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lunedì 6 maggio 2013

La lettura della Bibbia secondo il Magistero della Chiesa



I tdg acusano la Chiesa di avere tolto dalle mani del popolo la Bibbia per nascondere le incongruenze dei dogmi cattolici, dal testo risulta invece un uso abbastanza diffuso e i divieti furono causati proprio dall'abuso del testo sacro da parte del popolo cristiano.




La lettura della Bibbia


di Giuseppe Ricciotti | 3 agosto 2009




Anche la lettura privata della Bibbia fu assai diffusa, sia nel giudaismo sia nel cristianesimo.
una norma rabbinica insegna che «l’uomo non deve ritrarsi dalla casa di studio (della Legge) e allontanarsi dalla parola della Tôrăh neppure all’ora della morte» (Šabbāth, 83b), perché «maggiore è lo studio della Tôrăh che la costruzione del Tempio» (Mĕghillāh, 16b). Vi furono tuttavia, nel giudaismo dell’era volgare, talune restrizioni prudenziali, le quali furono provocate o da abusi che si andavano diffondendo o da particolari difficoltà esegetiche che s’incontravano nella lettura di certi libri

Anche presso i cristiani la lettura privata della Bibbia, molto raccomandata e assai diffusa, divenne campo di abusi. Egualmente, ai princìpi del secolo V, Giovanni Crisostomo raccomandava ai suoi fedeli di non limitarsi ad ascoltare la lettura dei libri santi fatta in chiesa, ma di rileggerli a casa propria per tornare a meditare su ciò che fugacemente si era ascoltato, e approfondirne il senso (PG 51,90); d’altra parte Girolamo si lamenta del carattere irriverente e plebeo che hanno preso al suo tempo le discussioni sulla S. Scrittura, la quale «è ciò che la nonnetta chiacchierona, il vecchio rimbambito, il cavillatore parolaio e in genere tutti quanti, si arrogano, lacerano, insegnano, prima d’averla imparata» (Ep. 53, Ad Paulam) Ma, nonostante siffatti abusi, non vi sono tracce di provvedimenti presi dalla chiese per limitare la lettura privata della Bibbia fino al medioevo.

Nel 1199 Innocenzo III scrive al vescovo di Metz incaricandolo d’investigare l’origine e l’intenzione di talune traduzioni in volgare che stavano diffondendosi in quella regione, senza però condannare in genere la lettura della Bibbia in volgare (PL 214, 695-99). Vere proibizioni delle Bibbie volgari si ebbero poco dopo, ma sempre limitate ad alcune regioni e senza l’intervento della Sede romana: il Concilio di Tolosa del 1229 ne proibì l’uso ai laici in occasione delle lotte contro gli albigesi e i valdesi (in Mansi, XXIII, 197, can. 14); l’assemblea tenuta nel 1234 a Tarragona in Spagna, sotto Giacomo I, promulgò una proibizione analoga riguardante anche i chierici (in Mansi, XXIII, 329); il Concilio di Oxford del 1408 emanò eguale proibizione in occasione del movimento di Wyclef (in Mansi, XXVI, 1038).

Per l’Italia non si ebbero proibizioni di sorta; e quanto ivi fosse comune, prima del movimento luterano, l’uso di leggere la Bibbia volgare è dimostrato, per la regione veneta, da una prefazione di Isaia da Este, la quale informa che tutta la Bibbia si cantava nei crocchi di donnicciuole che filavano. Anche in altre regioni d’Italia consta che, prima di Lutero, era usuale la lettura della Bibbia in volgare (cf. Archivio Storico Italiano, Firenze 1842, App. I, p. 334). Senonché, la rivoluzione religiosa del protestantesimo provocò per reazione misure restrittive alla lettura della Bibbia presso i cattolici.

La Sede romana intervenne per la prima volta nel 1559, allorché l’Indice di Paolo IV proibì di stampare e detenere le Bibbie in volgare senza il permesso del S. Uffizio; la commissione di questo permesso fu poi demandata ai vescovi locali dall’Indice di Pio IV del 1564 (regole 3 e 4), ma in seguito fu ancora revocata alla S. Sede. Sembra tuttavia che il permesso fosse concesso con notevole larghezza. Divenuto poi remoto il pericolo del protestantesimo, la Congregazione dell’Indice nel 1757 permetteva le versioni in volgare della Bibbia approvate dalla Sede romana o pubblicate sotto la sorveglianza dei vescovi con annotazioni estratte da autori cattolici

Per lo stesso volume materiale della S. Scrittura Giudei e cristiani ebbero sempre particolare venerazione: come nelle sinagoghe il volume della Legge era ed è conservato in un’arca apposita, così nella liturgia cristiana è adibito con onori speciali: nel rito bizantino gli onori tributati al libro dei Vangeli sono pari a quelli per l’Eucaristia.

Uso devozionale presso i Giudei fu quello delle «filatterie» con alcuni passi della Bibbia (Es 13,1-16; Dt 6,4-9), applicate durante la preghiera sulla fronte e sul braccio sinistro (cf. Dt 6,8); altre pergamene analoghe erano sotterrate sotto le soglie delle case giudaiche (mĕzûzôth).

Presso i cristiani si usò portare al collo un rotoletto in cui erano scritti passi dei Vangeli: tale costumanza è già attestata nel sec. IV, e trova la sua corrispondenza presso i musulmani nei passi del Corano portati in dosso egualmente per devozione. Si usò anche porre il volume dei Vangeli presso il capezzale dei malati, oppure recitare presso di loro Gv 1,1-14; questo prologo era anche recitato in circostanze importanti della vita, o in gravi pericoli: ad esempio, si narra che Cristoforo Colombo lo recitasse quando in navigazione era còlto da gravi tempeste. Altri passi della Bibbia, e specialmente dei Salmi, erano ritenuti appropriati a varie circostanze liete o dolorose della vita.

Si consultava la Bibbia anche per prendere qualche importante decisione, per conoscere l’avvenire, scoprire cose segrete, e scopi simili

Oltre a questi abusi per superstizione non mancarono quelli per irriverenza: presso gli antichi Giudei è attestato l’abuso di canterellare il Cantico dei Cantici nei simposi, come una canzonetta profana (Tôsephtā’, Sanhedhrîn, XII, 10); presso i cristiani, specialmente all’età del Rinascimento, si diffuse molto la costumanza di servirsi di passi della Bibbia per comporre barzellette, parodie, pasquinate e simili cose, sempre irriverenti e spesso invereconde: contro cui si oppose il Concilio di Trento (Sess. IV, De edit. et usu ss. librorum) 

 

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