di Ennemond Beth, Andrée Perrachon, Nicole Buron 1
postato: 19 novembre 2011
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Nonostante il femminismo sia stato uno dei fenomeni sociali più emergenti del XX secolo, poche sono le persone che conoscono le radici ideologiche e i capiscuola di questa corrente. Ma meno ancora sembrano essere coloro che si avvedono degli enormi mali di cui è stata foriera questa utopistica forma di pensiero in termini di cambiamento nella vita di tutti i giorni. È stata operata una vera e propria rivoluzione culturale (soprattutto negli anni Sessanta) i cui terribili effetti sono sotto gli occhi di tutti: instabilità del matrimonio, aumento vertiginoso degli aborti, dei divorzi e delle separazioni, denatalità, figli sempre più abbandonati a sé stessi, famiglie allo sbando, immoralità dilagante, ecc... Non si tratta qui di assolvere l'uomo dalle sue gravi responsabilità in ambito familiare, ma di rifiutare una falsa soluzione ai problemi offerta da una concezione contro-natura della donna e della famiglia, che non tiene assolutamente conto del fine naturale e soprannaturale di questi due soggetti. Va da sé che una vera opera di restaurazione della famiglia passerà inevitabilmente per un ritorno alla concezione cristiana della famiglia e della donna.
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l Prefazione
A partire dalla Rivoluzione Francese si è lentamente sviluppata una corrente di pensiero che rivendica i presunti «diritti della donna». Tale corrente ha ricevuto una propria base dottrinale negli anni '20, ma ha conosciuto il suo momento di massima espansione solamente all'inizio degli anni '70, gli anni della contestazione, per poi scemare quasi completamente ai nostri giorni. Tale declino non è certamente da considerarsi come un fallimento. Al contrario, il movimento femminista è oggi ormai desueto in quanto gli obiettivi che si poneva negli anni di piombo sono stati in buona parte raggiunti. Oggi, la donna ha ottenuto la cosiddetta «parità», gode ormai nella maggior parte dei casi di una propria indipendenza economica e può accedere ai posti più ambiti nel mondo del lavoro o della politica. Essa ha ottenuto la «gestione del proprio utero» (con l'aborto libero e gratuito e con la contraccezione), si è liberata dalla tirannia del marito-padrone (con il divorzio) e si è svincolata dalla schiavitù della culla. Da angelo del focolare, essa si è spesso trasformata in donna in carriera, in manager aziendale o in single che colleziona flirt come fossero francobolli. Eppure, nonostante tali «conquiste», si direbbe che essa non sia affatto più felice o più realizzata di quanto non lo fosse prima. In molti casi, ora essa deve faticosamente gestire due fronti: quello del lavoro e quello della famiglia. La ricerca forsennata della libertà l'ha spesso allontanata dai proprî affetti più cari conducendola all'instabilità in campo sentimentale, mentre l'ingresso nel mondo del lavoro l'ha distolta dal compito gravoso dell'educazione dei figli, producendo ulteriore frustrazione e sensi di colpa. Il suo ingresso nella vita sociale e l'inevitabile confronto con l'uomo le hanno imposto una nuova immagine - più aggressiva e disinibita, come d'altronde la presentano senza sosta i mass media - e la obbligano ad una cura maniacale del proprio corpo (diete, cure di bellezza, vestiti alla moda, ecc...) per essere sempre all'altezza della situazione. In realtà, quando negli anni '20 i marxisti iniziarono a parlare di liberazione della donna, in vista di un nuovo strumento rivoluzionario, non fecero nient'altro che applicare la dottrina del materialismo dialettico-storico alla sfera familiare contrapponendo il marito alla moglie, come già avevano fatto con il proletariato e con la borghesia, e come fecero più tardi nel Sessantotto contrapponendo i figli ai genitori. Il loro fine non era certo la liberazione della donna, ma la rimozione di uno dei maggiori ostacoli alla realizzazione della società socialista: la famiglia quale l'ha forgiata la legge naturale e cristiana. Essi sapevano benissimo che la società occidentale poggia sulla cellula familiare, e che quest'ultima a sua volta si regge su quell'insostituibile colonna che è la moglie-madre. Da qui l'idea satanica di inoculare nella donna l'invidia per l'uomo sussurrandole all'orecchio l'idea di liberarsi una volta per tutte da queste pesanti catene e di vivere la propria vita liberamente e senza tabù. Ciò che appare veramente incredibile è che tale processo di emancipazione sia sopravvissuto al comunismo stesso che l'ha avviato e che si sia realizzato all'interno di una società liberale e consumista ben lontana dall'ideale socialista. Evidentemente, il comunismo, così come il femminismo, non sono stati nient'altro che marionette nelle mani di forze ben più potenti che da dietro le quinte hanno tirato le fila. Ormai non è un mistero che l'Alta Finanza (le Banche ebraiche Kuhn & Loeb, Schiff, Warburg, ecc...) abbia appoggiato economicamente l'ascesa del comunismo in Russia fornendo i fondi necessari a Lenin. Dobbiamo quindi dedurre che quando i padroni del vapore hanno stretto i legacci della borsa il comunismo è morto. La verità è che l'idea di affrancamento della donna, come mezzo per scristianizzare la società, era già stata espressa tra le mura delle Logge massoniche già nell'Ottocento quando il comunismo non era che una delle tante utopie che popolavano l'Europa dei Lumi. Ed è la Massoneria, nemica implacabile della Chiesa cattolica e di Nostro Signore Gesù Cristo, che ancora oggi spinge la donna lontano dal suo insostituibile ruolo quale l'ha tracciato il Creatore e Redentore del mondo: quello di sposa fedele e di generosa plasmatrice delle generazioni future.
Paolo Baroni
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I
Alle sorgenti del femminismo
«Se nella famiglia il marito è il borghese, la donna rappresenta il proletariato».
Friedrich Engels
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«L'uomo fà la legge, la donna fà i costumi». Prendiamo in prestito questo assioma da un ministro dell'Istruzione Pubblica dell'inizio del XX secolo, notoriamente massone, particolarmente preoccupato di sottrarre con tutti i mezzi alla Chiesa la formazione delle giovani 2. Aforisma particolarmente appropriato al nostro argomento: non si può infatti abbordare il problema della famiglia senza trovarlo indissolubilmente legato, soprattutto in questi ultimi cento anni, alla questione dell'emancipazione della donna. «Il XVIII secolo è stato il secolo dei Diritti dell'Uomo, il XIX secolo sarà quello dei Diritti della Donna». Così profetizzava Victor Hugo (1802-1885)... Il «femminismo», come movimento organizzato, è nato sotto la monarchia francese di luglio del 1789. Nel 1791, esso aveva avuto un'esistenza effimera. Alcuni club di donne erano nati sotto l'impulso di Marie-Olympe de Gouges (1748-1793) che aveva pubblicato Les droits de la femme et de la citoyenne («I diritti della donna e della cittadina»). Il 9 brumaio anno II, i club di donne vennero messi al bando e poco dopo Olympe venne ghigliottinata. I suoi giudici avevano pensato - probabilmente come il loro maestro, l'illuminista Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) - che «la donna è fatta per ubbidire; essa deve imparare presto a soffrire, anche l'ingiustizia, e a sopportare i torti di un marito senza lamentarsi». La ben nota misoginia di Napoleone I (1769-1821) traspare nella sua legislazione sull'educazione. La legge del 17 novembre 1797 stabiliva una scuola di ragazze ogni mille abitanti, ma non venne mai messa in vigore 3. Il colossale edificio che l'impero costruì in materia di educazione, l'Università Imperiale, nato dalle leggi del 1802 e del 1808, non prevedeva nessuna disposizione per le giovani. Napoleone dichiarò al Consiglio di Stato: «Non penso che dobbiamo occuparci dell'istruzione per le ragazze; esse possono essere educate unicamente dalle loro madri». Nella società imperiale, le donne persero il primato che era loro sotto l'Ancien Règime nella vita dello spirito. Un certo Pierre-Sylvain Maréchal (1750-1803), giacobino ed ateo selvaggio, pubblicò un «progetto di legge che vietava alle donne di imparare a leggere». All'inizio del XIX secolo, alcune donne in vista sfuggirono alla tutela imposta dal regime: Madame de Staël-Holstein (1776-1817) diede l'esempio, seguita, sotto l'impulso del Romanticismo, da George Sand (1804-1876), da Marie de Agoult (1805-1876), ecc...
Olympe de Gouges | Staël-Holstein | Marie de Agoult |
George Sand | Jean-J. Rousseau | Pierre-S. Maréchal |
Ma queste donne che osavano sfidare l'opinione pubblica erano isolate. E nemmeno nel clima romantico, i primi socialisti francesi - quelli che Engels qualificò come «utopisti» - come Saint-Simon (1760-1825), Barthélemy Prosper Enfantin (1796-1864), Charles Fourier (1772-1837), e altri ancora, associarono il femminismo al socialismo. Anche i teorici del marxismo, Friedrich Engels (1820-1895) e Karl Marx (1818-1883), pur proclamando l'emancipazione della donna, la sua partecipazione, uguale a quella dell'uomo, all'edificazione della società socialista, non si posero affatto la questione della trasformazione del ruolo della donna e di quello della famiglia. Sulla scia di questi filosofi, molte donne si distinsero, il cui nome e i cui scritti sono stati da poco ripresentati grazie al «Movimento di Liberazione della Donna». Dominique Desanti, ad esempio, ha pubblicato nel 1973 un libro su Flora Tristan (1803-1884), una pioniera del femminismo morta nel 1884 4. Dal canto suo, lo stesso anno, Judith Stora-Sandor 5 ha pubblico per i tipi di Maspero le opere scelte di Alexandra Kollontai (1872-1952), marxista della prima ora, preceduta da una copiosa prefazione 6. Perché queste pubblicazioni sono state date alle stampe? «Entriamo - scrive la Desanti - in un tempo in cui le donne non militano più per tale o tal'altro diritto separato, ma per cambiare l'immagine eterna femminile [...] della vergine-madre-sposa. [...] Sull'esempio di Flora, gli adepti del "Movimento di Liberazione della Donna" allargheranno la loro azione fino a proclamare il movimento di trasformazione dei costumi; perché no»? Da parte sua, la scrittrice ebrea Judith Stora-Sandor scrive: «Marxista, (la Kollontai) aspettava la Rivoluzione Sessuale della Rivoluzione socialista e l'avvento di una società senza classi che avrebbe visto il deperimento della famiglia». Che questa disgregazione sia all'opera, non solo nei Paesi dove il marxismo l'ha imposta brutalmente, ma anche nelle nostre società liberali avanzate o meno, è innegabile. Presentandoci le tesi di Alexandra Kollontai, la Stora-Sandor ci propone dunque un «modello».
Flora Tristan | Judith Stora-Sandor | Alexandra Kollontai |
Più di sessant'anni dopo l'elaborazione di questo programma, potremo quindi constatare se è stato realizzato, o almeno in che misura lo è laddove è stato applicato, e verificare se ha portato alla donna la felicità promessa e alla società i benefici dati per scontati.
II
LA TEORIA MARXISTA
LA TEORIA MARXISTA
Innanzitutto, chi era Alexandra Kollontai, che il Festival di Avignone di quest'anno ha ci proposto come un'eroina? Nata nel 1872 in una famiglia ebraica della nobiltà rurale - il padre un Generale russo e la madre finlandese - Alexandra ricevette da quest'ultima un'accurata educazione. Assai rapidamente essa venne attratta dal marxismo. Sostenitrice convinta dell'emancipazione della donna, essa pose la lotta su due piani: la Rivoluzione Sessuale e la liberazione economica, non potendo esistere l'una senza l'altra come condizione sine qua non. Dopo diversi anni passati all'estero dove, con i bolscevichi, si prodigò in qualità di «agitatrice», la Kollontai ritornò in Russia nel 1917. Essa fu la prima donna ad essere eletta prima nel Comitato Esecutivo del Soviet di Pietrogrado, poi nel Comitato Esecutivo Panrusso. Membro del Comitato Centrale del Partito Bolscevico, essa divenne Commissario del Popolo all'Assistenza Pubblica nel primo gabinetto del Governo bolscevico rivoluzionario, poi (nel 1920) Commissario del Popolo alla Sicurezza Sociale. In seguito, la Kollontai occupò alcuni incarichi all'estero in qualità di Ambasciatrice, in Norvegia, a Città del Messico e in Svezia. Tornata a Mosca nel 1945, si spense nel 1952. Le sue biografie ufficiali, quando parlano della sua attività clandestina anteriore al 1917, sono discrete sulle sue idee concernenti la liberazione della donna e la nuova morale. Infatti, le sue tesi sulla disgregazione della famiglia tradizionale, pur partendo dall'analisi di Marx e di Engels, non sono mai state pienamente condivise dai dirigenti bolscevichi dell'epoca rivoluzionaria, ivi compreso Vladimir Lenin (1874-1923). «La sua persona e i suoi scritti - ci dice la Stora-Sandor - divennero abbastanza rapidamente oggetto di scandalo. Il puritanesimo del periodo stalinista non fece che accelerare la sua caduta in disgrazia». Si può anche supporre che le sue funzioni di Ambasciatrice all'estero gli evitarono di subire la sorte dei suoi mariti, che furono tutti giustiziati.
l La famiglia, forma transitoria
Tutta la teoria della Kollontai poggia su questo postulato enunciato da Karl Kautsky (1854-1938): «La forma attuale della famiglia non è l'ultima. Una nuova società creerà un nuovo tipo di famiglia». Sotto un'altra forma, negli scritti di Alexandra Kollontai, questo ritornello ritorna instancabilmente: «La forma attuale della vita matrimoniale è solamente una categoria storica transitoria».
l La famiglia si fonda sul capitale
Emerge poi una seconda nozione, assolutamente essenziale presso i marxisti: lo stretto e fondamentale legame tra i sistemi («processi») economici e le forme sociali. La famiglia borghese si fonda sul capitale, sul profitto individuale. Essa sparirà con la scomparsa del capitalismo. «Nello stesso momento in cui il metodo di produzione capitalista venne proclamato come forma definitiva ed eterna della vita economica dell'umanità, il matrimonio monogamico venne dichiarato istituzione sociale permanente ed intangibile» 7. E ancora: «La proprietà e la famiglia sono strettamente legate; se uno di questi due pilastri del mondo borghese viene scosso, la solidità dell'altro diventa incerta; è per questo motivo che la borghesia ha sempre così accanitamente difeso le basi familiari e continua a difendere con ardore le forme vetuste della struttura matrimoniale odierna. Niente irrita tanto la borghesia quanto l'affermazione degli adepti del socialismo scientifico secondo cui i cambiamenti radicali nella vita familiare sono inevitabili, in vista della riorganizzazione completa della vita economica della società su nuove basi collettivistiche» 8.
l La morte della famiglia, fermento di rivoluzione
Ad ogni modo, constatava la Kollontai nel 1909, l'evoluzione delle forme economiche ha già sprofondato la famiglia in una crisi che la disgrega e distrugge la sua forma antica. «I legami naturali che in passato univano la famiglia formando un'unica cellula sociale indivisibile, si indeboliscono e si spezzano nello stesso momento in cui muoiono le forme economiche che li avevano generati» 9. Questa evoluzione riguarda in primo luogo la popolazione delle città: «Declino della piccola produzione artigianale, trionfo del lavoro meccanizzato, crescita colossale delle città, ritmo febbrile dell’attività industriale e commerciale; questa evoluzione non poteva non riflettersi sulle forme di vita familiare e scuotere le basi, che si credevano incrollabili, della famiglia borghese» 10. Questa disgregazione è visibile in tutte le classi della società, osserva la Kollontai. In particolare, essa nota l'importanza, in questo processo, del lavoro della donna, a cominciare dalle donne della borghesia. Descrivendo la penosa situazione delle famiglie operaie, essa conclude: «Il magro stipendio del marito e la continua domanda da parte del capitale di mani femminili spingono la donna nelle braccia spalancate della produzione capitalista. Ma fin dall'istante in cui le porte della fabbrica si sono chiuse dietro la donna lavoratrice, la sorte della famiglia proletaria è stata decisa. Lentamente, ma inesorabilmente, la vita familiare dell'operaio va disgregandosi. Il focolare si spegne e smette di essere il centro dell'unione dei membri della famiglia» 11. Quanto alla classe contadina, «essa è potuta sopravvivere senza cambiamenti fino ai nostri giorni unicamente grazie al fatto che ha conservato fino alla fine del XIX secolo le vecchie forme di rapporti economici da molto superate e abbandonate dagli altri popoli» 12. Svuotata della sua funzione economica, la famiglia è stata anche spogliata della sua funzione educativa che è passata sempre più a carico della società e dello Stato. La Kollontai termina le sue osservazioni ponendo questa domanda: «Cosa rimane, dopo tutto questo, alla famiglia»? 13. Si potrebbe credere che la Kollontai e, con lei, gli altri pensatori marxisti, si rammarichino di questo processo di disgregazione della famiglia tradizionale. Niente affatto! E bisogna dirlo e ripeterlo, particolarmente a quelli che credono che il marxismo abbia combattuto la miseria delle famiglie operaie, denunciato gli abusi del liberalismo e dato così delle lezioni alla Chiesa. Nulla di più falso! Marx, ad esempio, non rimproverava al liberalismo economico di avere distrutto la famiglia, di aver mandato la donna in fabbrica, di aver degradato la moralità coniugale, di aver strappato i bambini al focolare e moltiplicato i tuguri. Al contrario, egli vedeva nell'odiato liberalismo una tappa necessaria nella distruzione della famiglia tradizionale e nell'evoluzione verso il modello marxista di educazione e di società coniugale. Nella sua opera Marx e la sua dottrina, Lenin cita i seguenti passi cinici de Il Capitale 14: «Ciò non toglie, conclude Marx dopo avere criticato la schiavitù liberale, che la grande industria, grazie al ruolo decisivo che assegna alle donne, agli adolescenti e ai bambini dei due sessi, nei processi di produzione socialmente organizzata e al di fuori della sfera familiare, abbia posto una nuova base economica per una forma superiore di famiglia e di relazione tra i due sessi» 15. In un altro testo, Karl Marx scrive che «la putrefazione è il laboratorio della vita». Egli non poteva dunque che considerare i danni che risultavano dalla concezione liberale dell'uomo e della società come un fermento della rivoluzione da sfruttare. Così, Alexandra Kollontai, nella logica del marxismo, augura e annuncia la morte della famiglia: «La borghesia continui pure a proclamare che i principî familiari sono immutabili e intangibili. La famiglia - la famiglia chiusa e autarchica, strettamente individualistica di oggi - è destinata alla dispersione e alla morte. Sotto gli occhi del mondo intero, il focolare domestico si spegne in tutte le classi e in tutti gli strati della popolazione, e - sia ben chiaro - nessuna misura artificiale potrà rianimare la sua fiamma morente» 16. «La lenta evoluzione delle relazioni sessuali che si avvera sotto i nostri occhi, manifesta nettamente che il matrimonio rituale e la famiglia chiusa e costrittiva sono destinati alla scomparsa» 17. «I sostenitori degli attuali principî familiari avranno un bel da dire, ma la tendenza dell'evoluzione sociale manifesta che la famiglia chiusa che esiste ancora, vive i suoi ultimi giorni ed è irrimediabilmente condannata a perire insieme alla società di classi antagoniste» 18.
l Una nuova forma di famiglia?
Su questa famiglia morta, quale nuova forma di famiglia si ricostituirà? È inutile cercarla o immaginarla. Ed ecco apparire uno dei fondamenti essenziali di tutta la filosofia marxista (che d'altronde è il coronamento, la conclusione e la sintesi di tutta la filosofia moderna). «Chiunque conosca le tesi fondamentali del materialismo storico sa che gli uomini sono incapaci di modificare a loro piacimento le forme della vita sociale, poiché queste forme derivano logicamente dai rapporti di produzione economica esistenti. Tutto ciò che si può fare, è cogliere al volo la tendenza dell'evoluzione che sta già attuandosi nell'organismo sociale, e accelerare il ritmo di questo processo di trasformazione che generalmente non si realizza senza dolore» 19. In altre parole: per un marxista, l'azione umana consiste unicamente nel cogliere le opportunità che gli permetteranno di mettere in atto le trasformazioni che determinano la continua evoluzione della Storia. L'uomo esiste ed è più uomo nella misura in cui esercita un'azione materiale più potente, un'azione generale di trasformazione radicale e continua dell'Universo. Non si tratta dunque di cercare quale sarà la deriva dell'evoluzione. Per un marxista ciò non avrebbe del resto alcun senso poiché contano solo il movimento e l'azione. Ci saranno dunque delle nuove forme di vita sociale, una nuova forma di famiglia e dei nuovi rapporti tra i sessi... e tutto ciò sarà determinato dall'evoluzione dei rapporti di produzione. «Il capitalismo distrugge la famiglia, ma il processo di socializzazione della produzione contribuirà alla creazione di nuove forme di vita sociale comune» 20. «La crisi sessuale è irrisolvibile senza una riforma fondamentale della psicologia umana, senza l'incremento del "potenziale d'amore". Ma questa riforma psichica dipende interamente dalla riorganizzazione fondamentale dei nostri rapporti socio-economici su basi comuniste. All'infuori di questa "vecchia verità", non c'è via d'uscita» 21. «La liberazione della donna non può avverarsi che mediante una trasformazione radicale della vita quotidiana. E la vita quotidiana stessa verrà cambiata unicamente da una ricostruzione radicale di tutta la produzione sulle nuove basi dell'economia comunista» 22.
l Un uomo nuovo, una donna nuova
La famiglia non è l'unica che verrà modificata; l'uomo stesso diverrà un «uomo nuovo», e la donna diventerà anch'essa una «donna nuova». «Le nuove condizioni della produzione e il nuovo sistema generano un nuovo stile di vita; tale stile trasformato creerà a suo volta uomini nuovi, dei comunisti autentici per lo spirito e la volontà» 23. «Il modello fondamentale di donna è in stretta dipendenza con lo sviluppo economico dell'umanità. Con il cambiamento delle condizioni economiche, con l'evoluzione dei rapporti di produzione, si verificherà anche un cambiamento nell'aspetto psicologico della donna. La nuova donna, in quanto modello, potrà apparire solamente con l'incremento quantitativo delle forze di lavoro femminili salariate» 24. Quindi, la liberazione della donna si otterrà mediante il trasferimento dei suoi onerosi doveri domestici ed educativi alla collettività. Parecchi testi della Kollontai insistono su questa necessità. Citiamo il più importante di essi: «Per dare alla donna la possibilità di partecipare al lavoro produttivo senza fare violenza alla sua natura, senza obbligarla a rompere con la maternità, bisogna fare un secondo passo: occorre togliere dalle sue spalle tutte le preoccupazioni legate alla maternità ed incaricarne la collettività, facendo in modo che l'educazione dei figli esca dalla cornice della struttura familiare per diventare un'istituzione sociale, una questione di Stato. La maternità inizia ad essere considerata sotto un nuovo punto di vista: il potere dei "soviet" riconosce che esso costituisce un problema sociale. Partendo da questo principio, il potere dei "soviet" sta prendendo una serie di misure destinate a liberare la donna dal fardello della maternità per trasmetterlo allo Stato» 25.
l Il «nuovo amore»
È su queste basi che si edificheranno i nuovi rapporti tra i sessi e il «nuovo amore». «Il passaggio della funzione educatrice dalla famiglia alla società farà scomparire gli ultimi legami che rendevano chiusa la cellula familiare: la vecchia famiglia borghese comincerà a disgregarsi più velocemente ancora e, nell'atmosfera ambientale, si vedranno stagliarsi senza posa e con una crescente nitidezza i profili ancora fragili dei futuri rapporti coniugali. L'attuale forma costrittiva del matrimonio cederà il posto alla libera unione di individui liberi» 26. Questa libera unione di individui liberi, non dev'essere legalizzata da nessuno. Essa nascerà «da una riforma radicale di tutti i rapporti sociali tra gli uomini. Bisogna che le norme della morale sessuale, e con esse tutta la psicologia umana, subiscano una profonda e fondamentale evoluzione». Questi testi sono del 1909. Nel 1918, la Kollontai pubblicò La nuova morale e la classe operaia. Secondo la Stora-Sandor, questo libro era il suo «credo» della Rivoluzione Sessuale. «Il grande amore - dichiara Alexandra Kollontai - l'unione profonda dell'anima e del corpo è, e resterà l'ideale dell'umanità». Naturalmente, questo grande amore non sarà vissuto che nel proletariato: «Se c'è una classe capace, nella struttura economica attuale, di percepire le nuove norme appena visibili della futura morale sessuale, questa è evidentemente e innanzitutto il proletariato» 27. La «nuova donna» verrà preparata a vivere questo grande amore mediante l'esercizio dell'«amore-gioco», dell'«amicizia erotica»... Affinché i rapporti più liberi non provochino nella donna la paura «del crollo», è indispensabile rivedere tutto il bagaglio morale di cui si munisce la ragazza che entra nella vita. Solo allora essa sarà pronta a diventare una «donna nuova [...], innamorata dell'indipendenza [...], in cui il tratto caratteristico sarà l'affermazione di sé» (paradossalmente, come la donna-manager capitalista; N.d.T.). «La separazione del matrimonio dalla cucina» e il dovere da parte dello Stato di educare la prole, libereranno la nuova Eva. Non essendosi realizzata nessuna di queste perentorie affermazioni, nel 1923 Alexandra Kollontai ritornò su questo argomento in un articolo intitolato «L'ideologia proletaria e l'amore». Dopo cinque anni di lotte rivoluzionarie, l'«enigma dell'amore» si poneva ancora... Tuttavia, l'amore libero tra individui liberi è all'orizzonte. «Ora che la Rivoluzione in Russia l'ha importato e si è consolidato, ora che l'uomo non è più interamente assorbito dall'atmosfera della lotta rivoluzionaria, il tenero "eros alato", provvisoriamente confinato nel magazzino degli attrezzi, ricomincia a far valere i suoi diritti» 28. «L'ideologia della classe operaia insegue l'Eros senza ali, la concupiscenza, la soddisfazione carnale egoista con l'aiuto della prostituzione, la trasformazione dell'atto sessuale in un atto finalizzato a sé stesso del genere "piacere facile"» 29. «L'"Eros alato” si presenterà sotto forma di amore cameratista: il collettivismo di spirito e di volontà prevarrà sulla fatuità individualista [...]. I sentimenti degli uomini si volgeranno verso lo sviluppo della coscienza sociale, mentre la disuguaglianza dei sessi, sepolta nella memoria dei secoli passati, sarà sparita senza lasciare tracce» 30. «La morale borghese esigeva tutto per l'essere amato; la morale proletaria ordina: tutto per la collettività» 31. A chi obiettava che questo amore liberato dalla morale borghese appariva tuttavia insopportabile, Alexandra Kollontai ribatteva: «Sì, l'ideologia proletaria forgia inevitabilmente la sua morale di classe e quindi impone direttamente certe catene ai sentimenti [...]. Ma rammaricarsi del fatto che la classe operaia imprima il suo sigillo anche sui rapporti tra i sessi, significa non guardare verso l'avvenire [...]. Non dimenticate che l'amore cambia e si trasforma inevitabilmente con le basi economiche e culturali dell'umanità» 32.
l La «nuova società»
Grazie a queste nuove relazioni tra i sessi, inevitabilmente sorgerà una nuova società: essa sarà senza dubbio il paradiso in terra. Accontentiamoci di citare un passo che contiene tutta la teoria di Alexandra Kollontai: «Non c'è più niente da dire: la vecchia famiglia ha fatto il suo tempo [...]. La famiglia smette di essere necessaria allo Stato, come lo era nel passato: al contrario, essa distoglie inutilmente le lavoratrici da un lavoro più produttivo e molto più serio. La famiglia non è più necessaria ai membri della famiglia poiché il compito dell'educazione [...] passa sempre di più nelle mani della collettività. Ma sulle rovine della vecchia famiglia si vedrà presto spuntare una nuova forma che comporterà delle relazioni completamente diverse tra l'uomo e la donna, e che sarà l'unione d'affetto e di cameratismo, l'unione di due membri uguali della società comunista, entrambi liberi, entrambi indipendenti, entrambi lavoratori. Niente più "schiavitù" domestica delle donne! Niente più disuguaglianze in seno alla famiglia! [...]. Niente più preoccupazioni neanche per la sorte dei figli. Sarà lo Stato dei lavoratori che se ne incaricherà. Il matrimonio verrà epurato da ogni aspetto materiale, da ogni calcolo di denaro, questa piaga orrenda dell'odierna vita di famiglia. Il matrimonio si trasformerà in un'associazione sublime di due anime che si amano [...]. Ecco l'unione libera, ma forte per lo spirito di cameratismo che la ispirerà, al posto della schiavitù coniugale del passato, che porterà all'uomo e alla donna la società comunista di domani [...]. Una strada per i bambini sani e fiorenti, una strada per la gioventù vigorosa, innamorata della vita e delle sue gioie, libera nelle sue gratificazioni e nei suoi affetti. Questo è il motto della società comunista [...]. Le bandiere rosse della Rivoluzione sociale che, dopo la Russia, inalberano altri Paesi del mondo, ci annunciano già l'avvento non lontano del paradiso terrestre al quale, da secoli, aspira l'umanità» 33.
III
LA REALTÀ COMUNISTA
LA REALTÀ COMUNISTA
Come abbiamo già detto, i primi dirigenti dell'U.R.S.S., e in particolare Lenin, non intendevano prendere in considerazione i propositi di Alexandra Kollontai. Il «grande amore» e «l'Eros alato» erano l'ultimo dei loro pensieri... Tuttavia, essi non ricusavano la teoria di Marx che scriveva: «La famiglia non può essere concepita come cellula di base della società [...]. L'abolizione positiva della proprietà privata, l'appropriazione della vita umana, significano la soppressione positiva di ogni alienazione, e di conseguenza il ritorno dell'uomo fuori dalla religione, dalla famiglia, dallo Stato [...] alla sua esistenza umana, ossia sociale» 34.
l La legislazione familiare nell'Unione Sovietica
Dato che la Legge deve guidare i costumi, possiamo dunque a buon diritto seguire l'evoluzione della legislazione in U.R.S.S. attraverso i diversi Codici di Famiglia. Il primo Codice di Famiglia è del 1918: solo il matrimonio civile veniva riconosciuto come valido, e il nome scelto dai coniugi poteva essere quello dell'uomo o della donna. I figli legittimi o illegittimi godevano degli stessi diritti; l'aborto era libero e gratuito. Ma nel 1927 entrò in vigore un nuovo Codice di Famiglia: anche se le disposizioni legislative cambiavano di poco, si accesero appassionati dibattiti: i deputati delle diverse Repubbliche erano intenzionati a preservare una certa «morale». I matrimoni «non registrati» erano ancora riconosciuti, ma non beneficiavano degli stessi vantaggi dei matrimoni registrati. Il diritto all'aborto era stato mantenuto. Nel 1936, venne introdotto un nuovo Codice di Famiglia: esso aboliva il diritto all'aborto. L'editoriale della Pravda commentò il progetto di Legge e insistette sul suo aspetto essenziale: «Il rafforzamento della famiglia sovietica e la lotta contro l'atteggiamento leggero e negligente verso il matrimonio». Nel 1944, l'evoluzione si precisò: solo i matrimoni registrati beneficiavano della protezione della Legge; le madri con una famiglia numerosa venivano lodate. L'aborto restava vietato. Ora il divorzio dipendeva non solo dai tribunali, ma anche dal Codice civile. Nel 1968, una certa liberalizzazione venne introdotta nella Legge, ma l'Izvestia fece questo commento: «La morale e il diritto proteggono la famiglia consolidandola e incoraggiandola». L'accento venne messo su quell'impegno «molto serio» che è il matrimonio, particolarmente per la donna che dev'essere «preferibilmente vergine». Il testo di Legge comportava anche una «cerimonia solenne».
l Le necessità della tattica
Questi richiami allo «sviluppo e al rafforzamento della famiglia sovietica» e alla «morale» protettiva, potrebbero dare l'illusione che il marxismo sia stato il nuovo paladino della famiglia rinnovata... Ciò significherebbe dimenticare che il marxismo è una «prassi». Su questo punto, Judith Stora-Sandor non si lascia ingannare. Nella sua prefazione si legge: «Spesso, la legislazione si è conformata alla morale tradizionale per ragioni tattiche». È accaduto per la politica familiare in U.R.S.S. ciò che è accaduto in tutti i campi della politica interna. Lo storico francese Alain Besançon, nel suo Court traité de soviétologie («Breve trattato di sovietologia») 35, ci fornisce la «chiave di lettura» di queste variazioni. Il Partito Comunista «costringe la società civile ad entrare nei quadri predeterminati dall'ideologia». A volte esso è costretto ad una specie di «ritirata del potere ideologico» dalla resistenza che gli oppone la società stessa, o dai gravi danni che l'ideologia arreca a quest’ultima... Un studio storico ci permetterebbe di scoprire i secondi fini che hanno orientato i diversi Codici di Famiglia. Così, una politica natalista è stata portata avanti in tempo di guerra, o per salvaguardare l'imperialismo pan-russo sui Paesi dominati dall'U.R.S.S.
l La testimonianza della Storia
Se ci si attiene alla semplice osservazione dei fatti, che cosa si può constatare? Evocheremo qui una testimonianza recente, quella di Hedrick Smith, un giornalista americano che soggiornò quattro anni in Unione Sovietica con la ferma volontà di entrare in contatto con gli autoctoni. Nel suo libro Les Russes (Ed. Belfond 1976), ecco ciò che scrive a proposito della donna e della famiglia: «A dispetto dell'enorme propaganda della stampa, le donne sovietiche continuano a rappresentare un sesso ben distinto. Se c'è una parte della popolazione che viene sfruttata dal sistema, è proprio quella delle donne [...]. Sono ancora e sempre le donne che effettuano i compiti manuali più ripugnanti. Esse non sono state affatto liberate da ciò che Lenin chiamava la "schiavitù domestica" [...]. Contrariamente al Decreto di Lenin, l'accesso in massa sul mercato del lavoro non si è rivelato il toccasana che ci si aspettava. A causa di diversi fattori, ciò ha reso la vita delle donne più spossante [...]. Malgrado la promessa marxista-leninista di uguaglianza per la donna, la solida tradizione di sciovinismo maschile è stata appena scalfita dai soviet». Per ciò che riguarda la «promozione della donna», ecco ciò che constata Hedrick Smith: «Le donne rappresentano la metà della massa lavoratrice dell'industria, e tuttavia nove direttori di fabbrica su dieci sono uomini. La stessa percentuale è presente anche nella ricerca scientifica. Il 70% dei medici sono donne, ma gli uomini si accaparrano i posti più prestigiosi di direttore d'ospedale, di capo-servizio o di primario. L'insegnamento e la medicina rappresentano il gradino più basso della scala degli stipendi, e sono proprio quelli dove le donne sono più numerose [...]. L'imperativo finanziario del lavoro all'esterno e l'inefficacia caotica della vita del consumatore sommergono la donna russa in un crogiolo che pochi occidentali conoscono. Le donne dell'U.R.S.S. sono prigioniere e tributarie di due mondi: il lavoro e la famiglia. Nell'impossibilità di riuscire nell'uno come nell'altra, esse possono solamente correre come "scoiattoli in gabbia" [...]. Il più grande dramma delle donne russe, a sentire loro stesse, è che si sentono costrette dalle circostanze a rinunciare alla gioia di avere più di un bambino. "Le donne sovietiche sono state messe alla produzione e ritirate della riproduzione", mi ha detto una di esse. Nel luglio del 1974, la "Literatournaiä Gazeta" ha pubblicato un sondaggio secondo cui solo 3% delle donne pensava che un figlio unico fosse l'ideale, e tuttavia il 64% ne aveva uno solo e il 17% non ne aveva per nulla». C'è di più: «In Occidente, si pensa che i bambini sovietici vengano automaticamente affidati agli asili di Stato, ben sovvenzionati, fin dalla culla; sono rimasto assai sorpreso nel constatare che la maggior parte dei bambini e delle bambine in età pre-scolastica vengano cresciuti in casa (solamente 1/3 dei tre milioni di bambini da uno a sei anni possono essere accolti)». Smith prosegue scrivendo: «Ho notato la preferenza di un buono numero di donne: più esse sono colte, più sono favorevoli all'educazione dei bambini in casa. Questa reazione non è solamente quella delle madri. Diversi rispettati universitari hanno espresso i loro dubbi circa l'educazione di gruppo durante i primi tre anni di vita. Nel 1974, l'eminente demografo Victor Peretedentsev scrisse nella rivista "Journalist" che l'aspetto negativo degli asili diventava sempre più evidente: un ritardo scolastico rispetto ai bambini cresciuti in casa e un'elevata percentuale di malattie. Egli raccomandava vivamente di versare dei sussidi alle madri che volevano crescere i loro figli. Queste proposte vennero accolte calorosamente da molte donne dell'ambiente agiato». Infine, per concludere: «Mentre le americane si ribellavano apertamente contro la vita nel focolare, le russe si ribellavano in segreto contro la necessità di dover lavorare, poiché invece di essere un modo di realizzarsi e un mezzo per diventare indipendenti, l'impiego era diventato una corvè». Apriamo qui una parentesi per far notare che le teorie marxiste, soprattutto quelle esposte da Alexandra Kollontai, potevano difficilmente sfociare in un'altra situazione. Non dimentichiamo, infatti, che le promesse di «liberazione della donna» mediante il trasferimento dei suoi oneri domestici alla società e allo Stato erano accompagnate da considerazioni meno rallegranti:
- circa il valore e il ruolo della donna, «la Repubblica dei lavoratori considera innanzitutto la donna come una forza di lavoro, come un'unità di lavoro, come un'unità di lavoro vivente; essa considera la funzione materna come un compito assai importante, ma complementare, e per di più come un compito non solo privato e familiare, ma anche sociale» 36;
- a riguardo della protezione della salute della donna e della sua maternità, «non bisogna che la donna sprechi delle forze in modo improduttivo, per la famiglia, per utilizzarle più efficacemente a vantaggio della collettività; bisogna proteggere la sua salute, per garantire, per l'avvenire, un afflusso di operai sani alla Repubblica dei lavoratori» 37.
«Va da sé che il nostro compito principale è di liberare la donna che lavora in modo improduttivo prestando le cure fisiche ai figli. La maternità non consiste del tutto nella necessità di lavare i figli, di cambiarli e di essere inchiodate alla sua culla. Il dovere sociale della maternità consiste innanzitutto nel mettere al mondo dei figli vitali e sani. Perciò, la società dei lavoratori deve porre la donna incinta nelle condizioni più favorevoli, e la donna deve, da parte sua, osservare tutte le regole igieniche prescritte durante la gravidanza, ricordandosi che per nove mesi essa smette di appartenere a sé stessa, che è al servizio della collettività, che "produce" con la sua carne e con il suo sangue un nuovo lavoratore, un nuovo membro della Repubblica del lavoro» 38. Anche in ciò che riguarda la prostituzione, la donna non merita di essere condannata perché vende il suo corpo, ma in quanto non effettua nessun lavoro utile alla comunità, al punto che scrive Alexandra Kollontai: «Il potere dei soviet non fà alcuna differenza tra una prostituta e la più legittima delle spose che vive sulle risorse del proprio marito» 39. La testimonianza di Judith Stora-Sandor coincide perfettamente con quella di Hedrick Smith. Nella sua prefazione agli scritti di Alexandra Kollontai non dice nient'altro: «Esiste un punto su cui nessuna discussione è possibile: la Rivoluzione Sessuale è fallita. L'uguaglianza tra i due sessi in tutti i campi della vita, proclamata fin dalla presa del potere da parte dei bolscevichi, mai smentita dai testi ufficiali, non è mai stata realizzata. La morale tradizionale regna sovrana. Anziché scomparire, in questi ultimi cinquant'anni, la famiglia monogamica è stata rafforzata» 40. Sviluppando queste constatazioni, la Stora-Sandor osserva: «La costituzione dell'U.R.S.S. garantisce all'uomo e alla donna un'uguaglianza completa in tutti i campi della vita pubblica, socio-politica, materiale e culturale del Paese. Abbiamo visto più sopra che c'è almeno un campo - quello della morale sessuale - in cui questa uguaglianza non esiste... I pregiudizi hanno la scorza dura. Nessuna legge può cambiare la struttura psichica dell'individuo dall'oggi al domani [...]. Le donne sovietiche [...] continuano a vivere secondo i vecchi schemi, imposti da uno Stato onnipotente, diretto in gran parte da uomini» 41. Essendo l'indipendenza economica una delle condizioni più fondamentali per la riuscita della rivoluzione, in materia di lavoro, tutte le restrizioni tradizionali sono state rimosse fin dal 1917. «Ma l'uguaglianza è stata veramente realizzata? Le statistiche sono eloquenti a questo proposito e la risposta è negativa. In effetti, si osserva che più si sale nella gerarchia, meno si trovano donne. A parità di qualifica professionale, i posti di comando sono, in linea di massima, occupati da rappresentanti del sesso forte. È un economista sovietico, M. Sonine, che fà questa constatazione in un articolo dedicato al problema del lavoro femminile pubblicato nel 1969 nella "Literatournaiä Gazeta". Un esempio chiaro: l'85% del corpo medico è costituito da donne, ma la metà dei primari e dei direttori di ospedali è composta da uomini. Bisogna anche aggiungere che, in Unione Sovietica, la professione medica è scarsamente rimunerativa. La stessa sproporzione esiste praticamente in tutti i rami della vita socio-professionale. Citiamo ancora un volta Sonine: "Nella schiacciante maggioranza dei casi, gli uomini sono a capo delle amministrazioni, delle imprese e degli organismi di gestione". Qual'è la situazione nella vita politica? È la stessa che altrove. Nel 1921, Alexandra Kollontai deplorava che "nei soviet di distretto si contavano 574 donne, mentre in quelli del Governo se ne contavano solamente sette". Da quella data la situazione è certamente migliorata. La proporzione di donne nei soviet supremi delle Repubbliche raggiunge ovunque il 30%. Ma bisogna sapere che i soviet giocano solamente un ruolo molto ristretto nel prendere le decisioni più importanti. Il vero potere appartiene al Governo centrale dell'U.R.S.S. che, sui suoi cinquantasette membri, conto una sola donna. Quanto al Partito Comunista, la situazione è simile. La Kollontai si rallegrava del reclutamento femminile tra i militanti comunisti: dal 9 al 10% di donne. Il 1º gennaio 1965, il numero delle donne era salito attorno al 20% dell'insieme dei membri. Nessuna donna all'Ufficio Politico, e sui 195 membri titolari del Comitato Centrale si contano solo cinque donne. In un altro campo - quello del lavoro meccanizzato - la situazione delle donne è molto preoccupante. La mano d'opera non qualificata è costituita in gran parte da donne» 42. «La separazione della cucina dal matrimonio» - riforma considerata da Alexandra Kollontai come importante «tanto quanto la separazione della Chiesa dallo Stato», non è stata attuata. «Una cellula familiare solida e incrollabile presuppone un focolare individuale. È questo focolare individuale che continua a perpetuare la schiavitù delle donne. I quadri statistici sono ancora una volta più che eloquenti. Che sia operaia, impiegata intellettuale o contadina, la donna sovietica passa, in media, il doppio del tempo dell'uomo alle cure della casa. Ciò è anche vero per il tempo speso per le cure date ai figli» 43. Per tale motivo, i giornali sono zeppi di inserzioni in cui si richiedono nutrici e colf. Si è giunti a proporre «di organizzare la professione di casalinga per dare una dignità a questo mestiere che viene recepito da chi lo esercita come umiliante» 44. Onde sopperire in parte all'abbassamento della natalità c'è anche chi propone di ritornare alla nozione di casalinga. «Certuni pensano che la soluzione ideale sarebbe quella di permettere alla donna di abbandonare il suo impiego per una durata di due o tre anni, per potersi interamente dedicare all'educazione dei figli più piccoli» 45. Nessuna voce si è alzata contro il carattere «retrogrado» di un simile progetto. «Nel 1970, scriveva M. Pavlova, laureata in Storia, sulla "Literatournaiä Gazeta": "A riguardo della soluzione di questo problema, bisogna far notare che la rinascita dei pregiudizi concernenti la necessità del ritorno della casalinga, della non redditività del lavoro femminile, ecc..., costituirebbe un torto insospettato alla nostra società"» 46. Ciononostante, il lavoro della donna è ritenuto responsabile di altri mali. «Se il lavoro della donna è accusato di essere una delle ragioni del debole tasso di natalità, certe persone non esitano a ritenerlo anche responsabile del numero crescente dei divorzi. Dunque, malgrado gli incitamenti continui a rafforzare la famiglia, sostenuti da una legislazione adeguata, questa non gode una buona salute. V. Perevedentsev, un demografo che ha elogiato la vecchia famiglia rurale, di gran lunga più solida, analizza i cambiamenti responsabili del "nuovo" atteggiamento frivolo verso il matrimonio. Tra le ragioni incriminate c’è anche l'autonomia economica della donna. Perevedentsev si spinge ancora più lontano ed esprime un'opinione largamente diffusa secondo la quale non si attribuisce un valore sufficiente ai lavori domestici» 47. Per Judith Stora-Sandor, qual'è la ragione di questo insuccesso? Semplicemente, in materia di sessualità «i marxisti più eminenti hanno agito come perfetti reazionari. Lenin stesso - scrive la Stora-Sandor - quando affrontò questo argomento, fece ricorso a tutto l'arsenale dei pregiudizi borghesi».
IV
DALL'UTOPIA AL REALISMO
DALL'UTOPIA AL REALISMO
Gli utopisti, si sa, non si scoraggiano mai: è nota la celebre replica del comunista francese Guy Mollet (1905-1975): «Si dice che la nostra politica non è riuscita. Non è una buona ragione per cambiarla». In Unione Sovietica le teorie di Alexandra Kollontai non hanno sortito alcun effetto. Tuttavia, Judith Stora-Sandor assicura: «Siamo convinti che esse serviranno da riferimento prezioso a tutti coloro che pensano che una vera emancipazione della donna sia la prima condizione di ogni cambiamento della società» 48. L'Unione Sovietica, terra di elezione del socialismo, non è divenuta il paradiso terrestre promesso, popolato da tanti Adamo e da tante Eva uguali e perfettamente felici; se ciò non si è avverato in U.R.S.S., l'Occidente liberale diventerà, in materia di manipolazione familiare, un campo privilegiato di esperienza. Il processo è già largamente in atto. Di decadenza in decadenza, oggi siamo giunti al divorzio e all'aborto libero e gratuito...
l Dal marxismo al liberalismo avanzato
E non è tutto! Il 26 maggio 1976, la radical-socialista ebrea Françoise Giroud (1916-2003) ha presentato al Consiglio dei Ministri francese un «Progetto per le donne» in 101 punti... Questo progetto è uscito anche nelle librerie. Esso si fonda sull'«uguaglianza dei sessi, realizzata tramite la contraccezione e l'aborto». Tale progetto è destinato a «liberare la donna dalle costrizioni della propria natura». La prima parte di questo piano consiste in un «condizionamento antimascolino della bambina e della ragazza», condizionamento che deve condurre alla scomparsa della famiglia. La donna «troverà la sua piena realizzazione nell'esercizio di un mestiere». Ancora una volta, interroghiamo i fatti. In un sondaggio realizzato nel 1971 nella regione di Grenoble, si chiedeva: «Che cos'è per voi la famiglia»? L'80% delle risposte erano affermazioni nettamente positive. Certe formule erano assai lodative: la famiglia «è tutto nella vita», «è ciò che c'è di più bello», «è l'unico modo di vivere», «è la sola cosa che conta». Un'inchiesta condotta da La Vie Catholique, effettuata nel 1972 in collaborazione con l'IFOP, è giunta a conclusioni simili. Più recentemente ancora (agosto 1976), un sondaggio dell'INED pubblicato da Valeurs Actuelles (9-15 agosto), conclude: «Se ciò che si desidera si potesse realizzare, sei donne su dieci smetterebbero di lavorare dopo la nascita del primo figlio e i 3/4 dopo la nascita del secondo». Il progetto utopista è tuttavia sempre lo stesso. «Alla radice dell'utopia - scrive il filosofo e storico cattolico Thomas Molnar (1921-2010) - c'è [...] un orgoglio smisurato, il desiderio di un potere enorme e l'usurpazione degli attributi divini per poter manipolare e plasmare il destino dell'uomo» 49.
Françoise Giroud | Thomas Molnar |
Le premesse sono invariate: la famiglia è una «sovrastruttura» della società; la famiglia tradizionale è un sottoprodotto dell'economia capitalista, e sparirà con essa. «Si tratta - dice la Giroud - di liberare la donna dalla sua natura»; «Occorre - scriveva la Kollontai - creare una donna nuova». Ora, nonostante tutti gli stratagemmi messi in opera durante il secolo scorso, la famiglia, valga quel che valga, tuttavia permane. Forse, alla fine dei conti, è una di quelle realtà che ha la scorza dura, uno di quegli elementi di cui comunemente si dice che sono «testardi»...
l La risposta cristiana
Poiché la «nuova» società non sembra essere in grado di dare vita in modo decisivo ad una «nuova» famiglia (l'unione libera di individui liberi), forse bisogna riformulare la proposta o più esattamente rimetterla al punto di partenza, come la Chiesa ha sempre fatto, partendo dalla formula del buonsenso: «La famiglia è la cellula di base della società». Se si giudica seriamente l'albero dai suoi frutti, come negare che l'azione del cristianesimo e della Chiesa sia stata un beneficio per la famiglia e per la dignità della donna, essendo le due questioni indissolubilmente legate? Non potendo passare in rassegna tutti gli insegnamenti pontifici concernenti la famiglia, ci limiteremo a ricordare alcuni punti contenuti nelle grandi encicliche della fine del XIX secolo 50. Fino alla Rivoluzione Francese, nei Paesi di cultura cristiana andava da sé che il matrimonio era un legame indissolubile voluto da Dio e restaurato da Cristo. Il sacramento di cui San Paolo aveva scritto solennemente che è «grande». Conoscendo la debolezza della natura umana, i Papi hanno tuttavia voluto mettere in guardia i laici e i sacerdoti contro la tentazione di violare la legge. Per tale motivo, Benedetto XIV (1675-1758) si rivolse all'Episcopato polacco a proposito di una tendenza a sciogliere facilmente i legami del matrimonio, per disapprovare la facilità con la quale certi ecclesiastici pronunciavano la nullità onde permettere agli sposi di contrarre nuovi legami. Egli ricordò loro le disposizioni prese dal Concilio di Trento circa la pubblicazione dei bandi, la presenza dei testimoni, la registrazione del matrimonio su di un libro e ogni disposizione presa per impedire l'abuso dei «matrimoni segreti», rivelatisi molto labili. Istituendo il divorzio, la Rivoluzione Francese aveva recato una prima grave offesa alla famiglia... L'idea era stata lanciata e la breccia era aperta. Il secolo che seguì fu solamente la storia dolorosa della generalizzazione del matrimonio civile e del divorzio nella legislazione di Paesi che si dicono ancora cattolici. Ecco perché la grande enciclica Arcanum Divinæ Sapientiæ di Leone XIII (1810-1903) sulla famiglia e sul matrimonio è del 1880. Lontano dall'essere una «categoria transitoria», «l'unione coniugale non è un'invenzione dell'uomo», scriveva Leone XIII. «È Dio stesso, supremo Autore della natura che, fin dall'inizio, mediante questa unione, ha provveduto con ordine alla propagazione del genere umano e alla costruzione della famiglia. È Dio che, nella legge di grazia, ha voluto nobilitarla imprimendo su di essa il sigillo divino del sacramento». L'Enciclica Arcanum Divinæ Sapientiæ venne ripresa e completata nel 1930 da Pio XI (1857-1939) in Casti connubii. Come non ammirare leggendo o rileggendo questi testi, più che mai attuali, il senso del reale, la saggezza, l'altezza di vedute di un pensiero pieno di sollecitudine? «Abbiamo perciò divisato, venerabili Fratelli, di parlare a voi e per mezzo vostro a tutta la Chiesa di Cristo e a tutto il genere umano sulla natura del matrimonio cristiano e sulla sua dignità, dei vantaggi e benefici che ne derivano alla famiglia e alla stessa umana società [...]. Mediante il connubio adunque si congiungono e si stringono intimamente gli animi, e questi prima e più fortemente che non i corpi, né già per un passeggero affetto dei sensi o dell'animo, ma per un decreto fermo e deliberato di volontà [...]. Da Dio provengono l'istituzione, le leggi, i fini, i beni del matrimonio; dall'uomo, con l'aiuto e la cooperazione di Dio, dipende l’esistenza di qualsivoglia matrimonio particolare congiunto con i doveri e con i beni stabiliti da Dio».
Benedetto XIV | Leone XIII | Pio XI |
I figli non sono le «braccia» per l'edificazione della società socialista, ma «i coniugi riguarderanno questi figliuoli ricevuti [...] quale un talento loro affidato da Dio, non già per impiegarlo solamente a vantaggio proprio o della patria terrena, ma per restituirlo poi col suo frutto nel giorno del conto finale». A questi genitori spetta «il diritto e incarico dell'educazione», e non alla società o allo Stato. L'amore degli sposi non è quella caricatura dell'amore che troppo spesso il mondo ci mette sotto gli occhi. «Parliamo dunque di un amore non già fondato nell'inclinazione sola del senso che in breve svanisce, né solo delle parole carezzevoli, ma dell'intimo affetto dell'anima e ancora - giacché la prova dell’amore è l'esibizione dell'opera - dimostrato con l'azione esterna». Che questa analisi sia più prossima alla realtà, al «vissuto» come oggi si dice, è un fatto che salta agli occhi. Siamo lontani dai trasporti ipotetici e intermittenti del «tenero Eros alato». Continua il Papa: «Questa azione non comprende solamente il vicendevole aiuto, ma deve estendersi altresì, anzi mirare soprattutto a questo, che i coniugi si aiutino tra loro per una sempre migliore formazione e perfezione interiore [...]. Possono insomma e debbono tutti, di qualunque condizione siano e qualunque onesta maniera di vita abbiano eletto, imitare l'esempio perfettissimo di ogni santità proposto da Dio agli uomini, che è Nostro Signore Gesù Cristo». Non importa in quale condizione, e non solamente in qualche classe eletta come il proletariato... Infine, Pio XI parla dell'ordine dell'amore. Non si tratta del «nuovo amore» di Alexandra Kollontai e dei suoi emuli, fondato su una libertà e un'uguaglianza il cui contenuto non è mai stato chiaramente definito. È un «ordine» in cui «il marito è la testa e la moglie è il cuore», un ordine che non è subordinato ad alcun capriccio, poiché il contratto nuziale è un Sacramento; esso è indissolubile secondo le parole di Cristo: «Ciò che Dio ha unito, l'uomo non separi» (Mt 19, 6). I frutti di questa indissolubilità sono senza prezzo: «Insegna infatti l'esperienza come all'onestà della vita in genere e all'integrità dei costumi immensamente conferisce la fermezza inconcussa dei matrimoni; e come dalla severa osservanza di tale ordinamento venga assicurata la felicità e la saldezza della cosa pubblica; poiché tale sarà lo Stato quali sono le famiglie». Già nel 1930 Pio XI fustigava: «Movendo da tali principî, alcuni giunsero al punto di inventare altre forme di unione, adatte, come essi credono, alle presenti condizioni degli uomini e dei tempi, e che propongono quasi nuove forme di matrimonio: l'uno "temporaneo", l'altro "ad esperimento", un terzo che dicono "amichevole" e che si attribuisce la piena libertà», pratiche largamente diffuse ai nostri giorni, anche negli ambienti che si dicono cristiani. Il Papa affronta il problema dell'emancipazione della donna, che sarà spesso ripreso da Pio XII (1876-1958). Il Papa denuncia: «E anche più audacemente molti di essi affermano con leggerezza essere quella (della donna) un'indegna servitù di un coniuge all'altro [...]. Se la donna scende dalla sede veramente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu dal Vangelo innalzata, presto ricadrà nella vecchia servitù (se non di apparenza, certo di fatto)». Ricordiamo a favore di questa affermazione le testimonianze raccolte da Hedrick Smith in Unione Sovietica. A coloro che vorrebbero il divorzio, Pio XI ricorda le parole di Leone XIII: «Niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è agevole a capirsi che alla prosperità delle famiglie e delle nazioni sono funestissimi i divorzi, i quali nascono da depravate consuetudini, e come ne attesta l'espressione, aprono l'adito ad una sempre maggiore corruttela del pubblico e privato costume». Infine, Pio XI si sofferma lungamente sui doveri dello Stato, ricordando una volta ancora le parole del suo predecessore a questo riguardo: «Nella civile società le condizioni economiche e sociale siano così ordinate, che ogni padre di famiglia possa meritare e guadagnare quanto è necessario al sostentamento proprio, della moglie e dei figli». Egli ritornò sulle questione dello stipendio familiare nell'Enciclica Quadragesimo anno (del 1931) e rese un giusto omaggio «a tutti quelli che con saggio e utile divisamento hanno sperimentato e tentano diverse vie, onde la mercede del lavoro si retribuisca con tale corrispondenza ai pesi della famiglia, che, aumentando questi, anche quella si somministri più larga; e anzi, se occorra, si soddisfaccia alle necessità straordinarie». Siamo lontani dalle famiglie di cui ci parla Hedrick Smith, dove i due stipendi congiunti del marito e della moglie non permettono loro di avere più di un figlio... «Coloro che hanno l'incarico dello Stato e del bene comune non saprebbero trascurare queste necessità materiali degli sposi e delle famiglie senza causare un grave danno alla società e al bene comune». E per finire si augura che i due poteri, la Chiesa e lo Stato, associno le «loro responsabilità concernenti il matrimonio per allontanare dai focolai cristiani i perniciosi pericoli e anche una rovina imminente [...]. Perché la Storia lo testimonia, la salvezza dello Stato e la felicità temporale dei cittadini sono precarie e non possono restare salve laddove si scuote il fondamento su cui sono stabiliti, che è il buon ordine dei costumi, e laddove i vizi dei cittadini ostruiscono la sorgente dove la civiltà attinge la sua vita, ossia dal matrimonio e dalla famiglia».
l Conclusione
Divorzio, convivenza, aborto gratuito... Nonostante tutte le messe in guardia di tutti i Pontefici da un centinaio di anni a questa parte, siamo arrivati oggi, dice lo storico francese Pierre Chaunu (1923-2009), ad un punto in cui tutto è possibile in questo mondo malato... fino al desiderio positivo della morte della comunità al di là dell'individuo. È a Pierre Chaunu 51 che chiederemo in prestito parte della nostra conclusione: «Una politica della vita per la salvezza non di un gruppo, non di una nazione, non di una famiglia spirituale, non di un partito, ma della specie, è costretta a cercare un appoggio su queste due cellule della socialità in crisi: la comunità dello Stato-nazione e la famiglia coniugale [...]. Tutta la conservazione della specie, tutta la restaurazione sociale passa dalla famiglia e la famiglia tale quale la Storia occidentale ci ha consegnato, la famiglia coniugale fragile e vigorosa [...]. Perché essa è l'unica che può fornire il fantastico carico affettivo di cui gli uomini malati del nostro tempo hanno disperatamente bisogno [...]. Il quarto mondo industriale, è attualmente quello della generazione non sostituita, quello della densità più elevata di suicidi e di malattie mentali [...]. Una politica familiare non è richiesta unicamente dalle evidenti ragioni demografiche [...], ma dal bisogno affettivo di questo mondo malato. L'ignoranza di questa verità è stata una delle pietre d'inciampo dell'apparato socialista e forse più ancora della socialdemocrazia alla svedese (e del fuorviamento pornografico). Appena si tocca la famiglia, si tocca l'essenziale e dunque il complesso e il fragile. Il cuore della vita [...], la cellula fondamentale della nostra socialità, che otto secoli di evoluzione lineare hanno condotto al punto in cui si trova, ha bisogno di mezzi proporzionati ai suoi oneri». La Chiesa, nella sua saggezza, non ha mai detto nient'altro. E non solo l'ha detto e l'ha ripetuto, ma ha provato il valore e la verità del suo insegnamento lungo tutta la nostra storia. Essa ha provato la sua perfetta conoscenza degli slanci dell'anima e del corpo, dello spirito e del cuore degli uomini. Slanci che, lontano dal ripudiare, ha permesso e trasceso. Tutte le concezioni, le teorie, le filosofie e i dogmatismi del laicismo hanno spezzettato, separato e mutilato i diversi componenti della natura dell'amore umano! Solo la Chiesa cattolica, grazie alla sua perfetta conoscenza e alla sua perfetta comprensione dell'uomo, ha saputo dare una risposta soddisfacente, vitale, schiusa alle esigenze naturali e soprannaturali dell'amore umano. Di questo «grande amore», di questo amore ricercato appassionatamente perché capace di far vivere gli uomini. In venti secoli di Storia, essa ha dimostrato di essere l'unica ad aver sublimato l'amore umano, ad avergli permesso di sbocciare, di perpetuarsi, di portare i frutti iscritti nella sua natura, di incarnarsi nella civiltà. Essa ne ha fatto il fondamento e la sostanza di ogni vita, la base dell'ordine sociale e il punto di partenza dell'ordine politico. Sarebbe fin troppo ingiusto spogliarla di questo titolo di gloria, ragione supplementare della fierezza del cristiano e della sua speranza.
Note
1 Traduzione dall'originale francese Le marxisme, la femme et la famille («Il marxismo, la donna e la famiglia»), a cura di Paolo Baroni. Ed. AFS, Parigi.
2 Cfr. J. Ousset, Pour Qu'Il Règne («Affinché Egli Regni»), pag. 149.
3 Fortunatamente, la Legge del 2 dicembre 1794, che aveva stabilito la libertà d'insegnamento, non venne abrogata. Per aprire una scuola, era sufficiente un certificato civile e un altro di moralità. Fu grazie a questa legge che dopo il 9 Termidoro una buon numero di scuole libere venne aperto.
4 Cfr. D. Desanti, Flora Tristan: Vie et oeuvre mêlées («Flora Tristan: vita e opera mescolate»).
5 Dottore-assistente a Parigi VIII (Vincennes).
6 Cfr. J. Stora-Sandor, Alexandra Kollontai: marxisme et révolution sexuelle («Alexandra Kollontai: marxismo e rivoluzione sessuale»).
7 Ibid., pag. 56.
8 Ibid., pag. 57.
9 Ibid., pag. 39.
10 Ibid.
11 Ibid., pag. 41.
12 Ibid., pag. 63.
13 Ibid., pag. 60.
14 Éditions Sociales, Parigi 1946, pagg. 29-30.
15 Vol. III, pag. 78.
16 Cfr. J. Stora-Sandor, op. cit., pag. 70.
17 Ibid., pag. 91.
18 Ibid., pag. 89.
19 Ibid.
20 Ibid., pag. 89.
21 Ibid., pag. 173.
22 Ibid., pag. 228.
23 Ibid., pag. 239.
24 Ibid., pag. 128.
25 Ibid., pag. 220.
26 Ibid., pag. 91.
27 Ibid., pag. 92.
28 Ibid., pag. 186.
29 Ibid., pag. 201.
30 Ibid., pag. 202.
31 Ibid., pag. 203.
32 Ibid., pag. 204.
33 Ibid., pagg. 211-212.
34 Cfr. K. Marx, Manuscrits du 1844, Ed. Sociales, pag. 88.
35 Cfr. A. Besançon, Court traité de soviétologue à l'usage des autorités civiles, militaires et religieuses; prefazione di Raymond Aron, Ed. Hachette.
36 Cfr. J. Stora-Sandor, op. cit., pag. 220.
37 Ibid.
38 Ibid., pag. 221.
39 Ibid., pag. 243.
40 Ibid., pag. 28.
41 Ibid., pag. 38.
42 Ibid., pag. 39.
43 Ibid.
44 Ibid., pag. 41.
45 Ibid., pag. 42.
46 Ibid.
47 Ibid., pag. 43.
48 Ibid., pag. 47.
49 Cfr. T. Molnar, L'utopie éternelle hérésie («L’utopia, eresia eterna »), Ed. Beauchesne, pag. 253.
50 Arcanum divinæ sapientiæ, di Leone XIII, del 10 febbraio 1880; Casti Connubii, di Pio XI, del 31 dicembre 1930.
51 Cfr. P. Chaunu, Le refus de la vie («Il rifiuto della vita»), Calmann Levy 1975.
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