Video - Monsignor Athanasius Schneider: “La Bellezza e la Sacralità della Liturgia nei Santi Padri”

Convegno organizzato dai “Giovani e Tradizione”,
“Amicizia Sacerdotale” e “Summorum Pontificum”.
Il libro dell'Apocalisse dipinge la liturgia celeste
come modello di quella terrestre: quello è il modello liturgico dai tempi
apostolici e fino al Concilio Vaticano II. Lo confermano gli scritti di Clemente
I (primo secolo), la Passio Perpetuae Felicitatis, l'Anafora di
Gerusalemme, le Catechesi Mistagogiche (III‐IV sec.), S. Giovanni Crisostomo.
Occorre dunque tornare alla pristina sanctorum patruum norma. San
Clemente Papa ricorda come nel rito ci si debba conformare agli angeli che
rendono il culto celeste e all'inno angelico dell'Apocalisse, il
Trisaghion, Santo Santo Santo.
Coprirsi la faccia, inchinarsi, dare a Dio uno e trino il primo
ed unico posto: questi i gesti degli Angeli dell'apocalisse nel culto
all'Onnipotente.
Il culto dev'essere un Ordo (in greco tàxis),
un ordine, dice Clemente nel primo secolo. Esso, cioè, dev'essere precisamente
predeterminato e non lasciato all'improvvisazione.
La seconda testimonianza (il rapporto del martirio di Pepetua e
Felicita) del II secolo, di ambiente africano, ci dice che le martiri entrate in
Paradiso sentono cantare il Trisaghion dagli Angeli.
La Anafora di S. Giacomo rappresenta la tradizione liturgica di
Gerusalemme, del IV secolo. Anche qui si rimanda per speculum la
liturgia terrena a quella angelica. Si ricordano anche i serafini, che
circondavano il trono dell'Altissimo e con le loro sei ali, con due si coprivano
la faccia, con due i piedi, e con due volavano, secondo Isaia. L'Anafora ci dice
che i serafini cantano incessantemente la teologia, ossia, nel senso di quel
testo, cantano la lode e adorazione di Dio. La dossologia deve essere teologia:
ossia, il culto esterno deve svolgersi in modo da esprimere la Fede in Dio uno e
trino. Rendere gloria (doxa) significa esprimere la fede. Per cui la
liturgia dev'essere assolutamente teocentrica; un antropocentrismo nella
liturgia è completamente estraneo alle idee dei Padri.
Da queste reminiscenze serafiche, nell'antico rito romano,
deriva il coprirsi le mani nella benedizione eucaristica, o le chiroteche dei
vescovi, o il gesto del suddiacono che copre le mani, o la velatura degli
oggetti liturgici. Nella liturgia orientale tale ruolo è svolto
dall'iconostasi.
Il fatto di porre oggi il seggio del sacerdote al centro, è
quanto di più opposto e contrario al pensiero dei Santi Padri e al senso
mistagogico che ci viene dalla divina rivelazione, in primo luogo
dall'Apocalisse. Anche il fatto di toccare le specie da parte dei laici, e
specie senza velature né gesti di adorazione, è in contrasto con questo senso
della liturgia.
S. Giovanni Crisostomo nella sua omelia su Isaia esalta che ai
sacerdoti sia concesso il potere di toccare con le loro mani consacrate ciò che
ai serafini non è possibile toccare. Infatti Isaia il
serafino con le molle prese il carbone, che Isaia passò poi sulle labbra per purificarsi, toccando quanto il serafino solo con molle aveva osato prendere. E quanto più prezioso, alto e bruciante è il
Corpo del Signore, il Sancta Sanctorum.
serafino con le molle prese il carbone, che Isaia passò poi sulle labbra per purificarsi, toccando quanto il serafino solo con molle aveva osato prendere. E quanto più prezioso, alto e bruciante è il
Corpo del Signore, il Sancta Sanctorum.
Per questo adorazione, riverenza, gesti di latrìa nella
liturgia non possono essere omessi nella liturgia, perché l'esempio di essi ci
viene dagli Angeli. La proskynesis, la prostrazione adorante, è negli scritti
dei padri associato alla velatura e al culto.
Le riforme liturgiche, tanto dopo il Concilio di Trento quanto
nella Sacrosanctum Concilium, si richiama alla "antica norma dei Santi Padri".
Occorre quindi esprimere più chiaramente il sacro (SC 21).
Nessun commento:
Posta un commento