Il “Summorum Pontificum” finalmente tradotto dal latino. Con una parola cambiata
(di Sandro Magister su Settimo Cielo) Che il motu
proprio “Summorum Pontificum” col quale Benedetto XVI ha liberalizzato la messa
in rito antico abbia molti nemici non è un mistero. Fin dal suo apparire, nel
2007, ha avuto contro la coorte dei liturgisti e ha trovato freddi, se non
ostili, una miriade di vescovi.
Anche in curia il boicottaggio si tocca con mano. Per sei anni, fino a pochi giorni fa, nel sito ufficiale della Santa Sede il motu proprio era reperibile solamente in due lingue: la latina del testo originale e l’ungherese.
Ma ora che ferve la polemica in seguito alla proibizione di celebrare la messa in rito antico comminata ai Francescani dell’Immacolata dalla congregazione per il culto divino e da papa Francesco, nel sito del Vaticano il motu proprio compare finalmente anche in italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese e tedesco:
> “Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007
Ma all’occhio attento non sfugge che in quattro di queste lingue c’è un punto in cui la traduzione si stacca dal testo originale latino.
Il punto in questione è nell’art. 7, che a sua volta prende le mosse dall’art. 5 § 1.
Il caso affrontato in questi due articoli riguarda le parrocchie in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli attaccato alla messa in rito antico. Il motu proprio “Summorum Pontificum” chiede al parroco di “accogliere volentieri” (”libenter suscipiat”) le richieste di tali fedeli assicurando la celebrazione di tali messe.
Se però uno di questi gruppi di fedeli – specifica l’art. 7 – “non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il vescovo diocesano. Il vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio” (”enixe rogatur ut eorum optatum exaudiat”).
E se anche il vescovo “non vuole provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla commissione pontificia ‘Ecclesia Dei’”.
“Non vult”, “non vuole”. Così si legge nell’originale latino, a proposito di quei vescovi che rifiutano di consentire la celebrazione della messa in rito antico.
Ma è qui che interviene la traduzione infedele. Invece che “non vuole”, nella versione italiana del motu proprio il “non vult” è tradotto: “non può”.
E altrettanto avviene nella traduzione spagnola: “Si no puede proveer a esta celebración…”.
Nella traduzione portoghese: “Se não puder dar provisão para tal celebração…”.
E nella traduzione tedesca: “Wenn er für eine Feier dieser Art nicht sorgen kann…”.
Il cambio di parola non è senza effetto. Scrivendo “non vult”, evidentemente il legislatore prevedeva che potessero esserci dei vescovi che avrebbero opposto un volontario rifiuto ad esaudire quei fedeli. E contro questi vescovi ostili si garantiva la possibilità del ricorso all’autorità vaticana.
Cambiando il “non vuole” in “non può”, si prevede invece il ricorso solo nel caso in cui un vescovo fosse impossibilitato ad esaudire le richieste di quei fedeli per cause esterne alla sua volontà. Nel caso in cui il vescovo volesse lui negare il permesso, il motu proprio modificato non direbbe più nulla.
Meno male che a valere c’è sempre l’originale latino del “Summorum Pontificum”.
E meno male che almeno due sue versioni traducono correttamente il “non vult”.
L’inglese: “If he does not wish to provide for such celebration…”.
E la francese: “S’il ne veut pas pourvoir à cette forme de célébration…”. (di Sandro Magister su Settimo Cielo)
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Anche in curia il boicottaggio si tocca con mano. Per sei anni, fino a pochi giorni fa, nel sito ufficiale della Santa Sede il motu proprio era reperibile solamente in due lingue: la latina del testo originale e l’ungherese.
Ma ora che ferve la polemica in seguito alla proibizione di celebrare la messa in rito antico comminata ai Francescani dell’Immacolata dalla congregazione per il culto divino e da papa Francesco, nel sito del Vaticano il motu proprio compare finalmente anche in italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese e tedesco:
> “Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007
Ma all’occhio attento non sfugge che in quattro di queste lingue c’è un punto in cui la traduzione si stacca dal testo originale latino.
Il punto in questione è nell’art. 7, che a sua volta prende le mosse dall’art. 5 § 1.
Il caso affrontato in questi due articoli riguarda le parrocchie in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli attaccato alla messa in rito antico. Il motu proprio “Summorum Pontificum” chiede al parroco di “accogliere volentieri” (”libenter suscipiat”) le richieste di tali fedeli assicurando la celebrazione di tali messe.
Se però uno di questi gruppi di fedeli – specifica l’art. 7 – “non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il vescovo diocesano. Il vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio” (”enixe rogatur ut eorum optatum exaudiat”).
E se anche il vescovo “non vuole provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla commissione pontificia ‘Ecclesia Dei’”.
“Non vult”, “non vuole”. Così si legge nell’originale latino, a proposito di quei vescovi che rifiutano di consentire la celebrazione della messa in rito antico.
Ma è qui che interviene la traduzione infedele. Invece che “non vuole”, nella versione italiana del motu proprio il “non vult” è tradotto: “non può”.
E altrettanto avviene nella traduzione spagnola: “Si no puede proveer a esta celebración…”.
Nella traduzione portoghese: “Se não puder dar provisão para tal celebração…”.
E nella traduzione tedesca: “Wenn er für eine Feier dieser Art nicht sorgen kann…”.
Il cambio di parola non è senza effetto. Scrivendo “non vult”, evidentemente il legislatore prevedeva che potessero esserci dei vescovi che avrebbero opposto un volontario rifiuto ad esaudire quei fedeli. E contro questi vescovi ostili si garantiva la possibilità del ricorso all’autorità vaticana.
Cambiando il “non vuole” in “non può”, si prevede invece il ricorso solo nel caso in cui un vescovo fosse impossibilitato ad esaudire le richieste di quei fedeli per cause esterne alla sua volontà. Nel caso in cui il vescovo volesse lui negare il permesso, il motu proprio modificato non direbbe più nulla.
Meno male che a valere c’è sempre l’originale latino del “Summorum Pontificum”.
E meno male che almeno due sue versioni traducono correttamente il “non vult”.
L’inglese: “If he does not wish to provide for such celebration…”.
E la francese: “S’il ne veut pas pourvoir à cette forme de célébration…”. (di Sandro Magister su Settimo Cielo)
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LETTERA APOSTOLICA
DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
"MOTU PROPRIO DATA"
DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
"MOTU PROPRIO DATA"
SUMMORUM PONTIFICUM
Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede” [1].
Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di san Benedetto, dovunque unitamente all’annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: “Nulla venga preposto all’opera di Dio” (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell’età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.
Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca s. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e “rinnovati secondo la norma dei Padri” e li diede in uso alla Chiesa latina.
Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti.
“Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale” [2]. Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, san Pio X [3], Benedetto XV, Pio XII e il B. Giovanni XXIII.
Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato “perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia” [4].
Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto “Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica “Ecclesia Dei”, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.
A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:
Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.
Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”, vengono sostituite come segue:
Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.
Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.
Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all’art. 2, possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.
Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa.
§ 2. La celebrazione secondo il Messale del B. Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una celebrazione di tal genere.
§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.
§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del B. Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.
§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.
Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del B. Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.
Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all’art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”.
Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione “Ecclesia Dei”, perché gli offra consiglio e aiuto.
Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.
§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.
§ 3. Ai chierici costituiti “in sacris” è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962.
Art. 10. L’Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.
Art. 11. La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, eretta da Giovanni Paolo II nel 1988 [5], continua ad esercitare il suo compito.
Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.
Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l’applicazione di queste disposizioni.
Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come “stabilito e decretato” e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio 2007, anno terzo del nostro Pontificato.
BENEDICTUS PP. XVI
[2] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, 3:AAS81 (1989), 899.
[3] Ibid.
[4] S. Pio X, Lett. ap. Motu propio data, Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913:AAS5 (1913), 449-450; cfr Giovanni Paolo II, lett. ap. Vicesimus quintus annus, n. 3:AAS81 (1989), 899.
[5] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Motu proprio data Ecclesia Dei, 2 luglio 1988, 6: AAS80 (1988), 1498.
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