S. Pio V Bolla "QUO PRIMUM TEMPORE" rigettata da Paolo VI
S. Pio V Bolla "QUO PRIMUM TEMPORE" Pius Episcopus servus servorum dei ad perpetuam dei memoria
I. Fin dal tempo della Nostra elevazione al sommo vertice dell'apostolato, abbiamo rivolto l'animo, i pensieri e tutte le Nostre forze alle cose riguardanti il culto della Chiesa, per conservarlo puro, e, a tal fine, ci siamo adoperati con tutto lo zelo possibile a preparare e, con l'aiuto di Dio, mandare ad effetto i provvedimenti opportuni. E poiché, tra gli altri decreti del sacro Concilio di Trento, ci incombeva di eseguire quelli di curare l'edizione emendata dei Libri Santi, del Messale, del Breviario e del Catechismo avendo già, con l'approvazione divina, pubblicato il Catechismo, destinato all'istruzione del popolo, e corretto il Breviario, perché siano rese a Dio le lodi dovuteGli, ormai era assolutamente necessario che pensassimo quanto prima a ciò che restava ancora da fare in questa materia, cioè, pubblicare il Messale, e in tal modo che rispondesse al Breviario: cosa opportuna e conveniente, poiché nella Chiesa di Dio uno solo è il modo di salmodiare, così sommamente conviene che uno solo sia il rito di celebrare la Messa.
II. Per la qual cosa, abbiamo giudicato di dover affidare questa difficile incombenza a uomini di eletta dottrina. E questi, infatti, dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza e integrità — quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo — e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, hanno infine restituito il Messale stesso nella sua antica forma secondo la norma e il rito dei Santi Padri.
III. Pertanto, dopo matura considerazione, abbiamo ordinato che questo Messale, già così riveduto e corretto, venisse quanto prima stampato in Roma, e, stampato che fosse, pubblicato, affinché da una tale intrapresa e da un tale lavoro tutti ne ricavino frutto: naturalmente, perché i sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare, perciò affinché tutti e dovunque adottino e osservino le tradizioni della santa Chiesa Romana, Madre e Maestra delle altre Chiese, ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'Orbe cristiano: nelle Patriarcali, Cattedrali, Collegiate e Parrocchiali del clero secolare, come in quelle dei Regolari di qualsiasi Ordine e Monastero, maschile e femminile, nonché in quelle degli Ordini militari, nelle private o cappelle, dove a norma di diritto e per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa, sia quella conventuale cantata presente il coro, sia quella semplicemente letta a bassa voce, non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale Noi pubblicato e ciò anche se le summenzionate chiese, comunque esenti, usufruissero di uno speciale indulto della Sede Apostolica, di una legittima consuetudine, di un privilegio fondato su dichiarazione giurata e confermato dall'Autorità apostolica, e di qualsivoglia altra facoltà.
IV. Non intendiamo tuttavia in alcun modo, privare del loro ordinamento quelle tra le summenzionate Chiese che, o dal tempo della loro istituzione, approvata dalla Sede Apostolica, o in forza di una consuetudine, possono dimostrare un proprio rito ininterrottamente osservato per oltre duecento anni. Tuttavia, se anche queste Chiese preferissero far uso del Messale, che abbiamo ora pubblicato, Noi permettiamo che esse possano celebrare le Messe secondo il suo ordinamento alla sola condizione che si ottenga il consenso del Vescovo, o dell'Ordinario, e di tutto il Capitolo.
V. Invece, mentre con la presente nostra Costituzione, da valere in perpetuo, priviamo (tutte le summenzionate Chiese dell'uso dei loro Messali. che ripudiamo in modo totale e assoluto. stabiliamo e comandiamo, sotto pena della nostra indignazione che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato nulla mai possa venire aggiunto, detratto, cambiato... Dunque, ordiniamo a tutti e singoli i Patriarchi e Amministratori delle suddette Chiese, e a tutti gli ecclesiastici, rivestiti di qualsiasi dignità, grado e preminenza, non escluso i Cardinali che Santa Romana Chiesa, facendone loro severo obbligo in virtù di santa obbedienza, che, in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri Messali, per quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggono la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo messale.
VI. Anzi, in virtù dell'autorità Apostolica noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l'lndulto Perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo alcuno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente, cosi che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta ne d'altra parte. possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale.
VII. Similmente, decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma stabili sempre e valide dovranno persevera re nel loro vigore. E ciò non ostanti: precedenti costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concili sia Provinciali che Sinodali; qualunque stauto e consuetudine in contrario, nonché l'uso delle predette Chiese, fosse pur sostenuto da prescrizione lunghissima e immemorabile, ma non superiore ai duecento anni.
VIII. Inoltre, vogliamo, e con la medesima Autorità, decretiamo che, avvenuta la promulgazione della presente Costituzione, e seguita l'edizione di questo Messale, tutti siano tenuti a conformarvisi nella celebrazione della Messa cantata e letta: i Sacerdoti della Curia Romana, dopo un mese; quelli che sono di qua dai monti, dopo tre mesi quelli che sono di la dei monti, dopo sei mesi, o appena sarà loro proposto in vendita.
IX. Affinché poi questo Messale sia ovunque in tutta la terra preservato incorrotto e intatto da mende ed errori, ingiungiamo a tutti gli stampatori di non osare o presumere di stamparlo, metterlo in vendita o riceverlo in deposito, senza la Nostra autorizzazione o la speciale licenza del Commissario Apostolico, che Noi nomineremo espressamente nei diversi luoghi a questo scopo: ciò, se prima detto Commissario non avrà fatto all'editore piena fede che l'esemplare, che deve servire di norma per imprimere gli altri, e stato collazionato con il Messale stampato in Roma secondo la grande edizione, e che gli e conforme ed in nulla ne discorda; sotto pena, in caso contrario, della perdita dei libri e dell'ammenda di duecento ducati d'oro da devolversi ipso facto alla Camera Apostolica, per gli editori che sono nel Nostro territorio e in quello direttamente o indirettamente soggetto a Santa Romana Chiesa: della scomunica latae sententiae e di altre pene a Nostro arbitrio, per quelli che risiedono in qualsiasi altra parte della terra.
X. Data però la difficoltà di trasmettere le presenti Lettere nei vari luoghi dell'orbe cristiano, e di portarle alla conoscenza di tutti il più presto possibile. Noi prescriviamo che esse vengano affisse e pubblicate come di consueto alle porte della Basilica del Principe degli Apostoli e della Cancelleria Apostolica, e in piazza di Campo dei Fiori, dichiarando che sia nel mondo intero accordata pari e indubitata fede agli esemplari delle medesime, anche stampati, purché sottoscritti per mano di pubblico notaio e muniti del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, come se queste Lettere fossero mostrate ed esibite.
XI. Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto dichiarazione, volontari, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno quattordici di luglio, nell'anno mille cinquecento settanta, quinto del Nostro Pontificato.
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Ecco gli artefici della distruzione della Liturgia Cattolica.... Bugnini, (massone) e Paolo VI il Papa modernista.
Diciamo questo perché oggi sta avvenendo esattamente il contrario: non si ha il coraggio di dichiarare il cattolicissimo Dogma della Corredenzione di Maria Santissima, ma in compenso si continua a parlare del Concilio (nonostante gli evidentissimi risvolti storicamente negativi) come fosse qualcosa di intoccabile, di indiscutibile, come se il Concilio stesso fosse il Dogma per eccellenza! Paolo VI si è potuto permettere di invalidare le disposizioni liturgiche riguardanti la Celebrazione Eucaristica che solennemente emise il suo Santo Predecessore Pio V, Lui stesso l’ha detto: "Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno."(Conclave segreto)
Disse questo ignorando allegramente le sante minacce con cui il Pontefice diffidava chi in futuro volesse attentare all’ortodossia della liturgica cattolica, «E se nondimeno qualcuno osasse attentare con un'azione contraria al Nostro presente ordine, dato per sempre, sappia che incorrerà nell’ira di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo», e lo fece emettendo un nuovo Messale che praticamente quasi vietava l’uso del precedente: dimostrando che il contenuto conclusivo di un Concilio non è affatto un Dogma inoppugnabile, come non è stato considerato tale da Paolo VI quello di Trento! (Ma il Santo Concilio di Trento era di natura dogmatica, eppure – colmo del controsenso! – fu annullato da un Concilio di tipo pastorale!)
La cosiddetta “Messa Tridentina” fu promulgata e sigillata nei secoli, sino alla fine di codesto mondo, da San Pio V con la Costituzione Apostolica Quo primum del 19 luglio 1570. Il Santo Papa dichiarava: «Con il nostro presente decreto, valido in perpetuo, Noi determiniamo e ordiniamo che mai niente dovrà essere aggiunto, omesso o cambiato in questo Messale». Al fine di vincolare i posteri, affermò che «mai, in avvenire, un sacerdote, sia regolare che religioso, potrà essere costretto ad usare un altro modo di dire la Messa». E, onde prevenire una volta per tutte ogni scrupolo di coscienza o paura di sanzioni e censure ecclesiastiche, aggiunse: «Noi qui dichiariamo che, in virtù della Nostra Autorità Apostolica, decretiamo e decidiamo che il nostro presente ordine e decreto durerà in perpetuo e non potrà mai essere legalmente revocato o emendato in avvenire». Si può giudicare l’importanza che San Pio V stesso attribuì al suo atto, leggendo queste sue parole: «E se nondimeno qualcuno osasse attentare con un'azione contraria al Nostro presente ordine, dato per sempre, sappia che incorrerà nell’ira di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo».
Di questo tenore sono le interdizioni e le censure di San Pio V, oltre le quali è andato Paolo VI (1897-1978) con la sua Costituzione Apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969, decretando forme nuove per la Messa e sostenendole con la seguente dichiarazione: “Noi desideriamo che i Nostri presenti decreti e prescrizioni siano fermi e validi per il presente e per l’avvenire, nonostante, nella misura necessaria, le ordinanze promulgate dai nostri predecessori.”
Già nel 1969, gli autori del Breve esame critico del Novus Ordo Missæ, presentato a Paolo VI dai Cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, affermavano: “E’evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede (del Concilio) di Trento. A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo in una tragica necessità di opzione”.
“Addirittura imbarazzante la risposta che Paolo VI darà all’amico Jean Guitton nel novembre 1976. Durante un incontro privato Guitton, di fronte al disastro prodotto dalla riforma liturgica, con i tanti abusi permessi, segnala a Paolo VI anche l’irrazionalità e l’autoritarismo con cui si è proceduto: “L’opinione generale non può ammettere che tutte le Messe siano consentite salvo quella di San Pio V, Messa che tutti i Vescovi dicevano durante il Concilio”. Poi dice al Papa che: “Sarebbe auspicabile […] l’annullamento dell’interdizione fatta in Francia di dire questa Messa di San Pio V che il Concilio non ha mai preteso abolire.”
La risposta di Montini è perentoria e agghiacciante: “Questo mai!” Ma ancora più incredibile la motivazione: “Questa Messa, come lo si vede ad Econe, diviene il simbolo della condanna del Concilio. Non accetterò mai che si condanni il Concilio per mezzo di un simbolo.”
(Jean Guitton, Paolo VI segreto, cit., pp. 144-145).
“Inutile sottolineare, come fa Guitton, che il Concilio non aveva affatto abolito quella Messa, che la nuova liturgia ha disastrato la Chiesa e che è stata un’ imposizione autoritaria dello stesso Paolo VI che doveva prendersi le sue responsabilità senza farsi scudo del Concilio. Papa Montini fu ostinato a non volerla dar vinta ad Econe e agli altri Suoi critici. Pur vedendo “auto- demolirsi”, non volle ammettere di aver sbagliato. Così sino alla fine.”
(Antonio Socci “Il quarto segreto di Fatima”, nota n°357 pag. 211)
“In quelle pagine il futuro papa rievoca la pubblicazione del messale di Paolo VI, con il divieto quasi completo del messale precedente. Commenta Ratzinger: “Rimasi sbigottito per il divieto quasi completo del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l’impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente realizzato da San Pio V nel 1570, faceva seguito al Concilio di Trento; era quindi normale che, dopo 400 anni e un nuovo Concilio, un nuovo Papa pubblicasse un nuovo messale. Ma la verità storica è un'altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli […] senza mai contrapporre un messale ad un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta […].” “Ora invece - scriveva Ratzinger - la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano essere solo tragiche […] si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì uno nuovo […]. Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo.”
(Joseph Ratzinger, “La mia vita”, cit., pp. 113-115/Antonio Socci, dal suo libro: “Il quarto segreto di Fatima”, nota n°361 a p. 212)
L’incredibile discorso fatto da Paolo VI all’amico Jean Guitton, fa comprendere in pieno ciò che in realtà aveva in mente di fare e ha fatto codesto Pontefice:
“E’qui che la grande novità verrà notata, la grande novità del linguaggio. Non sarà più in latino, ma la lingua parlata sarà la lingua principale per la Messa. L’introduzione del vernacolo costituirà certamente un grande sacrificio per coloro che conoscono la bellezza, il potere e la sacralità espressiva del latino. Stiamo dipartendoci dalla lingua parlata nei secoli Cristiani; siamo quasi come dei profani intrusi all’interno della riserva letteraria dell’espressione sacra. Perderemo una gran parte di quella cosa artistica e spirituale, dalla bellezza incomparabile, quale è il canto Gregoriano. Avremo motivi per rimpiangere questa decisione o almeno per essere perplessi. Cosa potremo mai sostituire alla lingua degli Angeli? Stiamo dando via qualcosa dal valore incalcolabile, perché? Cosa ci può mai essere di più prezioso di questi valori, tra i più elevati della nostra Chiesa? La risposta sembrerà banale, quasi prosaica. Ma è una buona risposta in quanto umana, apostolica. La compressione della preghiera è più importante dei sontuosi vestiti in cui è regalmente vestita. La partecipazione della gente è più preziosa - in particolare la partecipazione della gente moderna - che apprezza il linguaggio semplice che possa essere facilmente compreso e convertito nel linguaggio di tutti i giorni”.
Chiunque ha preso parte a codesto scempio della Liturgia di sempre, non ha fatto altro che portare avanti ciò che lo scellerato Martin Lutero disse 500 anni fa’:
...Affermo che tutti gli omicidi, i furti, gli adulterii sono meno cattivi che questa abominevole Messa … (Lutero. Sermone della 1° domenica d’Avvento)
“Quando la Messa sarà rovesciata, io penso che avremo rovesciato l’intero papato.” (Lutero. Trattato contro Henricum).
E ancora sempre molto “gentilmente" e con più colori: «Quando la messa sarà stata rovesciata, io sono convinto che avremo rovesciato con essa tutto il papismo. Il papismo, infatti, poggia sulla messa come su di una roccia, tutto intero, con i suoi monasteri, vescovadi, collegi, altari, ministeri e dottrine, in una parola, con tutta la sua pancia. Tutto ciò crollerà necessariamente quando sarà crollata la loro messa sacrilega e abominevole. Io dichiaro che tutti i bordelli, gli omicidi, i furti, gli assassinii e gli adulterii sono meno malvagi di quella abominazione che è la messa papista.»
Disse questo ignorando allegramente le sante minacce con cui il Pontefice diffidava chi in futuro volesse attentare all’ortodossia della liturgica cattolica, «E se nondimeno qualcuno osasse attentare con un'azione contraria al Nostro presente ordine, dato per sempre, sappia che incorrerà nell’ira di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo», e lo fece emettendo un nuovo Messale che praticamente quasi vietava l’uso del precedente: dimostrando che il contenuto conclusivo di un Concilio non è affatto un Dogma inoppugnabile, come non è stato considerato tale da Paolo VI quello di Trento! (Ma il Santo Concilio di Trento era di natura dogmatica, eppure – colmo del controsenso! – fu annullato da un Concilio di tipo pastorale!)
La cosiddetta “Messa Tridentina” fu promulgata e sigillata nei secoli, sino alla fine di codesto mondo, da San Pio V con la Costituzione Apostolica Quo primum del 19 luglio 1570. Il Santo Papa dichiarava: «Con il nostro presente decreto, valido in perpetuo, Noi determiniamo e ordiniamo che mai niente dovrà essere aggiunto, omesso o cambiato in questo Messale». Al fine di vincolare i posteri, affermò che «mai, in avvenire, un sacerdote, sia regolare che religioso, potrà essere costretto ad usare un altro modo di dire la Messa». E, onde prevenire una volta per tutte ogni scrupolo di coscienza o paura di sanzioni e censure ecclesiastiche, aggiunse: «Noi qui dichiariamo che, in virtù della Nostra Autorità Apostolica, decretiamo e decidiamo che il nostro presente ordine e decreto durerà in perpetuo e non potrà mai essere legalmente revocato o emendato in avvenire». Si può giudicare l’importanza che San Pio V stesso attribuì al suo atto, leggendo queste sue parole: «E se nondimeno qualcuno osasse attentare con un'azione contraria al Nostro presente ordine, dato per sempre, sappia che incorrerà nell’ira di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo».
Di questo tenore sono le interdizioni e le censure di San Pio V, oltre le quali è andato Paolo VI (1897-1978) con la sua Costituzione Apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969, decretando forme nuove per la Messa e sostenendole con la seguente dichiarazione: “Noi desideriamo che i Nostri presenti decreti e prescrizioni siano fermi e validi per il presente e per l’avvenire, nonostante, nella misura necessaria, le ordinanze promulgate dai nostri predecessori.”
Già nel 1969, gli autori del Breve esame critico del Novus Ordo Missæ, presentato a Paolo VI dai Cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, affermavano: “E’evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede (del Concilio) di Trento. A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo in una tragica necessità di opzione”.
“Addirittura imbarazzante la risposta che Paolo VI darà all’amico Jean Guitton nel novembre 1976. Durante un incontro privato Guitton, di fronte al disastro prodotto dalla riforma liturgica, con i tanti abusi permessi, segnala a Paolo VI anche l’irrazionalità e l’autoritarismo con cui si è proceduto: “L’opinione generale non può ammettere che tutte le Messe siano consentite salvo quella di San Pio V, Messa che tutti i Vescovi dicevano durante il Concilio”. Poi dice al Papa che: “Sarebbe auspicabile […] l’annullamento dell’interdizione fatta in Francia di dire questa Messa di San Pio V che il Concilio non ha mai preteso abolire.”
La risposta di Montini è perentoria e agghiacciante: “Questo mai!” Ma ancora più incredibile la motivazione: “Questa Messa, come lo si vede ad Econe, diviene il simbolo della condanna del Concilio. Non accetterò mai che si condanni il Concilio per mezzo di un simbolo.”
(Jean Guitton, Paolo VI segreto, cit., pp. 144-145).
“Inutile sottolineare, come fa Guitton, che il Concilio non aveva affatto abolito quella Messa, che la nuova liturgia ha disastrato la Chiesa e che è stata un’ imposizione autoritaria dello stesso Paolo VI che doveva prendersi le sue responsabilità senza farsi scudo del Concilio. Papa Montini fu ostinato a non volerla dar vinta ad Econe e agli altri Suoi critici. Pur vedendo “auto- demolirsi”, non volle ammettere di aver sbagliato. Così sino alla fine.”
(Antonio Socci “Il quarto segreto di Fatima”, nota n°357 pag. 211)
“In quelle pagine il futuro papa rievoca la pubblicazione del messale di Paolo VI, con il divieto quasi completo del messale precedente. Commenta Ratzinger: “Rimasi sbigottito per il divieto quasi completo del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l’impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente realizzato da San Pio V nel 1570, faceva seguito al Concilio di Trento; era quindi normale che, dopo 400 anni e un nuovo Concilio, un nuovo Papa pubblicasse un nuovo messale. Ma la verità storica è un'altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli […] senza mai contrapporre un messale ad un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta […].” “Ora invece - scriveva Ratzinger - la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano essere solo tragiche […] si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì uno nuovo […]. Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo.”
(Joseph Ratzinger, “La mia vita”, cit., pp. 113-115/Antonio Socci, dal suo libro: “Il quarto segreto di Fatima”, nota n°361 a p. 212)
L’incredibile discorso fatto da Paolo VI all’amico Jean Guitton, fa comprendere in pieno ciò che in realtà aveva in mente di fare e ha fatto codesto Pontefice:
“E’qui che la grande novità verrà notata, la grande novità del linguaggio. Non sarà più in latino, ma la lingua parlata sarà la lingua principale per la Messa. L’introduzione del vernacolo costituirà certamente un grande sacrificio per coloro che conoscono la bellezza, il potere e la sacralità espressiva del latino. Stiamo dipartendoci dalla lingua parlata nei secoli Cristiani; siamo quasi come dei profani intrusi all’interno della riserva letteraria dell’espressione sacra. Perderemo una gran parte di quella cosa artistica e spirituale, dalla bellezza incomparabile, quale è il canto Gregoriano. Avremo motivi per rimpiangere questa decisione o almeno per essere perplessi. Cosa potremo mai sostituire alla lingua degli Angeli? Stiamo dando via qualcosa dal valore incalcolabile, perché? Cosa ci può mai essere di più prezioso di questi valori, tra i più elevati della nostra Chiesa? La risposta sembrerà banale, quasi prosaica. Ma è una buona risposta in quanto umana, apostolica. La compressione della preghiera è più importante dei sontuosi vestiti in cui è regalmente vestita. La partecipazione della gente è più preziosa - in particolare la partecipazione della gente moderna - che apprezza il linguaggio semplice che possa essere facilmente compreso e convertito nel linguaggio di tutti i giorni”.
Chiunque ha preso parte a codesto scempio della Liturgia di sempre, non ha fatto altro che portare avanti ciò che lo scellerato Martin Lutero disse 500 anni fa’:
...Affermo che tutti gli omicidi, i furti, gli adulterii sono meno cattivi che questa abominevole Messa … (Lutero. Sermone della 1° domenica d’Avvento)
“Quando la Messa sarà rovesciata, io penso che avremo rovesciato l’intero papato.” (Lutero. Trattato contro Henricum).
E ancora sempre molto “gentilmente" e con più colori: «Quando la messa sarà stata rovesciata, io sono convinto che avremo rovesciato con essa tutto il papismo. Il papismo, infatti, poggia sulla messa come su di una roccia, tutto intero, con i suoi monasteri, vescovadi, collegi, altari, ministeri e dottrine, in una parola, con tutta la sua pancia. Tutto ciò crollerà necessariamente quando sarà crollata la loro messa sacrilega e abominevole. Io dichiaro che tutti i bordelli, gli omicidi, i furti, gli assassinii e gli adulterii sono meno malvagi di quella abominazione che è la messa papista.»
Canoni Tridentini sul Santissimo Sacrificio della Messa
- - Can. 1. Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto significa semplicemente che Cristo ci viene dato in cibo: sia anatema.
- - Can. 2. Se qualcuno dirà che con le parole: "Fate questo in memoria di me" [Lc 22,19; I Cor 11,24] Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o non li ha ordinati perché essi e gli altri sacerdoti offrano il suo corpo e il suo sangue: sia anatema [cf * 1740].
- - Can. 3. Se qualcuno dirà che il sacrificio della Messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non un sacrificio propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non deve essere offerto per i vivi e per i morti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni e altre necessità: sia anatema [cf *1743].
- - Can. 4. Se qualcuno dirà che col sacrificio della Messa si bestemmia o si attenta al sacrificio di Cristo consumato sulla croce: sia anatema [cf. *1743].
- - Can. 5. Chi dirà che celebrare le messe in onore dei santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la chiesa intende, è un'impostura: sia anatema [cf. *1744].
- - Can. 6. Se qualcuno dirà che il canone della Messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo: sia anatema [cf *1745].
- - Can. 7. Se qualcuno dirà che le cerimonie, i paramenti e gli altri segni esterni di cui si serve la chiesa cattolica nella celebrazione della Messa, sono piuttosto provocazioni dell'empietà, che manifestazioni di pietà: sia anatema [cf *1746].
- - Can. 8. Se qualcuno dirà che le Messe nelle quali SOLO il sacerdote si comunica sacramentalmente sono illecite e, quindi, da sopprimere: sia anatema [cf 1747].
- - Can. 9. Se qualcuno dirà che il rito della chiesa romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da condannarsi; o che la Messa deve essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell'offrire il calice l'acqua non deve essere mischiata col vino, perché ciò sarebbe contro l'istituzione di Cristo: sia anatema [cf *1746; *1748s].
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"Vetus Ordo Missae": la vera Messa Cattolica che i modernisti hanno cercato di cancellare con l'evento del rito, assolutamente non Cattolico, del "Novus Ordo Missae"...
Pro Missa Traditionali
In difesa della Messa tradizionale
Fonte: UnavoceVerona
Premessa
La santa messa è il sacrificio della Croce semel pro semper oblatum [offerto una volta per tutte] in modo cruento, ma in modo incruento presente sotto le specie sacramentali. Or noi nell’Institutio generalis Missalis romani […], a seguito della Costituzione Apostolica del 3 gennaio 1969 leggiamo: “La cena del Signore o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della santa Chiesa, la promessa del Cristo: là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt. 18, 20)”.1
Una tale definizione della Messa è manifestamente eretica, e chi la propone è scomunicato esplicitamente dal Concilio di Trento, nel canone terzo della Sessione ventiduesima: “Colui che avrà detto essere la Messa semplice memoria del sacrificio compiuto sulla Croce, sia anatema”. Di conseguenza il firmatario di detta eresia, Paolo VI, non sarà caduto sotto tale sanzione?
Di fronte a tanta enormità insorsero i fedeli con tale impeto che detta definizione, sia pure ben undici mesi dopo, veniva rabberciata in senso cattolico, e si cercò di far passare la prima redazione, eretica, come una sbadataggine di Sua Santità, perdonabilissima e senza conseguenze pratiche. Infatti detto rabberciamento non ebbe conseguenze pratiche sulla nuova Messa, che restò immodificata, cioè tale quale era stata costruita in base alla prima redazione eretica dell’articolo VII, e non venne più corretta in base alla nuova redazione cattolica del medesimo.
A ragione i cardinali Ottaviani e Bacci, nella petizione inviata al Santo Padre nel 1969, dicevano: “Il Novus Ordo Missae [nuovo rito della Messa] sia nel suo insieme, che nei particolari, rappresenta un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio di Trento, il quale, fissando definitivamente i canoni del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Mistero.” Gli stessi cardinali, nel Breve esame critico del Novus Ordo Missae, dicevano: “Nel Novus Ordo Missae [nuovo rito della Messa] rittroviamo purtroppo identica nella sua sostanza la stessa Missa normativa rifiutata dal Sinodo episcopale nell’ottobre del 1967, perché in essa si mirava a fare tabula rasa di tutta la teologia cattolica della Messa, avvicinandola alla teologia protestante negatrice del sacrificio della Messa.”
Dottrina cattolica della Messa
Sì, la santa Messa è unum et idem [la stessa identica cosa] con il sacrificio della Croce, celebrato dal sacerdote misticamente, in modo incruento, sacramentale, sull’altare. Le specie sacramentali si consumano e vanno rinnovate, rinnovando la celebrazione della Messa. Moltiplicandosi dette celebrazioni però, non si moltiplica il sacrificio della croce: si moltiplica solo il sacramento di detto sacrificio.
Finché perdurano incorrotte le specie sacramentali, anche finita la celebrazione, perdura sotto di esse la presenza di Nostro Signore Gesù cristo, in corpo, sangue, anima e divinità, in atto sacrificale divino e umano; atto sacrificale che, in quanto umano, raggiunto sulla Croce il massimo d’intensità oblativa compatibile con la fralezza della natura umana, sopraffatta questa dalla morte, venne dalla morte stessa sigillato per l’eternità. Il Consummatum est! [Tutto è compiuto!] proferito da Gesù morente, non significò: “Il mio compito è terminato”, ma “Il mio sacrificio ha raggiunto la sua perfezione, e come tale durerà per sempre”. Così nel santo Tabernacolo si contiene in facto esse [presente realmente] quanto venne costituito e fu quindi in fieri [in via di compimento] durante la celebrazione della Messa, e che solo la Messa manifestò attivamente sia con la duplicità della materia e delle formule consacratorie, sia e principalmente con l’azione del sacerdote, agente in persona Christi [facendo le veci di Cristo].
Il solo battesimo non conferisce il potere di celebrare la Messa. Si esige il sacramento dell’Ordine, istituito da N.S. Gesù Cristo, e chi dicesse il contrario, sarebbe scomunicato.2 Il cristiano non ordinato compirebbe il rito della Messa invalidamente. Quanto al cristiano validamente ordinato sacerdote, non la celebra in nome proprio, ma in persona Christi [quale rappresentante di Cristo], del quale egli è semplice ministro e docile strumento; ma sempre tutt’altra cosa che semplice presidente e rappresentante dell’assemblea dei fedeli.
La Messa tradizionale, con tutto ciò che vi è in essa d’essenziale, e perciò innanzi tutto con il Canone3, si diffuse nella Chiesa nascente quando ancora non esistevano i libri del Nuovo Testamento. In particolare le formule della consacrazione non vennero desunte dai libri del Nuovo Testamento, che non esistevano ancora; ma, viceversa, trasmesse dalla Tradizione, vennero in seguito fissate da San Paolo e dagli Evangelisti in modi diversi, sia pure sostanzialmente concordi.
Anche la frase Mysterium fidei [Mistero della fede] è stata pronunciata dal Signore4 e conservata dagli Apostoli5. Non si tratta d’una esclamazione ammirativa, interpolata nel Canone non si sa da chi, in ogni modo abusivamente, e da espungere dal Canone stesso. Si tratta d’una espressione di grande importanza, sia se con essa Gesù ci ricorda che la realtà nascosta sotto le specie eucaristiche sfugge alla nostra esperienza naturale; sia, ed a maggior ragione, se con essa Gesù intese dichiarare l’Eucarestia sacramento (=mysterium) della fedeltà (=fidei) di Dio alla nuova ed eterna alleanza.
Il Canone tradizionale, costituito dalle parole del Signore, dalla tradizione apostolica e dalle istituzioni pie di santi Pontefici, non solo è immune da errore, ma nulla contiene che non sia imbalsamato di santità e di devozione, e tale da elevare a Dio le menti degli offerenti6, e chiunque osasse sostenere il contrario e dire che detto Canone va abrogato, va sostituito, sappia che è eretico e scomunicato7. Sotto tale scomunica non cadrà, almeno per se [formalmente], colui che sostituisce altre preci al Canone romano, anche se non dichiara a parole che detto canone è erroneo e che va sostituito? Poiché è manifesto che tale scomunica venne comminata per assicurare l’uso esclusivo del canone tradizionale e di esso solo immodificato. Una scomunica è revocabile da parte dell’autorità, o decade spontaneamente senza bisogno di revocazione formale, se cessa d’esistere l’oggetto della medesima: nel nostro caso, la sacralità del Canone romano tradizionale. Or questa non è venuta meno.
Ma anche per vari altri motivi sono colpiti da scomuniche non revocate, e forse per se non revocabili, numerosi fautori o esecutori della riforma liturgica conciliare; poiché la Chiesa dichiara scomunicati coloro che ritengono i paludamenti sacri, le cerimonie e i segni in uso nella Messa tradizionale, più d’un impiccio che di aiuto alla pietà8; coloro che condannano l’uso di recitare il Canone sottovoce 9; coloro che pretendono che nella Messa si debba usare solo il volgare10; coloro che ritengono illecita la Messa nella quale solo il sacredote si comunica sacramentalmente11; coloro che dicono indispensabile anche ai fedeli la Comunione sotto entrambe le specie12; coloro che ritengono illecita la celebrazione della Messa senza alcun fedele presente13; coloro che vogliono in ogni singola chiesa un unico altare14, che nei monasteri non si celebrino più d’una o di due Messe al giorno, così che, se i sacredoti sono più di due, questi debbano concelebrare15.
La concelebrazione
Or qui va detto che la concelebrazione di sacerdote con sacerdote, come si usa frequentemente, è una novità assoluta, ignorata dalla storia della liturgia, e certamente abusiva ogni volta si compia per pura comodità dei concelebranti, che avrebbero per altro possibilità di celebrare singolarmente digne, attente ac devote [in modo degno, attento e pio]. È poi manifesta violazione della giustizia ricevere l’offerta per più Messe, e celebrarne una sola, sia pure concelebrata da più16, poiché più sacerdoti concelebranti non celebrano più Messe simultaneamente, ma un’unica e identica Messa concelebrata. Celebrerebbero più Messe simultanee, solo se ognun d’essi consacrasse una propria e distinta materia. Fino a quando la materia consacrata è una e indivisa, la sola molteplicità dei consacratori pronuncianti le formule consacratorie, non moltiplica il sacramento del sacrificio della Croce.
Il 10 maggio 1970, in occasione dell'udienza concessa ai sei pastori protestanti che hanno collaborato all'elaborazione delNovus Ordo Missæ, Paolo VI, parlando del loro contributo ai lavori del Consilium liturgico, ebbe a dire: ...Vi siete particolarmente sforzati di dare più spazio alla Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura; di apportare un più grande valore teologico ai testi liturgici, affinché la “lex orandi” (“la legge della preghiera”) concordi meglio con la “lex credendi” (“la legge della fede”)... (cfr. R. Coomaraswamy, Les problèmes de la nouvelle messe, Editions L'Age d'Homme, Losanna 1995, pag. 36). Non si capisce proprio come dei protestanti che negano la Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell'Eucarestia, l'essenza sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la mediazione universale di Maria SS.ma e dei Santi, e altre verità di fede possano aver apportato «un più grande valore teologico ai testi liturgici...
La nuova Messa è valida?
Alle gravi manomissioni liturgiche decretate o fatte apparire come tali dai vari uffici liturgici, si sono aggiunte, e da gli stessi burocrati tollerate, se non proprio incoraggiate più o meno apertamente, mille altre manomissioni locali e individuali, tali da rendere certe celebrazioni invalide e sacrileghe. Ma la stessa celebrazione secondo il Novus Ordo Missae [nuovo rito della messa] è valida?
Ci sono dei teologi che la dicono invalida per le stesse ragioni che indussero Leone XIII a dichiarare invalide le ordinazioni anglicane. Certo il Novus Ordo Missae consente tutta una serie di opzioni al celebrante, opzioni concesse affinché anche i protestanti potessero più facilmente adottarlo senza temere di sbatter contro qualche scoglio contrario alle loro eresie. Or colui che si servisse di dette opzioni con l’animo d’un protestante non agiregbbe più secondo le intenzioni della Chiesa cattolica, e perciò la sua celebrazione non sarebbe una vera Messa. Lo stesso si deve dire di chi celebrasse secondo le intenzioni di una novella Chiesa conciliar-ecumenico-modernista. Ci sono infatti purtroppo dei sacerdoti e dei prelati, già cattolici, secondo i quali la Chiesa cattolica, quale fu fino alla vigilia del Concilio Vaticano II, ha finito d’esistere, e dalla novella Pentecoste conciliare è sorta la novella Chiesa, conciliare di nome, ed ecumenico-modernista di fatto. Sarà valida la Messa di costoro?
Certo non concelebrano validamente nelle concelebrazioni di massa quei sacerdoti che (a differenza di quanto avviene nella concelebrazione dei neo ordinati col Vescovo che li ordinò) non possono seguire passo a passo l’azione del concelebrante principale, poiché nell’espressione Hoc est enim corpus meum [Questo è infatti il mio Corpo] e nell’espresssione Hic est enim calix sanguinis mei [Questo è infatti il calice del mio Sangue], da loro proferite, quell’hoc [questo] e quell’hic [questo] sono privi di verità. Avrebbero senso in tali circostanze le formule Illud est enim corpus meum [quello è infatti il mio Corpo] Ille est enim calix sanguinis mei [quello è infatti il calice del mio sangue], ma sarebbero del pari inefficaci.
Che dire poi della Messa in volgare, quando in essa si sostituisca un semplice il all’hunc [questo] della frase et accipiens HUNC praeclarum calicem [et prendendo QUESTO glorioso calice]? Dato che detta sostituzione connota nel modo più lampante che non si sta celebrando il sacrificio eucaristico incohatum [iniziato] nel Cenacolo e consummatum [concluso] sulla Croce, ma che si sta semplicemente raccontando tale fatto, come trapassato. Il calice sul quale il sacerdote proferisce la formula consacratoria, non è un calice qualsiasi, diverso da quello dell’Ultima Cena, ma è misticamente quello stesso calice impugnato da Gesù consacrante, come è misticamente una et eadem [unica e sempre la stessa] l’azione consacratoria del sacerdote. Si dice giustamente che agisce in persona Christi [facendo le veci di Cristo], proprio perché il sacerdote consacrante, in quel momento, è misticamente Gesù in persona, che parla in nome proprio, e dice: “Questo è veramente il MIO Corpo…Questo è veramente il calice del MIO sangue”: espressioni che non sono un doppiaggio di quelle proferite da Gesù nel Cenacolo, ma misticamente, superato tempo e spazio, quelle stesse.
Certo la Messa secondo il Novus Ordo Missae, anche quando evita le opzioni e le concelebrazioni, che la renderebbero invalida, tuttavia non è integra. Manca infatti d’un Offertorio sacrificale con evidente carattere di consacrazione inchoata [iniziata], quale l’integrità del sacrificio esige, come afferma anche S. Roberto Bellarmino, dottore di Santa Chiesa17. Il pane e il vino, dopo l’Offertorio tradizionale, non sono più cose profane, ma sono res sacrae [cose sacre] riservate al culto di Dio, e il trattarle come cose profane, sarebbe certamente atto sacrilego.
Ma che dire della Messa in volgare, quando in essa si sostituisca un per tutti alla frase pro multis [per molti] nella consacrazione del calice? Per giustificare detta sostituzione s’adduce la ragione che in aramaico e in ebraico – e Gesù per quel sacro rito usò l’una o l’altra di dette lingue – siccome non esiste la parola tutti, per dire tutti si dice molti, ma nelle lingue moderne, dato che c’è la parola tutti, questa va usata, se si vuol dire quanto Gesù intese dire dicendo molti.
Detta ragione è falsa. In aramaico, e analogamente in ebraico, c’è la parola molti in contrapposizione alla parola tutti, ed è sagg’in in aramaico e rabbim in ebraico. C’è del pari la parola tutti in contrapposizione alla parola molti, ed è kol oppure kolla, ma si può dire kol bisra in aramaico, e kol basar in ebraico. Ora Gesù nel consacrare il calice usò sia la parola tutti, che la parola molti, contrapponendo l’una all’altra: Accipite et bibite ex eo OMNES. Hic est enim calix sanguinis mei, novi et aeterni testamenti, mysterium fidei, qui pro vobis et pro MULTIS effundetur in remissionem peccatorum [Prendete e bevetene tutti. Questo è infatti il calice del mio sangue, della nuova ed eterna alleanza, mistero della fede, il quale per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati].
Sì, è vero: sia in ebraico che in aramaico, molti può talora significare tutti; ma qui, nella frase pronunciata da Gesù, l’uso ravvicinato di tutti e di molti, ha tutto il carattere d’una contrapposizione, così che è impossibile con certezza all’identità di significato della voce tutti e della voce molti in tal caso. Senza dire che la sostituzione di tutti a molti insinua l’errore d’una salvezza eterna de facto universale, e la conseguente negazione del dogma dell’inferno.
Ora alcuni teologi affermano che secondo S. Tommaso18 la formula consacratoria del calice è tutta intera indispensabile a che la consacrazione sia valida; tutt’intera con l’espressione mysterium fidei [mistero della fede] e con la parola multis [molti]. Secondo altri invece basta la frase iniziale Hic est enim calix sanguinis mei [Questo è infatti il calice del mio sangue]. La questione resta aperta e disputabile. Nell’amministrazione e preparazione dei sacramenti non ci si può accontentare di una materia o di una forma dubbia, sia pure probabilius [con maggior probabilità] valida. Qui non vige il probabilismo, ma solo il tuziorismo19. Pare perciò illecito l’uso sia della forma decurtata, sia della forma intera, ma alterata e perciò controversa. Si dirà che la maggior parte dei celebranti usa tale formula, e siccome nella Chiesa è impossibile un errore universale, detta formula resta dimostrata valida almeno indirettamente. Or in quest’argomentazione si fa coincidere la Chiesa infallibile con una certa maggioranza. Certo tale argomentazione varrebbe se la Chiesa fosse un’organizzazione democratica, ma tale non è. Se così fosse, al tempo di Ario20, la maggioranza ariana sarebbe stata la vera Chiesa, poiché allora quasi tutti i vescovi accettavano e predicavano l’eresia ariana.
Prevalsero allora le porte dell’inferno? Impossibile, secondo la garanzia data da Gesù alla sua Chiesa. Solo che la Chiesa, cui Gesù volle affidare il compito di custodire e trasmettere il depositum fidei [deposito della fede] e da Lui resa indefettibile, era allora, come lo sarà ancora altre volte lungo i secoli, ridotta a un’esigua porzione della Cristianità: porzione sempre di difficile precisazione statistica non foss’altro perché fluttuante nei suoi componenti con il fluttuare delle vicende storiche della Cristianità stessa. La storia ecclesistica è lì ad ammonirci che anche qualche Papa, certo non in quanto Papa assistito dal carisma dell’infallibilità personale, mancò almeno a intermittenza al proprio dovere di custode e trasmettitore del depositum fidei [deposito della fede], della Santa Tradizione dottrinaria e sacramentale.
Chiesa e Tradizione stanno tra loro come soggetto possidente e oggetto posseduto: si coestendono esattamente senza residui. Chiesa e Cristianità invece stanno tra loro come materia informata e materia informabile, non sempre informata di fatto integralmente e mai informata in modo irreversibile. È certo, perché è Gesù a certificarlo, che anche nei periodi di rinnegamento generalizzato, sussisterà tuttavia sempre in una qualche parte della Cristianità la Chiesa, custode fedele della Tradizione: Chiesa contraddetta o per lo meno ignorata dalla restante parte della Cristianità, dalla parte scismatica, composta dai pastori infedeli e dalle pecorelle ingannate. Gesù paragonò lo sviluppo del regno dei Cieli a quello di una piccola semente che diviene albero rigoglioso; ma non disse tale albero sottratto all’alterna vicenda delle stagioni ed ai rigori dell’inverno. Disse invece per i primi membri della sua Chiesa: Nolite timere, pusillux grex! [Non temere, piccolo gregge] e per gli ultimi membri della sua Chiesa: Quando tornerà il Figlio dell’Uomo, pensi che troverà fede in terra?
Storicamente è avvenuto che certi gruppi si ritennero a torto Chiesa del Signore. Così fu dei Protestanti, che sostituirono la Bibbia, arbitrariamente interpretata, alla Tradizione cattolica, cioè ad una Tradizione comprendente, come il tutto comprende ogni sua parte, anche quella sua parte messa per iscritto che è la Bibbia; Bibbia a sua volta interpretata ancora secondo la Tradizione.
L’opposizione tra Cattolici e Protestanti sta in questo: che i Cattolici rinunciano al libero esame in favore della Tradizione, comprendente anche l’interpretazione cattolica della Bibbia; mentre i Protestanti rifiutano la Tradizione in favore del libero esame, esteso anche all’interpretazione privata della Bibbia.
Certo, ultimamente l’accettazione della Tradizione cattolica o il rifiuto della medesima a favore del libero esame, importa un atto della ragione; ma detto atto è tutt’altra cosa del libero esame protestantico: è infatti richiesto anche affinché la Fede sia rationabile obsequium [ragionevole accettazione].
Solo equivocando tra ragionevolezza e libero esame, si può imputare ai Tradizionalisti odierni di far proprio il libero esame protestantico: Tradizonalisti odierni che a ragion veduta restano fedeli alla Tradizione cattolica nonostante la defezione dalla medesima di tanti e autorevoli pastori.
La pastorale del Novus Ordo Missae
Ritorniamo al nostro assunto. È sentenza comune che un rito cattolico, per quanto valido, possa essere imprudente, e perciò, almeno indirettamente o per accidens [accidentalmente], antipastorale. Tale è la nuova Messa. “Di quanto la nuova Messa s’allontani dalla teologia del Concilio di Trento si può valutare confrontando le preghiere che il Consilium ha abolito con quelle abolite da Cranmer21. La coincidenza non solo è tale da stupire. Essa fa inorridire! No, non si tratta di pura coincidenza fortuita … si tenga presente che i riformatori protestanti conseguirono i loro scopi più omettendo preghiere cattoliche, che inserendo preghiere specificamente eretiche. In tal modo trasformarono la lex credendi [regola della fede] cattolica in lex credendi [regola della fede] protestante, servendosi della lex orandi [regola della preghiera], della liturgia … Cranmer ebbe cura che il rito da lui riformato potesse essere interpretato in senso cattolico … e che i sacerdoti cattolici conservatori restassero persuasi che quanto celebravano era ancora una Messa … Il Novus Ordo Missae ha fatto lo stesso mediante le opzioni … Si è cercato di minimizzare il ruolo avuto dai sei osservatori protestanti … Di fatto detti osservatori esercitarono la loro influenza non solo nel lavoro preparatorio … Il ruolo da loro esercitato venne orgogliosamente dichiarato dagli ecumenisti cattolici, secondo i quali il Consilium pontificio per la riforma della liturgia s’era ormai piegato ai teologi e ai liturgisti protestanti”22
“Il Novus Ordo Missae è l’opera per eccellenza, il capolavoro del Consilium, che lo creò con la collaborazione attiva di sei eretici, quei sei che si vedono sulla fotografia, alla destra del Santo Padre. Io uso il termine eretico senza alcuna intenzione aggressiva, ma non per pura retorica. Uso questo termine, perché è il termine tecnico, il termine appropriato. Non solamente quei sei personaggi eretici sono personalmente eretici, ma per giunta essi sono lì in quanto eretici. Non sono lì a semplice titolo personale: sono lì in quanto ufficialmente eretici, in qualità ufficiale di eretici. Essi sono il Dr. Sephard, il Dr. George, il canonico Jasper, il Dr. Konneth, il Dr. Smith e il Fr. Max Thurian; e sono lì come rappresentanti rispettivamente del Consiglio ecumenico delle Chiese, delle Comunità anglicana e luterana e della Comunità di Taizé. Il Novus Ordo Missae non è stato fabbricato in collaborazione e d’accordo con sei personaggi esperti, scelti individualmente per la loro forma mondana, per il loro aspetto prestante, i quali per puro caso accidentale erano anche eretici. No! Il Novus Ordo Missae fu fabbricato in connivenza con sei rappresentanti ufficiali di svariate eresie, convocati appunto perché eretici a rinnovare la liturgia cattolica. Ed essi ci hanno dato quel genere di liturgia rinnovata, che si poteva attendere da quel ch’essi rappresentavano. Ecco l’opera di detti sei eretici e dei loro complici cattolici: ‘Dare un più grande valore teologico ai testi liturgici, al fine di far concordare meglio la lex orandi [regola della preghiera] con la lex credendi [regola della fede]’. Chi così afferma, ritiene dunque che fino al 1969 i testi liturgici non avevano tutto quel valore teologico che si sarebbe desiderato, quel valore teologico che si scorge ora nelle ‘formule interamente nuove’. Quindi per mille anni e passa la lex orandi [regola della preghiera] non concordò granché con la lex credendi [regola della fede]. Le nuove preghiere eucaristiche concorderebbero con la fede cattolica meglio del Canone romano. Tale è anche l’opinione di Taizè, delle Comunità anglicana e luterana e del Consiglio ecumenico”23
“D’ora in poi delle comunità non-cattoliche potranno celebrare la santa cena con le stesse preghiere del Novus Ordo Missae della Chiesa cattolica”24.
“Tra i punti che val la pena di sottolineare, c’è il fatto che non solo i protestanti si sentono a casa loro con le preghiere della nuova Messa, ma che essi ritengono, e lo dichiarano apertamente, che c’è stato un tale cambiamento nella teologia cattolica della Messa da far concordare la medesima con la dottrina della cena del Signore”25.
Ma qual è la teologia protestante della cena del Signore? Ce lo dice il patriarca di tutte le svariate sette protestanti, Martin Luther che, non potendo più conciliare la celebrazione della santa Messa e il suo sacerdozio con le sue impurità e il suo orgoglio, volle distruggere quella Messa e quel sacerdozio: “Quando la messa sarà rovesciata, io sono convinto che avremo rovesciato con essa tutto il papismo. Il papismo infatti poggia sulla Messa, come su una roccia, tutto intero, con i suoi monasteri, vescovadi, collegi, altari, ministeri e dottrine, in una parola con tutta la sua pancia. Tutto ciò crollerà necessariamente, quando sarà crollata la loro messa sacrilega e abominevole. Io dichiaro che tutti i postriboli, gli omicidi, i furti, gli assassini e gli adulteri, sono meno malvagi di quell’abominazione che è la messa papista”26
Perché tanti sacerdoti si sentirono sgomenti davanti al Novus Ordo Missae? Perché avevano visto chiaramente nei contorni della nuova Messa il profilo di Lutero. Avevano visto la realtà: la nuova Messa realizza infatti la definizione della cena protestante, divenuta l’articolo settimo della Institutio generalis Missalis romani [Istituzione generale del Messale Romano], prima edizione.
Ora il Novus Ordo Missae, che grazie alla sua ambivalenza ed equivocità avrebbe dovuto far rientrare nell’unico ovile dell’unico Pastore le pecorelle sbandate, i protestanti, di fatto ha allontanato dall’ovile anche un’innumerevole schiera di cattolici: schiera in aumento talmente vertiginoso, da lasciar prevedere che – stando così le cose – le chiese cattoliche tra qualche anno saranno del tutto deserte. È questa l’efficacia pastorale del Novus Ordo Missae? Che forse non è dovuto alla riforma – diciamo pure alla rivoluzione postconcliare liturgico-modernista, che fa centro nel Novus Ordo Missae – l’ottundimento del senso cristiano nei cattolici, manifestatosi in modo abbacinante in Italia in occasione del referendum per il divorzio e per l’aborto? All’eclisse del senso del sacro, collegata al Novus Ordo Missae si deve anche l’inaridimento delle vocazioni sacerdotali e delle vocazioni religiose missionarie, maschili e femminili, ma anche lo scadimento della vita cristiana nelle persone consacrata; l’abbandono della pratica degli Esercizi Spirituali [di S. Ignazio], la mistificazione dei medesimi, trasformati in assemblee di chiaccheranti e in pellegrinaggi turistici. Ma a che pro enumerare ulteriormente le miserie venute dopo il Novus Ordo Missae e a causa del medesimo? Post illum et propter illum [dopo di esso e a causa di esso]!
Sì, il Novus Ordo Missae è indubbiamente antipastorale nei riguardi dei cattolici, ed apastorale nei riguardi dei protestanti: male grave, gravissimo, ora che la pastorale e la catechesi si riducono, quasi senza residui, alla celebrazione dell’eucaristia. Che forse non la si volle tale, intelligibile rimuovendo il diaframma che la Messa tradizionale aveva disteso tra l’uomo e Dio? Come ebbe l’ardire di proclamare Paolo VI, il 26 novembre 1969, allorché liberava la liturgia dalle “seriche vesti che creavano” quell’ “opaco diaframma”; accompagnando il suo dire con una serie di “finalmente” illuministici e di condanna a un tempo per lo meno dell’efficacia pastorale della Messa cattolica di sempre: “Finalmente si può capire e seguire la complicata e misteriosa cerimonia; finalmente ci si prende gusto; finalmente il Sacerdote parla ai fedeli e si vede che agisce con loro e per loro”.
Affermava di rimuovere un diaframma antipastorale per i cattolici, mentre con la collaborazione di sei eretici eminenti agiva di fatto per tirare sulla Messa cattolica un diaframma che non la facesse più apparire specificamente tale, e perciò atto a lusingare i protestanti.
Come un giocatore di bussolotti che cerca di distrarre l’attenzione degli spettatori, Paolo VI cercava d’indirizzare l’attenzione dei cattolici sul diaframma delle vesti seriche del latino e connessi, per nascondere ai loro occhi il cambiamento della Messa in senso ereticoide che stava perpetrando.
"...Che cosa di più bello Gesù poteva dare all'umanità, che cosa di più prezioso, di più Santo, quando moriva sulla croce? Il Suo Sacrificio. La messa è il tesoro più grande e il più ricco dell'umanità che Nostro Signore ci abbia donato...La Messa è "tutto per Dio". Perciò vi dico: per la gloria della Santissima Trinità, per l'amore di Nostro Signore Gesù Cristo, per la devozione della Santissima Vergine Maria, per l'amore della Chiesa, per l'amore del Papa, per l'amore dei Vescovi, dei Sacerdoti, di tutti i fedeli, per la salvezza del mondo...custodite il testamento di Gesù Cristo, custodite il Sacrificio di Nostro Signore! Conservate la Messa di Sempre!..."
Il grande problema
Come può essere antipastorale una legge disciplinare ecclesiastica universale, quale è quella che ha per oggetto la nuova Messa? Innanzi tutto rovesciamo la frase: siccome è antipastorale – et contra factum non valet argumentum [contro la realtà dei fatti non si può opporre alcuna prova in contrario] – non può essere oggetto di legislazione ecclesiastica, vuoi universale, vuoi particolare: la legge non può aver per oggetto che il bonum communitatis [bene comune].
Dato, ma non concesso, che abbia per oggetto un bonum communitatis [bene comune] non è tuttavia legge, perché non ci fu, né promulgazione formale, né accettazione pacifica universale. Non ci fu promulgazione formale e tanto meno abrogativa della Messa tradizionale. Si volle dare l’impressione di aver voluto abrogare la Messa tradizionale, e di aver voluto imporre la nuova Messa; ma tale comando formale – per la storia? Per alleggerire il compito degli apologeti di domani? Certamente perché la Chiesa è oggetto d’una Provvidenza tutta speciale – un comando formale e in più abrogativo della Messa tradizionale, non fu dato.
È vero che nel testo italiano della Costituzione del 3 aprile 1969 si legge: “Infine vogliamo dare forza di legge a quanto abbiamo finora esposto”. Ma il testo latino dice: “Ad extremum ex iis quae hactenus de novo Missali Romano exposuimus, quiddam nunc cogere et efficere placet”, cioè: “Da tutto quello che fino a questo punto abbiamo esposto a riguardo del nuovo Messale romano, ci piace ora, per finire, tirare una qualche conclusione”, oppure: “Per finire, in seguito a quanto noi abbiamo esposto sul nuovo Messale romano, c’è un punto (quiddam) che ci piace (placet) dedurre e stabilire (cogere et efficere)”. Concludere un discorso non è promulgare una legge. Né si può trovare detta volontà obbligante nell’ultimo paragrafo della Costituzione in questione, che dice: “Nostra haec ante statuta et praescripta nunc et in posterum firma et efficacia esse et fore volumus” [Ciò che prima noi abbiamo stabilito e prescritto vogliamo che abbia efficacia e sia confermato anche in futuro]; poiché di prescrizioni precise in detto documento si trovano solo quelle riguardanti le tre nuove preci eucaristiche e l’inciso “quod pro vobis tradetur” [che sarà dato per voi] da far seguire alla formula della consacrazione del pane. Ora l’uso di dette preci è dichiarato facoltativo e l’addizione quod pro vobis tradetur” [che sarà dato per voi] è suffragata da motivi del tutto insufficienti a renderla fuor di dubbio tassativa.
Fatta anche l’ipotesi che ci fosse stato un comando formale, non sarebbe abrogativo della Messa tradizionale d’origine apostolica, che resterebbe lecita, e senza bisogno di concessioni speciali. Che l’esplicita condanna a morte della liturgia tradizionale appaia qua e là in qualche disposizione liturgica, intenzionalmente pubblicata senza data e firma, o anche in qualche dichiarazione episcopale, non fa testo: deve apparire chiara e tonda nella Costituzione introduttoria del Messale, al posto di quel mistificato “Ad extremum” [Per finire] ed in temini tali da far impallidire l’espressione precipiente usata da S. Pio V il 14 luglio 1570, la quale resta pienamente, giuridicamente, canonicamente efficiente e vincolante: “Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae permissionis, statuti, ordinationis, mandati, praecepti, concessionis, indulti, declarationis, voluntatis, decreti et inhibitionis infringere vel ei ausu temerario contraire. Siquis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei ac Petri et Pauli Apostolorum eius, se noverit incursurum” [Nessuno, quindi, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare o trasgredire questo Nostro documento: permesso, statuto, ordinazione, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Chi però abbia la spudoratezza di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi Apostoli Pietro e Paolo].
Quanto poi all’intenzione di Paolo VI, si sa che egli stesso dichiarò al cardinal Heenan non essere sua intenzione di proibire assolutamente la Messa Tradizionale. Con la Missale Romanum intese semplicemente dare ai fedeli possibilità di una celebrazione alternativa della Messa, e non intese abrogare alcunché.
Fosse pure stata manifestata da Paolo VI una tale volontà abrogativa della Messa tradizionale, tale Messa resterebbe nondimeno lecita a ogni celebrante in forza dell’indulto concessogli dalla prudenza lungimirante di San Pio V: “Atque ut hoc Missale in Missa decantanda aut recitanda in quibusvis Ecclesiis, absque ullo conscientiae scrupolo, aut aliquarum poenarum, sententiarum et censurarum incursu, posthac omnino sequatur, eoque libere et lecite uti possint et valeant auctoritate Apostolica, tenore praesertium, etiam perpetuo concedimus et indulgemus”27 [Anzi, in virtù dell’Autorità Apostolica, noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, sia nel dir Messa bassa che cantata, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo d’incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale]. Or di detto indulto non c’è stata abrogazione di sorta. Si è cercato, con quella capziosità menzognera che ha stampato il proprio marchio infame su tante grida della rivoluzione postconciliare, d’indurre a credere che ci fosse stata una tale abrogazione, facendo sapere che si era disposti a concedere l’autorizzazione di celebrare la Messa tradizionale a quanti l’avessero chiesto, dimostrando d’essere vecchi perfettamente rimbambiti, ma di fatto abrogazione formale di detto indulto non ci fu.
Ci fosse pure stato detto conato abrogatorio della stessa Messa tradizionale, con tutti i requisiti giuridici formali, resterebbe tuttavia inefficace, poiché di fronte ad una tradizione millenaria non c’è abrogazione che tenga. In base alle norme generali del Diritto Canonico, lo stesso San Pio V, se inveve di reprimere degli abusi liturigici, avesse presunto di varare una nuova Messa, abrogando quella tradizonale, avrebbe fatto, dal punto di vista dell’obbligo, un buco nell’acqua.
Ci fu almeno l’accettazione pacifica universale da parte dei fedeli? Meno che meno! Venne rifiutata drasticamente dalla schiera innumerevole di quelli che per protesta contro la riforma liturgica, cessarono di andare a Messa. Venne rifiutata tacitamente dalla stragrande maggioranza di coloro che non ebbero tanto coraggio e che vanno alla Messa nuova, serbando nel cuore la nostalgia e il desiderio della Messa tradizionale. Ed è rifiutata ex animo [nell’intimo] anche da tutti quei sacerdoti, che pur dovettero celebrarla, perché messi nella necessità psicologica, per non dire fisica, di celebrarla.
Non essendo quindi legge universale quella concernente la riforma liturgica e la Messa, potrebbe essere – diciamo ‘potrebbe essere’, non diciamo ‘è’ – viziata e dannosa non solo per accidens [accidentalmente] ma anche per se [formalmente]. Che forse al tempo di Ario non inorridì il mondo intero allorché s’avvide d’essere caduto nell’eresia? Non fu forse allora l’arianesimo accolto e predicato dalla quasi totalità dei vescovi? Sì, la Chiesa è infallibile nelle sue disposizioni disciplinari universali, e più ancora nei dogmi dottrinali e morali universalmente accolti. Tutto sta nel determinare in modo circoscrittivo i confini della Chiesa, tenendo presente che va formalmente distinta dalla Cristianità.
Sembra quindi chiaro, leggendo il pensiero di un Sant'uomo, come Lefebvre, a chi bisogna obbedire e a chi bisogna disubbidire.....
Questo è un tempio dei protestanti, dove professano il loro eretico culto...
Questa è una moderna Chiesa, si puo' notare la perfetta somiglianza con il tempio protestante...
Questo e' un esempio del tempio inventato dalla diabolica ed eretica setta Neocatecumenale, recentemente approvata dalla gerarchia della nuova Chiesa Conciliare...
E ancora si dice che non ci sia stata rottura dottrinaria durante il Concilio, anche un cieco la vedrebbe...
Che fare?
Ora quale atteggiamento si deve assumere di fronte a un rito che allontana dalla Chiesa un numero sempre più imponente di cristiani, va raffreddando la vita cristiana negli altri, va generalizzando il disprezzo verso i Comandamenti di Dio, ha causato angosce inenarrabili alle anime più virtuose e devote, privandole brutalmente e senza possibilità di appello di tutto quello che costituiva la vita della loro vita. Ha svuotato i seminari e gli aspiranti missionari e reso agonizzanti tanti istituti religiosi. Ha autorizzato esperimenti sacrileghi della Messa tanquan in corpore vili [come su di un cadavere] come si fanno le prove di una commedia. Ha aperto la porta a mille altre profanazioni, raggiungendo il culmine dell’abiezione nelle concelebrazioni con eretici, promosse da prelati d’alto rango, nonostante siano intrinsecamente gravemente immorali, e per questo già bollate di scomunica.
Potrà dirsi ordinatio rationis [ordinamento ragionevole] quel complesso di norme, dall’apparenza giuridica, che presiede a tale rivoluzione? Se tali e tanti disastri si previdero e si vollero, è criminale. Se non si previdero, è per lo meno insipientissimo e temerario. Per ciò non fu rationis, non fuit lex, sed iniuria [non fu ragionevole, non fu legge, ma offesa]. Se poi si considera con quali espedienti subdoli e furbeschi venne portata avanti la riforma liturgica – si dichiarò che la si voleva affinché il popolo capisse, mentre tutt’altro era lo scopo cui si mirava; che la si era cominciata timidamente, al modo di chi si accinge a scrostare un’opera d’arte preziosissima e intangibile, senza immaginare cosa si sarebbe trovato sotto, mentre si aveva già stabilito in partenza di “dare strutture nuove a interi riti, operando una restaurazione di fondo, e in certi punti una vera nuova creazione, dato che l’immagine della liturgia data dal Concilio Vaticano II era completamente differente da quella che la Chiesa cattolica aveva avuto fino allora”28 – se si considera tutto ciò, e si tiene presente che il padre della menzogna è Satana, si sa anche chi fu il grande manovratore della riforma liturgica della nuova Chiesa conciliare, consci o inconsci i suoi collaboratori.
È chiaro più del sole che solo la Messa di San Pio V, risalente alla tradizione apostolica, resta la Messa: la Messa cattolica, prescritta con tutti i crismi che la rendono lecita, sia ai sacerdoti che ai fedeli, recitata e cantata, senza bisogno d’ulteriori permessi e concessioni. Or che hanno luogo le celebrazioni liturgiche – chiamiamole ancora così – più stravaganti e sacrileghe, credere o indurre a credere che solo la santa Messa degli Apostoli, di sant’Agostino e di San Tommaso, dei martiri inglesi e di san Pio V, e di tutti i santi canonizzati fino ad oggi, sia illecita e cercare d’impedirla, d’estinguerla, implica un’insipienza e un’empietà spaventevoli, inconcepibili!
È del pari chiaro più del sole che i modernisti della rivoluzione liturgica si servono di questa per raggiungere il loro ultimo fine: quello di soppiantare la Chiesa cattolica, sostituendo ad essa la nuova Chiesa conciliare. Ora i modernisti lo sanno: la sussistenza sia pure di una sola Messa tradizionale costituisce per loro una minaccia mortale, vedono in essa e giustamente, quel sassolino, che mosso da mano umana, precipita sul colosso di Nabucodonosor e lo polverizza. Affinché sopravviva la loro nuova Chiesa conciliare, è indispensabile si estinga ovunque e per semrpe la santa Messa tradizionale. Essi precorrono con il desiderio, e affrettano con l’opera assidua l’estinzione della schiera dei tradizionalisti, vittime dei loro maneggi, dell’età avanzata, della stanchezza, della delusione. Da qui il grave nostro dovere di fare tutto quello che sta in noi a che continui a sussistere la santa Messa tradizionale: fino a quando la marea modernista, vomitata dall’inferno, svanisca, disseccata da quel vento dell’Est che disseccò il Mar Rosso, e la Cristianità si ritrovi al di là dei marosi, ritornata tutta cattolica.
Che fare? Il sacerdote che rifiutò sin dall’inizio la nuova Messa è tenuto sub gravi [sotto peccato grave] a rifiutarla tutt’ora e fino all’ultima sua Messa. Potrà almeno per modum actus [controvoglia] celebrarla? No, fosse pure il Santo Padre in persona che gli chiedesse di celebrarla o di concelebrarla assieme. Non lo potrebbe fare infatti senza impugnare per via di fatto la verità conosciuta, il che, in materia grave, è peccato grave e quella sua celebrazione sarebbe sacrilega. D’altra parte, celebrando egli la Messa tradizionale anche inattesa dai fedeli, farebbe loro la più gradita delle sorprese. Inoltre tale sua celebrazione, secondo l’antico rito, potrebbe tornare d’incoraggiamento ad altri sacerdoti esitanti, e potrebbe indurli a superare d’un balzo in senso inverso, il tragitto percorso sotto la spinta, ora subdola, ora minacciosa dei modernisti al comando.
Potrà tuttavia un sacerdote tradizionalista nella celebrazione della Messa tradizionale fare delle concessioni, accettando alcuni elementi del nuovo rito, al fine di tornare meno ostico al rettore della Chiesa nella quale celebra? Sì, lo può, e potrebbe anche accettare cum grano salis il nuovo calendario rivoluzionario, purché conservi il rito tradizionale dall’Offertorio alla Comunione, e conservi per la recita del Canone Romano la lingua latina. Queste concessioni non sono dovute a disistima verso il calendario tradizionale, e verso i riti tradizionali precedenti l’Offertorio e seguenti la Comunione; ma perché tutto ciò, pur essendo molto importante, non è tuttavia tale, se difettasse, da compromettere il valore della Messa tradizionale. Quanto al sacerdote che abilmente abbindolato, percorse a passettini la via della riforma liturgica, e si trovò quindi, quasi contro voglia, sull’altra sponda, quella del modernismo; appena si rendesse conto del torto subito, avrebbe l’obbligo di riprendere immediatamente la celebrazione secondo il rito tradizionale. Trovandosi in cura d’anime, farebbe loro un grande, grandissimo dono. Andrebbe incontro a delle persecuzioni? Beati coloro che saranno perseguitati a causa della giustizia, persecuzione che nel suo caso assumerebbe la formalità di tacito martirio.
E un laico, può assistere alla nuova Messa? Precisiamo: per nuova Messa intendiamo quella celebrata adamussim [perfettamente] secondo il nuovo Ordo Missae, non solo, ma anche senza quelle opzioni che la renderebbero per lo meno di dubbia validità, e senza quella creatività che potrebbe renderla fuor di dubbio invalida o per lo meno sacrilega.
Or di fatto molti laici assistono a tali celebrazioni, sia pure in numero via via diminuente. In numero diminuente? A sostegno di questa asserzione non c’è bisogno che la Congregazione per il Culto Divino faccia inchiesta alcuna: basta dare un’occhiata ai registri dove si segnano le richieste di Messe, per vedere come aumentino in essi le pagine bianche.
Ebbene, i laici che frequentano la nuova Messa sono in gran parte delle laiche, delle donne, e donne anziane, che un giorno assistettero incredule ai loro occhi, smarrite e con grande amarezza al cambiamento di Messa; e non osarono ribellarsi, poiché c’era di mezzo il Papa. Sì, alla nuova Messa partecipano talora anche degli uomini, lusingati dall’incarico di lettori, ed anche dei ragazzi, più sovente delle ragazze, raggruppate in schola cantorum.
Or se a costoro si dicesse che non devono più assistere a tale Messa si correrebbe il rischio di recare scandalo, anche se avvertono, come non pochi di fatto avvertono, il disagio spirituale che ne deriva alle loro anime. Sì, costoro sono in grado di comprendere la resistenza dei Tradizionalisti, di ascoltarne le ragioni e le esortazioni, se esposte a tempo, a luogo e coi dovuti modi, tenendo presente che se la psicologia umana si concretizza con mille sfumature diverse, tuttavia in fatto di fede e di liturgia è universalmente suscettibilissima.
Con queste persone – all’occasione opportuna – non insisteremo sul precetto della Messa festiva secondo il nuovo rito. Le illumineremo sulle carenze di questo stesso rito. Le esorteremo a frequentare la Messa tradizionale, anche se questo importasse notevole disagio.
A tale disagio in ogni modo non può sottrarsi il tradizionalista fedele, che sente il dovere di scoraggiare nei riguardi del nuovo rito e sacerdoti e laici, e viceversa incoraggiarli nei riguardi della Messa tradizionale.
Ciò facendo non illudiamoci di riscuotere facili consensi: poiché il nuovo rito è fatto su misura – misura quanto mai elastica – di una Cristianità scristianizzata e che contribuisce a scristianizzare ulteriormente, mentre la sublimità della Messa tradizionale è accessibile solo al piccolo gregge di coloro che, nonostante tutto, continuano a vivere d’intensa vita di fede.
Né lasciamoci scoraggiare dalla defezioni di alcuni, già a noi cari commilitoni, ricordando che stretta è la porta e difficile la via che conduce alla vita, e pochi sono coloro che la trovano! Ma preghiamo per loro, fiduciosi in una loro auspicabile resipiscenza.
Oremus
Concede, quaesumus, omnipotens Deus, intercedente beatissima semper Virgine Maria, ut veritas, sanctitas et pietas praedilectae Missae apostolicae traditionalis Ecclesiae tuae prompte et pacifice restituatur. Amen.
Concedi, Te ne preghiamo, onnipotente Dio, per l’intercessione della beatissima sempre Vergine Maria, che ci venga restituita pacificamente e quanto prima la verità, la santità e la pietà della prediletta Messa Apostolica tradizionale, e così sia!
1 c. 11, n. 7.
2 Concilio di Trento, Sess. XXII, can. 2.
3 Il Canone è la parte centrale del rito della Messa, culminante nelle formule consacratorie con cui il sacerdote compie la transustanziazione.
4 Enchiridion Symbolorum et definitionum, Denzinger, 1937, n. 414. D’ora in avanti: Denz. 414.
5 Denz. 715.
6 Denz. 932.
7 Denz. 953.
8 Denz. 954.
9 Denz. 956.
10 Denz. 956.
11 Denz. 955.
12 Denz. 934.
13 Denz. 1528.
14 Denz. 1110.
15 Denz. 1591.
16 Denz. 1110.
17 R. Bellarmino, De sacrificio Missae, c. 27.
18 Summa Theologiae, III, 78, 3.
19 Ossia l’opinione più certa e sicura.
20 Eretico del secolo IV che negava la divinità di Cristo.
21 Thomas Cranmer fu il responsabile dell’introduzione delle eresie protestanti nell’Inghilterra del XVI secolo. In particolare a lui si deve la stesura del nuovo messale ‘protestantizzato’ anglicano.
22 “Christian Order”, London, Dec. 1974, pp. 729-731.
23 “Itinèraires” Paris, Déc. 1973, pp. 2-3.
24 “Courrier de Rome”, Paris, 1969, n. 49, p. 6.
25 “Christian Order”, London, Dec. 1974, p. 734.
26 M. Luther, Werke, t. X, s. II, p. 220; t. XV, p. 774.
27 S. Pio V, Quo primum tempore, 14 luglio 1570.
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