”) non sarebbe l’Oblazione pura. Quindi, a causa dell’indefettibilità della Chiesa, la dichiarazione della Vacanza della sede apostolica e la celebrazione della Messa “non una cum” avrebbero dovuto esistere fin dal 1965, data dalla quale si pretende che la sede vacante avrebbe avuto certamente inizio. Ora, conclude trionfalmente la TC, le cose non stanno così: il sedevacantismo è tardivo (nasce tra il 1973-1979): pertanto, nell’ipotesi sedevacantista, la pubblica professione di fede, la celebrazione della Messa e la Chiesa stessa avrebbero cessato di esistere tra il 1965 ed il 1973/79, il che è impossibile.
Notiamo innanzitutto che, se una parte di un sillogismo (di un ragionamento) è falsa, la conclusione non può essere che falsa o comunque non dimostrata. Ora, abbiamo già visto come sia falsissimo quanto afferma la TC a proposito del carattere tardivo del sedevacantismo: esso non data dal 1973/79, come pretende, ma dal 1965 e persino, preventivamente, dal 1962. L’argomento della TC è pertanto privo del suo fondamento, e la conclusione resta non dimostrata. Potremmo fermarci qui. Vorrei tuttavia sottolineare come, anche se l’ipotesi della TC fosse vera (inesistenza del sedevacantismo dal 1965 fino al 1973/79), sarebbe falsa comunque la conclusione. L’obiezione infatti è sostanzialmente identica a quella opposta a Padre Guérard des Lauriers, nel 1980, da Jean Madiran (nel frattempo separatosi anch’egli, come don Cantoni, da Mons. Lefebvre per accettare l’Ecclesia Dei), il quale denunciava il “carattere tardivo” della Tesi. All’obiezione di Madiran rispose a suo tempo l’abbé Lucien, che non si avvalse di tutti gli argomenti storici pubblicati in quest’articolo; eppure, ancor oggi, stimo sempre valida l’accurata risposta che l’abbé Lucien diede a Jean Madiran sui Cahiers de Cassiciacum (75), alla quale rinvio eventualmente il lettore.
Posso aggiungere che l’enunciato della Tesi di Cassiciacum (Giovanni Paolo II non è formalmente Papa) non appartiene direttamente (76) alla fede cattolica, in quanto non è stato (ancora) definito come tale dalla Chiesa: chi riconosce Giovanni Paolo II come legittimo Pontefice non è – per questo – necessariamente fuori dalla Chiesa (77). Allo stesso modo, il Sacrificio della Messa celebrato in comunione con Giovanni Paolo II – pur oggettivamente, non sempre soggettivamente, sacrilego – è pur sempre la Santa Messa (come lo sono le messe celebrate dai greco-scismatici); l’esempio di padre Pio addotto dalla TC (p. 41) (il santo cappuccino celebrò “una cum”) o prova troppo o non prova nulla, in quanto oltre che celebrare in unione con Paolo VI, obbedì anche a Paolo VI (cosa che Mons. Lefebvre e la Fraternità San Pio X si guardarono bene dal fare). A questo proposito, viene a fagiolo l’esempio di San Vincenzo Ferrer, il quale dall’inizio del suo sacerdozio (nel 1378) e per la bellezza di 37 anni testimoniò la Fede e celebrò la Messa in comunione con un (probabile) antipapa. Oggettivamente, ed in foro esterno, il Santo era scismatico, ed era proibito ai cattolici di assistere alla sua Messa, anche se – a causa della buona fede nell’ignoranza invincibile – egli apparteneva almeno in voto alla Chiesa, ne testimoniava la Fede (confermandola coi miracoli) ed offriva a Dio un Sacrificio che gli era gradito. Questo vale mutatis mutandis anche per quei cattolici rimasti integri nella professione pubblica della Fede e che celebrano col rito cattolico, ma che – per ignoranza invincibile (nota solo a Dio) – aderiscono ad una falsa autorità e celebrano conseguentemente in comunione con questa falsa autorità. La pubblica rottura di comunione con Giovanni Paolo II (e la conseguente celebrazione della Messa senza citare il suo nome laddove il Canone prescrive di nominare il Sommo Pontefice) fa parte certamente della pubblica professione della Fede,per coloro beninteso che non sono, a questo proposito, in stato di ignoranza invincibile.
La risposta di fondo comunque anche alla presente obiezione sarà data nel capitolo seguente, riguardante la pacifica accettazione dell’elezione papale quale prova a posteriori della legittimità di un Pontefice. Questione annessa: la pacifica accettazione dell’elezione papale (pp. 28-33; 50-60) “Questione annessa”, cioè, a quella dell’indefettibilità. La TC dà però a questa appendice della questione dell’indefettibilità una grande importanza, consacrandole ben 27 pagine. L’obiezione non è nuova, e ad essa è stato già ampiamente risposto dai sostenitori della Tesi di Cassiciacum (anche se la TC fa credere il contrario, cf p. 33). A quanto scrive al proposito l’abbé Lucien (78) non vi sarebbe nulla da aggiungere, se non fosse che la TC non conosce o fa finta di non conoscere questo testo, che cerca però di confutare in base ad alcune citazioni di Sodalitium. Vediamo allora di cosa si tratta.
Il nostro contraddittore sostiene (p. 30): “è però un fatto dogmatico, cioè un dato che deve essere ammesso come assolutamente certo a causa delle sue connessioni dirette col dogma, che Paolo VI fosse papa nel giorno della sua elezione al Sommo Pontificato [e anche posteriormente – come viene precisato altrove dall’autore]. Il motivo formale su cui si fonda questo fatto dogmatico consiste nel fatto che un nuovo papa, riconosciuto come tale dalla Chiesa dispersa nel mondo, è certamente papa. Che piaccia o no, è quanto è accaduto il 21 giugno 1963, per il cardinale Montini (…). Questo non significa che sia la Chiesa universale ad eleggere il papa, ma che il riconoscimento pacifico da parte sua è il segno che toglie ogni eventuale dubbio”. Questa tesi è costantemente attribuita dalla TC al card. Billot, unico autore citato (79), anche se poi si afferma (p. 57, nota 21) che su di essa vi è il “consenso moralmente unanime dei teologi” il che implica che si tratti di “una sentenza teologicamente certa”, “criterio certo della Divina Rivelazione” (80). Nel rispondere a questa obiezione mi occuperò prima di tutto del valore della tesi (secondo la quale l’accettazione pacifica della Chiesa universale dà la certezza infallibile della legittimità dell’eletto al papato) e poi del suo fondamento. Il valore della “Tesi del card. Billot”: si tratta di una opinione teologica; senza accorgersene lo ammette perfino La Tradizione Cattolica.
E poi: i teologi vanno interpretati alla luce del magistero della Chiesa, o viceversa? Per quel che riguarda il valore della tesi, sostengo, con l’abbé Lucien (p. 108), che,“intesa nel senso assoluto supposto dall’argomento” ripreso dalla TC “è solo un’opinione teologica, e non l’insegnamento della Chiesa o della Rivelazione”.
La TC combatte aspramente questa posizione e mi accusa persino di disonestà (p. 56) per il fatto di sostenerla, ma non si rende conto di trovarsi essa stessa in una contraddizione insanabile (la TC parlerebbe – per farsi capire da tutti – di aporia). Infatti, come ho già notato nella seconda parte di questo articolo parlando della “posizione prudenziale” di Mons. Lefebvre fatta propria dalla TC, è possibile che un giorno la Chiesa ci dica che Paolo VI e Giovanni Paolo II non sono mai stati o hanno cessato di essere Papi; ma allora non è vero che siamo CERTI del fatto che essi sono papi, come viene sostenuto in base alla tesi della “pacifica accettazione della Chiesa”. Di più. La TC scrive (pp. 55-56): “quanto sostiene il dotto cardinale [Billot] è ridotto quindi [da Sodalitium] ad una discutibilissima opinione personale (mentre in realtà si tratta di un fatto dogmatico ammesso da tutti i teologi- Cfr Da Silveira, La Nouvelle Messe de Paul VI: Qu’en penser?, 296)…”. Poiché la TC invoca l’autorità di da Silveira al proposito (e quindi dell’allora Vescovo di Campos che approvò il libro), vediamo cosa possiamo leggervi: “…Consideriamo solo l’ipotesi più importante nella nostra prospettiva: l’elezione di un eretico al pontificato. Cosa succederebbe se un eretico notorio fosse eletto e assumesse il pontificato senza che nessuno ne abbia contestato l’elezione?
A prima vista la risposta a questa domanda è molto semplice in teoria: poiché la Chiesa non può permettere che tutta la Chiesa sia nell’errore a proposito del suo Capo, il Papa pacificamente accettato da tutta la Chiesa è il vero Papa. Sarebbe dovere dei teologi allora, sulla base di questo principio teorico chiaro, di risolvere il problema concreto che si porrebbe: o dimostrare che il Papa non era un eretico notorio e formale al momento dell’elezione; o dimostrare che si è convertito in seguito; o verificare che l’accettazione da parte della Chiesa non è stata pacifica e universale; ancora presentare un’altra spiegazione plausibile. Un esame più approfondito della questione rivelerebbe, tuttavia, che anche da un punto di vista teorico sorge un’importante difficoltà: bisognerebbe determinare con precisione che cos’è questo concetto di accettazione pacifica e universale da parte della Chiesa. Affinché questa accettazione sia pacifica e universale, è sufficiente che nessun cardinale abbia contestato l’elezione? È sufficiente che in un Concilio, per esempio, la quasi totalità dei Vescovi abbia sottoscritto gli atti [del Concilio], riconoscendo per il fatto stesso, implicitamente, che il Papa è il vero Papa? È sufficiente che nessuna voce, o quasi, abbia lanciato un grido d’allarme? Oppure, al contrario, una diffidenza molto generalizzata ma spesso diffusa potrebbe essere sufficiente a distruggere l’accettazione apparentemente pacifica e universale in favore di questo Papa? E se questa diffidenza diventasse un sospetto per numerose menti, un dubbio positivo per molti, una certezza per qualcuno, sussisterebbe questa accettazione pacifica e universale? E se queste diffidenze, sospetti, dubbi e certezze affiorassero di tanto in tanto nelle conversazioni e negli scritti privati, e qua e là nelle pubblicazioni, potremmo ancora qualificare come pacifica e universale l’accettazione di un Papa che era già eretico al L’abbè de Nantes e P. Barbara nel 1968 a Parigi ad una conferenza sul nuovo catechismo diquest’opera rispondere a simili domande. Vogliamo solo formularle, chiedendo a quanti hanno autorità in materia di chiarirle” (81). Stupisce che l’anonimo della TC si sia fermato nella lettura a p. 296, e gli siano sfuggite le pagine 298-299: se le avesse lette, si sarebbe reso conto che esse tolgono ogni valore assoluto e probatorio, e quindi ogni certezza, alla sua tesi…
Si può naturalmente non essere d’accordo con da Silveira. È più difficile invocare però il consenso unanime di tutti i teologi…
Ancor meno ciò è possibile se tra questi teologi vengono a mancare due Papi nell’esercizio del loro magistero pontificio: Paolo IV e San Pio V.
La TC non ignora la Bolla Cum ex apostolatus di Papa Paolo IV (cf pp. 55-58); omette di dire (ma ciò non cambia molto le cose) che questa Bolla fu confermata da Papa San Pio V. La TC però – che dà tanto valore alle opinioni dei teologi (che sono pur sempre dei dottori privati) – non dà nessun valore ad un atto del magistero pontificio qual è la Bolla di Paolo IV, anzi la ridicolizza, come vedremo. Ci viene rimproverato di opporre l’insegnamento di Paolo IV a quello dei teologi (TC, p. 57): la TC dovrebbe guardarsi piuttosto di non opporre l’insegnamento dei teologi a quello del Papa! Vediamo il modo di procedere – veramente sconcertante – della TC al proposito.
Dapprima, Sodalitium (ed io stesso) veniamo sospettati di disonestà intellettuale per il fatto di sostenere che la Bolla di Paolo IV non ha più valore giuridico, e poi che potrebbe essere utilizzata per mettere in dubbio l’assolutezza della tesi detta “di Billot” (p. 55-56). Dipoi, si afferma che Paolo IV, nella sua Bolla, prendeva “in considerazione un caso impossibile” (p. 57, nota 21): “il documento di Paolo IV infatti concerne l’elezione di un eretico a qualunque carica ecclesiastica, compreso il papato. In quest’ultimo caso però la sua applicazione è impossibile, in quanto il caso si rivela metafisicamente impossibile se l’eletto è universalmente riconosciuto” (p. 57) quando invece Paolo IV insegna proprio che se “il Pontefice romano, prima di essere eletto al pontificato, mentre era ancora cardinale, o prima di ricevere la carica pontificia, avesse deviato dalla fede cattolica, o fosse caduto in qualche eresia, la sua elevazione a una dignità superiore o la sua entrata in funzione, anche se decisa di pieno accordo e col consenso unanime di tutti i cardinali, è nulla, non valida, e senza valore alcuno; e l’intronizzazione o il riconoscimento ufficiale dello stesso Pontefice romano, o l’obbedienza datagli da tutti e l’esercizio della sua carica… per una qualunque durata di tempo, non potrebbero essere dichiarate come valide…”.
Quanto al primo punto, non capisco come la TC possa vedere della disonestà intellettuale. Una cosa è sostenere la validità giuridica attuale di un documento; altra cosa è riconoscere il valore dottrinale di un testo magisteriale. Per restare in tema di elezione papale, ad esempio, non ha più valore legale la prescrizione di Giulio II che dichiara invalida l’elezione simoniaca; tuttavia, il documento di Giulio II dimostra che la Chiesa può porre delle condizioni invalidanti l’elezione, tra le quali la simonia, che questa ipotesi cioè NON È (fisicamente o metafisicamente) impossibile. Veniamo dunque al documento di Paolo IV (e San Pio V): sostenere, come fa la TC, che essi hanno legiferato su di un caso “metafisicamente impossibile” non dimostra “con quale zelo la Chiesa veglia sulla purezza della dottrina dei propri pastori” (p. 57, nota 21), ma dimostrerebbe semmai il contrario: ammettendo come possibile un caso impossibile, Paolo IV e San Pio V sarebbero stati poco intelligenti e poco ortodossi (come se avessero pubblicato una Bolla sul sesso degli Angeli – dimostrando poca intelligenza – o su di una eventuale quarta persona della Trinità – dimostrandosi ben poco ortodossi). Dal punto di vista storico, poi, è appurato che per Paolo IV e san Pio V l’ipotesi dell’elezione di un eretico al Sommo Pontificato non era per nulla impossibile, giacché per pochi voti non vennero eletti il card. Pole ed il card. Morone, da loro considerati eretici (quest’ultimo richiuso a Castel Sant’Angelo e processato da Paolo IV) eppure stimatissimi da tanti altri presuli.
Le difficoltà concrete di applicazione della Bolla, i dubbi che possono facilmente sorgere sulla legittimità dei Sommi Pontefici, spiegano come questo punto non sia stato ripreso dai documenti più recenti (esattamente come le disposizioni sull’elezione simoniaca) promulgati in tempi più tranquilli di quelli dell’eresia protestante dilagante; ma è innegabile che concretamente la Bolla di Papa Caraffa ottenne il suo scopo, sbarrando la strada del papato al cardinal Morone, che senza questo documento sarebbe stato probabilmente eletto in Conclave e riconosciuto come legittimo pontefice dai cardinali, e quindi – almeno in un primo tempo - da tutto l’orbe cristiano (82).
In ogni caso, anche se per assurdo la TC considerasse le Bolle di Paolo IV e san Pio V non come documenti del magistero pontificio, quali sono, ma anche solo come espressioni dell’opinione di due teologi chiamati Caraffa (Paolo IV) e Ghisleri (San Pio V), uniti a tutti i cardinali che sottoscrissero le Bolle, deve ammettere che non vi è più quel “consenso moralmente unanime dei teologi” vanamente invocato… Il vero fondamento della tesi dell’accettazione pacifica universale della Chiesa quale infallibile garanzia della legittimità dell’elezione di un Papa è, ancora una volta, l’indefettibilità della Chiesa, la quale non può cadere in errore sulla fede. Anche in questo caso, la Tesi di Cassiciacum non mette in pericolo detta indefettibilità, mentre la posizione della Fraternità conduce a insolubili contraddizioni… Bisogna ora vedere qual è il fondamento della tesi detta “di Billot”, giacché, laddove non si tratta del magistero ma di sentenze di teologi, più che all’autorità di un autore si deve badare al motivo addotto da quest’autore in favore di una determinata tesi. Questo motivo non può essere l’infallibilità della Chiesa, come scrive la TC a p. 31. Infatti, occorre ricordarlo, “tutti i vescovi, SENZA il Papa, NON sono infallibili. Il loro giudizio comune non può quindi fornirci un criterio infallibile nel caso in questione, in cui l’insieme dei Vescovi è considerato necessariamente senza il Papa (poiché è la sua legittimità che è in causa). È d’altra parte tipico – prosegue Lucien – che sono spesso le stesse persone (tradizionaliste) che rifiutano di riconoscere ’infallibilità dei Vescovi CON il Papa [per poter rifiutare la nostra conclusione sull’assenza di autorità] che vorrebbero imporci di riconoscere [per affermare la legittimità del ‘papa’] l’infallibilità di questi stessi Vescovi SENZA il Papa!” (83). A lungo difatti è stata negata l’infallibilità del Magistero ordinario universale, benché definita dal Vaticano I, ovvero del Papa e dei Vescovi, per poter sostenere che il Vaticano II non avrebbe dovuto essere infallibile… E poi la TC vorrebbe dare valore infallibile al consenso dei Vescovi… senza il Papa? (84). Questo motivo non può essere neppure la necessità che ha la Chiesa di “sapere con certezza chi sia il proprio legittimo pastore e chi abbia autorità su di essa” (TC, p. 30). Certo, non siamo noi di Sodalitium che neghiamo l’importanza della questione, al contrario!
È proprio la TC che, contraddicendosi, afferma che su questo punto non c’è nessuna certezza (cf capitolo sulla “posizione prudenziale”) e che è sufficiente “conservare la fede di sempre” e “fare come prima” senza risolvere il problema dell’autorità… Tuttavia, di per sé, è accaduto che la Chiesa non avesse, per un certo tempo, questa certezza, malgrado il criterio della “tesi Billot”: il caso del Grande Scisma lo dimostra in abbondanza, e la TC potrà consultare l’Enciclopedia Cattolica alle voci “Papa” (vol. IX, coll. 764-765) e “Antipapa” per rendersi conto di come, malgrado questo “certissimo” criterio, sussistano ancor oggi dei dubbi sulla legittimità di certi Pontefici e sul conseguente numero dei Papi. Il vero fondamento della “Tesi di Billot”, come rileva Lucien, è quindi ’indefettibilità della Chiesa: ciò che è impossibile è che tutta la Chiesa segua – accettando un falso Pontefice – una falsa regola di fede, e aderisca pertanto all’errore. “L’impossibilità assoluta alla quale si riferisce implicitamente il card. Billot – scrive a ragione Lucien – è che l’insieme dei fedeli aderiscano a una dottrina falsa: questo appartiene immediatamente all’indefettibilità della Chiesa. Ora, riconoscere un falso Papa non significa ancora aderire a una falsa dottrina. Il suddetto riconoscimento non può comportare una tale adesione che nel caso di un atto magisteriale che contiene un errore. Ma abbiamo visto che esisteva un criterio intrinseco di discernimento accessibile a ogni fedele: la non contraddizione riguardo a tutto ciò che è stato già infallibilmente insegnato dalla Chiesa (cf sopra, pp. 17-22, specialmente p. 19). L’indefettibilità della Chiesa implica certissimamente che un eventuale ‘falso papa’ (considerato vero da tutti) non possa definire falsamente un punto dottrinale liberamente discusso nella Chiesa. Nel caso contrario, in effetti, i fedeli sarebbero privi di ogni criterio oggettivo per rifiutare la loro adesione all’errore: sarebbero quindi ineluttabilmente indotti in errore l’indefettibilità della Chiesa sarebbe colpita (è questa la ‘parte di verità’ della tesi del cardinal Billot). Ma l’indefettibilità della Chiesa non si oppone al fatto che un ‘falso papa’ pretenda insegnare ufficialmente un punto già infallibilmente condannato dalla Chiesa. Al contrario, abbiamo allora il segno infallibile che questo falso papa non possiede l’Autorità pontificia divinamente assistita: non concludere a questa assenza di Autorità comporta il rifiutare il Lume provvidenzialmente accordato. Nella situazione attuale, Dio ci ha dato, col Vaticano II, il segno necessario e sufficiente per evitare di cadere nell’errore, e per smascherare i falsi papi. Spetta a ogni fedele accogliere questo Lume, e tirarne le conseguenze pratiche” (85). La Tesi di Cassiciacum non pone quindi un problema insolubile: i fedeli non sono infallibilmente tratti in inganno da un “papa putativo” (come Mons. de Castro Mayer chiamava Giovanni Paolo II) (86), un “papa” solo apparente, al quale sanno di non dovere aderire; al contrario, i partigiani della legittimità di Giovanni Paolo II – come la TC - dovrebbero, se coerenti, abbracciare il suo falso insegnamento, compromettendo, per quanto dipende da loro, la suddetta indefettibilità.
L’ultima obiezione speculativa della TC alla sola Tesi di Cassiciacum è quella di fondarsi su di un “giudizio privato” (pp. 17-20; 34-39). Inanità di questa obiezione, che si riduce a quelle precedenti già risolte la TC ammette che i sostenitori della “Tesi di Cassiciacum” non pretendono di sostituirsi alla Chiesa nel constatare la vacanza (formale) della Sede Apostolica.
Quando diciamo che Giovanni Paolo II non è formalmente Papa, non pretendiamo di parlare a nome della Chiesa e con la sua autorità (cf Lucien, p. 119-120); non solo lo ammette, ma ci loda per questo la stessa TC (pp. 17 e 34). Lode avvelenata: la TC pretende difatti dedurre proprio da questa affermazione delle “gravissime conseguenze”. Vediamo se ciò corrisponde al vero… È lecito, per un cattolico, seguire un “giudizio privato” in materia teologica? E nel nostro caso concreto, un “giudizio privato” sul fatto dogmatico “Giovanni Paolo II non è Papa” comporta delle “gravissime conseguenze”? Un “giudizio privato”, ovvero una conclusione teologica, è una guida sicura per il fedele nella misura in cui detta conclusione è fondata sui dati della fede ed un retto ragionamento.
È invece illecito opporre il proprio “giudizio privato” a quello che viene reputato il magistero della Chiesa, come fa la Fraternità San Pio X Cosa significa “giudizio privato”? Il giudizio è la conclusione di un sillogismo, di un ragionamento: se il ragionamento è corretto, il giudizio sarà vero. Poiché stiamo parlando di cose di fede (la legittimità di un Pontefice è un fatto dogmatico che può appartenere all’oggetto materiale della fede), il ragionamento in questione è un ragionamento teologico che, fondato su almeno una premessa di fede, può giungere ad una conclusione (detta teologica) assolutamente certa, tale cioè da ottenere la piena adesione dell’intelligenza a quella conclusione. Chiamiamo questo giudizio “privato” perché esso non è portato dalla Chiesa, che è divinamente assistita, ma solo da dei teologi (come lo era, indubitabilmente, Padre Guérard des Lauriers) e dei fedeli.
Non vediamo in sé quale problema di principio possa porre il fatto di sostenere una tesi teologica come assolutamente certa, e questo alla luce della fede (il che la Fraternità fa tranquillamente, e a ragione, a proposito del Concilio e della Riforma liturgica). “Certa”, perché rigorosamente dimostrata (con quegli argomenti che la TC omette di esporre, per poterci poi accusare di affermare cose gravissime in modo arbitrario). “Alla luce della fede”, perché la Tesi si avvale nella sua dimostrazione deduttiva di una premessa di fede, unita a dei fatti di osservazione immediata e al principio di non contraddizione (cf. Lucien, p. 11) (87). Per la TC invece il nostro ragionamento sarebbe lungo, complesso, inaccessibile al semplice fedele (p. 35) che dovrebbe fidarsi ciecamente (con derive carismatiche) (ibidem) delle sue guide… L’eleborazione dell’argomento è certamente complessa; non così però la semplice presa di coscienza del fatto che un vero Papa non può insegnare l’errore, darci una messa cattiva, distruggere (nella misura del possibile) la Chiesa. È quanto, in fondo e molto felicemente, scriveva lo stesso Mons. Lefebvre: “un problema grave si pone alla coscienza e alla fede di tutti i cattolici dall’inizio del pontificato di Paolo VI. Come può un papa, vero successore di Pietro, assistito dallo Spirito Santo, presiedere alla distruzione della Chiesa, la più profonda ed estesa della sua storia, nello spazio di così poco tempo, come non era riuscito finora a nessun eresiarca?” (Dichiarazione del 2 agosto 1976; Itinérarires, n. 206, p. 280). A questa domanda, Mons. Lefebvre rispose, nella sua lettera ai cardinali riuniti per il conclave, del 6 ottobre 1978: “Un Papa degno di questo nome e vero successore di Pietro non può dichiarare che si dedicherà all’applicazione del Concilio e delle sue Riforme” (Itinérarires, n. 233, p. 130). Commentava queste parole l’abbé Lucien: “In effetti, la dottrina cattolica sull’assistenza
dello Spirito Santo verso l’Autorità della Chiesa in genere ed il Magistero in particolare ci detta delle affermazioni certe riguardo il fatto dogmatico: Paolo VI non era Papa. Affermazioni che, per il fatto stesso, sono sostenute alla luce della fede. Sì, è impossibile, è una certezza di fede, che un Papa conduca la Chiesa alla sua distruzione con un fiume di riforme imposte nei fatti e autentificate ‘in nome della sua suprema autorità’.
È impossibile in particolare che un Papa promulghi in unione coi vescovi rappresentanti la Chiesa universale un testo conciliare che contraddice un punto di dottrina già fissato. Ciò è impossibile in virtù del magistero ordinario universale (…).
È parimenti impossibile che un vero Papa promulghi, stabilisca nei fatti e imponga un rito della messa ‘pericoloso e nocivo’. Queste sono le certezze della fede, accessibili a tutti, che rispondono alla questione che si pone alla coscienza di tutti i cattolici” (Cahiers de Cassiciacum, n. 5, p. 76). Che Paolo VI e Giovanni Paolo II non avessero l’Autorità è una necessaria conseguenza del fatto – sostenuto anche dalla TC – che il Vaticano II ha errato nel suo insegnamento e che il nuovo messale è moralmente inaccettabile.
Concludiamo: se gli argomenti dei “sedevacantisti, ed in particolare della “Tesi di Cassiciacum”, danno una dimostrazione rigorosa del fatto che Paolo VI non poteva, e Giovanni Paolo II non può essere Papa, tale conclusione s’impone all’intelligenza di tutti i fedeli che sono capaci di coglierla. Essi vi aderiscono con certezza, e devono uniformare la loro condotta a questa verità. Non è necessario, per far ciò, che la Chiesa si sia esplicitamente pronunciata, come non è necessario un intervento del magistero per concludere che piove ed è quindi opportuno munirsi di ombrello.
A questa conclusione (Giovanni Paolo II non è – formalmente – Papa) i fedeli non aderiscono però ancora come a una verità di fede, poiché la Chiesa non l’ha ancora definita come tale; chi rifiuta questa conclusione non è, per il fatto stesso, un eretico che si pone fuori dalla Chiesa (cf Lucien, op. cit., pp. 119-121). Tuttavia, negando questa conclusione teologica, ed affermando che Giovanni Paolo II è Papa, si rischia di dover negare qualche verità di fede (sia accettando il suo insegnamento, che è in contrario in molti punti, al magistero della Chiesa; sia col rifiutarlo, attribuendo quindi l’errore al Papa e alla Chiesa). Risulta in effetti illegittima la posizione della Fraternità San Pio X e della TC, la quale oppone un giudizio privato (sul Vaticano II, sul nuovo messale, sul nuovo codice di diritto canonico, sulle canonizzazioni proclamate da Giovanni Paolo II, sul suo magistero, ecc.) a quello che, secondo loro, è pur sempre il Magistero della Chiesa o la sua disciplina: preferire il proprio giudizio a quello della Chiesa, è l’atteggiamento proprio all’eretico. Neppure nel caso concreto il “giudizio privato”: “Giovanni Paolo II non è Papa”, ci
pone in una situazione dalle “gravissime conseguenze”, come paventa la TC. In effetti, il giudizio della Chiesa al riguardo resta sempre possibile. La TC non è contraria al fatto che un semplice fedele possa, e persino debba, formulare dei “giudizi privati” su materie di per se difficilissime: “naturalmente – scrive – il rifiuto degli altri elementi dottrinali (quale l’ecumenismo, la libertà religiosa, il Novus Ordo…) da parte di ogni ‘tradizionalista’ si colloca in modo completamente diverso rispetto al rifiuto dell’autorità dei pontefici contemporanei, in quanto egli realmente può in tali casi constatare l’incompatibilità tra un insegnamento conciliare e il suo contrario espresso nel magistero dogmatico perenne della Chiesa e quindi l’impossibilità di aderirvi” (pp. 38-39); la Fraternità ne conclude, nella vita morale, che è ad esempio peccaminoso assistere alla nuova messa, anche quando non vi sono altre messe alle quali assistere, in un giorno di precetto… Eppure, la stessa TC esclude che si possa affermare che non è possibile che la Chiesa (quindi un legittimo Papa) abbia potuto darci del veleno (ovvero una dottrina e una liturgia nocivi), anche se questa impossibilità è insegnata dal Concilio Vaticano I (DS 3075) ed è evidente a ogni fedele! Perché? Cerchiamo di capire assieme gli argomenti della TC… In genere, la nostra Tesi inventerebbe una terza soluzione che non esiste tra il giudizio puramente privato, “pronunciato da un soggetto senza autorità, privo di effetti giuridici e normativi” e un “giudizio canonico, cioè per se stesso pubblico, con effetti giuridici, pronunciato dall’autorità competente”. “In sintesi – conclude la TC riassumendo il nostro “errore” – la Tesi di Cassiciacum pretende in qualche modo dimostrare che da un giudizio che si proclama non giuridico scaturiscono effetti de facto giuridici, aventi valore normativo per la condotta di tutti i fedeli” (p. 37, nota 12). Ora, la TC non si accorge che ci rimprovera esattamente quello che essa stessa fa: come abbiamo ricordato, per la Fraternità è lecito e doveroso passare da un giudizio privato (“la nuova messa è cattiva”) ad una vera norma “per la condotta di tutti i fedeli” (“non è lecito assistere alla nuova messa”). Questa inesistente terza posizione tra il giudizio privato che non può obbligare le coscienze ed il giudizio pubblico e canonico della Chiesa per la Fraternità esiste eccome… ma non quando potrebbe contraddire le proprie posizioni! Rispondiamo quindi: il “giudizio privato” è privo di effetti giuridici, concedo; è privo di effetti normativi per la coscienza dei fedeli, lo nego. Se una persona scoprisse di non essere validamente coniugata, ad esempio, sarebbe tenuta a comportarsi da non coniugata quanto alla norma morale, e da coniugata quanto al fatto giuridico. Si tratta di due realtà diverse. Insiste la TC: il caso della legittimità di un Papa, e in genere di “un dato storico e contingente sul quale la Chiesa come tale non si è ancora espressa” (p. 39), non è assimilabile a quello di un insegnamento già definito dalla Chiesa (come ad es. la dottrina sulla libertà religiosa, già condannata dalla Chiesa). Potremmo obbiettare che sulla nuova Messa la Chiesa come tale non si è ancora espressa, eppure a ragione la Fraternità dà un giudizio (privato) negativo che comporta una norma per le coscienze (non vi si può assistere)… Il caso della legittimità di un’‘autorità’ ecclesiastica non è essenzialmente diverso: vi possono essere dei criteri oggettivi, e non solo soggettivi, che ci possono condurre alla conclusione certa della legittimità o illegittimità di tale prelato. In conseguenza, il clero e il popolo hanno il dovere di rompere la comunione ecclesiastica con lui, come fece il clero ed il popolo di Costantinopoli col suo Patriarca Nestorio prima che quest’ultimo fosse condannato al Concilio d’Efeso, al quale partecipò proprio perché non ancora canonicamente deposto. Ma la TC obbietta che il caso del Papa è diverso. E la nostra Tesi cadrebbe nel soggettivismo da tre punti di vista: nell’affermare che tale persona non è Papa prima del giudizio della Chiesa; nell’affermare un domani che tale persona potrebbe essere nuovamente Papa senza che esista un’autorità che lo possa confermare; nel giudicare la Prima Sede, che non può essere giudicata da nessuno.
Contro queste affermazioni, abbiamo quanto già detto dal Cardinal Albani, citato dal Bouix: “il Papa eretico, se torna a resipiscenza prima della sentenza declaratoria [di eresia], recupera ipso facto il pontificato, senza una nuova elezione dei Cardinali…” (Tractatus de Papa, t. I, p. 548). Secondo quest’autore, quindi, il Papa eretico pertinace cesserebbe di essere Papa già prima di una sentenza della Chiesa (contro quanto sostiene la TC) e potrebbe recuperare questa stessa autorità prima di una sentenza della Chiesa (sempre contro quanto sostiene la TC). Questo non esclude che – anche dal punto di vista della Tesi di Cassiciacum – ci possano e ci debbano essere degli interventi dell’autorità della Chiesa. La Tesi infatti postula l’intervento del Concilio generale imperfetto per dichiarare che il ‘papa materialiter’ cessa anche materialmente di occupare la Sede. Secondo la TC ciò sarebbe impossibile, perché sarebbe impossibile per dei cardinali e vescovi anch’essi solo materialiter, (ri)trovare la giurisdizione. Rispondiamo che se ciò è possibile nel caso del Papa, è ancora più possibile in quello dell’episcopato; che in ogni caso detta giurisdizione può venire da Dio, come nell’ipotesi avanzata da P. Zapelena per il frangente del Concilio di Costanza. E ancora, sia nel caso del Papa che in quello dell’episcopato, i criteri sono tutt’altro che soggettivi: poiché l’ostacolo alla ricezione dell’Autorità è l’adesione al Vaticano II e alle sue riforme, è necessario e sufficiente, affinché sia ritrovata l’autorità, che sia pubblicamente condannato il Vaticano II e dichiarate nulle le sue riforme, il che può essere facilmente e incontrovertibilmente
constatato da tutti.
La Prima Sede non può essere giudicata, ricorda la TC, ed è ben vero. Per cui i teologi hanno interpretato i testi del Decreto di Graziano, di Innocenzo III, dei teologi medioevali che affermano che la Prima Sede può essere giudicata (solo) in caso di eresia, in questo senso: “per il fatto che il Papa eretico possa essere giudicato dal Concilio non ne segue che il Papa possa essere sottomesso al Concilio; poiché, divenuto eretico, ormai non è già più Papa” (Card. Albani, in Bouix, p. 547) (88). Quindi, di fatto, è possibile un giudizio del “Papa eretico” (e a maggior ragione dell’eretico eletto ‘papa’). Riassumendo: affermare che Giovanni Paolo II non è Papa formalmente è una conclusione teologica fondata su una premessa di fede (l’infallibilità del magistero ordinario universale, ad esempio) e la constatata contraddizione tra il Vaticano II e l’insegnamento della Chiesa (contraddizione ammessa da Mons. Lefebvre). Tale giudizio è solo privato: può essere norma certa di comportamento, ma non ha valore giuridico: Giovanni Paolo II è ancora ‘papa’ materialmente. Giovanni Paolo II può venire a resipiscenza, condannare il Vaticano II, e divenire formalmente Papa: è dottrina insegnata anche da autori del passato, come il Cardinale Albani, e la cosa è constatabile con evidenza da tutti, senza nessuna necessità di ricorrere al giudizio privato dei “guerardiani”. Allo stesso modo sarebbe a tutti possibile constatare la condanna pubblica del Vaticano II da parte di vescovi materialiter che avrebbero ipso facto, tolto l’ostacolo, l’autorità nella Chiesa. Da chi? – chiede la TC. Da Cristo che la concede a chi ha i titoli alla giurisdizione (titoli dati dal ‘papa’ materialiter).
Notiamo tra l’altro come – in concreto – sedevacantisti di ogni tendenza, sostenitori di Mons. Lefebvre o dell’abbé de Nantes sarebbero tutti d’accordo, almeno nei fatti, in questa felice eventualità, riconoscendo e prestando obbedienza al Sommo Pontefice che condannerà come di dovere il Vaticano II e ne dichiarerà nulle le riforme. Auspichiamo tutti di poter presto vedere questo miracolo morale, impossibile agli uomini, ma non a Dio, che toglierebbe di mezzo lo scisma di fatto che si è introdotto tra di noi.
QUINTA PARTE, nella quale si accenna a delle obiezioni secondarie, di ordine pratico più che teorico
La risposta di Sodalitium alle obiezioni della TC potrebbe dirsi (finalmente!) conclusa, se non fosse che a degli argomenti dottrinali, tutti riconducibili alla questione dell’indefettibilità della Chiesa, la TC aggiunge degli argomenti di ordine pratico, che di per se nulla hanno a che vedere con la questione dibattuta (la Sede vacante). Essi sono: la difficoltà della questione per i fedeli (“una questione di difficile approccio”, pp. 42-43), le consacrazioni episcopali compiute da Mons. Ngo Dinh-Thuc (“l’azione di Mons. Ngo-Dinh-Tuch”, pp. 43-48), la presunta sterilità del sedevacantismo (“i frutti del sedevacantismo”, pp. 48-49). De singulis, pauca. Una questione di difficile approccio? Per la TC la questione (“la sede apostolica è vacante?”) è di difficile approccio; il fedele non può e non è tenuto ad esaminarla, e se alcuni fedeli credono al sedevacantismo, lo fanno piuttosto per la fiducia in chi lo incarna o cerca di spiegarlo. Perciò, i sacerdoti sedevacantisti imporrebbero ai fedeli un peso importabile, come fecero i farisei, e privano i fedeli della Messa “una cum”… A questa obiezione rispondo ricordando come l’obbedienza al Papa legittimo non è cosa di poco conto, ma da essa dipende la salvezza eterna delle anime (Cf ad esempio Bonifacio VIII, DS 875); anche il fedele più semplice capisce che non può salvarsi se disobbedisce al Papa. D’altro lato, anche un semplice fedele può capire che un ‘papa’ che elogia Lutero, prega al muro del pianto, visita le sinagoghe e le moschee, bacia il corano, offre i sacrifici agli dèi, fa adorare la statua di Budda sull’altare di Assisi, si fa iniziare ai culti induisti ecc. NON può essere il “dolce Cristo in terra”, il suo rappresentante visibile. Gli stessi atti di “pentimento” per il passato della Chiesa offrono anche ai più semplici la possibilità di osservare una contraddizione impossibile in colui che dovrebbe essere infallibilmente assistito. La TC ritiene che i fedeli possono e debbono concludere dal fatto che un Concilio Ecumenico ha errato in materie difficili quali la libertà religiosa, o la costituzione della Chiesa, e possono cogliere nel rito della Messa comunemente accettata un’opposizione al Concilio di Trento! E poi non ammette che lo stesso fedele possa concludere che un Papa che si è sbagliato nel promulgare un Concilio e un rito della Messa non sia infallibile… e quindi non sia neppure il Papa! La TC pensa dimostrare il suo asserto quando oppone uno scritto di Mons. Sanborn (che sostiene la necessità dello studio della metafisica aristotelico-tomista per capire la nostra Tesi) ed uno dell’abbé Belmont (il quale spiega che la nostra posizione fa parte dell’esercizio quotidiano della Fede). La contraddizione non esiste. Il catechismo che studiano i bambini che si preparano alla prima comunione e la Somma Teologica di san Tommaso insegnano le stesse verità, che sono esposte però in modo adattato all’età e alla capacità di chi studia. Per capire appieno una tesi teologica come la nostra occorre della scienza teologica; ma l’essenziale di questa tesi (è impossibile che sia Papa colui che insegna quotidianamente l’errore) è alla portata di tutti i fedeli. Né l’abbé Belmont vuol dire che l’esercizio quotidiano della fede consista nella fede cieca dell’ignorante; ricorda però a chi lo dimentica che tutti i fedeli hanno l’abito sovrannaturale della fede che li rende capaci di cogliere le realtà sovrannaturali. I sacerdoti “sedevacantisti” sono convinti che la legittimità di un Papa è “una questione di fede”, ma non impongono per questo le loro conclusioni a chi non sa coglierle e capirne l’intima coerenza, lasciando la cosa al giudizio di Dio; l’atteggiamento farisaico esiste solo nella mente dell’autore dell’articolo della TC. Il quale dovrebbe ricordarsi che la Fraternità stessa insegna che non si deve assistere alle messe celebrate secondo il nuovo rito, e persino alle messe secondo il rito di san Pio V se sono celebrate con l’Indulto (e questo, vista la posizione della Fraternità, non lo capiamo proprio) nonché alle messe dei sedevacantisti, e persino a quelle di sacerdoti che la pensano come loro ma che non hanno ricevuto da loro “giurisdizione” (come nel caso del parroco di Riddes, Epiney, e del suo collaboratore l’abbé Grenon) (89)… Chi è che “priva colpevolmente e inutilmente alcune anime della possibilità di assistere alla Santa Messa…” (p. 43)?
Mons. Thuc non è l’Uomo della Provvidenza… per fortuna!
La TC dedica ben 6 pagine alla figura di Mons. Thuc e alle consacrazioni episcopali da lui compiute (90); se il numero speciale della TC fosse un compito in classe barrerei queste pagine in rosso scrivendo a grossi caratteri: “fuori tema”. La TC infatti si propone di dimostrare che Giovanni Paolo II è Papa, o perlomeno che non si possa dimostrare che non lo è; la questione delle consacrazioni episcopali è allora un tema del tutto estraneo al soggetto. Vi sono sedevacantisti che si oppongono radicalmente alla possibilità di consacrazioni episcopali anche durante la Sede vacante; tutti i discepoli di Mons. Lefebvre sono invece favorevoli alle consacrazioni senza mandato romano (gli sfavorevoli hanno abbandonato anche il lefebvrismo). Non vedo pertanto come questo tema, che divide in maniera trasversale, sedevacantisti e non sedevacantisti, sia attinente alla questione discussa.
Eppure, in realtà, un aggancio col tema c’è, ma non è quello che voleva manifestare la TC. Essa accusa Mons. Thuc di non essere “l’uomo della provvidenza” o “un punto di riferimento”, a causa degli indubbi errori da lui commessi. L’accusa è rivelatrice. La TC sembra avere bisogo di un “Uomo della Provvidenza”, di “un punto di riferimento”, al di là di quei punti di riferimento oggettivi che Dio ci ha dato (Cristo, la Chiesa, il magistero, il Papa). La TC, che ci ha accusato di soggettivismo, di tendenza carismatica, di seguire senza capire i capi del sedevacantismo per la fiducia che portiamo loro (e nulla di ciò è vero) dimostra invece come la sua posizione sia in realtà dipendente dalla fiducia cieca che essa accorda a un uomo, seppur di grande qualità: Mons. Lefebvre e, nella pratica, nei suoi attuali eredi (dotati indubbiamente di minori qualità). È questo il vero, il grande, l’unico argomento che convince i membri della Fraternità ed i suoi fedeli: l’autorità di Mons. Lefebvre, l’ “Uomo della Provvidenza”; che se Mons. Lefebvre avesse dichiarato la vacanza della Sede (come fu più volte sul punto di fare) i veri lefebvriani che fino allora avevano dichiarato: “Giovanni Paolo II è Papa” avrebbero gridato: “Giovanni Paolo II non è Papa” (il fatto, comico di per se, avvenne realmente a Ecône, dopo la predica “sedevacantista” di Mons. Lefebvre nella Pasqua del 1986). Quanto a noi, non conosciamo “uomini della Provvidenza” o “punti di riferimento” al di fuori di quelli datici da Cristo: la sua Chiesa, il papato, l’episcopato. Pensiamo che la Provvidenza si sia servita di Mons. Thuc, come di Mons. Lefebvre o di Mons. de Castro Mayer… ai quali riconosciamo qualità e difetti (91). Quanto alle canonizzazioni, le lasciamo al Papa, credendo – al contrario dei sacerdoti della Fraternità – alla sua infallibilità in materia. “I frutti del sedevacantismo” secondo la TC: sterilità, livore, veleno… (pp. 48-49). Naturalmente, la TC è del tutto immune da queste colpe… Ultimo argomento della TC: la presunta “sterilità” del sedevacantismo. “Li riconoscerete dai loro frutti”, dice il Vangelo, e “non manca chi pensa di poter argomentare contro il sedevacantismo semplicemente constatandone la sterilità” (TC, p. 48). L’autore dell’articolo butta la pietra e nasconde la mano, perché, riguardo a quest’argomento, “ci contentiamo di segnalarlo senza prenderci il lusso di applicarlo noi stessi” (ibidem). Un pochino però lo applica lo stesso: “vi è tuttavia nel sedevacantismo un fattore costante di sterilità che non dipende dalle intenzioni buone o cattive, quanto piuttosto dalla situazione oggettiva in cui viene a trovarsi: su questo pericolo pensiamo di poterci esprimere”. Ed ecco il “pericolo” come lo vede la
TC: il sedevacantista “medio” (?) “non ha più un vero interesse a combattere per il trionfo della verità in una Chiesa che di fatto non può considerare sua a nessun titolo”. Rassicuriamo subito la TC: il trionfo della verità nella Chiesa ci interessa sopra ogni cosa, tanto è vero che sia i sedevacantisti stretti (P. Barbara, a quei tempi) sia i guérardiani hanno contattato i ‘vescovi’ conciliari per spingerli a rivedere il Vaticano II; diciamo piuttosto che “il trionfo della verità nella Chiesa” non si ottiene con delle trattative che hanno come fine un compromesso che è tutto a discapito della verità. Insiste la TC nello spiegare la nostra sterilità: “è giocoforza che alla lunga il sedevacantismo riversi il proprio livore e il proprio veleno non più sul modernismo in quanto tale”
bensì sulla Fraternità San Pio X: “in questo emerge certamente una sterilità cronica” (p. 49). Certo, scriviamo spesso sugli errori della Mons. Bernard Fellay, attuale superiore della Fraternità San Pio X Fraternità, i quali purtroppo non concernono tanto direttamente il riconoscimento di Giovanni Paolo II, quanto delle verità cattoliche (infallibilità del magistero, obbedienza alle legittime autorità, impossibilità di creare dei Tribunali ecclesiatici paralleli a quelli del Papa, o di negare l’infallibilità delle Canonizzazioni ecc.). Tuttavia, per parlare solo di Sodalitium, la questione “Fraternità” è una fra le tante: abbiamo scritto articoli, fatto conferenze e pubblicato libri sulle encicliche di Giovanni Paolo II, su Giovanni XXIII e la storia del Concilio, sui rapporti tra Chiesa e stato, sulla questione ebraica, la Massoneria, lo gnosticismo, sull’attualità politica o la filosofia tomista, e poi sulla vita spirituale, ecc. Sulla vita cristiana vertono praticamente tutte le Omelie domenicali; ad essa consacriamo le fatiche del ministero, l’Apostolato della preghiera, la Crociata eucaristica, la scuola cattolica (presso le suore di Cristo Re), gli esercizi spirituali… Il ritratto che la TC fa del sacerdote e del fedele cosiddetto “sedevacantista” non è un ritratto ma una caricatura.
“Infine, nelle file del sedevacantismo, non manca chi spera di vedere (…) una capitolazione generale della Fraternità San Pio X, e quindi si sforza, da decenni, per dimostrarne l’imminenza” (p. 49). Gli sforzi non sono stati molto difficili, tanto più che l’imminenza della capitolazione ci era confermata spesso dai sacerdoti stessi della Fraternità (che magari scrivono sulla TC) ed era persino denunciata da un Vescovo della Fraternità come un “tradimento”. In realtà, non ci auguriamo questa “capitolazione generale” come non ci auguriamo che la Fraternità resti com’è, sempre più tendente a diventare (lo ha detto l’abbé Simoulin, superiore del Distretto italiano) una “piccola Chiesa”. Noi ci auguriamo che la Fraternità prenda fino in fondo la posizione cattolica contro il modernismo.
Mons. Guérard des Lauriers disse e scrisse sempre che, in questo caso, avrebbe rinunciato ad esercitare il suo episcopato in quanto Mons. Lefebvre avrebbe finalmente compiuto pienamente il suo dovere. La speranza di Mons. Guérard des Lauriers fu delusa: ci auguriamo di poter un giorno combattere fianco a fianco coi sacerdoti della Fraternità san Pio X quando professeranno
integralmente la dottrina cattolica, e ci auguriamo pure, ancor di più, che questo lieto evento si realizzi anche per tutti gli altri sacerdoti cattolici che erroneamente seguono il Concilio, affinché, abbandonate le sue funeste illusioni, riprendano la via interrotta trent’anni fa, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Converta il Signore anche i popoli che, nei secoli passati, si sono separati con l’eresia e lo scisma dalla Sua Chiesa, e si faccia un solo Ovile sotto un solo Pastore!
Preghiamo:“Dio onnipotente ed eterno, che tutti salvi e non vuoi che alcuno perisca, degnati guardare le anime ingannate dalle astuzie del demonio, affinché, rinunciando a tutte le perversità dell’eresia, i loro cuori traviati si ravvedano e ritornino all’unità della tua verità” (Orazione del Venerdì Santo).
“O Dio, che correggi gli erranti, riunisci i dispersi e gli uniti tali conservi, effondi la grazia della tua unione sul popolo cristiano, affinché allontanata ogni divisione, stretto al vero pastore della tua Chiesa, ti possa degnamente servire” (Orazione per togliere lo Scisma).
“Ti supplichiamo umilmente o Signore, affinché la tua immensa pietà conceda alla Sacrosanta Romana Chiesa un Pontefice il quale, e ti sia sempre gradito per il santo zelo verso di noi e sia sempre degno di riverenza presso il tuo popolo per il suo salutare governo a gloria del Tuo nome” (Orazione per l’elezione del Sommo Pontefice)
“Ut in inimicos sanctae Ecclesiae humiliare digneris, Te rogamus, audi nos” (litanie dei Santi).
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Note
1) La Tradizione Cattolica (ad es. a p. 10) per dimostrare l’assoluta opposizione tra il sdevacantismo stretto e la Tesi di Cassiciacum, cita volentieri i miei articoli contro il sedevacantismo stretto, ove scrivo ad esempio: “i sedevacantisti stretti si precludono ogni risposta coerente con la fede o col buon senso a proposito dell’indefettibilità della Chiesa”. Non rinnego quanto ho qui affermato. Devo però aggiungere che tale contraddizione con l’indefettibilità della Chiesa si manifesta soprattutto (e sempre più) nel polemizzare con la Tesi.
Vediamo invece negli scritti di un pioniere del sedevacantismo come Padre Saenz una posizione ben più vicina alla Tesi (cf la nota 19 di questo articolo). Anche L’Union pour la Fidelité (società diretta da Padre Barbara dal 1980 al 1987 e strettamente sedevacantista) esponeva in modo accettabile il problema dell’indefettibilità e dell’apostolicità ammettendo che esistono ancora
“dei vescovi realmente cattolici, benché mancanti nell’esercizio della confessione della fede, e apparentemente integrati in questa nuova chiesa [del Vaticano II]” (Union pour la fidélité, La situation actuelle de l’Eglise et le devoir des catholiques, Ed. Forts dans la Foi, Tours, 1981, p. 149 e, in genere, pp. 131-150). Naturalmente, questa posizione pienamente sedevacantista quanto al ‘papa’, ma che ammetteva in alcuni vescovi quanto negava a Giovanni Paolo II, andava involontariamente nel senso della Tesi ufficialmente aborrita, il che era sottolineato ironicamente nei Cahiers de Cassiciacum (n. 6, maggio 1981, pp. 123-124: Dernière heure: Le R.P. Barbara a [enfin] compris). Lo stesso abbé Grossin, gran nemico della Tesi, ha dovuto senza volere
ammetterne dei principi fondamentali, come risulterà a un altro articolo in questo stesso numero di Sodalitium.
2) UGO BELLOCCHI, Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, Vol. IV, Pio IX, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1995, pp. 463-464.
3) Ibidem, pp. 380-383.
4) “Non posso ammettere che, nella Fraternità, ci si rifiuti di pregare per il Santo Padre [vale a dire nominare Giovanni Paolo II, in quanto Papa, nel canone della Messa] e quindi di riconoscere che c’è un papa” (conferenza spirituale a Ecône del 3 maggio 1979; citato in B. TISSIER DE MALLERAIS, Marcel Lefebvre. Une vie, Clovis, 2002, p. 536). Dal 1982 un giuramento deve essere sottoscritto da tutti gli ordinandi della Fraternità, nel quale essi riconoscono Giovanni Paolo II come Papa.
Chi accetta però di mantenere segreto il proprio sedevacantismo, anche omettendo di nominare Giovanni Paolo II nel canone, è però tollerato nella Fraternità.
5) In un documento del 29 maggio 1980 inviato da Mons. Lefebvre a tre sacerdoti statunitensi della Fraternità San Pio X, affinché fosse da loro sottoscritto, si legge: “Ciò che il vostro Superiore e Vescovo si aspetta da voi: che diate come risposta a quanti vi chiedessero ciò che si deve pensare del papa: la pratica e l’attitudine della Fraternità fin dalle sue origini. E non che diate pubblicamente una posizione, verbalmente o per scritto, contraria all’attitudine della Fraternità, sia a proposito
del papa che dell’invalidità ex se del Novus Ordo. Più chiaramente: sulla questione del papa, la pratica (practice) della Fraternità è di decidere in favore della validità, col beneficio del dubbio; sulla questione del Novus Ordo: la politica (policy) della Fraternità non decide se esso è, per la sua stessa natura, ex se, invalido. Tuttavia, la Fraternità riconosce che la soluzione definitiva di queste
questioni deve necessariamente spettare al Magistero della Chiesa nel futuro, quando sarà restaurata la normalità”. Il testo fu firmato da Mons. Lefebvre e dai tre sacerdoti (Ecône, point final. Numero 10 – nuova serie – della rivista Forts dans la Foi, maggio 1982, p. 68).
6) BERNARD TISSIER DE MALLERAIS, Marcel Lefebvre, une vie, Clovis, Etampes, 2002.
7) Se posso dare un contributo ad una futura nuova edizione della biografia di Mons. Lefebvre, mi permetto di ricordare gli avvenimenti del 1981, nei quali fui direttamente coinvolto. Don Piero Cantoni, professore a Ecône, insegnò durante le sue lezioni che le leggi universali della Chiesa erano garantite dall’infallibilità, e che pertanto era impossibile che la nuova messa (in quanto legge universale della Chiesa) fosse cattiva in se stessa, e che ci si dovesse astenere dall’assistervi [pur mantenendo una preferenza per la Messa di San Pio V]. Tutti i professori di Ecône, con alla testa il direttore, l’abbé Tissier, sostennero don Cantoni, con l’unica eccezione dell’abbé Williamson (attualmente uno dei quattro Vescovi). I seminaristi furono tutti interrogati dal direttore al riguardo; quelli italiani, in genere solidali con don Cantoni, furono promossi agli Ordini (per molti si trattava dell’ordinazione al suddiaconato), anche coloro che dichiararono tranquillamente che durante le vacanze assistevano alla nuova messa. Unico escluso
dall’ordinazione al suddiaconato, il sottoscritto, che considerava illecita, invece, l’assistenza alla nuova messa.
Col rientro di Mons. Lefebvre in seminario, proprio nel mese di giugno, le cose cambiarono. Il Vescovo prese definitivamente posizione contro l’assistenza alla nuova messa. A don Cantoni permise di conservare le sue opinioni, purché non le insegnasse più durante le lezioni, altrimenti, disse, “dovrei chiudere il seminario” fondato sulla Messa tradizionale. Nessuna risposta soddisfacente fu data alla tesi di don Cantoni (e della Chiesa) sull’infallibilità pratica delle leggi universali ecclesiastiche.
Nell’estate don Cantoni, seguito da quasi tutti i seminaristi italiani, lasciò la Fraternità San Pio X e fu incardinato nella diocesi di Massa. In ottobre, al rientro dalle vacanze, il sottoscritto fu ordinato suddiacono. È triste constatare che don Cantoni, trattato in quell’occasione da apostata, non abbia fatto altro che sostenere quanto “prudenzialmente” sosteneva la Fraternità fino al 1975, e che nel 1981 era evidentemente diventato “imprudente” sostenere…
8) Il testo in questione, redatto da don Francesco Ricossa, è attualmente riprodotto in tutte le edizioni del messale per i fedeli, ristampato a cura della Fraternità San Pio X in Italia.
9) In caso di accordo con Giovanni Paolo II, infatti, i seguaci di Mons. Lefebvre torneranno necessariamente alle posizioni del 1969-75. Quelli di Mons. de Castro Mayer, al seguito di Mons. Rifan, di già assistono anche alla nuova messa.
10) La frase continua così: “evitando il più possibile un periodare ed un frasario eminentemente tecnici ed accademici, che spesso hanno avuto l’effetto di rendere inaccessibili queste tematiche a chi, malgrado ciò, si è visto costretto a compiere scelte circa questo delicato problema o comunque a confrontarsi con esso”. Anche questo intento dell’autore è però andato fallito. I lettori della Tradizione Cattolica troveranno nel dossier “un periodare ed un frasario” magari non “eminentemente tecnici” (ovvero teologici) ma non per questo meno “inaccessibili” ai più. Non poteva ad esempio l’autore, amante della semplicità, evitare i termini greci come "aporia” (p. 38 e passim) o “meiosi” (p. 36)?
11) La Tradizione Cattolica allude alla presunta necessità, da parte dei sedevacantisti, di “fare appello (…) alla posizione sostenuta attualmente dalla Fraternità San Pio X” (p. 60). L’Autore intende parlare del fatto che per l’abbé Lucien il rifiuto dei “tradizionalisti” di accettare l’insegnamento di Paolo VI e Giovanni Paolo II e di considerarli nei fatti regola prossima della nostra fede infirmerebbe il principio del riconoscimento di questi pontefici da parte di tutta la Chiesa.
12) Una breve biografia in francese di Padre Joaquin Saenz y Arriaga è stata pubblicata dall’abbé V.M. Zins nella sua rivista Sub tuum praesidium (n. 74, avril 2003, pp. 21-57).
13) MAURICE PINAY, Complot contra la Iglesia, traduccion espanola del dr. Luis Gonzales, ed. Mundo libre, Mexico, 1968, pubblicato con l’imprimatur del 18 aprile 1968 dell’arcivescovo di Hermosillo, Juan Navarrete. Il libro fu stampato in italiano a Roma (31 agosto 1962) e distribuito a tutti i Padri Conciliari nell’ottobre.
L’edizione austriaca è del 20 gennaio 1963, quella venezuelana del 15 dicembre 1963, quelle messicane del 1968 e 1969 (mi servirò dell’edizione del 1969). Il libro fu preparato nei 14 mesi precedenti. Il libro di Maurice Pinay (si tratta di uno pseudonimo) è stato presentato al pubblico italiano anche su Sodalitium, n. 37, aprilemaggio 1994, pp. 33-45: Il complotto giudaico-massonico
contro la Chiesa Romana; questo articolo corrisponde al cap. XX del libro di DON NITOGLIA Per padre il diavolo. Un’introduzione al problema ebraico secondo la tradizione cattolica, SEB, Milano, 2002.
14) Joaquin Sanz Arringa, El antisemitismo y el Concilio Ecumenico. Y que es el progresismo, La hoja de roble, Messico (sine loco et data, ma dopo la apertura della seconda sessione del Concilio); LÉON DE PONCINS, Il problema dei giudei in Concilio, Tipografia Operaia Romana, Roma. In Inghilterra, presso The Britons, Londra (dopo la terza sessione); L’azione giudeo-massonica al Concilio (inviato a tutti i Vescovi, cf Fesquet, p. 504, 29 settembre 1964);
15) Le journal du Concile, tenu par Henri Fesquet, envoyé spécial du journal le Monde, edito da ROBERT MOREL, LE JAS PAR FORCALQUIER, 1966, p. 988. Oltre a Le Monde (17-18 ottobre, pp. 1 e 8; 19 ottobre; 20 ottobre; 21 ottobre) la notizia fu diffusa da Laurentin nel
Figaro (16-17 ottobre; 21 ottobre), La Croix (21 ottobre), Il Messaggero e La Stampa del 15 ottobre. La monumentale Storia del Concilio Vaticano II diretta da GIUSEPPE ALBERIGO (Peeters/Il Mulino, 2001, vol. V, p. 226) parla del fatto (“i vescovi disposti a votare la dichiarazione vengono definiti eretici ed il concilio privo di alcun potere nel mutare l’attitudine antisemita del magistero
della Chiesa”) e segnala in nota che il testo del documento è reperibile nel fondo Moeller, 2546. Il testo contro Nostra aetate risulta sottoscritto da 31 movimenti cattolici di Francia, Stati Uniti, Messico, Spagna, Argentina, Italia, Portogallo, Cile, Austria, Brasile, Germania, Ecuador, Venezuela e Giordania. Il valore di queste sottoscrizioni è però tutto da valutare, poiché tra
esse figura anche la rivista francese Itinéraires, che protestò con veemenza, negando la veridicità del suo appoggio, ed ipotizzando addirittura una “provocazione” dei progressisti per far dichiarare “scismatici” i tradizionalisti” (cfr Jean Madiran, Un schisme pour décembre, in Itinéraires, n. 95, gennaio-agosto 1965, interessante per il contesto e la posizione di Madiran sul Concilio; Jean Madiran, Mesures de sécurités e Analyse d’une provocation, in Itinéraires, n. 98, dicembre 1965, pp. 1- 32). Quando Madiran parla di un falso attribuendolo ai progressisti si sbaglia; l’origine dello scritto è – come gli opuscoli precedenti – messicana.
16) ALBERIGO, op. cit., pp. 224-226 (secondo il quale le critiche non riguardavano particolarmente il n. 4 sugli ebrei); Fesquet, op. cit., pp. 980-981. Il documento (lettera dei tre Padri Conciliari e testo critico a Nostra aetate a nome del Coetus internationalis Patrum si trova nel fondo Carraro, 39). Non riesco a capire perché non fu pubblicato da Mons. Lefebvre in J’accuse le Concile (Ed. St Gabriel, Martigny, 1976), contenente i suoi interventi al Vaticano II, e non se ne faccia menzione da parte di Mons. Tissier nella biografia di Mons. Lefebvre. Provoca altresì stupore il poco spazio dato dalla critica al Concilio alla dottrina del cap. 4 di Nostra aetate.
17) TISSIER, op. cit., pp. 332-334.
18) Nell’ultima votazione del 15 ottobre i non placet furono 250.
19) Scrive La Tradizione cattolica a proposito di padre Saenz: “il fatto che il gesuita messicano – peraltro conosciuto per la capacità di scrivere un libro in poche settimane – nell’opera ‘La Nueva Iglesia Montiniana’, di poco precedente a ‘Sede vacante’, non assuma posizioni sedevacantiste, induce definitivamente a far risalire al 1973 la sua presa di posizione pubblica. Ancora per la
cronaca, ‘La nueva Iglesia montiniana’ conobbe due edizioni: una prima nel 1971 presso ‘The Christian Book Club of America, in California, ed una seconda nel 1972 presso Editores Asociados, Mexico D.F.” (p. 29). Rispondiamo alla T.C.: Padre Saenz dottore in filosofia e teologia, faceva parte del gruppo che editò il libro “Complotto contro la Chiesa”. Il suo “sedevacantismo” fu quindi “preventivo”! Di più. Nel 1969, presso l’abbé de Nantes, fa parte del gruppo “sedevacantista”. Inoltre nel libro ‘La Nueva Iglesia Montiniana’ del 15 agosto 1971 afferma che Paolo VI non è Papa (contrariamente a quanto sostiene la Tradizione Cattolica) da pag. 322 a pag. 326 e da pag. 422 a pag. 430. E ancora: il 9 gennaio 1972, nell’“Assemblea dei difensori della tradizione”,
tenutasi a Roma, sostenne che Paolo VI era ebreo (stesso caso dell’antipapa Anacleto II; cf Antonio Rius Mons Carli, vescovo di Segni, durante il Concilio si oppose ai documenti conciliari Facius, Excomulgado, pp. 136-137). Il 25 gennaio 1972 pubblica: Porqué me excomulgaron? Cisma o Fé. In questo libro (pp. 253-254) scrive, commentando una lettera a Paolo VI di un certo abbé Rayssiguier: “Questa situazione gravissima, che ormai nessuno nega, pone, come espressi nel mio libro ‘La Nueva Iglesia Montiniana’, un problema teologico e pratico di grandissima trascendenza: Giovanni Battista Montini è un vero Papa?
Ho già esposto le diverse opinioni che, tra i sacerdoti e i laici profondamente preoccupati per questa autodemolizione della Chiesa, il cui principale responsabile è senza dubbio Paolo VI, sono state pubblicate nelle diverse parti del mondo. L’autore di questa lettera aderisce espressamente all’opinione dell’abbé Georges de Nantes, di Padre Barbara e di molti altri insigni autori i quali, malgrado le deviazioni del pontefice che essi denunciano, su dei punti che riguardano la fede e la morale, continuano tuttavia a pensare che Giovanni B. Montini sia un vero e legittimo Papa, pur essendo un Papa sviato ed eretico.
Io, ciononostante, penso il contrario: è un Papa de jure, ma non de facto. Vale a dire: conformemente al diritto, è un Papa, ma davanti a Dio non è Papa. La sua elezione, apparentemente legale, fu viziata alla radice. È questa la mia opinione teologica”. Opinione fondata però sulla Fede: “in caso contrario dovremmo ammettere delle conseguenze inspiegabili” che metterebbero in dubbio le parole espresse da Cristo nel Tu es Petrus. Questa posizione (Papa de jure ma non de facto, così simile al materialiter/formaliter di padre Guérard des Lauriers) verrà ripresa nel libro Sede vacante del marzo 1973 (p. 23). L’abbé Zins (op. cit., p. 42) cita un altro passo di Sede vacante (p. 118) nel quale P. Saenz opera una distinzione: “Possiamo pensare con fondamento, ed è così che penso, che prima di questa dichiarazione formale, gli atti di per se invalidi di un Papa che davanti a Dio
non è o non è più Papa, avendo cessato di essere membro della Chiesa, conservano tuttavia il loro valore giuridico in ciò che c’è di legittimo, a causa del principio generale del diritto: ‘in errore communi supplet Ecclesia’, in caso di errore comune, la Chiesa supplisce”. Non penso che sia applicabile il principio “Ecclesia supplet” (l’“Ecclesia” è il Papa), ma in ogni caso si vede come anche
P. Saenz ammetteva un certo qual valore giuridico a degli atti di colui che non era (più) Papa, prima della dichiarazione formale del Concilio imperfetto. La Tesi di Cassiciacum limita questo caso alla sola provvisione delle Sedi, indispensabile per la sussistenza della Chiesa e di per se indipendente dal potere di giurisdizione (i sedevacantisti simpliciter attuali dovrebbero quindi capire
gli argomenti della Tesi al riguardo, invece di condannarli con tanta vivacità!). 20) FRERE FRANÇOIS DE MARIE DES ANGES, Pour l’Eglise. Quarante ans de Contre-Réforme catholique. Tomo III (1969-1978) Contre la dérive schismatique, Ed. Contre-Réforme Catholique, Saint-Parres-lès-Vaudes, 1996, pp. 10-15, 110ss. L’abbé Coache dà la sua versione dei fatti in Les batailles du Combat de la Foi, Chiré, 1993, pp. 77-81.
21) CARLOS A. DISANDRO, Iglesia y pontificato.
Una breve quaestio teologica, Hosteria volante, La Plata, 1988 (riedizione dell’opuscolo del 2 maggio 1969).
22) “Fin dal 1967, l’abbé de Nantes s’inquietò nel vedere alcuni tradizionalisti, certo isolati, mettere in dubbio l’autorità e la legittimità di Paolo VI; il dott. Hugo Kellner, negli Stati Uniti, ad esempio, lo dichiarava decaduto, de facto, dal Sommo Pontificato” (François de Marie des Anges, op. cit., p.107). Quest’informazione è stata confermata dallo scrittore Patrick H. Omlor in una sua lettera del 5 aprile 2003 a don Anthony Cekada, il quale ci ha informato della lettera del dott. Kellner al Cardinale Browne sull’illegittimità del Paolo VI e del Concilio Vaticano II (pagine 6-8 della lettera).
23) Debbo questa informazione al Prof. Lauth stesso (colloquio telefonico del 9 aprile 2003). Su di lui, cf TISSIER, op. cit., p. 476; Un combat pour l’Eglise. La Fraternité Saint Pie X (1970-1995), a cura di B. Tissier de Mallerais, Fraternité Saint-Pie-X, Menzingen, 1997, pp. 8 e 99; R. Lauth, Die verstoßene Kirche, Christian Jerrentrup Verlag, München, 2003, 2 volumi.
24) Anche in Italia, come lo dimostra la pubblicazione delle Lettere dell’abbé Georges de Nantes da parte dell’editore Volpe nel 1969. Nella prefazione di Hilarius si legge: “un Papa eretico, o addirittura miscredente, che attenti alla purezza della dottrina rivelata, ipso facto decade dalla sua funzione primaziale”.
25) Segnaliamo però alla Tradizione cattolica che questo stesso argomento sarà addotto dall’abbé de Nantes (e recentemente da Dom Gérard O.S.B.) per accettare la legittimità del nuovo messale (cfr FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. III, pp. 59 ss, e CRC, n. 30, marzo 1970, pp. 92 ss). Bisogna saper essere coerenti!
26) È questo il punto debole dell’argomentazione dell’abbé de Nantes. Minimizzando il magistero infallibile, pensava e pensa che gli atti conciliari non siano, in linea di principio, garantiti dall’infallibilità; potrebbero quindi essere – nel contempo – erronei, e sottoscritti da un legittimo Papa. È la stessa posizione della Fraternità San Pio X: influenza della scuola d’Action Française?
27) FRERE FRANÇOIS, op. cit., p. 109.
28) CRC, n. 89, febbraio 1975, Frappe à la Tête.
29) FRERE FRANÇOIS, op. cit., pp. 396-397.
30) FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. II, pp. 345-350.
31) FRERE FRANÇOIS, op. cit., pp. 400-410.
32) Il testo, in portoghese, è del 1970. Fu stampato in traduzione francese nel 1975 dalla Diffusion de la Pensée française col titolo: La nouvelle messe de Paul VI. Qu’en penser?. La vendita al pubblico francese fu però ritardata a lungo su domanda della TFP.
33) Questi nuovi studi – notò a suo tempo P. Vinson – li dobbiamo alla penna di P. Guérard des Lauriers…
34) Précisions théologiques sur quelques questions actuellement controversées, editoriale del N. 137 di Itinéraires, novembre 1969, pp. 1-17.
35) La polemica al proposito tra Mons. Lefebvre (e la Fraternità) [che negavano che Mons. Lefebvre avesse sottoscritto Dignitatis humanae e Gaudium et spes] e Padre de Blignières e l’abbé de Nantes (che pubblicavano i documenti che provavano il contrario) è riportata fedelmente da FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. III, p. 391, nota 1.
36) L’attitudine di Mons. Lefebvre in quel periodo è descritta nel II tomo del libro già citato di FRERE FRANÇOIS DE MARIE DES ANGES (p. 138, 146, 149-150; 160-161, 212-214, 291-292, 335-336). In privato, il giudizio di Mons. Lefebvre su Paolo VI era ben diverso da quello che dava in pubblico…
37) ALEXANDRE MONCRIFF, Le combattant de la Foi, in Fideliter, n. 102, nov.-dic. 1994, pp. 69-70.
38) “Mons. Lefebvre ci incoraggiava, un po’ da lontano; addirittura ci riempì di speranza: ‘Avremo la sottoscrizione di 600 Vescovi!’ Ahimè, non ci fu neppure lui” (prefazione di Mons. Guérard des Lauriers alla riedizione del Breve esame critico, edizioni Sainte Jeanne d’Arc, Villegenon, 1983, p. 6).
39) Jean Madiran pubblicò su Itinéraires (n. 139, gennaio 1970, pp. 19-25) una sua “lettera a un vescovo” [Mons. Lefebvre] del 28 novembre 1969. Eccone alcuni stralci: “Mi dite che numerosi vescovi del mondo intero si rendono conto della situazione: benissimo, ma dove sono? Vi ricordate forse, Monsignore, che in altre circostanze e fino alla questione del catechismo inclusivamente, ho direttamente e indirettamente raccomandato a degli ecclesiastici (...) di star tranquilli: di non scoprirsi cioè
inutilmente con delle dichiarazioni pubbliche, di non offrirsi da se stessi senza necessità a una persecuzione (…)
Torno sulla questione per sottolineare (…) l’opinione diversa che ho sulla Messa. Più che un parere è un appello: un appello urgente, una richiesta di soccorso; non per me, ma per il popolo cristiano. Per la messa, bisogna che dei vescovi parlino pubblicamente. Non chiedo loro evidentemente di attaccare la persona di [Paolo VI]: che mettano questa persona tra parentesi, ma che si levino contro l’atto dell’ORDO MISSAE e contro la dottrina che implica (o che a volte enuncia) questo atto incredibile.
Fino ad ora, un solo prete francese, l’abbé de Nantes, e nel mondo intero due cardinali solamente hanno parlato apertamente [sottoscrivendo il Breve esame, composto da Padre Guérard, n.d.a.]. La lunga nota data da un ‘gruppo di teologi’ ne LA PENSEE CATHOLIQUE è di un contenuto utilissimo: ma resta anonima [anch’essa era del P. Guérard, n.d.a.]. Per la messa abbiamo
bisogno di testimoni che dicano il loro nome e mettano sulla bilancia la loro persona e se necessario la loro vita. Che parlino! (…) Non si tratta neppure di prendere l’iniziativa: il Cardinal Ottaviani è andato avanti, non resta che seguirlo e non lasciarlo solo (…)”.
40) I primi a rispondere all’appello di Madiran su Itinérarires furono Padre Calmel O.P. (nello stesso numero 139 nel quale veniva pubblicato l’appello a Mons. Lefebvre), l’abbé Dulac (n. 140, febbraio 1970, p. 31) e Padre Guérard des Lauriers O.P. (n. 142, aprile 1970, pp. 48-50), manifestandosi come l’autore del Breve esame e dell’articolo pubblicato dalla Pensée catholique.
Le tre dichiarazioni furono ripubblicate nel numero speciale di Itinéraires sulla Messa del settembre-ottobre 1970 (n. 146). Padre Calmel parlò. Padre Guérard parlò. L’abbé Dulac parlò. Mons. Lefebvre non parlò.
41) MGR MARCEL LEFEBVRE, Un évêque parle, Dominique Martin Morin, Jarzé, 1974. L’edizione italiana (ed. Rusconi, Milano) è del 1975. Sfogliando il libro ci si accorgerà che tra i “discorsi ed allocuzioni” di Mons. Lefebvre per il 1969 non vi è una sola allusione al problema della nuova messa… Un Vescovo… non parla.
42) Cfr COACHE, op. cit., capitolo XIV. Scrive l’abbé Coache: “Ma nel 1975 non ci fu una Marcia romana.
Essa era stata prevista, avevamo iniziato ad organizzarla, quando il movimento tradizionalista CREDO, con Michel de Saint Pierre, annunciò la messa in cantiere di un gran Pellegrinaggio a Roma per quell’anno 1975, sotto la presidenza di S.E. Mons. Lefebvre; non potevamo far altro che scomparire e cedere il posto” (p. 210) [In realtà, si sarebbe potuto protestare, come fece P. Vinson su Simple lettre]. Mons. Tissier spiega – in parte – cosa accadde: dopo la soppressione della Fraternità da parte del Vescovo di Friburgo (6 maggio 1975) “la replica di Mons. Lefebvre è triplice: il magnifico pellegrinaggio a Roma organizzato dall’associazione Credo per la Pentecoste di quell’Anno Santo presieduto da Mons. Lefebvre con tutto il suo seminario, mostrando così il suo attaccamento alla Roma di sempre; poi una lettera di sottomissione al successore di Pietro, scritta ad Albano il 31 maggio, comportante una supplica per la revisione del suo processo; e infine un ricorso al tribunale della Segnatura apostolica contro la decisione di Mons. Mamie, depositato il 5 giugno” (p. 509).
43) cfr COACHE, op. cit., capitolo X. La Maison Lacordaire di Flavigny fu acquistata nel 1971: vi si riunirono l’abbé Coache, Padre Barbara e Padre Guérard des Lauriers (p. 129). Nel 1973 fu acquistato anche il piccolo seminario di Flavigny, per destinarlo al medesimo uso. Mons. Tissier scrive che l’iniziativa fallì, ma non dice il perché (op. cit., p. 502, n. 5). Lo sappiamo però da una lettera, datata 21 febbraio 1974, dell’abbé Coache a P. Barbara nella quale manifesta il suo scoramento, a causa del rifiuto di Mons. Lefebvre di appoggiare l’iniziativa: “Malgrado le sue buone e affettuose parole, è chiaro che Mons. Lefebvre rifiuta di collaborare per la questione del seminario. (…) Quando gli ho chiesto di segnalare nel suo piccolo bollettino la nostra fondazione
e la collaborazione che aveva detto dovervi portare, ha rifiutato! (…) Ha una grande fifa, d’un lato della reazione dei Vescovi, d’altro lato che gli altri tradizionalisti lo accusino di ‘identificarsi’ col ‘Combat de la Foi’” (Ecône point final, n. 10/1982 di Forts dans la Foi, p. 11, n. 8. In seguito (1986), Mons. Lefebvre chiederà all’abbé Coache la cessione della Maison Lacordaire a Flavigny per
stabilirvi i primi anni del suo seminario. L’abbé Coache è il caso (non l’unico) di un “sedevacantista” (in privato) sempre fedele a Mons. Lefebvre.
44) La Fraternità San Pio X ha sempre sostenuto che tale decreto di soppressione era canonicamente invalido, tanto che Mons. Lefebvre fece ricorso – invano – alla Segnatura Apostolica. Mons. Tissier, nella biografia di Mons. Lefebvre, ammette ora coraggiosamente per la prima volta che il decreto di soppressione era canonicamente valido (op. cit., pp. 508-509).
45) Lettera di Mons. Lefebvre a Paolo VI del 22 giugno 1976, cfr FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. III, p. 424.
46) “Questa Chiesa conciliare è una Chiesa scismatica, perché rompe con la Chiesa cattolica di sempre” (“Qualche riflessione a proposito della sospensione a divinis”, 29 luglio 1976, cfr TISSIER, op. cit., p. 514).
47) “Il concilio, voltando le spalle alla Tradizione e rompendo con la Chiesa del passato, è scismatico. (…) Se ci è certo che la fede insegnata dalla Chiesa per venti secoli non può contenere errori, abbiamo molto meno la certezza assoluta che il papa sia veramente papa. L’eresia, lo scisma, la scomunica ipso facto, l’invalidità dell’elezione, sono altrettante cause che, eventualmente,
possono fare che un papa non lo sia mai stato o non lo sia più. In questo caso, evidentemente molto eccezionale, la Chiesa si troverebbe in una situazione simile a quella che conosce dopo il decesso di un Sommo Pontefice.
Poiché infine un problema grave si pone alla coscienza e alla fede di tutti i cattolici dall’inizio del pontificato di Paolo VI. Come può un papa, vero successore di Pietro, garantito dall’assistenza dello Spirito Santo, presiedere alla distruzione della Chiesa, la più profonda ed estesa della storia, nello spazio di così poco tempo, come nessun eresiarca è mai riuscito a fare? A questa domanda
bisognerà pur rispondere un giorno” (Dichiarazione di Mons. Lefebvre al Figaro del 4 agosto 1976, riprodotta in Monde et vie, n. 264, del 27 agosto 1976; cf TISSIER, op. cit., pp. 514-515; FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. III, p. 433, nota 4).
48) Cf ZINS, op. cit., pp. 53-57.
49) Forts dans la Foi, n. 49, pp. 11 ss. 50) Cf TISSIER, p. 530; FRERE FRANÇOIS, vol. III, p. 434-436; Mgr LEFEBVRE, Le coup de maître de Satan, éd. Saint-Gabriel, 1977, p. 42 ss.
51) La decisione fu dovuta a un attacco di padre Barbara contro una certa Eliane Gaille, la “veggente di Friburgo”, alla quale erano devoti i laici che circondavano Mons. Lefebvre a Ecône.
52) Per le circostanze del fatto, cfr Sodalitium, n. 18, pp. 11-13, DON GIUSEPPE MURRO, Vita di Mons. Guérard des Lauriers.
53) Su Cor Unum n. 4, p. 3 la Dichiarazione di Mons. Lefebvre viene preceduta da una “nota preliminare” che ne spiega il contesto. Essa rinvia a una conferenza del 16 gennaio 1979: “essa concerneva specialmente la questione del Papa” e “rispondeva a quanti mi rimproveravano di essermi recato a Roma per essere interrogato dalla Sacra Congregazione per la [Dottrina
della] Fede”. La presa di posizione sul sedevacantismo è stata causata pertanto dalle trattative iniziate con Giovanni Paolo II nel 1979, e dalla reazione negativa di padre Guérard des Lauriers e altri.
54) Sull’illegittimità di Paolo VI “ho un dubbio serio, e non una evidenza assoluta” (Mons. Lefebvre a Padre Guérard, lettera dell’inizio del 1979, cf Sodalitium, n. 18, p. 12).
55) Scrive La Tradizione cattolica: “Infatti questo passaggio [Mt 28, 20] ha molto imbarazzato Padre Guérard des Lauriers e tuttora chi ne segue la Tesi. La risposta di Padre Guérard è stata piuttosto sconcertante… un’esegesi allucinante” (p. 24). Scriveva don Cantoni: “È evidente che Matteo XXVIII, 20 presenta una grave difficoltà per la tesi in questione. Questo è confermato
dall’esegesi che P. Guérard si vede costretto, benché esitante, a tentare”. Padre Guérard ha ricordato opportunamente che “la tesi di Cassiciacum non è certo fondata sul versetto la cui esegesi è discussa” (Cahiers de Cassiciacum, n. 6, maggio 1981, p. 112). Ha poi ricordato a don Cantoni: “In realtà, se lo stato di crisi nel quale si trova la Chiesa comporta che Matteo XXVIII, 20 ‘presenti – come l’osserva don Cantoni – una grave difficoltà’, questa grave difficoltà non concerne solo la tesi di Cassiciacum; poiché essa è incomparabilmente più grave se si sostiene l’attitudine incoerente della Fraternità fondata da Mons. Lefebvre. Se è molto lodevole in effetti prendere in considerazione ciò che deve accadere alla fine del mondo, è molto più urgente esaminare come si applica il versetto in questione a ciò che accade adesso. Se don Cantoni sostiene incondizionatamente l’esegesi E1, ci deve spiegare com’è compatibile con questa esegesi il suo comportamento attuale. In effetti, chiunque disobbedisce all’'autorità’ adesso, quando professa di riconoscerla come se fosse l’Autorità, afferma in atto, ipso facto, che Cristo non è con l’Autorità adesso come lo era al tempo di Pio XII, o di Pio XI, o di ‘prima’. La differenza, che va fino all’opposizione, tra i due comportamenti pratici, quello di adesso e quello di prima, nei confronti di una Autorità che si suppone essere sempre la stessa, come affermano
don Cantoni e tutto ‘Ecône’, questa differenza esige di assegnare un’altra differenza, che va fino all’opposizione, tra i due rapporti che la pretesa stessa Autorità ha con Cristo, e cioè: il rapporto di ‘adesso’ e quello di ‘prima’.
Che don Cantoni si degni di dirci qual è questa differenza.
Finché se ne astiene, questa astensione costituisce, per la pseudo-dottrina soggiacente al comportamento di Ecône, ‘una grave [e persino gravissima] difficoltà’; al punto che don Cantoni si distrugge da se; con la sua esegesi condanna la sua pseudo-dottrina come erronea” (p. 112).
Maggio 1981… due mesi dopo don Cantoni dava paradossalmente ragione a Padre Guérard des Lauriers abbandonando la Fraternità San Pio X per farsi incardinare nella diocesi di Massa: nuova messa, comunione in mano, concilio Vaticano II ecc. All’altro “don” che come il don Cantoni di allora brandisce “contro gli ‘altri’ Matteo XXVII, 20” mentre calpesta “nei fatti ciò che grida
ad alta voce” [Giovanni Paolo II è Papa] chiediamo la stessa coerenza ed onestà che ebbe don Cantoni nel 1981 (tra l’altro oggi sarebbe trattato molto meglio di come non lo fu allora don Piero…!). Il Cardinal Dario Castrillon Hoyos vi aspetta a braccia aperte, per applicarvi, al momento opportuno, la “Cura-Bisig”.
56) Da questa citazione vediamo come La Tradizione cattolica presenta un concetto incompleto di indefettibilità, limitandola alla pura “continuità nel tempo” della Chiesa gerarchica e visibile. Una Chiesa che si limita a durare nel tempo nella sua struttura gerarchica, ma che altera sostanzialmente la dottrina rivelata (come la chiesa bizantina, ad esempio) non è la vera Chiesa
di Cristo, e non è indefettibile.
57) Ora, se esaminiamo attentamente la dottrina conciliare e post-conciliare da un lato, e quella della Fraternità San Pio X dall’altra, vediamo come le loro posizioni si avvicinano a quelle condannate di Pistoia: per i modernisti, è la Chiesa del passato che avrebbe “offuscato il volto di Cristo” (i figli della Chiesa, tra i quali dei Santi,“ne hanno deturpato il volto, impedendole
di riflettere pienamente l’immagine del suo Signore Crocifisso” Giovanni Paolo II, Tertio Millennio, n. 35, cf Sodalitium, 41, p. 16), ragione per cui Giovanni Paolo II si vede costretto a chiedere perdono per le mancanze di quella Chiesa; per i lefebvriani è la Chiesa di oggi (rappresentata da Paolo VI e Giovanni Paolo II, e dai vescovi in comunione con loro) che avrebbe tradito la
Tradizione.
Come possiamo dedurre da quanto detto, l’indefettibilità della Chiesa dimostra la falsità del modernismo e la falsità del lefebvrismo, non certo la falsità del sedevacantismo, almeno nella posizione della Tesi di Cassiciacum (vedi nota 1 su sedevacantismo stretto e indefettibilità), come dimostrerò meglio rispondendo alle obiezioni.
58) T. ZAPELENA S.J., De Ecclesia Christi, pars apologetica, Roma, Università Gregoriana, 1955, p. 317: Ecclesia in textu evangelico exhibetur et praedicatur perpetua propter primatum”.
59) B. LUCIEN, La situation actuelle de l’autorité dans l’Eglise, Bruxelles, 1985, pp. 7-8.
60) B. LUCIEN, op. cit., p. 117.
61) Almeno fino ad ora. In effetti, in caso di un accordo con Giovanni Paolo II simile a quello sottoscritto dai Vescovi Rangel e Rifan dell’Amministrazione Apostolica San Giovanni Maria Vianney di Campos (Brasile), si può facilmente prevedere che anche la posizione della Fraternità San Pio X sul Concilio e sulla Messa (come quella dei brasiliani, e di coloro che sono sotto la
Commissione Ecclesia Dei), muterà essenzialmente.
62) Alle pagine 24-25. Dire che dal Concilio Vaticano II la “gerarchia cattolica” non insegna più rassicura il lettore; non si tratterebbe di rifiutare un insegnamento, ma di constatare la sua inesistenza, pur gridando ad alta voce che permane la gerarchia con tutti i carismi (inutilizzati) di infallibilità. Di fatto la situazione è ben diversa: Giovanni Paolo II e i vescovi in comunione con lui insegnano quasi quotidianamente, ma il loro insegnamento è rifiutato dai “tradizionalisti”.
63) “La conclusione che si vorrebbe imporci non può coesistere con l’indefettibilità della Chiesa. In effetti, l’assenza di autorità di cui si parla è tale che comporta una sospensione, per un certo tempo, dei poteri di giurisdizione e di magistero nella Chiesa. Durante un certo tempo la Chiesa non sarebbe più retta secondo la forma prevista da Cristo, vale a dire che la Chiesa avrebbe perso uno dei suoi costitutivi essenziali, per cui essa avrebbe – semplicemente – cessato di esistere” (DON PIERO CANTONI,
Reflexions a propos d’une thèse recente sur la situation actuelle de l’Eglise, pro manuscripto, maggio-giugno 1980, p. 9)
64) “Se si considera la Chiesa come Corpo Mistico, Gesù resta con essa ancor oggi mantenendo viva la testimonianza
della Fede e la santificazione mediante degli autentici sacramenti, come pure l’Oblazione del vero Sacrificio.
È ciò che prova l’esistenza di quelli che vengono chiamati ‘tradizionalisti’” (B. LUCIEN, La situation actuelle de l’autorité dans l’Eglise, Bruxelles, 1985, p. 102).
Mons. Guérard fa notare che Mt XXVIII, 20 “concerne espressamente la missione intimata agli Undici a parità”, com’è proprio del potere d’ordine, nel quale tutti i Vescovi hanno i medesimi poteri del Vescovo di Roma (cf. Consacrer des évêques? Supplemento a Sous la bannière, n. 3, gennaio-febbraio 1986, pp. 2 e 6): infatti in questo versetto l’assistenza è promessa a tutti gli apostoli, e non al solo Pietro.
65) ZAPELENA, op. cit., pp. 315-316.
66) Scrive ancora Zapelena: “…la Chiesa, nel testo evangelico, è mostrata e detta perenne a causa del primato.
Quindi, lo stesso primato dev’essere perpetuo. Nota che con questo argomento si dimostra non tanto la necessità di una successione in genere, ma di una successione nella forma monarchica. Infatti, il primato di Pietro come fu istituito da Cristo implica un supremo potere di giurisdizione al quale è sottomesso tutto il corpo ecclesiale ed episcopale. Ora, tale potere sarebbe sovvertito nell’ipotesi di una successione collegiale. In effetti, Pietro, mediante il primato, è costituito principio di unità e di fermezza sia del corpo ecclesiastico che del corpo episcopale (…) Denz. 1821” op. cit., pp. 317-318.
67) Per tutti i riferimenti, cf Sodalitium, n. 55, p. 25.
68) LUCIEN, op. cit., pp. 102-103 e n. 132.
69) Nel suo Tractatus de Papa (Lecoffre, Parigi- Lione, tomo I, 1869, pp. 546-550) il canonista gesuita Marie-Dominique Bouix (1808-1870) cita abbondantemente il De potestate Papae et Concilii del Cardinale Gerolamo Albani (1504-1591) creato Cardinale di San Giovanni alla Porta Latina da San Pio V nel 1570, e così riassume la tesi dell’Albani che ci interessa: “Papa factus haereticus, si resipiscat ante sententiam declaratoriam, jus Pontificium ipso facto recuperat, absque nova Cardinalium electione aliave solemnitate” (“Il Papa eretico, se si ravvede prima della sentenza dichiaratoria, recupera per il fatto stesso il Pontificato, senza una nuova elezione da parte dei Cardinali o una qualunque altra solennità giuridica”). Devo la segnalazione del testo
a Mons. Sanborn, che ringrazio.
70) La possibilità dell’esistenza di questi elettori, e della permanenza materiale delle sedi, è stata ampiamente illustrata da LUCIEN (op. cit., cap. X) e SANBORN (De papatu materiali, sectio secunda, nn. 15-16)
71) Questo può essere detto anche per il sedevacantismo simpliciter? Si rilegga al proposito la nota 1 di questo articolo.
72) Com’è sotto gli occhi di tutti, e come è stato ripetutamente ammesso dallo stesso Paolo VI (e dopo di lui da Giovanni Paolo II); cf R. AMERIO, Iota unum, Ricciardi, 1985, pp. 7-9.
73) “La Chiesa ha il diritto di eleggere il papa, e quindi il diritto di conoscere con certezza l’eletto. Finché persiste il dubbio sull’elezione, e il consenso tacito della Chiesa universale non ha portato rimedio ai possibili vizi dell’elezione, non c’è papa, papa dubius, papa nullus.
In effetti, nota Giovanni di San Tommaso, finché non è manifesta l’elezione pacifica e certa, l’elezione stessa è considerata ancora in corso. E poiché la Chiesa ha un pieno diritto non sul papa certamente eletto ma sull’elezione stessa, essa può prendere tutte le misure necessarie per la sua riuscita. La Chiesa può quindi giudicare un papa dubbio. È in questo modo, continua Giovanni di San Tommaso, che il Concilio di Costanza giudicò i tre papi dubbi di allora, dei quali due furono deposti e il terzo rinunciò al pontificato (II-II, qu. 1-7, a. 3, nn. 10-11; t. VII, p. 254)” (Cardinal Charles Journet, L’Eglise du Verbe incarné, Ed. Saint Augustin, Saint-
Just-la-Pendue, 1998, excursus VIII: L’élection du pape, p. 978). 74) ZAPELENA, op. cit., pars altera apologetico-dogmatica, p. 115. Citato in Sanborn, Il papato materiale, pp. 61-63, nota 7 (di Sodalitium).
75) B. LUCIEN, Jean Madiran et la Thèse de Cassiciacum, in Cahiers de Cassiciacum, n. 5, dicembre 1980, pp. 47-82, in particolare da p. 48 a p. 57 (“I. Il carattere tardivo della Tesi”). L’abbé Lucien nega:
A) l’inferenza: il carattere tardivo della tesi implica la sua improbabilità.
B) il fatto: la tesi è tardiva.
C) il valore dell’argomento che lo sostiene: ‘si può pensare che Dio, a proposito della Chiesa che ha voluto visibile, abbia permesso un inganno così grave, così completo, così durevole…?’
D) la realtà del fatto incluso in questo argomento: l’esistenza di un inganno lungo e completo” (p. 49).
76) Direttamente… Infatti, per difendere la legittimità di Paolo VI e di Giovanni Paolo II la Fraternità San Pio X ha dovuto – e sempre di più col passare del tempo – abbracciare delle posizioni che sono più o meno apertamente in contrasto con la fede cattolica definita.
Quanto alla legittimità di un Papa, si tratta di un “fatto dogmatico”. Per Marin Sola, essa può essere oggetto di fede divina.
77) Cfr B. LUCIEN, La situation actuelle… op. cit., annexe III, pp. 119-121. Vi si legge ad esempio: “L’assenza dell’Autorità divinamente assistita al vertice della Chiesa (..) è certa di una certezza che appartiene alla Fede (…). In questo caso, non bisognerebbe affermare che quanti riconoscono Giovanni Paolo II (e Paolo VI) come formalmente Papa non sono membri effettivi della Chiesa, vale a dire che si trovano fuori dell’appartenenza visibile della Chiesa? (…) Una tale conclusione sarebbe illegittima.
Non bisogna dimenticare, in effetti, che è il magistero vivente ATTUALE, e solo esso, che è divinamente istituito per presentare autenticamente tutto ciò che implica ATTUALMENTE l’oggetto della Fede. Conseguentemente, quanti si oppongono alla nostra presentazione della Rivelazione e della dottrina della Chiesa non si oppongono, per il fatto stesso, di diritto, necessariamente e formalmente, al Magistero stesso della Chiesa (…)”.
78) B. Lucien, La situation actuelle…, op. cit., Annesso I: La légitimité du Pontile Romain, fait, dogmatique, pp. 107-111.
79) Stupisce che la TC citi solo il Billot, quando potrebbe dare maggior peso alla propria posizione invocando ad esempio l’autorità di un Dottore della Chiesa quale sant’Alfonso de’Liguori, come fa il Da Silveira (p. 297) in un libro che sembra essere noto alla TC poiché lo cita (pp. 55-56). Si direbbe che in realtà la TC abbia sotto gli occhi solo lo scritto di Lucien (al quale però non fa esplicita allusione), che per l’appunto parla della “tesi del cardinal Billot”…
80) Notiamo come questo “consenso unanime dei teologi”, così valorizzato dalla TC, viene invece allegramente disprezzato quando riguarda delle tesi sgradite, come quella dell’infallibilità del Papa nelle canonizzazioni…
81) A.X. VIDIGAL DA SILVEIRA, La nouvelle messe de Paul VI: qu’en penser?, ed. francese: DPF, Chiré, 1975, pp. 298-299.
82) Sul contesto storico della Bolla, cfr Sodalitium, n. 36, dicembre 1993-gennaio 1994 (F. RICOSSA, “L’eresia ai vertici della Chiesa” (M. Firpo)… nel XVI secolo; l’incredibile storia del cardinal Morone)
83) LUCIEN, La situation…, op. cit., p. 110.
84) Segnalo altresì che l’argomento addotto dalla TC è molto pericoloso. Il consenso dei Vescovi – lo ricordo - è stato l’argomento utilizzato dall’abbé de Nantes per accettare la legittimità e liceità del Nuovo Messale, argomento ripreso più tardi da Dom Gérard. Non si vede perché detti Vescovi sarebbero infallibili nel riconoscere il Papa, e non lo sarebbero nell’accettare il Novus Ordo Missae. Lo stesso argomento vale per l’accettazione, moralmente unanime, del Vaticano II. La logica dell’anonimo-noto autore della TC lo dovrebbe portare ineluttabilmente all’accettazione del Concilio e della Nuova Messa.
85) LUCIEN, La situation…, op. cit., p. 111.
86) P. Basilio Meramo, membro della Fraternità Sacerdotale San Pio X, Consideracion teologica sobre la Sede Vacante, Madrid, Epifania 1994: “la formula del Papa putativo viene da Mons. de Castro Mayer: fu lui stesso che me lo disse nel 1989 nel seminario di La Reja quando gli chiesi cosa pensasse sul Papa e la Sede Vacante.
Mi disse categoricamente: un eretico non può essere Papa, e questo Papa è un eretico” (p. 42). Per Mons. de Castro Mayer Giovanni Paolo II non era Papa, ma Cristo poteva supplire solo per quegli atti del “papa putativo” che fossero “in favore del bene comune della Chiesa e la salvezza delle anime” (ibidem).
87) Al punto che, se bisogna credere l’abbé de Nantes, Padre Guérard des Lauriers considerava che la conclusione “la Sede è vacante” fosse evidente “senza illazione” (cioè senza fare un vero e proprio ragionamento), e questo proprio nel rispondere all’obiezione dello stesso de Nantes fondata sul fatto che la posizione sedevacantista era solo un “giudizio privato” Cf Frère François, op. cit., vol. III, pp. 110 ss. L’abbé de Nantes è più coerente (almeno in teoria) della TC e della Fraternità San Pio X,
sostenendo che poiché Giovanni Paolo II è ancora Papa, bisogna obbedirgli in tutte le questioni disciplinari.
88) Il pensiero teologico medioevale ha sempre ammesso che la Prima Sede (quella papale) non può essere giudicata da una qualche autorità, tranne nel caso di eresia. I teologi della controriforma hanno cercato di spiegare come questa eccezione non era una vera eccezione, per cui anche in caso di eresia il Concilio non poteva veramente giudicare il Papa. Per i sostenitori della
tesi secondo la quale il Papa eretico non è ancora deposto, ma deve esserlo dal Concilio, i Vescovi non avrebbero potere sul Papa nel giudicarlo e ‘deporlo’, ma solo sull’unione tra il papato e tale persona (è la tesi di Gaetano).
S. Roberto Bellarmino, che giudica questa tesi insufficiente a garantire il fatto che la Prima Sede non può essere giudicata da nessuno, sostiene che il Papa eretico è deposto da Dio, e quando il Concilio lo giudica non è più Papa. Nel caso poi ipotizzato da Paolo IV e San Pio V (eretico eletto al papato) il ‘papa’ in questione non sarebbe mai stato tale, e quindi potrebbe benissimo
essere giudicato dalla Chiesa. Lo stesso ragionamento vale per il “papa dubbio” (e lo abbiamo visto in una citazione di Giovanni di San Tommaso ripresa da Journet): egli può essere giudicato, perché non è Papa.
Vediamo pertanto come, in ogni caso, l’assioma (in se sacrosanto) ricordato dalla TC (“la Prima Sede è giudicata da nessuno”) non possa essere utilizzato contro l’ipotesi sedevacantista..
89) Cf Prise de position du district Suisse de la Fraternité Saint Pie X sur les évènements de Riddes.
Riddes è la parrocchia dove sorge il seminario di Ecône; il suo parroco, Epiney, collabora da sempre con la Fraternità; a causa di questa collaborazione fu, a suo tempo, privato della parrocchia. Nell’anno 2001 ha accolto un sacerdote uscito dalla Fraternità, l’abbé Grenon. Il Superiore del distretto, Pfluger, sostenuto dal superiore generale Mons. Fellay (ex parrocchiano dell’abbé Epiney), ha dichiarato che l’abbé Grenon, non essendo più incardinato nella Fraternità, non può celebrare la Messa, e che se la celebra si tratta di “una messa illecita che non dà meriti e grazie”. I fedeli devono evitare anche la Messa del parroco. Nel suo comunicato, il superiore del distretto invoca per la Fraternità il potere di giurisdizione, il fatto di essere mandata da Cristo, che gli si deva obbedienza (“Chi vi ascolta mi ascolta, chi vi disprezza mi disprezza” Lc. 10,16). Lo stesso comunicato, del gennaio 2002, afferma
che il parroco, incardinato in realtà nella diocesi di Sion, sarebbe costretto a essere “sottomesso alle sue decisioni [della Fraternità] (vale a dire a quelle dell’autorità episcopale)” di Mons. Fellay e non del vescovo diocesano. Il comunicato in questione è gravissimo, e configura la Fraternità come una vera chiesa parallela e scismatica.
90) Benché fuori tema, mi sembra opportuno rispondere qualcosa, almeno in una nota, a quanto scritto sulla TC a proposito delle consacrazioni senza mandato romano operate da Mons. Thuc. La TC pubblica alle pp. 44-45 una lista non esaustiva delle consacrazioni che hanno come origine (a volte ormai lontana) Mons. Thuc, lista che include circa 43 nominativi, attribuendo a Mons. Thuc la consacrazione diretta di 10 vescovi. Penso al riguardo che le consacrazioni attribuibili a Mons. Thuc concernono solo
tre atti da lui compiuti: la consacrazione del 12 gennaio 1976 a Palmar de Troya (5 vescovi), quella di Tolone del 7 maggio 1981 (Mons. Guérard des Lauriers) e quella di Tolone del 17 ottobre 1981 (Mons. Zamora e Carmona).
Bisogna escludere invece quelle supposte e per nulla dimostrate di Laborie e Datassen (a torto però designato dalla TC, p. 47, come capo dell’Unione delle Petites Eglises); Mons. Thuc non ha mai ufficialmente riconosciuto dette consacrazioni, che in ogni caso sarebbero state solo consacrazioni “su condizione” di persone già consacrate e quindi che non hanno ricevuto veramente l’episcopato da lui. Se le cose stanno così, dalla lista pubblicata dalla TC bisogna sottrarre 21 “vescovi” che in realtà nulla hanno a
che vedere con Mons. Thuc. Ulteriormente, bisogna sottrarre i cinque vescovi del Palmar con la loro dubbia discendenza, in quanto nulla hanno a che vedere col sedevacantismo: al Palmar, come a Ecône, si credeva alla legittimità di Paolo VI (e a convincere Mons. Thuc a recarsi al Palmar fu un professore di Ecône, il can. Rivaz). Le consacrazioni di Guérard des Lauriers, Zamora e Carmona, invece, furono compiute fondandosi sulla vacanza (almeno formale) della Sede Apostolica, come dichiarato
pubblicamente nel 1982, e come Giovanni Paolo II ed il Card. Ratzinger hanno perfettamente compreso, unendo in atti ufficiali le consacrazioni in oggetto e la dichiarazione sulla Sede Vacante.
91) Sodalitium non nega i difetti di Mons. Thuc, ed in parte può condividere il giudizio che ha portato su di lui la TC. Tuttavia ricordiamo ai nostri contraddittori la parola evangelica sulla trave e la pagliuzza. La TC rimprovera a Mons. Thuc, tra l’altro:
a) le consacrazioni del Palmar de Troya;
b) la consacrazione di due “vecchi cattolici”;
c) il fatto che tra i discendenti di detti vescovi ci siano persino degli gnostici; d) la “discontinuità delle posizioni di Thuc”
e) l’ “eterogeneità dei consacrati”;
f) i dubbi di alcuni sulla validità delle sue consacrazioni. Rispondiamo: medice, cura te ipsum.Vediamo brevemente i punti segnalati.
A) La consacrazione episcopale al Palmar de Troya (con il rito tradizionale, e per la messa tradizionale) avvenne ad esempio in un quadro “apparizionista”, che non può che screditare la persona di Mons. Thuc: come ha potuto prestar fede a dei falsi veggenti?
Eppure ciò accadde anche a Mons. Lefebvre e persino a Mons. de Castro Mayer. Non voglio certo negare la fede e la serietà di questi due ottimi prelati, eppure anch’essi hanno avuto delle debolezze. Mons. de Castro Mayer, ad esempio, seguì per lunghissimi anni il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, fondatore della T.F.P., uomo di grande cultura e profonda preparazione dottrinale, ma anche idolatrato “guru” dei suoi seguaci, in un clima di vera “setta”, come lo stesso prelato più tardi denunciò. Mons. Lefebvre, benché scettico a proposito di “apparizioni”, non mancò di affidarsi a delle veggenti anche per scelte importantissime: sull’influenza di Claire Ferchaud, di Marthe Robin e delle “apparizioni” di San Damiano scrive persino il suo biografo Tissier (pp. 455,433, 479). Il gruppo dei fedelissimi vallesani proprietari di Ecône seguiva le apparizioni di San Damiano e la veggente di Friburgo, Eliane Gaille (recentemente, il distretto italiano percepisce tra l’altro i fondi provenienti da San Damiano).
In Italia, la TC e l’autore dell’articolo dovrebbero essere perfettamente al corrente di quanto accadde a Rimini, dove il priorato della Fraternità fu fondato in accordo coi fedeli di “Mamma Elvira”, una falsa veggente alla quale Mons. Lefebvre diede però un pieno appoggio.
In questo caso, si può affermare che il bene compiuto dal priorato di Rimini (incluse diverse vocazioni sacerdotali) non può venire da Dio perché mamma Elvira non era una “Donna della Provvidenza”? L’apparizionismo nella Fraternità non riguarda solo le origini: Mons. Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X, ha riconosciuto nell’opera di una veggente, tale Germaine Rossinière (pseudonimo) “un dono del Cielo” e “un tesoro di grazia” che ha ufficialmente presentato nel numero interno della Fraternità, Cor Unum (supplemento al n. 60, giugno 1998). Sono alcuni esempi tra i molti che si potrebbero citare…
B) Si accusa Mons. Thuc di contatti con dei “vecchi cattolici”; io stesso ho visto a Ecône un vescovo “vecchio cattolico” riaccolto nella Chiesa da Mons. Lefebvre (come Mons. Thuc ha fatto da parte sua); un sacerdote e religioso che aveva abbandonato il ministero (a causa dell’Action Française), si era sposato ed era diventato sacerdote greco scismatico, per poi tornare allo stato laicale, insegnò a Ecône ecc.
C) Mons. Thuc non è certo responsabile delle consacrazioni di alcuni guénoniani, che hanno ricevuto l’episcopato (?) da dei vescovi (?) che pretendono di aver ricevuto l’episcopato da lui. Mons. Lefebvre invece è certamente responsabile dell’ordinazione di più di
un sacerdote guénoniano (quindi gnostico) da lui direttamente ordinati, dopo essere stato messo in guardia, prima dell’ordinazione, proprio su questo fatto. Sono convinto che Mons. Lefebvre nulla avesse a che vedere con queste dottrine; ma certo fu imprudente in queste ordinazioni.
D) Quanto alla “discontinuità delle posizioni di Thuc (oscillante tra il sedevacantismo e la riconciliazione col Vaticano)” (TC, p. 47) ci si dimentica le oscillazioni di Mons. Lefebvre tra un possibile sedevacantismo, il tradizionalismo e la riconciliazione col Vaticano:
al punto che firmò e ritrattò il protocollo d’accordo.
E) Passiamo “all’eterogeneità dei consacrati” (TC, p. 47). Mons. Lefebvre ordinò ottimi sacerdoti e – purtroppo – anche sacerdoti scandalosi; in alcuni casi essendo al corrente, purtroppo, di difetti morali decisivi per non ordinare tali candidati. Non si poteva prevedere invece il triste caso di un sacerdote che prima attentò alla vita di Giovanni Paolo II, e poi abbandonò il sacerdozio
(per altri tristi dettagli, si veda la sua autobiografia).
Se tale povero sacerdote fosse stato ordinato da Mons. Thuc, cosa non avrebbero scritto (e peggio ancora detto) i sacerdoti della Fraternità? Non vi sarebbe stata la prova dell’insania di Mons. Thuc? Purtroppo, il Vescovo che ordinò quello sventurato fu Mons. Lefebvre (e non gliene faccio una colpa, poiché non poteva prevedere il futuro).
F) Infine, la TC insinua il dubbio sulla salute mentale di Mons. Thuc e sulla validità delle sue consacrazioni.
Il “dubbio fondato” (p. 47) è basato sulle oscillazioni di Mons. Thuc, sulla “eterogeneità” delle sue consacrazioni, sui dubbi avanzati da terze persone… Abbiamo visto che gli stessi addebiti (seppur in modo diverso) potrebbero essere mossi anche a Mons. Lefebvre, e difatti c’è chi ha negato la validità delle sue ordinazioni e consacrazioni. Su Sodalitium ho assolutamente negato questa tesi inconsistente. La TC dovrebbe negare allo stesso modo la tesi inconsistente che vuol dubitare della validità delle consacrazioni e ordinazioni di Mons. Thuc, non fosse altro per coerenza con quello che la Fraternità stessa ha fatto accettando la validità del sacerdozio dell’abbé Schaeffer, ordinato da Mons. Thuc nel 1981. Quando si tratta di avere un sacerdote in più, gli ordini di Mons. Thuc sono validi; quando si tratta di dissuadere i fedeli dal ricevere la Cresima da un vescovo che ha ricevuto l’episcopato da Mons. Thuc, allora tali ordini sono invalidi o dubbi… Dov’è la coerenza e la buona fede?
Per concludere. Non pretendo certo di essere migliore degli altri, né che il nostro Istituto sia immune da colpe o rimproveri. Non voglio neppure paragonare Mons. Lefebvre a Mons. Thuc; è evidente il ruolo preponderante, la maggiore importanza del prelato francese; tuttavia la Fraternità non può mettere in luce solo quanto onora il suo fondatore, e nascondere sistematicamente
quanto può essere meno onorabile, e potrebbe nuocere alla sua figura di “Uomo della Provvidenza”.
Invitiamo la TC a una maggiore sincerità, oppure a rinunciare a fondare le sue argomentazioni su presunte santità dei propri membri e presunte o vere indegnità dei propri avversari.
AD MAIOREM DEI GLORIAM
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