Movimento dei focolari – vietato pensare
Pubblicato da Uyulala on 10 dic 2010 | Tags: movimento dei focolari, News, PICCOLE E GRANDI STORIE, SPIRTULES, Testimonianze

Eccomi. Ho 30 anni e dopo una vita da gen 3 prima e gen 2 dopo, non per mia scelta (molti membri della mia famiglia fanno parte del movimento da anni e io mi ci sono ritrovata dentro per forza di cose), a 22 anni ho deciso di allontanarmi da quel mondo, per riuscire a troncare del tutto a 23 anni.
Ho trovato il blog di Donatella per caso, mentre girovagavo su internet spinta dalla curiosità di vedere se c’era qualcuno che parlava di quello che avevo vissuto anch’io anni prima, ho scambiato qualche messaggio con lei e ho capito che mi avrebbe fatto piacere raccontare anche la mia storia. C’è da dire che, come hanno notato tutti quelli che nella loro vita hanno incontrato e poi abbandonato il movimento, ci sono degli elementi comuni che ritornano con una costanza impressionante: parole, atteggiamenti, sensazioni, pensieri… Di molti di questi aspetti ho deciso di non parlare perché sarebbe una ripetizione di cose già dette da altri, basti solo sapere che mi rispecchio alla perfezione in tutti i racconti che ho letto di persone che hanno abbandonato il movimento!
Tutto sommato sono uscita abbastanza indenne da quel mondo, a differenza di altre persone che hanno avuto seri problemi, sensi di colpa, senso di inadeguatezza, che si sono ritrovate sole e tagliate fuori dalla vita sociale, senza più punti di riferimento, senza meta. Il mio è stato un allontanamento graduale ma inesorabile, tante cose che prima sopportavo o decidevo di ignorare mi sono pian piano diventate intollerabili. La mia enorme fortuna è stata essere quella che sono: una persona che non si accontenta di risposte pronte, che vaglia tutto con la propria testa e il proprio spirito critico, che non da niente per scontato, che crede in se stessa e in quello che prova, piena di dubbi che cerca di risolvere a modo suo e non seguendo il pensiero di massa, indipendente e poco plasmabile, se serve indifferente alle critiche altrui. Tutto questo mi ha salvato, perché mi ha sempre permesso di mantenere una certa autonomia rispetto a quello che mi si voleva inculcare a forza.
Ricordo di aver sempre mal sopportato certi atteggiamenti, modi di pensare e di parlare tipici del movimento.
Mi irritava il gergo che tutti erano invitati ad usare, fatto di termini che io trovavo ridicoli (GIM = gesù in mezzo, accettare o fare la volontà di dio – e su questo aspetto mi soffermerò dopo – farsi uno, zone, zonette, focolare, perni, il bianco, l’unità, amare gesù abbandonato, vivere i colori…) ma di cui avevo intuito lo scopo, cioè creare un legame settario tra chi li usava, un legame che facesse sentire unici – seppur tutti uguali come se fossero stati fatti in serie – quelli che usavano quelle parole, una spirale del tipo:
“solo loro possono capirmi, parliamo la stessa lingua, abbiamo un nostro codice che ci rende speciali”
che induce a parlare sempre più spesso con chi parla lo stesso codice e a prendere le distanze dal resto del mondo.
Mi infastidiva il loro desiderio di avere sotto controllo ogni aspetto della vita di noi gen, tanto da arrivare a imporci di organizzare la nostra settimana con il bianco di unità, con cui andavano discussi e decisi orari di studio, attività extra-studio o lavoro, incontri, uscite con gli amici, e tutto quello che poteva rientrare nella quotidianità.
Accettavo a fatica che mi si dicesse cosa dovevo pensare di questo o di quell’argomento, soprattutto per quanto riguardava scelte personali o modi di sentire propri e intimi, specifici di ciascuna persona.
Mi infastidivano le ingerenze nella vita extra-movimento, che loro vedevano come qualcosa da combattere perché mantenere un legame stabile con il “resto del mondo” era pericoloso (dal loro punto di vista lo era davvero perché avere contatti con gente fuori dal movimento e attività non legate al movimento portava ad allontanarsi momentaneamente da esso, con il rischio di trovare più allettante quel mondo e di cominciare a vedere le cose da altri punti di vista meno assolutistici e meno chiusi).
Una cosa che più di tutte non sopportavo era il loro sentirsi superiori al resto del mondo. Loro, con la scusa che erano illuminati dall’ideale e che agivano seguendo la volontà di dio, pensavano di essere sempre nel giusto e si permettevano le critiche più atroci nei confronti delle persone non facevano parte del movimento, anche se queste ultime non avevano fatto nulla di male. Frasi come
“quel mio collega, poverino, è una bravissima persona, per carità, niente da dire, però sai… non è del movimento”
seguite da sorrisino di pietà nei confronti del ‘bravo collega che però è inferiore perché non conosce il movimento’ mi facevano imbestialire!! Io, che ero cresciuta credendo che fosse giusto rispettare gli altri, di chiunque si trattasse, indipendentemente da religione, lavoro, sesso, razza dovevo sentir dire certe assurdità proprio da quelli che predicavano ama per primo e che si vantavano di essere i migliori, i più caritatevoli, gli eletti… Il motto che ci ripetevano a oltranza era
“ricordatevi che voi non site come gli altri, voi siete NEL mondo, ma non DEL mondo”
e io ogni volta pensavo “mi dispiace per voi ma io mi sento parte del mondo, mi piacciono molte delle cose che esistono su questo mondo, mi piace farne parte, viverci, girarlo, scoprirlo, mi sento integrata in questo mondo e non mi sento superiore agli altri!”
Per anni ho cercato di adattarmi a tutto questo con grande fatica perché lo ritenevo un voler uniformare a tutti i costi le persone e il loro modo di essere con lo scopo di annullare personalità, spirito critico, desideri e diversità individuali. Mettevo a tacere il fastidio che provavo nel dire certe cose che non sentivo mie ma che sapevo che gli altri si aspettavano dicessi, facevo finta di essere d’accordo con ogni cosa che veniva detta (ben presto infatti avevo imparato che i dubbi non erano ammessi, e che veniva totalmente scoraggiata la sana pratica del porsi domande e cercare risposte e soluzioni personali), tralasciavo di raccontare avvenimenti ed esperienze che sapevo non essere gradite… e continuavo la mia vita come volevo io, senza farmi troppo condizionare dal movimento.
Avevo raggiunto una sorta di compromesso con me stessa: senza mai rinnegare quella che ero, quando stavo in ambienti del movimento o con gente del movimento tenevo nascosti certi miei lati e non parlavo delle mie idee e dei miei pensieri. A dire il vero mi sentivo sempre un po’ inadeguata, mi guardavo intorno e non trovavo nessun altro che vivesse il movimento nel mio stesso modo, con dubbi e domande e insoddisfazioni, sembravano tutti talmente contenti e immersi in quell’ambiente, nessuno aveva cose da chiarire e risposte da trovare, nessuno mai metteva in dubbio qualche aspetto della vita da gen, a tutti andava bene parlare usando quei termini idioti, a tutti andava bene vestirsi come avevano consigliato quelle pope, o leggere quello che aveva consigliato il bianco, o fare le attività – sempre legate al movimento – suggerite da quell’altra volontaria. Non esistevano individui con le proprie unicità, ma c’era solo una lunga serie di ragazzi e ragazze che si somigliavano in modo impressionante in tutto, come dei burattini, dal modo di sorridere a quello di gesticolare, dai locali frequentati alle spese effettuate, dai giudizi inflitti agli altri alla musica che ascoltavano.
L’inizio della rottura è avvenuto quando avevo poco più di 19 anni, con la fine del liceo e l’inizio dell’università ero molto maturata e avevo cominciato ad approfondire alcune amicizie che avevo da poco, bravissime persone che frequento ancora adesso e che sono state importantissime per me perché mi hanno fatto capire quali sono e come sono i rapporti autentici. Insieme a questi amici facevo le cose che fanno tutti i ragazzi di quell’età: serate in compagnia, feste, gite, qualche vacanza…
Più frequentavo questi ragazzi, più mi accorgevo che le persone “fuori” sono più comprensive, più sincere, più spontanee, più gentili, più felici, più serene, più realizzate… più vere! E questo all’inizio (ma solo all’inizio!) un po’ mi scombussolava perché per anni avevano provato a farmi credere che il resto del mondo fosse brutto e cattivo e inferiore e che ci si poteva salvare solo facendo parte del movimento e tagliando piano piano i ponti con tutti gli altri, e anche se non avevo mai dato troppo peso a queste considerazioni, il condizionamento l’avevo subito lo stesso in modo passivo.
Ben presto la voce che frequentavo regolarmente questi amici extra-movimento è arrivata alla bianco della mia unità, prima, e alla popa responsabile di noi gen, poi. All’inizio hanno cercato di indurmi a non frequentare più i miei amici con metodi sottili e con mezze frasi e sorrisini falsi, facendo leva sul fatto che facevo parte del movimento ed ero speciale e non potevo farmi contaminare da gente comune che non condivideva il mio ideale. Credevano di avere di fronte una ragazza come quelle con cui erano abituate ad avere a che fare, pronta a piegarsi ai desideri e alle decisioni dei superiori “per il suo bene” e a lasciare da parte se stessa. Io facevo finta di non cogliere e mi tenevo stretta gli amici. Vedendo che con me quelle tattiche non funzionavano nel tempo si è giunti a frasi del tipo
“le migliori amiche di una gen possono essere solo altre gen”,
“una gen non dovrebbe frequentare spesso persone che non siano del movimento, non fa bene al suo cammino spirituale”,
”le persone che non sono del movimento ci influenzano in modo negativo, perché non sono illuminate dall’ideale”,
”un maschio e una femmina non potranno mai essere amici, non esiste l’amicizia tra ragazzo e ragazza”,
”frequentare dei maschi non fa bene, ti induce ad avere desideri impuri, devi frequentare solo femmine per evitare certi pensieri e certi desideri”,
”il fidanzato di una gen può essere solo un gen, solo così possono vivere il loro amore e la vita di coppia come vuole dio, nella luce dell’ideale e con il supporto del resto del movimento”
… il tutto per cercare di farmi sentire in colpa e di allontanarmi dai miei amici. Nello stesso periodo avevo iniziato anche a fare varie attività (sport e volontariato soprattutto), ovviamente senza chiedere il permesso a nessuno di loro, la mia vita era mia e se una cosa andava bene a me non vedevo perché dovevo discuterne con chi dimostrava di conoscermi così poco e di avere una così bassa considerazione di me, dei miei pensieri e delle mie scelte. Questo aveva aggravato ulteriormente la mia posizione di “ribelle”, di gen che non faceva la volontà di dio e che non si confrontava con bianchi e pope varie prima di prendere qualsiasi decisione e di fare qualsiasi passo. Più loro cercavano di condizionare la mia vita e le mie scelte più io mi sentivo soffocare e mi allontanavo, raccontando sempre meno di me e diventando sempre più insofferente ai loro tentativi di ingabbiarmi e ricondurmi sulla retta via.
Alla fine ho smesso di andare agli incontri e ho smesso di sentire molte persone.
Alcune, quelle che mi volevano davvero bene e mi accettavano così com’ero, anche se agli occhi del movimento ero diventata una da isolare, pericolosa perché non avevo accettato passivamente tutto quello che gli altri avevano deciso per me, hanno continuato a tenersi in contatto con me.
Altre che per anni avevano fatto finta di essermi vicine hanno cominciato a negarsi al telefono quando le chiamavo e a inventarsi scuse per non dover avere a che fare con me. Un atteggiamento di cui avevo sempre sentito parlare riferito alle sette, e che ora mi ritrovato a sperimentare sulla mia pelle.
Nel tempo sono venuta a sapere che su di me giravano certe voci, che ero considerata una poco di buono perché avevo amici maschi al di fuori del movimento e perché nessuno sapeva cosa facevo o avevo fatto con il mio ragazzo, visto che erano cose nostre private che non andavo di certo a raccontare alla gente del movimento. Questo comportamento così scorretto aveva due scopi: far credere che me n’ero andata dal movimento perché appunto ero una persona poco seria, e far capire subdolamente che quello era il trattamento riservato a chi se ne andava.
Mia madre all’inizio non prese bene la cosa, per lei che da sempre faceva parte del movimento era una cosa insopportabile sapere che la propria figlia ne era scappata a gambe levate. Non voleva che continuassi a vedere i miei amici perché secondo lei erano stati loro a causare la rottura tra me e il movimento, li riteneva degli “esempi negativi” nonostante li conoscesse quasi tutti, ed entrava in ballo sempre il solito discorso
“saranno delle persone serie, rispettabili, corrette, ma non sono del movimento…”.
Per fortuna sono riuscita a farle accettare questa cosa e anche di più, sono riuscita a convincerla che le persone che frequentavo per me erano speciali e che mi stavano dando molto di più di quello che mi avevano dato i gen in anni e anni, e che soprattutto erano molto migliori dei gen che avevo conosciuto, perché erano autentiche, vere, rispettavano il prossimo senza le discriminazioni che anche lei aveva visto all’interno del movimento. Altri parenti interni al movimento hanno detto di me che
“non avevo saputo vedere e accettare il progetto che dio aveva pensato per me”
e hanno preso le distanze da me, anche se in maniera velata, cominciando a trattarmi come una povera scema che non aveva capito niente della vita e che non sapeva cosa si perdeva e giudicando le mie scelte con cattiveria e frecciatine continue. Alla fine sono giunti alla conclusione che non ero adatta alla vita del movimento perché facevo parte di quella massa di sfigati che non sono in grado di capire la volontà di dio e di portare avanti il suo progetto di amore tramite il movimento. Sono diventata impermeabile a certi commenti e a certi atteggiamenti, e ho preso sempre più le distanze da loro e dalle loro vite costellate di finti sorrisi, amicizie di circostanza e falsità talmente imponenti che si percepiscono a distanza e mi fanno sentire a disagio.
Qualche anno dopo, quasi per caso, sono venuta a sapere che svariate altre gen avevano abbandonato il movimento. Ho anche saputo che quasi tutte hanno vissuto molto male la cosa perché, come era successo con me, sono state strette in un cerchio di cattiverie, false dicerie, isolamento e sguardi di pietà. Solo che loro non avevano alle spalle una solida base caratteriale e non avevano amici e conoscenze al di fuori del movimento, per cui si erano ritrovate desolatamente sole e abbandonate.
Come ho detto sopra, voglio approfondire quello che nel movimento (in generale nell’intero mondo cattolico, ma nel movimento il concetto è importantissimo e viene tirato in ballo ogni due per tre) viene chiamato
la volontà di dio.
In questa espressione rientra di tutto e di più : le cose belle e brutte che succedono, ma anche quello che il movimento si aspetta che tu faccia proprio perché qualcuno ha deciso che è volontà di dio. Non si sa come qualcuno possa conoscere i piani di dio e il suo volere, ma a quanto pare nel movimento ci sono decine di persone che possono vantarsi di indicare agli altri qual è il volere di dio per loro. Così diventa volontà di dio essere costretti ad andare ad un incontro al quale si pensava di non andare per molti motivi, diventa volontà di dio non mettersi con il ragazzo che ti piace perché secondo la popa non è adatto a te, diventa volontà di dio litigare con tuo padre che non ti lascia andare al congresso.
Ma l’aspetto più abominevole riguarda la volontà di dio intesa come causa scatenante degli avvenimenti. Muore un parente o un amico? Si perde il lavoro? Ad un bambino viene diagnosticato un tumore? E’ tutto volontà di dio, che ha dei piani precisi ma insondabili per ogni singola persona, e non dobbiamo chiederci il perché, ma dobbiamo solo accettare questa sua volontà e anche ringraziarlo per averci dato questi doni, queste sofferenze che avranno sicuramente uno scopo.
Ma solo io ritengo una stortura pazzesca credere che un dio buono e misericordioso come ce lo dipingono abbia la volontà di far morire di cancro un bambino per poter attuare i suoi piani e i suoi misteriosi progetti sulle persone? Solo io ritengo che sia assurdo pensare che dio tra le sue volontà primarie abbia quelle di far soffrire così tante persone? E che per questo meriti pure di essere ringraziato, perché malattie, sofferenza e morte sono suoi doni? Capisco che sia molto meno poetico dire “mio figlio si è ammalato, è successo e basta, sarà una cosa difficile da affrontare ma ce la metteremo tutta” piuttosto che “mio figlio si è ammalato, dio lo ha voluto, è il suo modo di farci capire che siamo speciali, accettiamo la sua volontà, lui ci ama”… ma si può davvero venerare un dio che manderebbe disgrazie, sofferenza e malattie per dimostrare il suo amore?
Nessuno sapeva dare delle risposte concrete e questi miei interrogativi, anzi erano tutti scocciati e infastiditi da queste domande, la volontà di dio secondo loro va solo accettata e non indagata perché noi umani non siamo in grado di capire i piani superiori di dio e il suo modo di dimostrare l’amore ai suoi figli. Avrei dovuto accontentarmi di risposte pronte che qualcuno aveva già deciso essere quelle corrette per tutti. Inutile dire che non ho mai accettato di essere messa a tacere e che i miei dubbi venissero trattati come dei pericoli da non affrontare per nessuna ragione.
Questo è stato uno degli aspetti che per primo ha minato profondamente la mia fiducia nel movimento e nelle persone che ai miei occhi lo rappresentavano. Da lì è pian piano venuto anche il resto.
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