INTERVISTA A MONS GUERARD DE LAURIERS
Sodalitium N. 13 – Maggio 1987
Sodalitium N. 13 – Maggio 1987
CURRICULUM VITAE
Nato nel 1898 vicino a Parigi, Michel Guerard Des Lauriers frequenta gli istituti dell'insegnamento laico. Entra alla Scuola Normale Superiore [fondata nello stesso tempo di quella di Pisa] nel 1921, e passa l'esame di concorso di matematica nel 1924.
Studia due anni a Roma, con il professor T. Levi-Civita, e prepara una tesi che sosterrà alla Sorbona sotto la presidenza del Professor Elie Cartan.
Entrato nell'Ordine dei Predicatori nel 1925, vi fece professione nel 1930, ed è ordinato Sacerdote nel 1931. Professore all'Università domenicana del Saulchoir dal 1933, insegna ugualmente all'Università Pontificia del Laterano a partire dal 1961. Questo soggiorno romano fu l'occasione, per il Padre Guérard des Lauriers, di elaborare la parte dottrinale e di collaborare alla redazione originale [dovuta a Cristina Guerrini della lettera intitolata: "Breve esame critico del Novus 'ordo missae'"; (Il testo originale, preceduto da una breve notizia storica, è stato recentemente ristampato dalle "Editions Sainte Jeanne d'Are": les Guillots-Villegenon-18260 Vailly Sur Sauldre) lettera indirizzata a Paolo VI il 5 giugno 1969 [festa del Corpus Christi], dai Cardinali Ottaviani e Bacci. Questo passo valse al Padre Guérard des Lauriers il congedo dal Laterano nel giugno del 1970: nello stesso tempo del Rettore Mons. Piolanti ed una quindicina di professori, tutti giudicati indesiderabili. Da allora il Padre Guérard des Lauriers vive "extra conventum, cum permissu superiorum".
Il Padre Guérard del Lauriers è l'autore di parecchie opere di teologia e di numerosi articoli concernenti la filosofia delle scienze, la critica della conoscenza, la teologia spirituale. È membro dell'Accademia Pontificia di San Tommaso d'Aquino.
Il Padre Guérard des Lauriers ha pubblicato, nel 1978, e poi nei "Cahiers de Cassiciacum", una tesi fino ad ora non confutata; questa tesi consiste nell’affermare la vacanza formale della Sede Apostolica, certamente a partire dal 7 dicembre 1965.
Il Padre Guérard des Lauriers ha ricevuto la Consacrazione eposcopale il 7 maggio 1981, da Mons. Pierre Martin Ngo Dinh Thuc, già Arcivescovo di Hué: Consacrazione valida, secondo il rito tradizionale integralmente osservato; Consacrazione lecita e legale secondo il potere di Legato conferito da Pio XI a Mons. P.M. Ngo Dinh Thuc, il 15 marzo 1938. (La fotocopia di questo documento è stata riprodotta nella Rivista: "Sous la Bannière", N. 9, gennaio-febbraio 1987; p. 10. [Alle "Editions Sainte Jeanne d'Arc" cf nota 1).
INTERVISTA CON MONS. GUÉRARD DES LAURIERS
Monsignore, questo colloquio non può rispondere a tutte le domande che ci piacerebbe porVi. Permetteteci di concentrare in poche righe le linee essenziali e scottanti di cui ci occupiamo. I fedeli italiani potranno così capire chi siate, quali siano le Vostre idee a proposito della crisi nella Chiesa, come avete scelto di agire, per non abbandonare la strada della Verità e restare incessantemente fedele alla Chiesa, messa violentemente in stato di privazione. Ecco le domande:
- 1) Sodalitium: Avete collaborato per molto tempo con la Fraternità San Pio X e siete stato professore ad Ecóne fino al 1977. Perché si è conclusa la Vostra collaborazione con Mons. Lefebvre?
- Mons. G.: Ho collaborato con Monsignor Lefebvre dall'inizio della sua opera. Friburgo ed Ecòne, alla fine del 1970. Il 25 dicembre 1970, Monsignor Lefebvre ha celebrato la Messa di mezzanotte ed ha pronunciato l'omelia; è tornato allora, per la gioia di tutti, all’integrità del rito tradizionale. Ho celebrato la Messa del giorno, ho pronunciato l'omelia di cui ho ancora lo schema, ed ho calorosamente ringraziato Mons. Lefebvre. Sono rimasto professore ad Ecòne fino al settembre 1977: data in cui ho predicato il ritiro per il rientro in Seminario. Sono stato congedato poco tempo dopo. Mi è stato persino rifiutato di poter rendere visita ai Fratelli Domenicani che Mons. Lefebvre aveva accettato ad Ecòne come studenti. Motivo di questa esclusione: avevo espresso più volte in "circoli privati" [intra muros], ed avevo fatto, durante una lezione pubblica, un'allusione perfettamente chiara alla "tesi" [2a].
- 2) Sodalitium: Allora avete elaborato la Vostra tesi teologica sui punti fondamentali: il Concilio, il Magistero, il Papato. Potete riassumerci brevemente:
a) in cosa consiste la Vostra tesi teologica?
b) in cosa, specialmente, fa difetto l’atteggiamento dottrinale di Mons. Lefebvre?
- Mons. G.: [2a] La "tesi" detta di "Cassiciacum" (esposta nei "Les Cahiers de Cassiciacum" N. da 1 a 6-1979-1981 - 18avenue Bellevue. 06100 N1CE).
[I.] L'enunciato della tesi di "Cassiciacum" [designata d'ora in poi con: "tesi C"].
a Questa tesi richiede un presupposto metafisico che è indispensabile esplicitare.
Ogni ente creato è composto. Se questo ente è materiale [e non puro spirito], questa composizione è quella della materia e della forma. La forma si definisce: "quo aliquid habet esse": "ciò secondo cui tal ente ha di essere"; così l'anima è la forma del composto umano. La materia, globalmente considerata, è, nell'ente, ciò che è distinto dalla forma ed ha l'essere mediante la forma; la materia soggetto si definisce: "quod habet esse": "ciò che, nell'ente concreto, ha l'essere"; così il corpo unito all'anima, nel composto umano.
Da ciò risulta che dal punto di vista della metafisica, [che è quello dell'essere], la materia è determinata dalla forma; c'è dalla materia alla forma, un rapporto ontologico [on, ontos: l'ente] che è di determinato a determinante.
Di modo che, se nello stesso ente concreto, si trovano due "parti" A e B, tali che A è, dal punto di vista ontologico, determinato da B; e se si vuole caratterizzare questo rapporto che è nell'ente tra A e B, mettendosi dal punto di vista dell'ente, si deve dire questo.
Considerare questo ente materialiter è considerare in questo ente la "parte" A.
Considerare questo stesso ente formaliter, è considerare in esso la "parte" B. Considerare tale essere umano materialiter è considerare in lui il corpo, e tutto quello che ha rapporto col corpo. Considerare questo stesso essere umano formaliter, è considerare in lui l'anima, e tutto quello che ha rapporto con l'anima.
Perché introdurre questa distinzione: materialiter-formaliter (?) la quale sembra un'astrazione ed una complicazione?
Se si fa così è per preoccupazione di realismo, perché il discorso sia più conforme alla realtà. Infatti, ciò che esiste, è il tutto, il composto, è l'uomo che è unitamente corpo e anima.
Il corpo senz'anima non è neppure un corpo umano; l'anima umana separata non è una persona.
Se si vuoi cogliere il corpo e l'anima così come sono nella realtà, bisogna considerarli nel tutto; bisogna considerare: tal essere umano secondo il suo corpo, il che è considerarlo materialiter [dal punto di vista della "materia"]; e bisogna considerare tal essere umano secondo la sua anima, il che è considerarlo formaliter [dal punto di vista della "forma"].
La distinzione: materialiter-formaliter, che è una questione di "punti di vista", sembra dunque essere più astratta della distinzione: materia-forma, la quale è una distinzione di "cose".
Tuttavia, nella realtà, la distinzione: materialiter-formaliter rispetta meglio la concretezza dell'ente, e la vera natura delle "parti" quali sono realmente nell'ente e soltanto nell'ente.
Da questa conformità massimale alla realtà, ne segue necessariamente che la distinzione materialiter-formaliter ha, ex se, una portata analogica che non può avere la distinzione materia-forma: la quale concerne, non l'esse in quanto tale, ma solamente una categoria particolare di enti creati.
b Il rapporto che esiste tra la persona fisica del Papa ed il carisma papale, si trova chiaramente precisato per mezzo della distinzione: materialiter-formaliter.
Spieghiamolo considerando un "caso concreto".
Il Cardinale E. Pacelli è l'eletto di un Conclave valido, ma non è ancora Papa.
Tuttavia, differentemente da tutti gli altri Cardinali, il Cardinal Pacelli, e lui solo, è in disposizione ultima a divenire Papa: esattamente come, nel corso di una generazione, la materia che sta per divenire quella del generato e in disposizione ultima a ricevere la forma di questo.
Si può dunque dire, per analogia, che la persona fisica eletta da un Conclave, supposto valido, è costituita Papa Materialiter; e ciò Ipso Facto: a condizione, tuttavia, che la detta persona fisica non sia ipotecata da un Obex rimasto occulto sospendente in essa l'effetto normale dell'elezione.
Il Cardinale E. Pacelli accetta l'elezione. Riceve, nell'atto stesso di questa accettazione, la Comunicazione esercitata da Cristo in favore di Pietro e dei successori di Pietro [Giovanni XXI 15-17].
Il Cardinal E. Pacelli é dunque costituito Vicario di Gesù Cristo.
E, poiché è molto precisamente nell"essere Vicario di Gesù Cristo che consiste il fatto di essere Papa, si dice che la stessa persona fisica, ovvero il Cardinal E. Pacelli, che in virtù dell'elezione era Papa soltanto materialiter, diventa Papa formaliter nell'atto stesso in cui accetta l'elezione.
In questa seconda tappa [formaliter], vi è tuttavia una conditio sine qua non: e ciò esattamente come nella prima tappa [materialiter].
Questa condizione è evidente, ed è la seguente: occorre che, nel momento stesso in cui il Cardinal E. pacelli afferma esteriormente di accettare l'elezione, non ponga interiormente, in modo occulto, un obex che l'abbia impedito di RICEVERE la Comunicazione promessa ed esercitata da Cristo.
Se si fosse accertato ulteriormente che un tal obex fosse esistito nell'atto dell'accettazione, il Cardinal E. Pacelli non sarebbe stato in alcun momento Papa Formaliter.
La distinzione formaliter-materialiter, intesa come ora è stata esposta, è stata utilizzata da San Roberto Bellarmino.
Questa distinzione e le due condizioni sine qua non che sono state precisate, si impongono d'altro canto, per la metafisica del "senso comune", ed in virtù del diritto naturale fondato da questa metafisica, esigito da essa; e, di conseguenza, soggiacente anche al diritto divino, a fortiori al diritto canonico ed al diritto puramente ecclesiale.
j L'enunciato della "tesi C", conformemente alla distinzione formaliter-materialiter.
La "tesi C" riguarda il rapporto di cui si è trattato nel paragrafo precedente [b]: rapporto tra la persona fisica che "occupa", almeno apparentemente, la sede episcopale di Roma, ed il carisma che è proprio al Papa.
La "tesi C" comprende due parti, conformemente ai due membri della distinzione-chiave [formaliter-materialiter].
A] L""occupante" della Sede apostolica [il Cardinal Montini, almeno dopo il 7 dicembre 1965, Mons. Lucani, Mons. Wojtyla] non è papa formaliter.
Non bisogna designarlo con il nome di Papa.
Vale a dire che il detto "occupante" non è, in alcuno dei suoi atti, il Vicario di Gesù Cristo. Questi atti, precisamente in quanto pretendono essere atti del Papa, in quanto Papa, sono nulli. Non c'è nulla di cui disobbedire agli "ordini" pretesamente portati da Mons. Wojtyla: poiché non è in atto il Vicario di Gesù Cristo: tutte le ordinazioni portate a questo pseudo-titolo sono vane, nulle, senza nessuna portata nella realtà.
Bisogna, non “disobbedire”, ma ignorare.
B] L’"occupante" della Sede apostolica è tuttavia "papa" materialiter.
Si può pertanto designarlo col nome di "papa": le virgolette co-significano che non é Papa.
Vale a dire che l'"occupante" occupa la Sede in una maniera illegittima e sacrilega [poiché non è Papa, e si fa passare per tale]: ma la occupa materialmente.
Designare un Papa autentico richiede canonicamente l'aver precedentemente constatato e dichiarato la vacanza reale della Sede materialmente occupata.
C] Riassumendo, si può dire. Al più tardi dal 7 dicembre 1965, vi è vacanza formale della Sede apostolica, benché questa Sede sia stata e sia "occupata" materialmente dal susseguirsi di tre persone, tutte in stato di Scisma capitale.
[II.] La prova della "tesi C", in ciascuna delle sue due parti.
µ La prova della parte [A], cioè: (l'"occupante" la Sede apostolica NON È Papa FORMALITER. Poiché, come è stato spiegato precedentemente [I b], l'eletto di un Conclave supposto valido è costituito Papa Formaliter nell'atto stesso della sua accettazione, solo se, nell'istante stesso in cui pone pubblicamente questo atto, non pone interiormente un altro atto, e non è interiormente in uno stato occulto che l'impedirebbe di ricevere la Comunicazione promessa ed esercitata da Cristo.
Poiché in effetti è nel ricevere questa Comunicazione che si è, in atto, Vicario di Cristo, cioè Papa Formaliter, opporsi volontariamente a questa ricezione è rendere volontariamente impossibile che si possa essere Papa Formaliter.
Si deve evidentemente, a priori, presumere la lealtà della persona che accetta di essere l'eletto di un Conclave valido.
Tuttavia. Leone XIII ha espressamente dichiarato ("Apostolicæ Curæ", 13 IX 1896; D.S. 3318): "La Chiesa deve giudicare dell'intenzione in quanto questa è manifestata esteriormente".
L’”occupante" [la Sede apostolica] ha avuto realmente, accettando l'elezione del Conclave, l'intenzione di ricevere la Comunicazione esercitata da Cristo?
Per rispondere a questa domanda, secondo Leone XIII, bisogna considerare i FATTI.
Se l'"occupante" aveva avuto, in realtà, l'intenzione di ricevere la suddetta comunicazione, allora doveva in seguito, abitualmente, conformarsi a tutte le esigenze di detta comunicazione.
Se, al contrario, si accerta che, continuamente e sistematicamente, l'”occupante" va contro le esigenze più fondamentali che sono inerenti alla Comunicazione esercitata da Cristo, bisogna concludere, (stando a Leone XIII) che l'”occupante" non aveva in realtà l'intenzione di riceverla, e che, in conseguenza, non è mai stato [o ha cessato di essere] Papa Formaliter.
Ora, nel caso presente, le esigenze della Comunicazione esercitata da Cristo in favore di Pietro e dei suoi successori sono di due tipi:
- Le une sono nei fatti presupposte alla Comunicazione; ma sono dell'ambito dell'ontologia: di modo che, benché di ordine naturale, sono imperiosamente necessitanti per la Comunicazione perché le sono immanenti.
- Le altre esigenze sono conseguenti alla Comunicazione, e sono di ordine sovrannaturale "quoad substantiam".
Esaminiamo successivamente questi due tipi di esigenze osservando come si comporta, verso ciascuna rispettivamente, l'"occupante" della Sede apostolica.
Gesù Cristo, istituendo la Sua Chiesa come società umana visibile ha ipso facto sanzionato, per questa Chiesa che è la Sua, le norme che sono immanenti per natura e, dunque necessariamente, ad ogni Società di questo tipo.
Ora, ci limitiamo qui a ricordarlo, in ogni Società, l'esistenza stessa dell'autorità richiede di essere fondata sul proposito di realizzare il bene comune che è il fine della detta Società.
Una "persona" fisica o morale che, in seno ad una Società, perseguirebbe abitualmente ed in molte maniere, l'annientamento del bene comune che è proprio a questa Società, una tal "persona" dunque non può essere l'autorità nella detta Società.
La Chiesa, nascendo secondo questa legge, "eam non minuit, sed sacravit: non la diminuì ma la consacrò" [come "Gesù, nascendo da Maria, ha, in Lei, consacrato la Verginità, e non l'ha diminuita].
Ora osserviamo che, da 25 anni, con dei procedimenti indiretti ma molto efficaci e convergenti, l'occupante" della Sede apostolica persegue la degradazione di quello che invece dovrebbe promuovere, cioè il "Bene" affidato in proprio alla Chiesa dal Suo divino Fondatore, particolarmente l'oblazione pura ed il deposito rivelato.
Ne consegue che l'”occupante" la Sede apostolica non può essere, nella Chiesa, l'”Autorità". Dunque non è Papa Formaliter.
La Comunicazione esercitata da Cristo in favore del Suo autentico Vicario presenta egualmente delle "prerogative" [e, viste dal di fuori, delle esigenze] che le sono conseguenti.
La principale è l'infallibilità. È rivelato che l'Infallibilità comporta due forme:
- il Magistero Straordinario Solenne [il Papa pronuncia "ex cathedra" (dogma dell’Immacolata Concezione dichiarato da Pio IX, e quello dell’Assunzione da Pio XII)];
- il Magistero Ordinario Universale [l’insieme dei Vescovi, dispersi o riuniti, in comunione col Papa (Assunzione, prima della definizione di Pio XII)].
È dunque impossibile che l'autentico Vicario di Gesù Cristo, quando si pronuncia secondo l'una o l'altra di queste due forme, affermi una cosa che sostenga l'opposizione di contraddizione con una dottrina già rivelata.
Il 7 dicembre 1965, il Cardinal Montini ha promulgato, impegnando almeno [cf (3)] il Magistero Ordinario Universale, una proposizione concernente la "libertà religiosa" che sostiene l'opposizione di contraddizione con la dottrina infallibilmente definita da Pio IX nell'Enciclica "Quanta Cura" legata al "Syllabus" [08 XII 1864].
Bisogna dunque concludere, stando a Leone XIII, che, ponendo quest'atto, il Cardinal Montini non aveva l'intenzione di ricevere la Comunicazione esercitata da Gesù Cristo, dunque non era più Papa Formaliter.
Riassumendo [α].
Il Vicario di Gesù Cristo non può agire, come tale, che conformemente al carisma che tiene dalla Comunicazione esercitata in suo favore da Gesù Cristo.
Non può dunque agire che conformemente alle norme naturali fondamentali sanzionate ed assunte da Gesù Cristo, e conformemente alla Verità già manifestata da Gesù Cristo.
Qualsivoglia contraddizione, osservabile ed osservata su uno di questi due punti, prova, necessariamente a posteriori, che l'autore di un simile delitto non può essere il Vicario di Gesù Cristo.
β La prova della parte [B], cioè: l'”occupante" la Sede apostolica è "papa" Materialiter.
Abbiamo precedentemente spiegato [I β] in che senso conviene dire che l'eletto di un Conclave supposto valido sia, anche prima della sua accettazione, papa materialiter, a condizione tuttavia: che, in primo luogo, il Conclave sia valido [quante 'voci' sono circolate, plausibili se non fondate, concernenti gli ultimi tre Conclavi... Tisserand, Siri...]; che, secondariamente, l'eletto apparente non sia ipotecato da un obex rimasto occulto e che sospende in lui l'effetto normale dell'elezione [Se, per esempio, si provasse con certezza che Mons. Wojtyla apparteneva ad una società occulta anticristiana prima della sua elezione].
Ora, l'esistenza di un eventuale obex, scoperto a posteriori, sia nel "Conclave" che elegge, sia nella persona così scelta, non è sufficiente ad infirmare che costui sia, almeno provvisoriamente, "papa" Materialiter. Perché un dato certo, ma che non è d'ordine ontologico, non può essere immanente alle Norme divine stesse.
Un tal dato non può dunque aver valore e forza nella Chiesa che in virtù di un ordinamento e di una promulgazione fatta dall'autentica Autorità della Chiesa.
E, poiché una tale Autorità, attualmente, fa difetto, nessuno è attualmente qualificato, nella Chiesa [intendiamo: la vera Chiesa; non come tale la Chiesa che presiede Mons. Wojtyla] per dichiarare che dopo il 7 dicembre 1965, il Cardinal Montini ha cessato di essere "papa" Materialiter.
La stessa osservazione vale per gli "occupanti" la Sede apostolica che sono succeduti al cardinal Montini; ciò nella sola misura in cui una "gerarchia" che lo è soltanto materialiter può perpetuarsi. Una tale perpetuazione non è, ex se, impossibile.
Essa richiede tuttavia espressamente delle Consacrazioni episcopali che siano certamente valide.
E, poiché il nuovo rito è dubbio, gli "occupanti" [della Sede apostolica] ben presto non saranno più che delle "comparse".
Mons. Wojtyla è, a questo riguardo e come minimo, un eminente precursore.
Come si salverà, in queste condizioni, l'Apostolicità della Chiesa?
Checché ne sia di questo mistero, che ci vela attualmente il "mistero d'iniquità", bisogna evidentemente sostenere che la successione apostolica sarà salvaguardata, ininterrotta "fino alla fine del secolo" [Matteo XXVIII 20].
La "visibilità" non è una nota della Chiesa; essa ha subito delle eclissi, poiché è solamente la possibilità di diritto, non sempre realizzata di fatto [cf il Grande Scisma] di osservare l'Apostolicità.
Mentre l'Apostolicità è una nota, permanente come la Chiesa stessa. È necessario quindi tenere assolutamente la norma, senza la quale la successione apostolica si troverebbe oggettivamente ininterrotta.
Questa regola, imperiosa ed evidente, è la seguente.
La persona fisica o morale che ha, nella Chiesa, qualità per dichiarare la vacanza totale della Sede apostolica è identica a quella che, nella Chiesa, ha qualità per provvedere alla provvigione della stessa Sede apostolica.
Chi dichiara attualmente: "Mons. Wojtyla non è per nulla papa [neanche materialtter]", deve: o convocare il Conclave, o mostrare le credenziali che lo costituiscono direttamente ed immediatamente Legato di Nostro Signore Gesù Cristo.
Queste ultime osservazioni mostrano sufficientemente che la portata oggettiva della domanda: "L'occupante della Sede apostolica è, sì o no, 'papa' materialiter(?)", è talmente fuori della nostra portata, che concretamente e realmente, la risposta a questa domanda non ha quasi impatto sul comportamento effettivamente possibile del fedele legato alla Tradizione.
[2b] In cosa soprattutto fa difetto l'attitudine dottrinale di Mons. Lefebvre?
La viziosità principale del "Lefebvrismo" consiste in una radicale doppiezza, la quale inocula l'eresia.
[I.] "In verbis". Doppiezza.
A proposito di ogni avvenimento, vi sono sempre due affermazioni contrarie tra di loro, concernenti i rapporti con "Roma": l'una per dei circoli ristretti [Non c"è niente da aspettarsi da Roma. Mons. Lefebvre sta per consacrare dei Vescovi"]: l'altra per i grandi uditori (Cresime. Ordinazioni); ["Tutto sta per aggiustarsi. Non compromettete tutto. Nessuna Consacrazione episcopale"]. L'ultimo "numero" di questa pantomima che dura da dieci anni ha avuto luogo l'otto dicembre 1986. Mons. Lefebvre, in una lettera aperta a Giovanni Paolo II, tenuta segreta fino all'otto dicembre, ed in seguito mantenuta nel silenzio, ritiene "che bisogna considerare come nulle tutte le riforme conciliari e tutti gli atti di Roma che sono compiuti in questa empietà". Questa dichiarazione, letta il mattino dell'otto dicembre nei Priorati, ha trattenuto dei Seminaristi che erano decisi a non rinnovare le loro promesse e dunque a lasciare la Fraternità. Tuttavia, avendo dato agli Econiani la consegna di non parlare di questa lettera, Mons. Lefebvre continua ad affermare che Giovanni Paolo II è veramente Papa. Così, secondo Mons. Lefebvre, una persona è l'Autorità, e tuttavia, gli atti che pone questa persona, in quanto è l'Autorità, possono essere nulli, "devono essere considerati come nulli".
Mons. Lefebvre ha un così straordinario habitus della duplicità che lo spinge con cinismo fino ad affermare la contraddizione.
[II.] "In factis". Inganno e bestemmia.
La pratica dei Priorati insegna di fatto nella prassi, benché senza dirlo, che da un'autentica "Autorità" [Mons. Wojtyla sia veramente "papa", ergo sarebbe in atto il Vicario di Gesù Cristo], procede una "missio" talmente viziata [la cosiddetta nuova messa, l'ecumenismo... Assisi ed il resto...] che Mons. Lefebvre rifiuta di conformarvisi.
Ciò equivale, nell'agire, ad una bestemmia contro la santità della Chiesa. La MISSIO che procede veramente dalla Chiesa non può essere che santa.
Questa eresia, diffusa in tutte le Cappelle e le Scuole tenute da "Ecòne", è la seguente: "il Magistero ordinario universale della Chiesa non è infallibile". Ora, la Verità, tenuta dalla Tradizione, e confermata dal Vaticano I, è che il Magistero Ordinario Universale é Infallibile. (Cf M.L. Guérard del Lauriers: "De Vatican II a Wojtyla", apud:" Sousla Bannière", supplemento al N. 8 [Edizioni Sainte Jea'nne d'Are, les Guillots: 18260 VILLEGENON]).
[III.] "In verbis et factis". Inganno, diffusione dell'eresia.
Da almeno dieci anni si è insegnato ad Ecòne, si è ripetuto ed imposto ai fedeli dei Priorati, ed ai bambini innocenti e senza difesa che frequentano le scuole tenute dalla Fraternità San Pio X, che il Magistero è infallibile solamente se il Papa parla "ex cathedra". La qual cosa equivale a negare l'infallibilità del magistero ordinario universale, la quale, però, è affermala da tutta la Tradizione, particolarmente dal Vaticano I.
Il "Lefebvrismo" diffonde dunque l'eresia, per poter proclamare che Mons. Wojtyla è veramente Papa, e poter così conservare i suffragi dei generosi fedeli che vengono messi sulla strada dell'inferno invece di dichiarar loro la Verità.
3) Sodalitium: Si dice che, dato che il Vaticano II non ha definito dei dogmi, la presenza indiscutibile e d'altra parte riconosciuta di errori contro la Fede nei testi conciliari, non pone alcun
problema quanto all'infallibilità della Chiesa. Tutto ciò è vero? E se non lo è, come giudicare una tale asserzione?
Mons. G.: La qualificazione del Vaticano II [Cf Cahiers de Cassiciacum: N. 1 pp. 14-15; N. 6 pp. 13-81].
Era lecito al Vaticano II non definire dei dogmi. Ma è un errore o una menzogna affermare, sulla natura del Vaticano II, delle contro-verità.
Un Concilio ecumenico convocato ed approvato dal Papa appartiene per lo meno e per definizione al Magistero Ordinario Universale della Chiesa. Per sé, cioè se le cose sono conformi a quello che ne esige la natura, i documenti che emanano da una assemblea di questo genere e che rilevano formalmente della luce della Fede [ed è il caso nella definizione della "libertà religiosa"] e che trattano di una dottrina già infallibilmente promulgata, sono ipso facto promulgati con la nota dell'infallibilità. Il Vaticano II ha potuto, a rigore, affermarsi "ordinario"; ma non ha fatto e non poteva fare che una promulgazione le cui clausole comportano che canonicamente l'infallibilità possa non dover essere infallibile.
4) Sodalitium: Cosa pensare, dunque, di Paolo VI e Giovanni Paolo II?
Mons. G.: Dio ha giudicato. Dio giudicherà. Quanto a noi, non giudichiamo... almeno dell'intenzione.
Questi "papi" professano l'eresia e sono per lo meno affetti da "Scisma capitale" [Cf Cahiers de Cassiciacum N. 3-4]. Il meglio che c'è da fare è, mi pare, non considerarli.
"Nec nominetur in vobis" [Efesini V 3]. Sed tamen oremus pro eis [ma tuttavia preghiamo per loro]: Miserere, de Profundis.
5) Sodalitium: Cosa ne pensare delle Messe tradizionali celebrate da sacerdoti che, pur essendo critici nei riguardi di Roma, sostengono che Giovanni Paolo II è veramente Papa e lo nominano nel Te igitur, nel corso del Canone della Messa?
Mons. G.: Messe tradizionali, celebrate con menzione di Giovanni Paolo II nel corso del Te igitur.
Il Sacerdote che celebra una tal Messa pronuncia le seguenti parole: "In primis quae Tibi offerimus pro Ecclesia Tua sancta catholica...: una cum famulo tuo Papa nostro Johanne Paulo...".
Queste Messe sono comunemente designate con il nome di: "messe una cum".
È necessario, in questa proclamazione, considerare due cose: d'un lato ciò che vi è direttamente significato: dall'altro, ciò che vi si trova indirettamente consignificato, a causa del contesto.
[I.] Ciò che è direttamente significato dalla formula: "una cum". Il delitto di sacrilegio.
Il senso generale della supplica è determinato dalle parole: "quae tibi offerimus pro...".
Ma, checché ne sia di questo senso generale, la locuzione “una cum” afferma che la Chiesa [di Cristo e di Dio: "tua"], santa e cattolica, è "una cum" il servo di Dio che è nostro Papa Giovanni Paolo II.
La locuzione “una cum” afferma dunque che: reciprocamente Mons. Wojtyla è "uno (insieme), con" [è una cosa sola con] la Chiesa di Gesù Cristo, santa e cattolica.
Ora, l'abbiamo dimostrato [2a. γ], questa affermazione è un errore. Perché, dato che W. persiste a proferire ed a promulgare l'eresia, non può essere il Vicario di Gesù Cristo; non può, in quanto "papa" come si dovrebbe [famulo tuo Papa nostro], essere "una sola cosa con" la Chiesa di Gesù Cristo.
L'una cum afferma dunque, e proclama, un errore concernente concretamente la Fede.
Essendo così, bisogna concludere che la Messa "una cum" è "ex se" oggettivamente macchiata di sacrilegio.
La Messa, difatti, è l'azione sacra per eccellenza, poiché il Sacerdote opera "in Persona Christi".
E se questo ruolo strumentale concerne eminentemente l'atto consacratone è egualmente realizzato per derivazione durante ciò che precede e prepara quest'atto, o ne segue immediatamente.
Ora, tutto ciò che include un'azione sacra deve essere puro, vale a dire conforme a ciò che ne esige la natura.
Una proclamazione che specifica immediatamente l'esercizio concreto della Fede, deve sempre essere vera, tenuto conto della Fede stessa.
Deve esserla, ad un secondo titolo, se è fatta durante un'azione sacra. Dunque, se una proclamazione che specifica immediatamente l'esercizio concreto della Fede è fatta durante un'azione sacra, e se è erronea, costituisce ipso facto ed oggettivamente un delitto, non solo contro la Fede ma anche contro l'azione sacra.
Una tale proclamazione è dunque macchiata [ipotecata] d'un delitto che è del genere: "sacrilegio"; e ciò oggettivamente ed ineluttabilmente, checché ne sia del peccato commesso dai partecipanti [cf 6].
[II.] Ciò che é indirettamente consignificato dalla formula "una cum".Il delitto di Scisma Capitale.
"Quae tibi offerimus pro...". Si tratta di una offerta che è fatta in favore di. Ecco ciò che è significato direttamente.
Per questo qualcuno [specialmente Dom Gerard Calva o.s.b.] ha preteso che al Te igitur si preghi per il Papa e per nulla con il Papa. Si tratta di una veduta superficiale. Infatti, bisogna osservare che in questa prima parte del Te igitur, il Papa è considerato in quanto papa, poiché, precisamente, è menzionato "una cum Ecclesia". A questo proposito, conviene rispondere ad una obiezione allegata da Mons. Lefebvre e da quelli che lo seguono. Pretendono dire: "rifiutarsi di menzionare W. al Te igitur" e dicono: "rifiutarsi di pregare per il Papa". Nient’affatto. Al contrario, è eminentemente conveniente pregare per W. come persona privata, di pregare per lui e per la sua conversione, al Memento dei vivi. Mentre è evidentemente impossibile pregare per una persona in quanto essa assumerebbe in atto la funzione di essere il Vicario di Gesù Cristo, mentre questa persona pone degli atti che sospendono assolutamente l'esercizio di questa funzione.
D'altronde, l'applicazione del frutto della Messa ["pro"], richiesta come aleatoria in favore delle persone private nei due Memento è richiesta nel Te igitur: in modo eguale, unitamente [una cum] in favore della Chiesa e del Papa, come gratuita, certo, "ex parte Dei", ma come necessaria poiché certa "ex parte nostri".
Da quest'ultima osservazione, risulta la seguente conseguenza.
Ricordiamo che l'"applicazione" del merito non è necessaria [o: "de condigno"] che in due casi, ovvero:
1) Questa "applicazione" è fatta da Cristo in persona: Lui, e Lui solo, merita, in diritto, per gli altri;
2) Questa "applicazione" è fatta alla persona stessa che acquista il merito: ciascuno merita "de condigno" per sé stesso. Dunque, siccome l'applicazione del frutto della Messa è fatta di diritto a persona morale che costituiscono unitamente ed in modo eguale [una cum] la Chiesa ed il Papa.
È necessario che questa stessa persona morale sia al principio del Sacrificio di cui essa ha il diritto di ricevere il frutto.
D'Altronde, si afferma comunemente che, se la Messa è primordialmente il Sacrificio di Cristo, essa è egualmente ed unitamente il Sacrificio della Chiesa. [È per questo che, se il Sacerdote che offre il Sacrificio, quanto all'esercizio dell'atto, opera in Persona Christi, senza mediazione della Chiesa, tuttavia, quanto alla specificazione dell'atto, il Sacerdote non può operare che nella mediazione della chiesa. Poiché solamente la Chiesa ha divinamente qualità per garantire con certezza:
- la conformità alla Verità dell'articolo che promulga nel Nome di Cristo;
- la conformità alla Realtà del rito che essa prescrive in Nome di Cristo. (Il Sacerdote che fa uso di un rito prende ipso facto l'intenzione dell'autorità che è responsabile di questo rito... s'intravedono tutte le conseguenze)].
E, nella Chiesa in ordine, tramite la mediazione esercitata dalla Gerarchia, è il Papa in definitiva che conferisce la "missione" di celebrare qualsiasi Messa.
Il Papa è, nella Chiesa, il "Sommo Pontefice". Ed è perché Chiesa e Papa unitamente [una cum] comandano nella Chiesa militante l'offerta del Sacrificio proprio a questa Chiesa, che hanno diritto "in primis" al frutto di questo Sacrificio: nell'ordine creato, essi sono "in primis" quanto al termine [cioè l'applicazione del frutto], perché sono "in primis" quanto al principio [cioè l'intimazione della celebrazione].
Si vede così qual'è la vera portata dell'espressione: "una cum". Non significa soltanto che, celebrando il sacrificio della Messa, si prega per la Chiesa e per il Papa, come per [pro] tale persona privata o tale intenzione particolare.
"Una cum" consignifica, implicitamente ma necessariamente, che, celebrando il Sacrificio della Messa, si celebra in unione con e sotto la dipendenza di questa persona morale che sono unitamente [una cum] la Chiesa ed il Papa; visto che questa persona morale ha diritto in primis al frutto del sacrificio: diritto in primis che solo può fondare metafisicamente il fatto di partecipare di diritto in primis all'atto di Cristo-Sacerdote che offre questo stesso Sacrificio.
Da tutto ciò deriva la qualificazione che conviene attribuire alla Messa tradizionale "una cum".
Una simile Messa è valida [supponendo che il sacerdote sia stato ordinato validamente], a causa del rito che, come il Deposito, resta divinamente garantito dal Magistero della Chiesa. Ma, checché ne voglia soggettivamente il celebrante, l'atto che pone comporta oggettivamente ed ineluttabilmente l'affermazione di essere in comunione con [una cum], e persino sotto la dipendenza [papa nostro] di una persona in stato di scisma capitale.
L'atto d'una celebrazione simile è dunque macchiato di un delitto che è del genere: "scisma"; ciò oggettivamente ed ineluttabilmente, checché ne sia del peccato commesso dai partecipanti: prete celebrante, fedeli assistenti, [cf 6].
6) Sodalitium: Potete precisare, per favore, le difficoltà suscitate dall'assistenza ad una Messa tradizionale celebrata "una cum"?
Mons. G.: Difficoltà suscitate dal fatto di assistere ad una Messa tradizionale "una cum".
Queste difficoltà risultano da quanto abbiamo esposto.
Bisogna evidentemente lasciare da parte i casi nei quali l'assistenza ad una tale Messa è necessitata da un motivo estrinseco [ragione di famiglia, per esempio], essendo sottinteso che la persona che assiste ad una tale Messa manifesterà nettamente ed ostensibilmente che assiste senza partecipare.
Se quest'ultima clausola [manifestare che non si partecipa] non è realizzata, allora, ex se, il solo fatto di assistere costituisce una partecipazione, una cauzione data alla celebrazione.
E siccome questa é ipotecata oggettivamente ed ineluttabilmente dal delitto di sacrilegio e dal delitto di scisma, non ne segue forse che partecipando a questa celebrazione si incorre nella colpevolezza di questi delitti?
La risposta è, di diritto, affermativa. Ne segue che, di diritto, i fedeli attaccati alla Tradizione non devono assistere alla Messa tradizionale una cum. E questo tenuto conto: in primo luogo di se stessi, in secondo luogo della Testimonianza che devono rendere agli altri.
Questa risposta, di diritto, affermativa, può essere praticamente tenuta in sospeso da due considerazioni. La prima è di ordine generale, tenuto conto delle regole della morale.
Un delitto non è peccato che se è conosciuto come tale. L'ignoranza scusa se è candida; accresce la colpevolezza se è calcolata, ecc. ... Un buon numero di fedeli attaccati alla Tradizione non comprendono nè la portata, nè, in conseguenza, la gravita dell'”una cum".
Bisogna istruirli [cf 10]. Ma, finché non hanno capito, non si può incolparli d'assistere alla Messa tradizionale una cum ...
Dio solo scruta i cuori!
La seconda considerazione che può tenere in sospeso la norma del diritto [ovvero: non assistere alla "Messa una cum”] dipende dalla situazione attuale.
Può accadere che dei fedeli non abbiano praticamente altro mezzo di comunicare che assistendo ad una Messa una cum.
Ora, se è possibile vivere e progredire nello stato di grazia senza comunicare, questa privazione non va esente da difficoltà e talvolta da pericoli. E, come la Chiesa ha sempre ammesso che in pericolo di morte si possa ricorrere ad un confessore anche scomunicato, non conviene forse di ricorrere ad una Messa una cum per partecipare al Sacrificio e comunicarvi?
Pio XII l'ha ricordato con autorità: nella Chiesa militante, è la salvezza delle anime che costituisce la finalità delle finalità.
L'assistenza alla "Messa una cum" può essere quindi oggetto di un "caso di Coscienza". Ogni caso è un caso; e deve essere risolto in definitiva dalla coscienza dell'interessato, ma non senza i consigli e le direttive comunicati da un Sacerdote "non una cum". Né rigorismo univoco, che non tiene conto della coscienza di ciascuno; né lassismo sentimentale: per esempio, una persona che può comunicare ogni quindici giorni ad una Messa "non una cum", non ha alcuna ragione e non deve quindi, nell'intervallo, assistere ad una "Messa una cum", ancor meno comunicarvi.
Nota:
Mons. Guérard sostiene che egli, in questa materia, esprime unicamente la sua opinione, ed ammette i buoni diritti dell'altra opinione, secondo cui non è lecito neanche per motivi pastorali (il desiderio dei Sacramenti) assistere e comunicare ad una "Messa una cum".
7) Sodalitium: Monsignore, nel 1981 siete stato consacrato Vescovo da Monsignor Thuc.
Questo Vescovo non è sempre stato chiaro nei suoi atti. In seguito a questa Consacrazione siete stato "scomunicato" dal Cardinal Ratzinger. Cosa pensare di tutto ciò?
Mons. G.: Ho ricevuto la Consacrazione episcopale, il 7 maggio 1981, da Mons. Pierre Martin Ngo Dinh Thuc.
Affermo che questa Consacrazione è valida, legale per quanto si poteva e perfettamente lecita.
Si chiama "legale", ciò che è conforme alla lettera della legge. Si dice "lecito", ciò che è conforme al fine voluto dalla legge. La virtù di epikeia, consiste nel trascurare la "lettera", se essa si rivela contraria al "fine".
[I.] La Consacrazione è valida.
Atteso che:
1) il rito tradizionale è stato integralmente osservato [fatta eccezione della lettura del "mandato romano"];
2) Mons. Thuc ed io avevamo l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
[II.] La Consacrazione è legale, nel limite del possibile.
In effetti, bisogna sapere che, con un Breve datato 5 marzo 1938, Pio XI istituì Mons. Thuc come suo Legato ["deputamus in Nostrum Legatum Petrum Martinum Ngò-Dhin-Thuc Episcopum titularem Saesinensem ad fines nobis notos, cum omnibus necessariis facultatibus"].
Mons. Thuc aveva quindi il potere di Consacrare dei Vescovi, senza sottoporre antecedentemente il caso alla Santa Sede, e quindi senza "mandato romano".
Mons. Thuc conservò questo stesso potere, quando fu istituito Arcivescovo di Huè da Pio XII.
Lo prova il fatto che fu Mons. Thuc, e non l'Amministratore Apostolico, che scelse e consacrò tutti i Vescovi del Vietnam tra il 1940 ed il 1950 [Mons. Thuc me ne spiegò, di viva voce, e non senza un'insistente malizia, la ragione (nascosta e vera).
In questo modo le pensioni, le spese in caso di malattia ecc. dei suddetti Vescovi, tutti questi oneri incombevano ai fedeli del Vietnam; mentre avrebbero dovuto incombere su "Roma", se questi stessi Vescovi fossero stati consacrati dall'Amministratore Apostolico.
Checché ne sia di questa "divertente" "finalità", resta che, riguardo allo stretto punto di vista della causa formale, "Roma", di fatto, sotto Pio XII, ha confermato Mons. Thuc nei suoi poteri e prerogative di Legato.
Mons. Thuc aveva coscienza di averli conservati, e ne fece parte oralmente a più persone: "quando si troveranno questi Documenti dopo la mia morte".
Ma questi Documenti non furono messi in luce, e "aggiornati" che molto tardivamente [passarono attraverso molteplici e pericolose vicissitudini], per cui non è stato possibile avvalersene, come sarebbe stato opportuno. È quindi con la più grande buona fede e persino in tutto candore, che Mons. Thuc procedette a fare Consacrazioni ed Ordinazioni.
Pensava, a giusto titolo, di averne canonicamente il diritto; poiché questo diritto non gli era stato tolto. (Mons. Thuc aveva così: pensione e doni per soccorrere i rifugiati vietnamiti. Cf il mio articolo sul BOC (abbreviazione di "Bulletin del'Occident Chrétien"): N. 103-(B.P. 112.92313 Sèvres Cèdex).
Le suddette Consacrazioni ed Ordinazioni, fatte da Mons. Thuc, sono "legali": vale a dire conformi alla "lettera" della legge? Perché lo fossero perfettamente, sarebbe stato necessario che dopo aver posto l'atto [non "prima", perché Mons. Thuc aveva giuridicamente il potere], Mons. Thuc sottoponesse il caso all'Autorità.
Ma Mons. Thuc riteneva, come io stesso, che non ci sia più Autorità; benché, paradossalmente e sventuratamente, ci tenne a restare egualmente in buone relazioni con l’"autorità".: [Si legga: Autorità = la vera Autorità, di cui vi è attualmente "vacanza formale"; "autorità" = pseudo - Autorità che infierisce dal 7 dicembre 1965]. Da tutto ciò, due conseguenze:
Da un punto di vista oggettivo, vale a dire considerando in sé stesse le Consacrazioni ed Ordinazioni compiute da Mons. Thuc, esse sono tanto "legali" quanto si poteva [e che si può]. Poiché, da un lato, Mons. Thuc aveva giuridicamente il potere di compierle senza il "mandato romano"; e, d'altra parte, era e resta impossibile "denunciare" queste Consacrazioni ed Ordinazioni ad una Autorità che, in atto ed in quanto tale, non esiste.
La "legalità" delle suddette Consacrazioni ed Ordinazioni è, come ogni cosa attualmente nella Chiesa militante, in stato di privazione, in ragione della "vacanza formale" della Sede Apostolica.
Da un punto di vista soggettivo, vale a dire considerando le suddette Consacrazioni ed Ordinazioni come uno dei comportamenti di Mons. Thuc, si è obbligati di osservare che sono state per lui la "spada di dolore" e la pietra di scandalo. Esse esigevano che rompesse con "Roma", e lo fece a parole; ma desiderava, per le "ragioni del cuore", aver dei riguardi per "Roma", e fu preso nella trappola dove trovò la morte.
"Noli judicare si non vis errare". Checché ne sia di questa intima agonia e del Giudizio di Dio, resta il fatto che le Consacrazioni e le Ordinazioni compiute da Mons. Thuc sono state tanto legali quanto si può partecipando secondo la loro natura allo stato di privazione che colpisce attualmente tutta la Chiesa militante, e distintamente ognuno dei suoi componenti...
La Chiesa Corpo Mistico, Sposa di Cristo, restando vergine, anche in terra, di qualsiasi privazione.
[III.] La Consacrazione è lecita.
Per ben comprenderlo, bisogna ricordare che, nella Chiesa militante considerata in quanto essa è un collettivo umano, ogni legge puramente ecclesiastica [la vacanza e la provvisione della Sede apostolica fan parte di questo tipo di legge], anche quelle che portano una sentenza latae sententiae e non ha forza esecutoria che in virtù dell'Autorità attualmente esercitata.
Se potesse essere altrimenti, se potessero esistere, nella Chiesa militante, delle leggi puramente ecclesiastiche con forza esecutoria indipendentemente dall'Autorità, bisognerebbe che, almeno per queste leggi, l'Autorità ricevesse il suo proprio mandato dalla Chiesa militante in quanto quest'ultima è un collettivo umano.
Ma questa dottrina è esplicitamente condannata dal Vaticano I come erronea [D.S. 3045].
Ogni legge puramente ecclesiastica è dunque, radicalmente, una legge dell'Autorità: la quale, per essenza, è monarchica [monós arché].
Ne segue che ogni legge puramente ecclesiastica può essere sottomessa, ed è attualmente sottomessa, alle vicissitudini stesse delle leggi umane.
D'un lato, può venir meno l'Autorità che dà forza alla legge; ed è ciò che succede, a causa della vacanza formale della Sede apostolica. D'altra parte, può accadere, per accidens, che applicare la lettera della legge nuoccia, invece di realizzarlo, al fine voluto dalla legge.
È esattamente quanto accade attualmente. L'esigenza del "mandato romano", esigenza rafforzata da Pio XII, come condizione di ogni Consacrazione episcopale, è ordinata per meglio salvaguardare ed affermare il carattere monarchico dell'Autorità, che si esercita su di ogni Vescovo, e su tutti i Vescovi della cattolicità.
Ora, sotto Karol Wojtyla, una "consacrazione" fatta con il "mandato romano" comporta che: in primo luogo la persona "consacrata" [supposto che lo sia] sia ipso facto in stato di Scisma capitale, come lo è W. stesso; e che, in secondo luogo, la "consacrazione" fatta secondo il nuovo rito che è dubbio, sia essa stessa dubbia, e deve dunque essere considerata praticamente come non valida.
La fedeltà al "mandato romano" ha dunque come conseguenza, a breve scadenza, che W. sarà il monarca assoluto di un'assemblea mondiale i cui membri rivestiranno per l'occasione le insegne episcopali, benché non siano per nulla Vescovi, né per conseguenza successori degli Apostoli.
"La lettera uccide, lo Spirito vivifica" [2 Cor III. 6; cf Romani II 27-29].
Quando la lettera della legge [la prescrizione del "mandato romano"] ha per effetto di distruggere il fine voluto dalla legge [cioè l'unità, e pertanto la realtà stessa della Chiesa militante] allora è virtù, è la virtù di epikeia, non tener conto della lettera della legge, nella stretta e sola misura in cui ciò è necessario per continuare ad assicurare il fine voluto dalla legge.
Gli atti che sono posti, per necessità, contro la lettera della legge, in vista di assicurare il fine voluto dalla legge, tali atti sono detti "leciti", benché siano illegali.
Questa dottrina è sempre stata ammessa dalla Chiesa.
Affermiamo dunque che le Consacrazioni conferite da Mons. Thuc, legali quanto si poteva [II.] poiché Mons. Thuc era dispensato dal "mandato romano", furono e restano perfettamente lecite; benché, come abbiamo spiegato [II.], la loro "legalità" resti ipotecata dalla privazione che colpisce attualmente la Chiesa militante.
[IV.] Il "cardinal" Ratzinger mi ha notificato [mediante il Nunzio a Parigi, e non il Generale dei Domenicani] che avevo incorso la scomunica "latae sententiae".
Mi esortava a "ritornare", promettendomi una buona accoglienza!
- Non ho risposto a questo messaggio, per le ragioni seguenti:
"Ex parte objecti". La sentenza è, in sé stessa, priva di ogni fondamento: come è stato precedentemente esposto [II, III].
"Ex parte subjecti"; id est: Josephi Ratzinger, et "auctoritatis". I soli atti dell'"autorità" che possano non essere vani sono esclusivamente quelli ordinati a ciò che perduri nella Chiesa, materialiter, la gerarchia: materialiter soltanto, poiché [cf 2a], l'"autorità" non ha potere nella Chiesa che "materialiter" e non "formaliter".
Così, per esempio, l'atto con il quale l'"autorità" riconoscerebbe il valore e la portata ecclesiale delle Consacrazioni conferite da Mons. Thuc: tale atto sarebbe valido.
Mentre ogni atto che non è espressamente ordinato alla permanenza della gerarchia [almeno "materialiter"] è vano.
Non bisogna tener conto di una cosa priva di fondamento, che è vana; è il consiglio di San Giovanni (2 Giovanni 10-11 ).
- Il messaggio del "cardinal" Ratzinger mi ha divertito, ed anche rallegrato. Di tutti i Vescovi che professano integralmente la Fede cattolica, io sono il solo che sia "scomunicato" dalla "Roma" di W.
Non essendo in alcun modo in comunione con quella "Roma", rendo grazie che essa abbia, almeno su di un punto, dichiarato qual'è la Verità.
8) Sodalitium: Nel 1984 e nel 1986 avete consacrato due Vescovi, senza l'accordo di Roma. Perché fate questo? Pensate di dover ancora consacrare dei Vescovi ed ordinare dei sacerdoti?
Mons. G.: Ho consacrato due Vescovi senza "mandato romano": Mons. Storck [30.IV.84]; Mons. Mac Kenna [22.VIII.86].
[I.] È necessario che duri sulla terra l’Oblazione Pura. L'Oblatio Munda [“Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti. Malachia I, 11].
Alcuni mi attribuiscono l'intenzione di voler "salvare la Chiesa". Al contrario, rifiuto di associarmi con quanti professano "in directo" questo proposito.
Poiché Dio solo, Gesù solo (cf. 11) salverà la Sua Chiesa nel Trionfo di Sua Madre. Di questo fatto ne sono certo, non spetta a me sapere il "come".
Tuttavia, credo dover sacrificare ogni cosa, fare tutto ciò che è in mio potere, perché perduri in terra l'oblatio munda. La Messa tradizionale tale quale la celebrano Monsignor Lefebvre ed i sacerdoti ordinati da Lui, questa Messa celebrata una cum W. è, checché ne voglia il celebrante, oggettivamente macchiata di una doppia impurità che appartiene al sacrilegio ed allo scisma capitale [cf 5].
La Messa perpetuata dalla "Fraternità San Pio X" non è, non può essere, l'oblatio munda. Questa circostanza di diritto è ancor più rinforzata dalla ben aggravante circostanza che segue: in vista di [sembrar] giustificare la loro celebrazione una cum W., gli Econiani non esitano ad affermare e diffondere l'errore, vale a dire che corrompono la Fede dei fedeli inoculandogli l'eresia.
Se Monsignor Lefebvre non avesse profanato la Messa tradizionale, esigendo che sia celebrata una cum Wojtyla io non avrei neppure pensato né di ricevere, né tanto meno di conferire, l'Episcopato.
Misereor Super Sacrifichimi. Ecco la ragione primordiale, e da sé stessa necessitante per chi la percepisce, per la quale ho accettato di ricevere e per la quale propongo di conferire l'Episcopato.
[II.] È eminentemente conveniente che duri sulla terra la Missio istituita da Cristo [Matteo XXVIII 18-20].
La Missio comprende certamente l'offerta dell'Oblatio Munda: e questo innanzitutto.
Ma essa è più ampia: "Andate, insegnate, battezzate, educate". Essa è confidata a tutti gli Apostoli unitamente, e a ciascuno rispettivamente.
Essa è quindi realmente distinta dalla Sessio, vale a dire dalla giurisdizione promessa [Matteo XVI 18-19], e poi conferita [Giovanni XXI 15-17] plenariamente, a Pietro da solo; comunicata agli altri per partecipazione a Pietro e quindi solamente nella mediazione di Pietro.
Ai sacerdoti "fedeli" che contestano, come fosse una "novità sospetta", la distinzione reale tra la Missio e la Sessio, mi limito a porre una domanda: «Voi confessate i fedeli. Ne avete ricevuto il potere nel momento della vostra ordinazione sacerdotale. Ma questa è, molto precisamente, la Missio, nella seconda delle sue funzioni ["battezzate", amministrate tutti i sacramenti].
Ma, da chi, da quale persona fisica o morale, tenete quei poteri che, secondo il Concilio di Trento, sono richiesti perché possiate usare validamente del Potere ricevuto nel momento della vostra ordinazione? No, voi non avete "questi poteri", tanto meno, se possibile, se siete di Ecòne. Perché allora riconoscereste ufficiale di essere "sospesi a divinis"» (Ora scomunicati. NdT). Voi rispondete: "la Chiesa supplisce". Ma questa supplenza" è assicurata nella Chiesa in ordine, da una legge puramente ecclesiastica: la quale, come tutte le leggi di questo genere, è attualmente priva di forza esecutoria. Non c'è quindi "supplenza".
La Verità è che voi potete usare del Potere, senza avere i "poteri", perché attualmente il Decreto di Trento è privo di forza esecutoria. La Verità è, di conseguenza, che esercitate la Missio, benché siate privati della partecipazione normalmente richiesta alla Sessio... per il motivo che tutta la Chiesa militante è essa stessa in questo stesso stato di privazione (riguardo alla Sessio) dal quale vi trovate colpiti. La Missio e la Sessio sono quindi, nel seno della Chiesa militante, due parti coessenziali realmente distinte, di diritto inseparabili, di fatto attualmente dissociate: la Sessio è tenuta in sospeso dalla vacanza formale della Sede Apostolica [cf 1]; la Missio perdura, nella misura del possibile, nei sacerdoti e fedeli che si professano attaccati alla Tradizione; Missio in stato di privazione, lo ripetiamo.
In queste condizioni, ecco l'alternativa che devono decidere i fedeli attaccati alla Tradizione:
A) O non continuare la Missio. Poiché essa, in stato di privazione essendo stata disertata dalla Sessio, si trova ipso facto anormata, votata a molteplici pericoli, a cominciare dall'eresia e lo scisma. Il solo sacramento possibile, e certamente valido, sarebbe il Battesimo.
Esso basta perché Dio doni la Fede e la grazia santificante.
Questo partito non è quindi di diritto impossibile. E quello che prendono alcuni rarissimi fedeli.
B) Oppure continuare la Missio. Perché si stima che è di fatto impossibile conservare la grazia santificante, ed anche la sola Fede, senza i sacramenti.
In dubiis Libertas! Si può scegliere: sia A sia B.
Ma:
1) che ciascuno rispetti la scelta altrui;
2) che ciascuno si conformi rigorosamente all'esigenza interna, ontologica, della sua propria scelta.
Io ho scelto B. Rispetto profondamente le persone che hanno scelto A: che Dio le aiuti. Ma riprovo che alcune di queste persone critichino e giudichino con "ossessione", come se fossero l'Autorità, la scelta B che sono libere di non fare... e persino agiscano di fatto come se avessero scelto B.
Se si sceglie di proseguire la Missio, affinché la Fede e la Vita siano conservate per il più gran numero, è evidentemente necessario che ci siano dei Vescovi. Nessun Sacramento è possibile senza Sacerdozio, né Sacerdozio senza Vescovi. Ho esaminato questa questione nell'articolo: "Consacrare dei Vescovi?" [Sous la Bannière. Supplemento al N. 3 gennaio- febbraio 1986].
Misereor Super Turbam! Questa è la seconda ragione per la quale ho accettato di ricevere, e per la quale propongo di conferire l'Episcopato.
[III.] Le norme che presiedono a queste Consacrazioni episcopali senza "mandato romano".
a. Le norme che derivano dal Diritto canonico, aventi corso nella "Chiesa in ordine".
Le leggi, anche puramente ecclesiastiche. Sono l'espressione della Saggezza. Conservano sempre valore direttivo anche se per accidens, alienano la loro forza esecutoria. Bisogna quindi vegliare a che non si ponga alcun atto che contravverrebbe alla Saggezza ispiratrice di queste leggi. A questo riguardo, occorre precisare quanto segue:
1) Le consacrazioni conferite da Monsignor Thuc sono lecite e legali per quanto si poteva.
Le consacrazioni conferite dai Vescovi consacrati da Monsignor Thuc sono lecite, benché illegali.
Nessuna di queste consacrazioni, tutte lecite, ha conferito la giurisdizione ai Vescovi così consacrati. Nessun Vescovo può aver giurisdizione se non sotto la movenza dell'autentico Vicario di Gesù Cristo. È ciò che Pio XII ha voluto riaffermare vigorosamente, rinforzando la censura portata contro le consacrazioni senza mandato romano. È questa una ragione di sovrappiù per tenere il carattere relativo della giurisdizione che è inerente all'Episcopato.
I rapporti tra i Vescovi consacrati da Mons. Thuc sono cosa buona in sé stessa. Ma si deve, si dovrà dichiarare chiaramente che un'eventuale assemblea di questi vescovi non gode, come tale, nella Chiesa, di alcuna giurisdizione. Potrebbe svolgere il ruolo d'un fermento. Ma non sarebbe abilitata a restaurare la Gerarchia.
b. Le regole dettate dall'epikia: la quale fonda il fatto che le dette consacrazioni sono lecite.
Le Consacrazioni senza mandato romano sono attualmente e provvisoriamente lecite in vista della salus animarum; la quale è, secondo Pio XII, la lex suprema della Chiesa militante. Ne seguono due conseguenze:
- Conseguenza "positiva". Bisogna moltiplicare tali Consacrazioni, di modo che sussista su tutta la terra l'Oblatio Munda e la Missio. La principale condizione è che dei sacerdoti siano atti e consentano ad assumere tale responsabilità.
- Conseguenza "negativa". Non bisogna che l'assenza di riferimento all'Autorità [inesistente in atto] sbocchi in un'anarchia che sarebbe in contraddizione con la natura stessa della Chiesa militante. Perciò tutti i Vescovi consacrati senza "mandato romano" procedenti da Mons. Thuc, devono prendere l'impegno solenne e pubblico di sottomettersi incondizionatamente al Papa se, durante la loro vita, Gesù ne darà uno alla Sua Chiesa. Aggiungo che attualmente, adesso e checché ne sia di una divina soluzione [11], l'unità tra i detti Vescovi non può riposare su di una pseudo-gerarchia forgiata artificialmente tra di loro. L'unità non può riposare che sulla Fede; precisando quest'ultima, quanto all'applicazione attuale e concreta, conformemente alle modalità che sono state ora esposte, o a quelle che una discussione basata su tutti i dati Oggettivi che comporta l'attuale situazione imporrebbe.
9) Sodalitium: Cosa ne pensate di un'eventuale Consacrazione di Vescovi da parte di Monsignor Lefebvre, che riconosce Giovanni Paolo II come vero Papa, ma gli disobbedisce regolarmente?
Mons. G.: Eventuali consacrazioni di Vescovi da parte di Mons. Lefebvre.
[I.] Ciò che importa primordialmente nell'occorrenza [vale a dire riguardo allo stato della Chiesa]. È evidentemente la persona del "Consacrato". È quindi a partire dalle condizioni concernenti la persona del "Consacrato" che bisogna precisare [o esaminare] quelle che concernono la persona del Consacratore.
[II.] Ora, il Vescovo atto a perpetuare la Missio nella Chiesa militante deve soddisfare alle condizioni seguenti:
A. Essere consacrato validamente, lecitamente, legalmente per quanto è possibile [cf 7]. Far parte della Chiesa. Certamente. Ora, perché si possa affermare con certezza [morale] di tal fedele che professa integralmente tutta la Missio, che questo fedele ha effettivamente la Fede e che fa parte della Chiesa militante, è necessario, lo abbiamo dimostrato. ("L'Eglise militante au temps de Mgr. Wojtyla" [B.O.C. N. 101. giugno 1985. pp. 12-24: in particolare, pp. 18-19].
B. Che questo fedele ponga come principio che ogni membro della Chiesa militante debba esaminare attentamente la questione del Papa finché non l'abbia risolta categoricamente.
C. Che questo fedele affermi la vacanza almeno "formale" della Sede Apostolica.
D. Che questo fedele professi di doversi sottomettere al Papa quando Cristo ne darà uno alla sua Chiesa.
[III.] Un Vescovo consacrato da Monsignor Lefebvre potrebbe soddisfare a queste condizioni?
La risposta affermativa non presenta difficoltà che per le condizioni B e C.
Mons. Lefebvre, affermando che Mons. Wojtyla è papa ed intimando ai fedeli di non esaminare questa questione, rende impossibile il poter affermare con certezza che egli stesso faccia parte della Chiesa fondata da Gesù Cristo.
Si deve certo desiderarlo e si può supporlo; ma è impossibile esserne sicuri. La stessa incertezza ipotecherebbe evidentemente il fatto dell'appartenenza alla Chiesa per un Vescovo consacrato da Mons. Lefebvre finché questi continuerà a riconoscere e di esigere di riconoscere che W. è investito della suprema Autorità.
[IV.] La risposta alla domanda [9] è subordinata alla dichiarazione che farà [?] Mons. Lefebvre nell'atto di un'eventuale consacrazione. Se, nell'occasione di un'eventuale Consacrazione, Mons. Lefebvre sconfessa la sua attuale posizione, ed afferma la vacanza almeno formale della Sede Apostolica, tutte le condizioni [II] saranno di fatto realizzate. Non ci si potrà, allora, che rallegrare. La Missio sarebbe assicurata dall'opera di Ecòne che sboccherebbe infine, lealmente, nella realtà.
D'altra parte, è proprio a Monsignor Lefebvre, in quanto già Arcivescovo di Dakar e di Tulle, che incombe di completare quest'opera; poiché Mons. Ngo Dinh Thuc è deceduto il 13 dicembre 1984, e che almeno per quel che concerne l'agire, Mons. de Castro Mayer non fa che seguire Mons. Lefebvre.
Per quanto mi riguarda, SE Mons. Lefebvre professa infine la sana dottrina che sola può giustificare la sua azione, non desidero altro che restare nella solitudine dalla quale non sono uscito che per l'Oblatio Munda.
Se, nell'occasione di un'eventuale Consacrazione, Mons. Lefebvre non dichiara espressamente e pubblicamente la sconfessione della sua attuale posizione, anche se esteriormente non riaffermasse di riconoscere W. come Vicario in atto di Gesù Cristo: allora, la duplicità (l'ultimo episodio [in data] di questa satanica doppiezza fu il "colpo dell'otto dicembre 1986". Letta integralmente intra muros, nei Priorati in cui bisognava convincere i Seminaristi esitanti [e perfino risoluti a lasciare Ecòne] nel rinnovare le loro promesse l’otto dicembre, la "Dichiarazione" di Mons. Lefebvre [e di de Castro Mayer] non è stata letta pubblicamente nella sua integralità almeno in certi Priorati. St. Nicolas in particolare: la parte principale, che sconfessa il Vaticano II e W. è stata omessa. Così i Seminaristi "duri" sono restati; ed i fedeli continuano ad essere ingannati), che mette sistematicamente in opera Mons. Lefebvre esige di temere il peggiore dei compromessi. Tali "Consacrazioni ' sarebbero ordinate, satanicamente e magistralmente, per meglio assicurare il "ralliement" (l'adesione), (e questo anche se Mons. Lefebvre persiste a non vederlo - L'ho spiegato nell'articolo citato: nota 4), della falange "tradizionale" alla chiesa ufficiale.
10) Sodalitium: Cosa pensate della "testimonianza della Fede" necessariamente richiesta oggi, sia da parte dei sacerdoti che da parte dei fedeli?
Mons. G.: Testimonianza della Fede, necessariamente richiesta, da parte dei Sacerdoti e da parte dei fedeli.
[I.] Il dovere di testimoniare. "Fideles Christi fidem aperte confiteri tenentur quotics eorum silentium, tergiversatio aut ratio agendi secumferret implicitam fidei negationem, contemptum religionis, iniuriam Dei vel scandalum proximi" [Canone 1325. § 1].
Questo Canone non fa che precisare l'avvertimento così severo, reiterato da Gesù stesso: "Invero, se uno avrà vergogna di me e delle mie parole, il Figliuolo dell'uomo avrà vergogna di lui quando verrà nella sua gloria ed [in quella] del Padre e dei suoi santi Angeli" [Luca IX. 26; luglio 29]; "Chi m'avrà rinnegato davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei Cieli" [Matteo X. 33; novembre 29]. Testimoniare è inerente alla vita della Fede. È una norma divina. Il Diritto Canonico precisa che il silenzio, vale a dire il fatto di non testimoniare, può costituire un rinnegamento della Fede.
Che ci sia sulla terra un uomo che è il Vicario di Gesù Cristo, al quale ogni fedele di Gesù Cristo deve essere sottomesso: è una verità di Fede. Sapere chi è quest'uomo condiziona immediatamente l'esercizio della Fede, e costituisce in conseguenza una questione di fronte alla quale ogni fedele è tenuto a prendere posizione. È una legge divina.
Che ci sia, in seno alla Chiesa militante, un Magistero ordinario universale che è infallibile, è una verità di Fede. Ogni fedele deve professarla, e deve denunciare l'errore di coloro i quali la negano. È una legge divina.
[II.] L'esercizio della Testimonianza. Vi è una Testimonianza della Fede, mediante le opere, tanto mediante l'opera della vita quanto mediante le parole, che deve essere permanente; è questa la sostanza senza la quale le forme più particolari di questa stessa Testimonianza rischiano assai d'essere vane. "Che gli uomini vedano le vostre opere buone e glorifichino il vostro Padre del Cielo" [Matteo V, 16]. La situazione attuale esige tuttavia d'insistere sul particolare dovere di testimoniare definito in [I.]
Riguardo a ciò, occorre precisare due cose; concernono ognuno, in priorità i sacerdoti, ma anche ogni fedele.
In primo luogo, l'atto di testimoniare dev'essere compiuto secondo la misura che imperano la Saggezza e la Prudenza. Denunciare l'eresia, denunciare il "facilismo" che vi conduce, è necessario per salvaguardare la Vita; ma questa denuncia, che è negativa, per sua natura non dà la Vita. Non è pertanto conveniente che questo compito indispensabile diventi il principale, se non l'unico oggetto delle catechesi [o omelie] domenicali, o delle conversazioni che si scambiano i fedeli attaccati alla Tradizione. "Charitas non gaudet super iniquitate, congaudet autem Veritati" [I Cor. XIII, 6]. L'annuncio e la distribuzione della Verità rivelata sostentano, ed essi soli fruttuosamente, il rigoroso dovere di "Testimoniare". "Intus reformari": ecco la rinuncia che costa, e che dà portata alla critica degli altri.
In secondo luogo, ed in controparte, non bisogna dispensarsi dal rigoroso dovere di testimoniare: "Fideles... aperte confiteri tenentur". Come l'ho spiegato [I] si tratta di una legge divina: la quale ha valore e portata ex se, e non solo da parte dell'Autorità attuale della Chiesa. È quindi un delitto, ed in sé un peccato estremamente grave, quello che commettono i sacerdoti di Ecóne, incitando i fedeli a non considerare la questione del Papa [benché essa tocchi immediatamente la Fede], fissando in seguito i medesimi fedeli nel loro funesto accecamento con l'odioso insegnamento di un'eresia. Mons. Lefebvre, e gli Econiani, allegano, per giustificare il loro comportamento, il fallace pretesto: "Non turbare i fedeli". Certo ciò è conveniente quanto al modo di procedere passo a passo con riguardo; ma rifiutare per [falso] principio di far Luce: è il peccato contro lo Spirito Santo, peccato che non può esser perdonato [Matteo XII, 31]. D'altra parte. Gesù non si è mai prefisso di "non turbare". Lui. "la Verità" [Giovanni XIV. 6], ha voluto innanzitutto "rendere testimonianza alla verità. [Giovanni XVIII.37]. Ha "gridato”, la Verità [Giovanni VII, 37], "senza guardare in faccia alle persone" [Marco XII, 14]: il che è stato fatto proprio da San Pietro [Atti. X,34] e da San Paolo [Romani II, 11]. Ne segue, ineluttabilmente, che Gesù, [in nome della Verità] è "venuto per separare, [fare] che l'uomo abbia per nemici quelli della sua casa" [Matteo X,35-36]. Gesù, lungi dal mirare a "non turbare" i discepoli "principianti" la cui motivazione sarebbe impura, rimprovera questa impurità [Giovanni VI. 26]; e persino, II, invita i Dodici ad abbandonarlo [Giovanni VI. 67]. San Pietro risponde: "Signore, e da chi ce ne andremo? Tu solo hai parole di Vita eterna" [Giovanni VI 68]. San Pietro fa così spontaneamente la prova che Gesù fonda la sua Chiesa: sulla Verità. Sono i fondatori delle sette che, per reclutare degli adepti, usano sistematicamente lo slogan: "non turbare". Non turbate né la falsa tranquillità né il gioco delle passioni. Allora voi [Satana mediante voi] avrete milioni e milioni di partigiani. Tutto ciò è un grave peccato contro la Testimonianza della Santissima Fede.
11) Sodalitium: Come prospettate l'ulteriore svolgimento di questa crisi spaventosa?
Mons. G.: Svolgimento ulteriore, soluzione... della "crisi": vale a dire della vacanza formale della Sede Apostolica?
Si designa comunemente con la locuzione: "crisi della Chiesa" lo stato di privazione nella quale si trova la Chiesa militante [vale a dire il Corpo Mistico di Cristo sussistente in terra, il quale non è la "chiesa ufficiale" in quanto tale]. Questo stato di privazione ha una causa "per accidens", per rimozione della causa propria. Questa causa "per accidens" è la vacanza formale della Sede Apostolica, almeno a partire dal 7 XII 1965.
Come può cessare questa “vacanza”? Il processo normale, canonico, è ben noto. Ciò che resta di Autorità nella Chiesa militante, se il Papa cade nell'eresia o lo scisma, è la persona morale [designata qui sotto con M] che costituisce l'insieme gerarchizzato dei Vescovi residenziali professanti [quindi, integralmente la Fede cattolica. Questa persona morale M deve rivolgere al "papa" [ex-Papa] una ingiunzione; e deve convocare il Conclave, il che assicura, almeno in potenza, la Successione Apostolica, considerando quest'ultima dal punto di vista formaliter. [È quanto accade quando muore il Papa: in particolare quando il Conclave, debitamente convocato, deve essere differito per cause estrinseche]. Se il "papa" persiste nel suo errore, ipso facto è fuori dalla Chiesa, e non è più papa in nessun senso, neppure materialiter. Se il "papa" abiura il suo errore, spetta al Conclave "decidere" l'alternativa: o questo "papa" pentito ritorna Papa formaliter: oppure, conformemente alla bolla di Paolo IV, questo "papa" ha alienato in se stesso, a causa dell'eresia, l'attitudine a diventare Papa formaliter che gli aveva conferito.
Davanti alla chiesa, il fatto di essere regolarmente eletto da un Conclave valido. La Chiesa non giudica mai il Papa. Ma spetta alla Chiesa [Conclave convocato da M] decidere se, si o no, esiste nel "papa" pentito "riviviscenza canonica" dell'attitudine ecclesiale ad essere Papa. Così la Chiesa giudica nel "papa" solo di ciò che, in quest'ultimo, spetta formalmente alla Chiesa.
Questo processo canonico non può evidentemente svolgersi, che se la persona morale M è una realtà. Ora, attualmente, i soli Vescovi di cui si sia sicuri che fanno parte della Chiesa militante [Corpo Mistico di Cristo, sussistente in terra] sono coloro i quali "procedono" da Mons. Ngo Dinh Thuc [cf 9 II]: in effetti, essi sono unanimi (alcuni di essi sono ancora timidi, e persino reticenti, quando si tratta di proclamare pubblicamente quanto, adesso, affermano [infine] privatamente),
[al contrario di Mons. Lefebvre e di Mons. de Castro Mayer] nell'affermare la vacanza almeno formale della Sede Apostolica. Ma la mia opinione personale è: che, innanzitutto, l'insieme del "Vescovi-Thuc" non è gerarchizzabile né di diritto, né di fatto; che, secondariamente, questo insieme espressamente ordinato alla Missino, ed estraneo alla Sessio, è metafisicamente e giuridicamente inabile a costituire la persona morale M.
Ho designato sotto il nome di conclavismo l'opinione e la tendenza contraria, che rigetto assolutamente.
In mancanza di M, non esiste una soluzione "canonica"!
Gesù solo rimetterà la Chiesa in ordine, nel e col Trionfo di Sua Madre. Sarà allora evidente per tutti che la salvezza sarà venuta dall'Alto.
12) Sodalitium: Cosa pensate del gruppo di Sacerdoti e seminaristi italiani, che si sono costituiti nell'"Istituto Mater Boni Consilii"?
Mons. G.: Istituto Mater Boni Consilii.
Sono felice di manifestare a quest'Istituto ed ai suoi membri, i miei auguri sovrannaturali e la mia fervente simpatia. Non posso che approvare la finalità dell'Istituto, visto che comporta il diffondere tra i fedeli ciò che precisamente credo essere la verità, e di cui l'essenziale è stato rammentato qui sopra.
Soprattutto apprezzo, e ne rendo grazie a Dio, il fatto che i Sacerdoti dell'Istituto abbiano la lealtà ed il coraggio di spiegare la verità a tutti, senza usar preferenze. "I poveri sono evangelizzati" [Matteo XI.5]. È questo il segno ultimo che Gesù stesso dà a Giovanni, i cui discepoli interrogano Gesù: "Sei Tu Colui che viene o ne dobbiamo aspettare un altro" [Matteo XI 2], Il segno cruciale che l'Istituto viene da Gesù, è che rispetta gli umili.
"Aver riguardi", "non turbarli", equivale in fondo a disprezzarli come se io solo fossi sufficientemente penetrante per capire tutto e sufficientemente forte per portarlo: equivale a tenere al loro suffragio per se stesso, piuttosto che alla loro salvezza mediante la verità ["Veritas liberavit vos" (Giovanni VIII 32), Veritas! non mendacium!] - Taluni professano "in principio" la verità concernenti la situazione della Chiesa. Ma si sforzano di occultare questa "professione di Fede"; e si separano ostensibilmente da coloro che la proclamano chiaramente... "opportune et importune" [II Timoteo IV 2]. L'Istituto "Mater Boni Consilii" è concepito e nato nella Carità della Verità. Dominus incipit. Ipse perficiat.
|
Nessun commento:
Posta un commento