
Ad essere in primo piano nel pudore è sempre lo sguardo. La pudicizia si palesa come inesprimibile disagio di fronte alla nudità, che sorge laddove ciò che vediamo non è da vedersi o quando ciò che mostriamo non è da mostrarsi. Indefinibile timore della profanazione, misteriosa titubanza dello spirito in presenza di una grandezza soave ed inerme, il pudore si manifesta sulla soglia di un varco segreto o di una riserva inviolabile, ha qualcosa del rispetto dovuto alle cose sacre.
Condizione del pudore è il mistero inattingibile celato in ogni essere, il sancta sanctorum cui nessun altro, salvo Dio, può avere accesso. E il pudore altro non è che il discreto, vigile custode dell’interiorità individuale, il presidio dell’intimo nucleo dell’uomo. Osserva Mounier nel suo Trattato del carattere che « il vero pudore veglia alle porte di un qualcosa di sacro; è per il credente una vedetta davanti al tempio dello Spirito Santo, oppure, da un punto di vista profano, la vestale di una specie di poesia del segreto e del disponibile ».
La società dello spettacolo sembra invece aver fatto suo un undicesimo comandamento: Tutto dev’essere mostrato, nulla nascosto. La stessa assordante verbosità tanto di moda oggi è segno di disgregazione interiore. I miti dello spontaneismo e della sincerità, la crescente marginalizzazione del silenzio stanno ad indicare la caduta verticale del muro di separazione tra interiorità ed esteriorità. Come se l’”incontinenza verbale” fosse connessa nella persona, ormai priva di quegli argini capaci di trattenere ciò che risiede al suo interno, a una inarrestabile dispersione del sé.
« La nostra società – afferma senza mezzi termini la Selz – è fondamentalmente senza pudore. E il massimo di impudicizia è forse quello di essere convinti che tutto sia ottenibile e condivisibile da tutti, perfino quello che riguarda la sfera più intima. Il pudore va quindi considerato come un parafuoco, nel senso più forte, contro questo desiderio megalomanico, a cui manifesta e impone un limite ». Gli esiti spersonalizzanti del declino della pudicizia vanno ben oltre la sfera dei rapporti sessuali, vanno a colpire le relazioni tra gli individui in senso generale. Non c’è nulla di più pericoloso per la stessa sopravvivenza della comunità umana di vivere sotto il tallone di una dittatura della trasparenza che in nome del piacere ad ogni costo condanna il pudore all’anormalità ed elegge a imperativo categorico l’illimitata esibizione di corpi e sentimenti.
È assolutamente vitale dunque richiamare in servizio il pudore, questa sentinella dell’ineffabile. Per assicurare un vero incontro tra gli esseri umani, affinché ci sia scambio autentico, è necessario che prima tra di loro sia stato scavato un vuoto che ne definisca i limiti e tracci gli spazi propri a ciascuno.
In chi si accosta con intenzioni nobili al mistero di un altro essere l’intimità accresce rispetto e venerazione. Lo sguardo pudico è sempre contemplativo, è visione di una realtà che suscita stupore, presenza viva di un mistero che oltrepassa i limiti della comprensione razionale, puramente logico-deduttiva. Nel pudico lo sguardo si accompagna all’ammirazione e riposa nell’oggetto contemplato. Non muove assalti né cinge d’assedio, giacché il suo movente non risiede nell’ebbrezza conquistatrice del’avventuriero. Come fosse stata marchiata a fuoco dall’eternità, la creatura che è stata oggetto di una visione sprigionatasi da simili abissi di profondità ne resta per sempre segnata da un ricordo indelebile. Cos’altro grida la voce spezzata di Loredana Berté nel rievocare con struggente nostalgia lo sguardo di quell’uomo che «accecato d’amore» la «stava a guardare»?
Per l’individuo meschino, al contrario, mai vi sarà sufficiente nudità, velo che non debba essere sollevato, squarciato e fatto a brandelli. Nell’animo colmo di volgarità, cui il riserbo è ignoto quanto la tenerezza, l’intimità uccide il riguardo sostituendovi la brama di possesso. Per questo motivo stupefazione e meraviglia sono negate all’impudicizia. Colui al quale tutto è stato detto, ogni segreto svelato, è incapace di stupirsi.
Occorre diffidare degli spregiatori dell’homo pudens, sospettare della febbrile agitazione di chi vuole abbattere ogni bastione, infrangere qualunque recinto. È il sogno a lungo vagheggiato dai devoti del potere, dagli adoratori della forza d’ogni risma: realizzare una collettività sociale talmente assorbente e totalitaria da riuscire ad estirpare nell’uomo la facoltà di meravigliarsi dinanzi al mistero della vita. Perché, caduta la pudica muraglia eretta tra gli esseri umani, saremo tutti consegnati alle fauci del Leviatano.
Nessun commento:
Posta un commento