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giovedì 31 maggio 2012

PENTECOSTALI

12 giugno 2011

I MOVIMENTI PENTECOSTALI

Da oltre un secolo questo termine designa un movimento, o meglio dei movimenti ormai notevolmente differenziati, alcuni distinti dalle altre Chiese e comunità cristiane, altri interni e trasversali ad esse. Hanno in comune l'importanza data all'azione anche carismatica dello Spirito, e oltre ad At 2 (sulla Pentecoste), prediligono i Cor 12 (sui carismi).

Il movimento pentecostale cominciò nel 1899, quando il battesimo nello Spirito Santo del pastore metodista americano Parham suscitò in lui il dono delle lingue. Si trattò, all'inizio, di gruppi di «risveglio» (= ritorno all'antico fervore) polemici con le stesse Chiese istituzionali protestanti.

Il Pentecostalismo, con alcuni cambiamenti, è passato dall'ambiente evangelico alla Chiesa episcopale ed anglicana. Ma si può dire che non vi sia «Chiesa tradizionale» (luterana, calvinista, ortodossa cattolica ecc.) che non abbia al suo interno un movimento carismatico più o meno vivace.

Oggi il Pentecostalismo è il più grande movimento (meglio: insieme di movimenti) di risveglio cristiano a livello mondiale. Ma, vista la differenziazione sopra accennata, è impossibile parlarne in maniera univoca, ed è molto difficile farne un discernimento specialmente di quella parte che costituisce la variopinta e cangiante galassia dei Pentecostali liberi. Pur con tutte queste riserve, c'è l'esigenza di tentarne una classificazione tipologica, anche solo come primo orientamento. Sia i pentecostali protestanti che quelli cattolici si possono dividere in due categorie: quelli inseriti in realtà ecclesiali più vaste e quelli indipendenti o «anarchici».



Pentecostali evangelici

Ecco alcune caratteristiche prevalenti, anche se con accentuazioni diverse:

1) Anzitutto l'annuncio della salvezza operata da Cristo e l'appello a convertirsi a Lui.
Si tratta dì appelli martellanti, spesso con forte coinvolgimento emotivo.
2) Poi l'interpretazione letteralista della Bibbia.
3) La fede nel prossimo ritorno visibile di Cristo.
4) II «battesimo nello Spirito Santo».
5) La lotta contro l'azione del demonio.

In genere ci sono intensi momenti comunitari e di condivisione, slanci di entusiasmo, culti semplici e gioiosi, con interventi spontanei.

Chi si converte riceve il battesimo per immersione. Per lo più battezzano solo chi ha raggiunto almeno l'uso di ragione. Motivano questa prassi col fatto che l'infante non può avere una fede personale consapevole, che comporti la conversione. Sotto l'aspetto morale spesso predicano un rigoroso puritanesimo: non bevono, non fumano, rispettano la domenica come giorno da dedicare al Signore, esigono purezza nella vita sessuale. Ma anche qui c'è grande differenza da un gruppo all'altro.

Il battesimo nello Spirito è una preghiera allo Spirito Santo, per una persona o un gruppo. Ma spesso è vissuto come esperienza sensibile, accompagnata da carismi, specialmente quello delle lingue e delle guarigioni, dopo di che uno si sente «nato di nuovo». Alcuni lo ritengono il vero battesimo, e danno poca importanza al sacramento, specialmente se ricevuto da bambini. Credono che Dio continui a dare ai credenti il potere della guarigione, come potenza redentrice di Cristo. Aspettano come imminente il ritorno di Cristo (pur non fissando date): ne sarebbe segno il rifiorire dei carismi dell'età apostolica, come appunto il dono delle lingue e quello delle guarigioni.

Distinguiamo:

a) C'è un Pentecostalismo evangelico in buone relazioni con le Chiese protestanti. Alcuni pentecostali indipendenti tendono ad organizzarsi in modo simile alle altre Chiese evangeliche, con pastori regolari, che compiono un apposito ciclo di studi biblici per la formazione pastorale. Tali sono le Assemblee di Dio, che costituiscono la più importante Chiesa pentecostale (due milioni di aderenti solo negli Stati Uniti).

Nel nostro paese sono note come Assemblee di Dio in Italia (ADI). Contano oltre mille chiese e gruppi, pubblicano libri e giornali, e raggiungono un'area di centomila persone. Sono quindi molto più numerosi delle Chiese e comunità protestanti storiche (Valdesi ecc.).

b) II Pentecostalismo evangelico «libero» si basa sul principio della «sola Bibbia», e critica le Chiese protestanti e tanto più quella cattolica. È frammentato in una infinità di gruppi, nei quali si può trovare tutto e il contrario di tutto, non solo dal punto di vista organizzativo, ma anche per quel che riguarda la dottrina, la morale, la disciplina.
Il Pentecostalismo «libero» sottolinea l'autorità indiscussa della Scrittura (la cui interpretazione individuale porta immancabilmente alla divisione). Ritiene che nella Bibbia non ci sia traccia di gerarchia ecclesiastica. Generalmente ogni comunità è «la Chiesa»: nomina i propri pastori e si governa da sé. Anche il culto non ha regole: ci sono lunghe predicazioni, numerosi inni e un gran numero di interventi di singoli fedeli. Accanto a gruppi più radicali, molto critici verso le Chiese, anche protestanti, altri stabiliscono una intesa ecumenica reciproca, però senza mai sentirsi vincolati.

Ci sono diverse Chiese pentecostali libere, a proposito delle quali così scrive un autore evangelico, Giorgio Bouchard: «... esiste una tendenza pentecostale estremista che è assai dura nella critica alle altre denominazioni, e spesso rifiuta ogni organizzazione e cultura. Essa ha partorito un pulviscolo di sètte che nascono come funghi ...». In Italia esiste un certo numero di tali gruppi di pentecostali «liberi», che operano autonomamente, staccati da tutte le altre comunità. Per numero di fedeli, se li considerassimo insieme, supererebbero quello delle Assemblee di Dio. Sono conosciuti con nomi diversi, quali: Chiesa cristiana evangelica, Congregazione cristiana pentecostale, Chiesa evangelica missionaria, Evangelisti, ecc. Sono retti generalmente da uno o più «anziani», e rifiutano la ministerialità professionale. La dottrina non si discosta da quella degli altri gruppi pentecostali. Notevole è la diffusione del Pentecostalismo tra i nomadi.
Negli ultimi armi si stanno impiantando nel nostro paese varie Chiese pentecostali etniche, per es. la «Church of Peace & Love», che raggruppa degli elementi subsahariani: ghanesi, ivoriani, sierraleonesi, nigeriani ecc.





Per un discernimento critico

Anzitutto va riconosciuto che tra la dottrina pentecostale evangelica e quella cattolica c'è in comune la fondamentale professione di fede in Dio Padre, Figlio, Spirito Santo. I pentecostali evangelici insistono sulla fede in Cristo, Dio e Figlio di Dio, unico Salvatore, e sui doni dello Spirito Santo, che trasformano il cristiano.

Con uguale franchezza dobbiamo evidenziare nel Pentecostalismo protestante i punti inaccettabili da parte cattolica. Essi riguardano la Chiesa (e i sacramenti), e il modo di usare la Bibbia. I temi sono tra loro collegati: il rifiuto dell'autorità della Chiesa porta a fidarsi dell'autorevolezza dei singoli «pastori» per ciò che concerne la Bibbia. Questo spiega, secondo noi, la notevole diversità di contenuti di fede e di norme morali da una Chiesa pentecostale all'altra. E questo rende molto difficile generalizzare, perché oltre alla diversità tra le singole comunità, c'è un continuo cambiamento all'interno delle stesse: talora basta che cambi il pastore, per cambiare elementi anche rilevanti. Pertanto le seguenti osservazioni si riferiscono a posizioni prevalenti e/o più o meno spicca te:

1) La Chiesa è un concetto vago. È Chiesa dove due o tre persone si riuniscono nel nome di Gesù, senza alcun riferimento al magistero, né alla tradizione, e tanto meno a ministri ordinati. Per ragioni storiche, non è raro riscontrarvi una atavica avversione specialmente contro la Chiesa cattolico-romana.

2) Di conseguenza non ammettono il sacramento dell'ordine, sicché chiunque può dichiararsi «pastore» della Chiesa. Spesso più che al sacramento del battesimo danno importanza al battesimo nello Spirito (i cattolici preferiscono distinguerlo chiamandolo «effusione dello Spirito Santo»).

3) L'interpretazione biblica, oltre ad essere soggettiva, manca spesso di un corretto approccio letterario. Molti insistono nell'affermare che il racconto di Adamo ed Eva va inteso in senso letterale, e nel considerare pertanto contraria alla fede la teoria della evoluzione delle specie. Così come non è rara l'attesa di un regno terreno (paradiso terrestre restaurato) di mille anni alla fine del mondo. La fine del mondo, del resto, da molti è presentata come prossima o addirittura imminente. Molti considerano insegnamento «biblico» la superiorità dell'uomo sulla donna.

4) Circa il dono delle lingue e delle guarigioni, c'è il rischio di enfatizzare la ricerca questi fenomeni a scapito di aspetti essenziali del cristianesimo, quali la carità e il tenere unite la fede e la vita.

5) I pentecostali danno grandissimo rilievo all'azione di Satana, sicché abbondano in esorcismi nel nome di Gesù. Alcune volte la paura di essere invasati dal diavolo porta a forme dì superstizione, e in qualche caso a squilibri psicologici o addirittura psichiatrici.



È possibile un dialogo
con i pentecostali evangelici?

Da quanto fin qui detto è chiaro che la risposta va articolata a seconda delle diverse situazioni. Ci sono gruppi che hanno un'attitudine e ormai una tradizione ecumenica. Ma esiste anche il contrario. Di solito il Pentecostalismo che incontriamo da noi si caratterizza per il disaccordo riguardo all'interpretazione e al ruolo della Bibbia, e soprattutto riguardo al concetto di Chiesa (notiamo che molte comunità pentecostali libere, sono molto critiche nei riguardi delle stesse Chiese protestanti storiche: luterane, episcopaliane, metodiste... Tanto più accanite sono contro i cattolici). Che è come dire che non pochi gruppi «liberi», cioè non strutturati, sono notevolmente antiecumenici e anticattolici.

In definitiva (lo diciamo fino alla noia) è opportuno distinguere i singoli casi. In concreto occorre:

1) Discernere: questo è possibile solo attraverso ripetuti incontri con esponenti e fedeli dei singoli gruppi.
2) Nei casi in cui questi si dichiarino favorevoli al dialogo, la pietra di paragone è costituita dalla constatazione se esiste o no, esplicito o celato, un atteggiamento di proselitismo.
3) Non sembra consigliabile per i semplici fedeli accettare la proposta di partecipare alle loro riunioni di lettura-preghiera sulla Bibbia. Sia pure in buona fede, essi comunicano il loro concetto di Bibbia, di Chiesa, di battesimo ecc.
4) I confronti dottrinali hanno senso solo se da ambo le parti ci sono persone preparate, competenti, solidamente fondate sulle rispettive posizioni, e che abbiano capacità di dialogo; questo per non scadere nella polemica o nella confusione, o nella defezione dalla fede cattolica.



LE ASSEMBLEE DI DIO IN ITALIA:
UNA PRESENZA CHE CRESCE

Le Assemblee di Dio in Italia (ADI), una denominazione evangelica pentecostale, costituiscono - con oltre centomila fedeli - la terza presenza religiosa organizzata italiana, dopo la Chiesa cattolica e i Testimoni di Geova (l'islam è una presenza certamente più grande, ma non è organizzata, o meglio è divisa in un gran numero di organizzazioni diverse). Molti italiani conoscono le Assemblee di Dio in Italia soltanto perché ne trovano il nome sulla dichiarazione dei redditi (la denominazione partecipa infatti all'otto per mille, dopo l'intesa stipulata con lo Stato italiano il 29 dicembre 1986): ma la letteratura sull'argomento è veramente scarsa.
Colma in questo senso una lacuna l'opera del pastore valdese di Siena Eugenio Stretti, II Movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio in Italia, pubblicata dall'Editrice Claudiana di Torino (1999).

Il volume offre anzitutto una rapida sintesi (pp. 13-18) sulle origini del movimento pentecostale, per cui rinvia all'opera curata da Massimo Introvigne per la Elle Di Ci, La sfida pentecostale, del 1996. La parte centrale del volume (pp. 19-66) ripercorre dapprima la storia del movimento pentecostale in Italia, prima dal 1908 al 1947, poi dalla costituzione formale delle Assemblee di Dio in Italia (22 maggio 1948) fino all'intesa con lo Stato del 1986 e alla situazione attuale.

Benché l'attuale (ora ex) presidente delle ADI, il pastore Francesco Toppi - che firma la presentazione del volume -avesse offerto diverse informazioni utili nell'opera, Le radici del Movimento pentecostale in Italia (con D. A. Womack: ADI Media, Roma 1989), lo studio di Eugenio Stretti è in effetti il primo e non potrà che costituire, d'ora in poi, un punto di riferimento imprescindibile per futuri studi. Stretti racconta anzitutto la nascita di un Pentecostalismo di lingua italiana negli Stati Uniti all'interno della Chiesa presbiteriana italiana (che era in rapporto con la Chiesa valdese),

e tratteggia la figura di Luigi Francescon (1866-1964); egli conobbe nel 1907 William H. Durham (1863-1912), che è alle origini delle Assemblee di Dio americane, anche se morì prima della loro fondazione nel 1914. In seguito a questo incontro una prima Chiesa pentecostale di lingua italiana fu fondata a Chicago il 15 settembre 1907, con successive missioni a Los Angeles e St. Louis. Nel 1927 a Niagara Falls (New York) si tenne il primo Convegno delle Chiese cristiane pentecostali italiane degli Stati Uniti, con la stesura di dodici articoli di fede.

Nel frattempo - fin dal 1908, e grazie soprattutto a Giacomo Lombardi (1862-1934) - i pentecostali italo-americani avevano promosso missioni in Italia (oltre che in Brasile e Argentina, dove i risultati sarebbero stati spettacolari). Allo scoppio della Prima guerra mondiale esistevano in Italia una decina di comunità pentecostali, e nel 1928 (quando le comunità erano salite a novanta) si tenne a Roma un'Assemblea nazionale costitutiva delle Chiese pentecostali italiane, presieduta da un rappresentante delle comunità italo-americane. Francescon insistette per un'organizzazione radicalmente congregazionalista e per la completa autonomia delle Chiese locali. Secondo Stretti, questa decisione si rivelò «un grave errore» (p. 28), soprattutto quando il fascismo - dopo un primo momento di tolleranza - avviò la repressione delle comunità pentecostali, i cui riti entusiastici considerava dannosi ali'«equilibrio psichico» e alla «integrità psichica» dei partecipanti.

Con la circolare del sottosegretario Guido Buffarini-Guidi del 9 aprile 1935 il culto pentecostale venne vietato. Riprendendo tesi di autori valdesi precedenti (in particolare Giorgio Peyrot e Giorgio Rochat), Stretti sottolinea in modo particolare il ruolo di esponenti della gerarchla cattolica nel denunciare al regime la presunta pericolosità dei pentecostali.

Con la caduta del fascismo cessano - per la verità lentamente, perché Stretti parla di una «persecuzione democristiana» (p. 50) fino alla revoca della circolare Buffarini-Guidi nel 1955 - i problemi esterni, ma sorgono problemi interni. Memori degli errori precedenti, una buona parte dei pentecostali italiani dopo il Convegno siciliano di Raffadali (Agrigento) del 1944, costituiscono una struttura centralizzata, appunto le Assemblee di Dio in Italia, e accettano l'offerta di affiliazione di una grande denominazione come le Assemblee di Dio americane (che contano oggi ventidue milioni di membri nel mondo). Non tutti i pentecostali sono d'accordo. Alcuni rimangono affezionati al congregazionalismo radicale, e mantengono il nome di Congregazioni cristiane pentecostali (dal 1958 riunite da una struttura di collegamento), oggi in buoni rapporti con le ADI.
Sorge però anche un Pentecostalismo indipendente, talora con più marcate differenze di organizzazione e anche di dottrina rispetto alle ADI. Queste ultime - cresciute fino a contare oltre quattrocento comunità - radicano la dottrina dello Spirito Santo (cui fa cenno il. quarto capitolo del volume di Stretti) su un rigoroso fondamento biblico, anche se - come la maggioranza dei pentecostali - sono persuasi che (secondo le parole di Francesco Toppi) «il battesimo dello Spirito Santo non si manifesta con un qualsiasi carisma, ma solo e sempre con il segno del parlare in lingue» (p. 69). Oggi con le ADI coesiste in Italia un'area neo-pentecostale e carismatica, sulle cui differenze con le ADI insistono sia Stretti sia Toppi, in due articoli che si proponevano di aprire un dibattito rispetto agli scritti di Introvigne sull'argomento e che sono ripubblicati in appendice al volume (pp. 79-95). È certamente giusto sottolineare queste differenze, spesso profonde, come del resto è comprensibile la critica del pastore Toppi alla classificazione di Introvigne di tutti i pentecostali in un «quarto protestantesimo», diverso dal terzo protestantesimo che comprende (secondo l'accezione corrente negli studi di lingua inglese) i movimenti di risveglio di origine ottocentesca e si distingue dal primo protestantesimo (delle origini) e dal secondo (riferito a movimenti di risveglio più antichi, come i battisti e i metodisti). È certamente vero che i pilastri della teologia e della spiritualità di denominazioni come le ADI sono molto simili al terzo protestantesimo. Una classificazione diversa potrebbe essere giustificata dall'importanza attribuita al «segno del parlare in lingue», che dalle denominazioni più tipiche del terzo protestantesimo (gruppi «di santità» e fondamentalismo evangelico) è normalmente rifiutata, spesso con vigore. Non si deve peraltro dimenticare che ogni tipo di classificazione è soltanto uno strumento di lavoro, e verrebbe meno al suo scopo se ostacolasse l'analisi rigorosa delle dottrine e delle fonti.

Si può rimanere più perplessi quando Stretti distingue in modo rigido fra «pentecostali» e «carismatici» affermando che «i linguaggi paiono simili, ma la sostanza diversa»; che «il movimento carismatico pone l'accento sull'esperienza del soggetto, meno sul testo biblico» e che «un'altra differenza fondamentale è costituita dalla partecipazione, da parte dei carismatici, ad iniziative di tipo interconfessionale» (pp. 77-78). Certo - come sottolinea anche Toppi - il movimento carismatico cattolico (e quello anglicano, che pure ha dimensioni notevoli) sono fenomeni dotati di una loro specificità cattolica (o anglicana), per cui una chiara distinzione con il Pentecostalismo protestante non può che essere opportuna. Esistono tuttavia nuove forme di Pentecostalismo all'interno del protestantesimo che preferiscono definirsi «carismatiche» piuttosto che «pentecostali»:

è il caso di una parte importante del Latter Rain Movement (che risale al 1948), di comunità indipendenti che hanno talora notevole importanza come la «Calvary Chapel Church», e della più recente «Vineyard Christian Fellowship», a lungo animata da John Wimber (1934-1997). Questi gruppi hanno certamente differenze di carattere ecclesiologico rispetto a denominazioni come le ADI, e un orientamento di tipo più congregazionalista, ma obietterebbero fortemente contro chi volesse caratterizzare la loro testimonianza come non radicata nelle Scritture. Quanto alle «iniziative di tipo interconfessionale», è vero - ancora - che alcuni gruppi dell'ultima «ondata» pentecostale (in genere piccoli) si caratterizzano per una particolare apertura nei confronti, della Chiesa cattolica. Quello che Massimo Introvigne ha presentato in un volume del 1996, con cui Stretti e Toppi aprono qui un interessante dibattito, come «quarto ecumenismo», è tuttavia - più in generale - l'insieme dei tentativi di dialogo fra i cattolici e le denominazioni evangeliche che non fanno parte del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), e criticano quest'ultimo da un punto di vista conservatore.
A questo dialogo - iniziato negli Stati Uniti con il controverso ma interessante documento «Evangelici e cattolici insieme» del 1994, sottoscritto da esponenti dell'episcopato cattolico e da rappresentanti di quel mondo protestante conservatore che non si riconosce nel CEC - hanno partecipato, insieme a battisti del Sud, esponenti del «terzo protestantesimo» e pentecostali indipendenti, ma anche pentecostali «classici». Il dottar Jesse Miranda, dirigente delle Assemblee di Dio americane, è tra i firmatari del documento del 1994. «Quarto ecumenismo» non significa, in questo senso, ricerca da parte di cattolici carismatici di un dialogo che privilegi i pentecostali indipendenti rispetto alle denominazioni pentecostali storiche, ma presa d'atto - secondo una linea che anche Stretti suggerisce - della ricchezza e diversità del vasto mondo protestante che non fa parte del CEC (né, in Italia, della Federazione delle Chiese evangeliche). Sì tratta di una realtà - grazie, in particolare, all'apporto di denominazioni come le ADI - ormai maggioritaria all'interno del protestantesimo in diversi paesi, fra cui l'Italia, che è certamente necessario per i cattolici conoscere e con cui, superando innegabili difficoltà e sospetti, un dialogo fra credenti nell'unico Signore non può non essere almeno tentato.


UN NUOVO MOVIMENTO RELIGIOSO?

Tra le tipologie che permettono di classificare i «nuovi movimenti religiosi» in diversi gruppi o famiglie, la relazione generale del cardinale Francis Arinze al Concistoro straordinario del 1991: La sfida delle sette o nuovi movimenti religiosi: un approccio pastorale, privilegia una classificazione di carattere dottrinale. Il primo dei quattro gruppi di nuovi movimenti religiosi che il documento prende in esame - accanto ai movimenti di origine orientale, ai gruppi del potenziale umano e ai nuovi movimenti magici - è costituito dai nuovi movimenti religiosi a simbologia cristiana, il cui discorso è strutturato intorno ai simboli del cristianesimo e che attribuiscono un ruolo centrale - eventualmente (ma non necessariamente) accanto ad altre scritture o rivelazioni - alla Bibbia. All'interno di questa prima grande famiglia di nuovi movimenti religiosi, la relazione generale del Concistoro stabilisce una ulteriore importante distinzione fra «nuovi movimenti religiosi di origine protestante» e «nuovi movimenti religiosi di origine cristiana». I secondi - i «nuovi movimenti religiosi d'origine cristiana» - si allontanano dal cristianesimo tradizionale non soltanto da un punto di vista ecclesiologico, ma anche da un punto di vista teologico. Rientrano in questa categoria, per esempio, i Testimoni di Geova - che negano, tra le altre dottrine, l'immortalità dell'anima e la divinità di Gesù Cristo - e i Mormoni, per cui - in particolare - la Trinità è composta da tre personaggi diversi, che non hanno la stessa natura. Al contrario, i «nuovi movimenti religiosi di origine protestante» dal punto di vista teologico non si discostano - o si discostano solo marginalmente - dalla teologia protestante classica, mentre la loro «novità» si situa sul versante dell'ecclesiologia. I «nuovi movimenti religiosi di origine protestante» talora negano la rilevanza della Chiesa, con ministri ordinati, come struttura necessaria per il cammino del popolo di Dio nella storia; altre volte invece affermano l'importanza della Chiesa, ma ne negano la continuità storica (la Chiesa sarebbe ad un certo punto totalmente cessata, per poi essere «rifondata» direttamente da Dio o dallo Spirito Santo). [1]

Evidentemente è più facile identificare i «nuovi movimenti religiosi d'origine cristiana» - le cui caratteristiche teologiche irriducibili al cristianesimo tradizionale sono immediatamente identificabili - che non i «nuovi movimenti religiosi di origine protestante». Dove passa esattamente la linea di confine fra comunità e denominazioni protestanti in senso stretto e «nuovi movimenti religiosi di origine protestante»? Lo stesso documento del Concistoro del 1991 attira l'attenzione sulla rilevanza centrale dell'ecclesiologia, ma non fornisce criteri precisi (né esamina il caso di questo o quel movimento in particolare). Per affrontare il tema in modo pacato, è necessario anzitutto liberarlo da connotazioni e pregiudizi di carattere emotivo. Da questo punto di vista la raccomandazione dello stesso documento del Concistoro perché - specialmente a proposito di questi gruppi venga evitato il termine «setta», che ha assunto un ovvio significato dispregiativo, e si parli piuttosto di «nuovi movimenti religiosi» sembra particolarmente pertinente. Non si tratta, infatti, di stabilire un confine rigido fra «fratelli separati» e «sette» pericolose, ma piuttosto di comprendere le complesse evoluzioni del mondo nato dalla Riforma protestante, che non si lasciano ridurre a schemi troppo semplici.

Questa analisi storica aiuta forse a eliminare i connotati più polemici ed emotivi che circondano l'identificazione della corrente pentecostale-carismatica come parte (maggioritaria) della famiglia dei «nuovi movimenti religiosi di origine protestante». In realtà ogni nuova corrente del protestantesimo nasce alla periferia della scena religiosa, e quindi nasce come «nuovo movimento religioso» (anzi, le correnti precedenti - nel rifiutarla - usano espressioni meno gentili come «setta», «culto», «eresia»). Mentre la storia del protestantesimo rappresenta un continuum - che può essere paragonato a un film in un momento determinato, se il film viene fermato e si esamina il fotogramma che sta scorrendo -, la corrente più recente si presenta sempre come «nuovo movimento religioso»; anche se - a conferma che i movimenti, come si ricava dall'etimologia della parola stessa che li designa, si muovono - si tratterà di un movimento che dalla periferia marcia verso il centro e che in una generazione successiva potrà essere accettato come parte della mainline protestante. Sì può affermare così - eliminando dalla discussione ogni tratto impropriamente polemico -che la corrente pentecostale-carismatica appartiene sia al mondo dei «nuovi movimenti religiosi», sia al continuum del protestantesimo, che non costituisce un fenomeno statico ma si modifica ed evolve nella storia.

____________________________
[1] F. ARINZE, La sfida delle sette o nuovi movimenti religiosi: un approccio pastorale. Traduzione integrale in appendice in MASSIMO INTROVIGNE, La questione della nuova religiosità, Cristianità, Piacenza 1994, pp. 59-93.

Tratto da:

pp. 145-155



Interessantissimo libretto (in formato PDF, stampabile in 26 facciate A4) che a suo tempo veniva allegato al catechismo di san Pio X per confutare (con citazioni della Scrittura) gli errori dei protestanti.
Vale la pena dargli un'occhiata e farlo leggere a chi studia il catechismo:
http://bit.ly/dlA5DO


Il testo della Testem Benevolentiae di Leone XIII contro l'americanismo e l'«imborghesimento» della fede:
http://unafides33.blogspot.com/2010/05/quando-la-tradizione-aiutava-i-papi-far.html


MESMERISMO
PENTECOSTALISMO e
CARISMATICI CATTOLICI
Nelle tre realtà si osservano inquietanti similitudini e, spesso, anche gli stessi fenomeni








Avanza il dialogo tra cattolici e pentecostali
Inizia a Roma la sesta fase del processo, avviato nel 1972
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 19 giugno 2011 (ZENIT.org).

- La fede nello Spirito Santo e nei suoi doni permette di avanzare nella comprensione reciproca tra cattolici e pentecostali, ha confermato un comunicato emesso in una riunione di rappresentanti delle due confessioni cristiane.

L'incontro, svoltosi a Roma dal 10 al 16 giugno, ha dato inizio alla sesta fase di conversazioni, che continuerà nei prossimi cinque anni sul tema “Carismi nella Chiesa: il loro significato spirituale, discernimento e implicazioni pastorali”.

Le Chiese pentecostali, chiamate anche classiche, sono gruppi evangelici che hanno come obiettivo la proclamazione del Vangelo di Gesù Cristo in tutte le Nazioni compiendo miracoli e guarigioni e con manifestazioni concesse dallo Spirito Santo, come il dono delle lingue.

Nonostante la grande diversità delle comunità pentecostali, nel loro insieme sono quelle che hanno maggiore crescita nel mondo, con circa 600 milioni di aderenti, e costituiscono più dell'80% delle comunità protestanti.

A differenza delle nuove realtà pentecostali, le comunità classiche pentecostali hanno iniziato a interessarsi al modo in cui la Chiesa cattolica vive la relazione con lo Spirito Santo. Il dialogo istituzionale tra i pentecostali originali e la Chiesa cattolica è iniziato ufficialmente dopo il Concilio Vaticano II, nel 1972.

Il dialogo, spiega una nota del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, “non cerca di stabilire l'unità strutturale”.

“Il suo obiettivo consiste nel promuovere il rispetto reciproco e l'intesa in materia di fede e vita – aggiunge il testo –. Uno scambio genuino e franco su posizioni e costumi delle rispettive tradizioni ha caratterizzato e guidato le conversazioni, che includono momento quotidiani di preghiera in comune”.

Per la parte cattolica, ha presieduto l'incontro monsignor Michael Burbidge, Vescovo di Raleigh, che ha rivelato che “il nostro lavoro e le conversazioni di questa settimana hanno portato cattolici e pentecostali a un'intesa più profonda e ad apprezzare elementi di terreno comune che condividiamo sui carismi dello Spirito Santo”.

“Nella misura in cui avanzeremo in questo dialogo negli anni futuri, rinnoveremo il nostro impegno a discutere con rispetto le sfide che abbiamo di fronte a noi, cercando e pregando per l'unità come fratelli e sorelle in Cristo”, ha aggiunto.

Il presidente della rappresentanza pentecostale è stato il reverendo Cecil M. Robeck, professore di Storia della Chiesa ed Ecumenismo nel seminario teologico Fuller delle Assemblee di Dio, a Pasadena (Stati Uniti), per il quale “l'ecumenismo è passato dal livello di paura e animosità a quello del rispetto e dell'apertura tra molti gruppi pentecostali. Questa tappa, centrata sui doni o carismi dello Spirito Santo, dovrebbe costituire un avanzamento per segnalare le aree di terreno comune nella vita e nel ministero”.

I temi dell'agenda per questa sesta fase sono:
discernimento (2012),
guarigione (2013)
e profezia (2014).

Si pensa di concludere un rapporto finale per il 2015.

I partecipanti hanno reso culto insieme la domenica di Pentecoste nella Santa Messa presieduta da Benedetto XVI nella Basilica di San Pietro.

Durante l'Udienza generale del 15 giugno 2011, il Papa ha dato il benvenuto ai membri del Dialogo Internazionale Cattolico-Pentecostale e ha garantito loro la sua preghiera per il progresso delle relazioni reciproche.



CATTOLICI
fate attenzione a non frequentare atti protestanti

Messaggio del Vescovo Mons. Luigi Negri alla comunità ecclesiale di Monte Cerignone

24/09/2011

Mi trovo costretto ad intervenire ancora una volta sulla tristissima vicenda di Don Luca De Pero.

Sono venuto a conoscenza del fatto che Don Luca De Pero ed altri tre nostri diocesani riceveranno un altro battesimo nella Chiesa Protestante Evangelica Battista di Cesena. Oltre al fatto che la Chiesa Cattolica non riconosce nessun valore ad un secondo eventuale battesimo, credo che si tratti di una manifestazione pubblica, non tanto di adesione di fede, ma come ulteriore impegno ad offendere la Chiesa Cattolica e la sua volontà.

Coloro che parteciperanno in maniera attiva a questo momento incorrono anch’essi nella scomunica “latae sententiae” (cioè compiendo un certo atto si è automaticamente scomunicati) e quindi non sono più ammessi a partecipare alla vita della Chiesa e alla celebrazione dei suoi Sacramenti.

Ma quello che è evidente di questa vicenda è che ciò che muove iniziative, movimenti, gesti è ormai solo odio verso la nostra Chiesa, pertanto io invito tutta la comunità cristiana ad essere particolarmente vigilante e a non cedere per nessun motivo per non diventare, in alcun caso, convivente con iniziative e con avvenimenti che siano, di fatto, una rottura della comunità ecclesiale.

Non mi sembra sia prova di grande intelligenza favorire che i ragazzi partecipino ancora ad iniziative che, per quanto non direttamente religiose, portano con sé un tentativo di mettere in crisi la fiducia nei confronti della Chiesa. Don De Pero non deve più frequentare gli ambienti della nostra comunità e le iniziative che in qualche modo facciano capo ancora alla sua presenza e alla sua azione sono, da me, esplicitamente deplorate e vietate. Del resto quello a cui ci troviamo di fronte è veramente un tentativo, ormai è assolutamente chiaro, che dura da più di un anno, di sottrarre almeno alcune parti della comunità di Monte Cerignone all'obbedienza alla fede cattolica e all’appartenenza ad essa.

La frequentazione con i protestanti condotta sia nell'ambito della comunità, sia facendo partecipare parrocchiani della nostra Parrocchia a iniziative o a momenti a Cesena dimostra che il progetto era quello, comunque, di far nascere una comunità di tipo protestante evangelico. Il che spiega anche perché, ed è stato per me un elemento ulteriore di dolore, da tempo, dagli ambienti ufficiali della parrocchia sono spariti sia il Crocifisso di nostro Signor Gesù Cristo, sia la fotografia del Papa e del Vescovo. Mi sarà permesso dire che questo atteggiamento di rottura della Chiesa è assolutamente inaccettabile; io mi auguro che alla fine in lui prevalga il buon senso e il senso della misura e avendo fatto il passo di uscire dalla Chiesa Cattolica non tenti poi in maniera subdola di creare ancora, all'interno della nostra Chiesa, momenti di tensione e divisione.

Raccomando a tutti una obbedienza viva al nuovo Parroco, un'adesione alle sue direttive, una partecipazione attiva ai momenti della vita della comunità ecclesiale perché il Signore Gesù Cristo, per la mediazione di Maria Santissima e del Beato Domenico Spadafora rendano più agevole, con questo momento di fatica e di prova, di dolore e di delusione, il passaggio a una nuova e più profonda appartenenza al mistero di Cristo presente nella Chiesa che solo può rivelare all'uomo la sua vera natura e farlo camminare verso la pienezza della sua personalità, cioè verso la felicità.

Non mancheranno occasioni di incontrarci ancora; desidererei venire ad iniziare l’anno catechistico insieme ai catechisti e ai genitori dei bambini della Prima Comunione e della Cresima e l’occasione sarà propizia per possibili, ulteriori approfondimenti.

In questo momento sappiate, fratelli, che l'unità con la Chiesa, con il Vescovo e con il Papa vale più di qualsiasi particolarismo e di qualsiasi privata opinione.


Vi benedico di cuore.


Pennabilli, 21 Settembre 2011
+Luigi Negri
Vescovo





CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
ISTRUZIONE
CIRCA LE PREGHIERE PER OTTENERE DA DIO LA GUARIGIONE

INTRODUZIONE
L’anelito di felicità, profondamente radicato nel cuore umano, è da sempre accompagnato dal desiderio di ottenere la liberazione dalla malattia e di capirne il senso quando se ne fa l’esperienza. Si tratta di un fenomeno umano, che interessando in un modo o nell’altro ogni persona, trova nella Chiesa una particolare risonanza. Infatti la malattia viene da essa compresa come mezzo di unione con Cristo e di purificazione spirituale e, da parte di coloro che si trovano di fronte alla persona malata, come occasione di esercizio della carità. Ma non soltanto questo, perché la malattia, come altre sofferenze umane, costituisce un momento privilegiato di preghiera: sia di richiesta di grazia, per accoglierla con senso di fede e di accettazione della volontà divina, sia pure di supplica per ottenere la guarigione.
La preghiera che implora il riacquisto della salute è pertanto una esperienza presente in ogni epoca della Chiesa, e naturalmente nel momento attuale. Ciò che però costituisce un fenomeno per certi versi nuovo è il moltiplicarsi di riunioni di preghiera, alle volte congiunte a celebrazioni liturgiche, con lo scopo di ottenere da Dio la guarigione. In diversi casi, non del tutto sporadici, vi si proclama l’esistenza di avvenute guarigioni, destando in questo modo delle attese dello stesso fenomeno in altre simili riunioni. In questo contesto si fa appello, alle volte, a un preteso carisma di guarigione.
Siffatte riunioni di preghiera per ottenere delle guarigioni pongono inoltre la questione del loro giusto discernimento sotto il profilo liturgico, in particolare da parte dell’autorità ecclesiastica, a cui spetta vigilare e dare le opportune norme per il retto svolgimento delle celebrazioni liturgiche.
E’ sembrato pertanto opportuno pubblicare una Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico, che serva soprattutto di aiuto agli Ordinari del luogo affinché meglio possano guidare i fedeli in questa materia, favorendo ciò che vi sia di buono e correggendo ciò che sia da evitare. Occorreva però che le determinazioni disciplinari trovassero come riferimento una fondata cornice dottrinale che ne garantisse il giusto indirizzo e ne chiarisse la ragione normativa. A questo fine è stata premessa alla parte disciplinare una parte dottrinale sulle grazie di guarigione e le preghiere per ottenerle.

I. ASPETTI DOTTRINALI
1. Malattia e guarigione: il loro senso e valore nell’economia della salvezza
«L’uomo è chiamato alla gioia ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e di dolore».(1) Perciò il Signore nelle sue promesse di redenzione annuncia la gioia del cuore legata alla liberazione dalle sofferenze (cfr. Is 30,29; 35,10; Bar 4,29). Infatti Egli è «colui che libera da ogni male» (Sap 16,8). Tra le sofferenze, quelle che accompagnano la malattia sono una realtà continuamente presente nella storia umana e sono anche oggetto del profondo desiderio dell’uomo di liberazione da ogni male.
Nell’Antico Testamento, «Israele sperimenta che la malattia è legata, in un modo misterioso, al peccato e al male».(2) Tra le punizioni minacciate da Dio all’infedeltà del popolo, le malattie trovano un ampio spazio (cfr. Dt 28,21-22.27-29.35). Il malato che implora da Dio la guarigione, confessa di essere giustamente punito per i suoi peccati (cfr. Sal 37; 40; 106,17-21).
La malattia però colpisce anche i giusti e l’uomo se ne domanda il perché. Nel libro di Giobbe questo interrogativo percorre molte delle sue pagine. «Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa e abbia carattere di punizione. La figura del giusto Giobbe ne è una prova speciale nell’Antico Testamento. (…) E se il Signore acconsente a provare Giobbe con la sofferenza, lo fa per dimostrarne la giustizia. La sofferenza ha carattere di prova».(3)
La malattia, pur potendo avere un risvolto positivo quale dimostrazione della fedeltà del giusto e mezzo di ripagare la giustizia violata dal peccato e anche di far ravvedere il peccatore perché percorra la via della conversione, rimane tuttavia un male. Perciò il profeta annunzia i tempi futuri in cui non ci saranno più malanni e invalidità e il decorso della vita non sarà più troncato dal morbo mortale (cfr. Is 35,5-6; 65,19-20).
Tuttavia è nel Nuovo Testamento che l’interrogativo sul perché la malattia colpisce anche i giusti trova piena risposta. Nell’attività pubblica di Gesù, i suoi rapporti coi malati non sono sporadici, bensì continui. Egli ne guarisce molti in modo mirabile, sicché le guarigioni miracolose caratterizzano la sua attività: «Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità» (Mt 9,35; cfr. 4,23). Le guarigioni sono segni della sua missione messianica (cfr. Lc 7,20-23). Esse manifestano la vittoria del regno di Dio su ogni sorta di male e diventano simbolo del risanamento dell’uomo tutto intero, corpo e anima. Infatti servono a dimostrare che Gesù ha il potere di rimettere i peccati (cfr. Mc 2,1-12), sono segni dei beni salvifici, come la guarigione del paralitico di Betzata (cfr. Gv 5,2-9.19-21) e del cieco nato (cfr. Gv 9).
Anche la prima evangelizzazione, secondo le indicazioni del Nuovo Testamento, era accompagnata da numerose guarigioni prodigiose che corroboravano la potenza dell’annuncio evangelico. Questa era stata la promessa di Gesù risorto e le prime comunità cristiane ne vedevano l’avverarsi in mezzo a loro: «E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: (…) imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17-18). La predicazione di Filippo a Samaria fu accompagnata da guarigioni miracolose: «Filippo, sceso in una città della Samaria, cominciò a predicare loro il Cristo. E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva. Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati» (At 8,5-7). San Paolo presenta il suo annuncio del vangelo come caratterizzato da segni e prodigi realizzati con la potenza dello Spirito: «non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all’obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito» (Rm 15,18-19; cfr. 1Ts 1,5; 1Cor 2,4-5). Non è per nulla arbitrario supporre che tali segni e prodigi, manifestativi della potenza divina che assisteva la predicazione, erano costituiti in gran parte da guarigioni portentose. Erano prodigi non legati esclusivamente alla persona dell’Apostolo, ma che si manifestavano anche attraverso i fedeli: «Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?» (Gal 3,5).
La vittoria messianica sulla malattia, come su altre sofferenze umane, non soltanto avviene attraverso la sua eliminazione con guarigioni portentose, ma anche attraverso la sofferenza volontaria e innocente di Cristo nella sua passione e dando ad ogni uomo la possibilità di associarsi ad essa. Infatti «Cristo stesso, che pure è senza peccato, soffrì nella sua passione pene e tormenti di ogni genere, e fece suoi i dolori di tutti gli uomini: portava così a compimento quanto aveva scritto di lui il profeta Isaia (cfr. Is 53,4-5)».(4) Ma c’è di più: «Nella croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana è stata redenta. (…) Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo».(5)
La Chiesaaccoglie i malati non soltanto come oggetto della sua amorevole sollecitudine, ma anche riconoscendo loro la chiamata «a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed a partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose. Le parole dell’apostolo Paolo devono divenire il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere ai loro occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: “Completo quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del suo corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24). Proprio facendo questa scoperta, l’apostolo è approdato alla gioia: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi” (Col 1,24)».(6) Si tratta della gioia pasquale, frutto dello Spirito Santo. E come san Paolo, anche «molti malati possono diventare portatori della “gioia dello Spirito Santo in molte tribolazioni” (1Ts 1,6) ed essere testimoni della risurrezione di Gesù».(7)

2. Il desiderio di guarigione e la preghiera per ottenerla
Premessa l’accettazione della volontà di Dio, il desiderio del malato di ottenere la guarigione è buono e profondamente umano, specie quando si traduce in preghiera fiduciosa rivolta a Dio. Ad essa esorta il Siracide: «Figlio, non avvilirti nella malattia, ma prega il Signore ed egli ti guarirà» (Sir 38,9). Diversi salmi costituiscono una supplica di guarigione (cfr. Sal 6; 37; 40; 87).
Durante l’attività pubblica di Gesù, molti malati si rivolgono a lui, sia direttamente sia tramite i loro amici o congiunti, implorando la restituzione della sanità. Il Signore accoglie queste suppliche e i Vangeli non contengono neppure un accenno di biasimo di tali preghiere. L’unico lamento del Signore riguarda l’eventuale mancanza di fede: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23; cfr. Mc 6,5-6; Gv 4,48).
Non soltanto è lodevole la preghiera dei singoli fedeli che chiedono la guarigione propria o altrui, ma la Chiesanella liturgia chiede al Signore la salute degli infermi. Innanzi tutto ha un sacramento «destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia: l’Unzione degli infermi».(8) «In esso, per mezzo di una unzione, accompagnata dalla preghiera dei sacerdoti, la Chiesaraccomanda i malati al Signore sofferente e glorificato, perché dia loro sollievo e salvezza».(9) Immediatamente prima, nella Benedizione dell’olio, la Chiesaprega: «effondi la tua santa benedizione, perché quanti riceveranno l’unzione di quest’olio ottengano conforto, nel corpo, nell’anima e nello spirito, e siano liberi da ogni dolore, da ogni debolezza, da ogni sofferenza(10); e poi, nei due primi formulari di preghiera dopo l’unzione, si chiede pure la guarigione dell’infermo.(11) Questa, poiché il sacramento è pegno e promessa del regno futuro, è anche annuncio della risurrezione, quando «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). Inoltre il Missale Romanum contiene una Messa pro infirmis e in essa, oltre a grazie spirituali, si chiede la salute dei malati.(12)
Nel De benedictionibus del Rituale Romanum, esiste un Ordo benedictionis infirmorum, nel quale ci sono diversi testi eucologici che implorano la guarigione: nel secondo formulario delle Preces(13), nelle quattro Orationes benedictionis pro adultis(14), nelle due Orationes benedictionis pro pueris(15), nella preghiera del Ritus brevior.(16)
Ovviamente il ricorso alla preghiera non esclude, anzi incoraggia a fare uso dei mezzi naturali utili a conservare e a ricuperare la salute, come pure incita i figli della Chiesa a prendersi cura dei malati e a recare loro sollievo nel corpo e nello spirito, cercando di vincere la malattia. Infatti «rientra nel piano stesso di Dio e della sua provvidenza che l’uomo lotti con tutte le sue forze contro la malattia in tutte le sue forme, e si adoperi in ogni modo per conservarsi in salute».(17)

3. Il carisma di guarigione nel Nuovo Testamento
Non soltanto le guarigioni prodigiose confermavano la potenza dell’annuncio evangelico nei tempi apostolici, ma lo stesso Nuovo Testamento riferisce circa una vera e propria concessione da parte di Gesù agli Apostoli e ad altri primi evangelizzatori di un potere di guarire dalle infermità. Così nella chiamata dei Dodici alla prima loro missione, secondo i racconti di Matteo e di Luca, il Signore concede loro «il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità» (Mt 10,1; cfr. Lc 9,1), e dà loro l’ordine: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni» (Mt 10,8). Anche nella missione dei settantadue discepoli, l’ordine del Signore è: «curate i malati che vi si trovano» (Lc 10,9). Il potere, pertanto, viene donato all’interno di un contesto missionario, non per esaltare le loro persone, ma per confermarne la missione.
Gli Atti degli Apostoli riferiscono in generale dei prodigi realizzati da loro: «prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli» (At 2,43; cfr. 5,12). Erano prodigi e segni, quindi opere portentose che manifestavano la verità e forza della loro missione. Ma, a parte queste brevi indicazioni generiche, gli Atti riferiscono soprattutto delle guarigioni miracolose compiute per opera di singoli evangelizzatori: Stefano (cfr. At 6,8), Filippo (cfr. At 8,6- 7), e soprattutto Pietro (cfr. At 3,1-10; 5,15; 9,33-34.40-41) e Paolo (cfr. At 14,3.8-10; 15,12; 19,11-12; 20,9-10; 28,8-9).
Sia la finale del Vangelo di Marco sia la Letteraai Galati, come si è visto sopra, ampliano la prospettiva e non limitano le guarigioni prodigiose all’attività degli Apostoli e di alcuni evangelizzatori aventi un ruolo di spicco nella prima missione. Sotto questo profilo acquistano uno speciale rilievo i riferimenti ai «carismi di guarigioni» (cfr. 1 Cor 12,9.28.30). Il significato di carisma, di per sé assai ampio, è quello di «dono generoso»; e in questo caso si tratta di «doni di guarigioni ottenute». Queste grazie, al plurale, sono attribuite a un singolo (cfr. 1 Cor 12,9), pertanto non vanno intese in senso distributivo, come guarigioni che ognuno dei guariti ottiene per se stesso, bensì come dono concesso a una persona di ottenere grazie di guarigioni per altri. Esso è dato in un solo Spirito, ma non si specifica nulla sul come quella persona ottiene le guarigioni. Non è arbitrario sottintendere che ciò avvenga per mezzo della preghiera, forse accompagnata da qualche gesto simbolico.
Nella Lettera di san Giacomo si fa riferimento a un intervento della Chiesa attraverso i presbiteri a favore della salvezza, anche in senso fisico, dei malati. Ma non si fa intendere che si tratti di guarigioni prodigiose: siamo in un ambito diverso da quello dei «carismi di guarigioni» di 1Cor 12,9. «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15). Si tratta di un’azione sacramentale: unzione del malato con olio e preghiera su di lui, non semplicemente «per lui», quasi non fosse altro che una preghiera di intercessione o di domanda; si tratta piuttosto di un’azione efficace sull’infermo.(18) I verbi «salverà» e «rialzerà» non suggeriscono un’azione mirante esclusivamente, o soprattutto, alla guarigione fisica, ma in un certo modo la includono. Il primo verbo, benché le altre volte che compare nella Lettera si riferisca alla salvezza spirituale (cfr. 1,21; 2,14; 4,12; 5,20), è anche usato nel Nuovo Testamento nel senso di «guarire» (cfr. Mt 9,21; Mc 5,28.34; 6,56; 10,52; Lc 8,48); il secondo verbo, pur assumendo alle volte il senso di «risorgere» (cfr. Mt 10,8; 11,5; 14,2), viene anche usato per indicare il gesto di «sollevare» la persona distesa a causa di una malattia guarendola prodigiosamente (cfr. Mt 9,5; Mc 1,31; 9,27; At 3,7).

4. Le preghiere per ottenere da Dio la guarigione nella Tradizione
I Padri della Chiesa consideravano normale che il credente chiedesse a Dio non soltanto la salute dell’anima, ma anche quella del corpo. A proposito dei beni della vita, della salute e dell’integrità fisica, S. Agostino scriveva: «Bisogna pregare che ci siano conservati, quando si hanno, e che ci siano elargiti, quando non si hanno».(19) Lo stesso Padre della Chiesa ci ha lasciato la testimonianza di una guarigione di un amico ottenuta con le preghiere di un Vescovo, di un sacerdote e di alcuni diaconi nella sua casa.(20)
Uguale orientamento si osserva nei riti liturgici sia Occidentali che Orientali. In una preghiera dopola Comunionesi chiede che «la potenza di questo sacramento… ci pervada corpo e anima».(21) Nella solenne liturgia del Venerdì Santo viene rivolto l’invito a pregare Dio Padre onnipotente affinché «allontani le malattie… conceda la salute agli ammalati».(22) Tra i testi più significativi si segnala quello della benedizione dell’olio degli infermi. Qui si chiede a Dio di effondere la sua santa benedizione «perché quanti riceveranno l’unzione di quest’olio ottengano conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e siano liberi da ogni dolore, da ogni debolezza, da ogni sofferenza».(23)
Non diverse sono le espressioni che si leggono nei riti Orientali dell’unzione degli infermi. Ricordiamo solo alcune tra le più significative. Nel rito bizantino durante l’unzione dell’infermo si prega: «Padre santo, medico delle anime e dei corpi, che hai mandato il tuo Figlio unigenito Gesù Cristo a curare ogni malattia e a liberarci dalla morte, guarisci anche questo tuo servo dall’infermità del corpo e dello spirito, che lo affligge, per la grazia del tuo Cristo».(24) Nel rito copto si invoca il Signore di benedire l’olio affinché tutti coloro che ne verranno unti possano ottenere la salute dello spirito e del corpo. Poi, durante l’unzione dell’infermo, i sacerdoti, fatta menzione di Gesù Cristo mandato nel mondo «a sanare tutte le infermità e a liberare dalla morte», chiedono a Dio «di guarire l’infermo dalle infermità del corpo e a dargli la via retta».(25)

5. Il «carisma di guarigione» nel contesto attuale
Lungo i secoli della storia della Chiesa non sono mancati santi taumaturghi che hanno operato guarigioni miracolose. Il fenomeno, pertanto, non era limitato al tempo apostolico; tuttavia, il cosiddetto «carisma di guarigione» sul quale è opportuno attualmente fornire alcuni chiarimenti dottrinali non rientra fra quei fenomeni taumaturgici. La questione si pone piuttosto in riferimento ad apposite riunioni di preghiera organizzate al fine di ottenere guarigioni prodigiose tra i malati partecipanti, oppure preghiere di guarigione al termine della comunione eucaristica con il medesimo scopo.
Quanto alle guarigioni legate ai luoghi di preghiera (santuari, presso le reliquie di martiri o di altri santi, ecc.) anch’esse sono abbondantemente testimoniate lungo la storia della Chiesa. Esse contribuirono a popolarizzare, nell’antichità e nel medioevo, i pellegrinaggi ad alcuni santuari che divennero famosi anche per questa ragione, come quelli di san Martino di Tours, o la cattedrale di san Giacomo a Compostela, e tanti altri. Anche attualmente accade lo stesso, come, ad esempio da più di un secolo, a Lourdes. Tali guarigioni non implicano però un «carisma di guarigione», perché non riguardano un eventuale soggetto di tale carisma, ma occorre tenerne conto nel momento di valutare dottrinalmente le suddette riunioni di preghiera.
Per quanto riguarda le riunioni di preghiera con lo scopo di ottenere guarigioni, scopo, se non prevalente, almeno certamente influente nella loro programmazione, è opportuno distinguere tra quelle che possono far pensare a un «carisma di guarigione», vero o apparente che sia, e le altre senza connessione con tale carisma. Perché possano riguardare un eventuale carisma occorre che vi emerga come determinante per l’efficacia della preghiera l’intervento di una o di alcune persone singole o di una categoria qualificata, ad esempio, i dirigenti del gruppo che promuove la riunione. Se non c’è connessione col «carisma di guarigione», ovviamente le celebrazioni previste nei libri liturgici, se si realizzano nel rispetto delle norme liturgiche, sono lecite, e spesso opportune, come è il caso della Messa pro infirmis. Se non rispettano la normativa liturgica, la legittimità viene a mancare.
Nei santuari sono anche frequenti altre celebrazioni che di per sé non mirano specificamente ad impetrare da Dio grazie di guarigioni, ma che nelle intenzioni degli organizzatori e dei partecipanti hanno come parte importante della loro finalità l’ottenimento di guarigioni; si fanno per questa ragione celebrazioni liturgiche (ad esempio, l’esposizione del Santissimo Sacramento con la benedizione) o non liturgiche, ma di pietà popolare incoraggiata dalla Chiesa, come la recita solenne del Rosario. Anche queste celebrazioni sono legittime, purché non se ne sovverta l’autentico senso. Ad esempio, non si potrebbe mettere in primo piano il desiderio di ottenere la guarigione dei malati, facendo perdere all’esposizione della Santissima Eucaristia la sua propria finalità; essa infatti «porta i fedeli a riconoscere in essa la mirabile presenza di Cristo e li invita all’unione di spirito con lui, unione che trova il suo culmine nella Comunione sacramentale».(26)
Il «carisma di guarigione» non è attribuibile a una determinata classe di fedeli. Infatti è ben chiaro che san Paolo, allorché si riferisce ai diversi carismi in 1 Cor 12, non attribuisce il dono dei «carismi di guarigione» a un particolare gruppo, sia quello degli apostoli, o dei profeti, o dei maestri, o di coloro che governano, o qualunque altro; anzi è un’altra la logica che ne guida la distribuzione: «tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole» (1Cor 12, 11). Di conseguenza, nelle riunioni di preghiera organizzate con lo scopo di impetrare delle guarigioni, sarebbe del tutto arbitrario attribuire un «carisma di guarigione» ad una categoria di partecipanti, per esempio, ai dirigenti del gruppo; non resta che affidarsi alla liberissima volontà dello Spirito Santo, il quale dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per manifestare la forza della grazia del Risorto. D’altra parte, neppure le preghiere più intense ottengono la guarigione di tutte le malattie. Così san Paolo deve imparare dal Signore che «ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9), e che le sofferenze da sopportare possono avere come senso quello per cui «io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).

II. DISPOSIZIONI DISCIPLINARI
Art. 1 – Ad ogni fedele è lecito elevare a Dio preghiere per ottenere la guarigione. Quando tuttavia queste si svolgono in chiesa o in altro luogo sacro, è conveniente che esse siano guidate da un ministro ordinato.
Art. 2 – Le preghiere di guarigione si qualificano come liturgiche, se sono inserite nei libri liturgici approvati dalla competente autorità della Chiesa; altrimenti sono non liturgiche.
Art. 3 – § 1. Le preghiere di guarigione liturgiche si celebrano secondo il rito prescritto e con le vesti sacre indicate nell’Ordo benedictionis infirmorum del Rituale Romanum.(27)
§ 2. Le Conferenze Episcopali, in conformità a quanto stabilito nei Praenotanda, V., De aptationibus quae Conferentiae Episcoporum competunt,(28) del medesimo Rituale Romanum, possono compiere gli adattamenti al rito delle benedizioni degli infermi, ritenuti pastoralmente opportuni o eventualmente necessari, previa revisione della Sede Apostolica.
Art. 4 – § 1. Il Vescovo diocesano(29) ha il diritto di emanare norme per la propria Chiesa particolare sulle celebrazioni liturgiche di guarigione, a norma del can. 838 § 4.
§ 2. Coloro che curano la preparazione di siffatte celebrazioni liturgiche, devono attenersi nella loro realizzazione a tali norme.
§ 3. Il permesso per tenere tali celebrazioni deve essere esplicito, anche se le organizzano o vi partecipano Vescovi o Cardinali. Stante una giusta e proporzionata causa, il Vescovo diocesano ha il diritto di porre il divieto ad un altro Vescovo.
Art. 5 – § 1. Le preghiere di guarigione non liturgiche si realizzano con modalità distinte dalle celebrazioni liturgiche, come incontri di preghiera o lettura della Parola di Dio, ferma restando la vigilanza dell’Ordinario del luogo a norma del can. 839 § 2.
§ 2. Si eviti accuratamente di confondere queste libere preghiere non liturgiche con le celebrazioni liturgiche propriamente dette.
§ 3. E’ necessario inoltre che nel loro svolgimento non si pervenga, soprattutto da parte di coloro che le guidano, a forme simili all’isterismo, all’artificiosità, alla teatralità o al sensazionalismo.
Art. 6 – L’uso degli strumenti di comunicazione sociale, in particolare della televisione, mentre si svolgono le preghiere di guarigione, liturgiche e non liturgiche, è sottoposto alla vigilanza del Vescovo diocesano in conformità al disposto del can. 823, e delle norme stabilite dalla Congregazione perla Dottrinadella Fede nell’Istruzione del 30 marzo 1992.(30)
Art. 7 – § 1. Fermo restando quanto sopra disposto nell’art. 3 e fatte salve le funzioni per gli infermi previste nei libri liturgici, nella celebrazione della Santissima Eucaristia, dei Sacramenti e della Liturgia delle Ore non si devono introdurre preghiere di guarigione, liturgiche e non liturgiche.
§ 2. Durante le celebrazioni, di cui nel § 1, è data la possibilità di inserire speciali intenzioni di preghiera per la guarigione degli infermi nella preghiera universale o “dei fedeli”, quando questa è in esse prevista.
Art. 8 – § 1. Il ministero dell’esorcismo deve essere esercitato in stretta dipendenza con il Vescovo diocesano, a norma del can. 1172, della Lettera della Congregazione per la Dottrinadella Fede del 29 settembre 1985(31) e del Rituale Romanum.(32)
§ 2. Le preghiere di esorcismo, contenute nel Rituale Romanum, devono restare distinte dalle celebrazioni di guarigione, liturgiche e non liturgiche.
§ 3. E’ assolutamente vietato inserire tali preghiere di esorcismo nella celebrazione della Santa Messa, dei Sacramenti e della Liturgia delle Ore.
Art. 9 – Coloro che guidano le celebrazioni di guarigione, liturgiche e non liturgiche, si sforzino di mantenere un clima di serena devozione nell’assemblea e usino la necessaria prudenza se avvengono guarigioni tra gli astanti; terminata la celebrazione, potranno raccogliere con semplicità e accuratezza eventuali testimonianze e sottoporre il fatto alla competente autorità ecclesiastica.
Art. 10 – L’intervento d’autorità del Vescovo diocesano si rende doveroso e necessario quando si verifichino abusi nelle celebrazioni di guarigione, liturgiche e non liturgiche, nel caso di evidente scandalo per la comunità dei fedeli, oppure quando vi siano gravi inosservanze delle norme liturgiche e disciplinari.

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza accordata al sottoscritto Prefetto, ha approvato la presente Istruzione, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla sede della Congregazione perla Dottrinadella Fede, 14 settembre 2000, festa dell’Esaltazione della Santa Croce.

+ Joseph Card. RATZINGER,
Prefetto
+ Tarcisio BERTONE, S.D.B.
Arciv. emerito di Vercelli,
Segretario


(1) GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Christifideles laici, n. 53, AAS 81(1989), p. 498.
(2) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1502.
(3) GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Salvifici doloris, n. 11, AAS 76(1984), p. 212.
(4) Rituale Romanum, Ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, Auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ordo Unctionis Infirmorum eorumque Pastoralis Curae, Editio typica, Typis Polyglottis Vaticanis, MCMLXXII, n. 2.
(5) GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Salvifici doloris, n. 19, AAS 76(1984), p. 225.
(6) GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Christifideles laici, n. 53, AAS 81(1989), p. 499.
(7) Ibid., n. 53.
(8) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1511.
(9) Cfr. Rituale Romanum, Ordo Unctionis Infirmorum eorumque Pastoralis Curae, n. 5.
(10) Ibid., n. 75.
(11) Cfr. Ibid., n. 77.
(12) Missale Romanum, Ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, Auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Editio typica altera, Typis Polyglottis Vaticanis, MCMLXXV, pp. 838-839.
(13) Cfr. Rituale Romanum, Ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, Auctoritate Ioannis Paulii II promulgatum, De Benedictionibus, Editio typica, Typis Polyglottis Vaticanis, MCMLXXXIV, n. 305.
(14) Cfr. Ibid., nn. 306-309.
(15) Cfr. Ibid., nn. 315-316.
(16) Cfr. Ibid., n. 319.
(17) Rituale Romanum, Ordo Unctionis Infirmorum eorumque Pastoralis Curae, n. 3.
(18) Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XIV, Doctrina de sacramento extremae unctionis, cap. 2: DS, 1696.
(19) AUGUSTINUS IPPONIENSIS, Epistulae 130, VI,13 (= PL, 33,499).
(20) Cfr. AUGUSTINUS IPPONIENSIS, De Civitate Dei 22, 8,3 (= PL 41,762-763).
(21) Cfr. Missale Romanum, p. 563.
(22) Ibid., Oratio universalis, n. X (Pro tribulatis), p. 256.
(23) Rituale Romanum, Ordo Unctionis Infirmorum eorumque Pastoralis Curae, n. 75.
(24) GOAR J., Euchologion sive Rituale Graecorum, Venetiis 1730 (Graz 1960), n. 338.
(25) DENZINGER H., Ritus Orientalium in administrandis Sacramentis, vv. I- II, Würzburg 1863 (Graz 1961), v. II, pp. 497-498.
(26) Rituale Romanum, Ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, Auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, De Sacra Communione et de Cultu Mysterii Eucharistici Extra Missam, Editio typica, Typis Polyglottis Vaticanis, MCMLXXIII, n. 82.
(27) Cfr. Rituale Romanum, De Benedictionibus, nn. 290-320.
(28) Ibid., n. 39.
(29) E i suoi equiparati, in forza del can. 381, § 2.
(30) Cfr. CONGREGAZIONE PERLA DOTTRINA DELLAFEDE, Istruzione circa alcuni aspetti dell’uso degli strumenti di comunicazione sociale nella promozione della dottrina della fede, 30 marzo 1992, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992.
(31) Cfr. CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Epistula Inde ab aliquot annis, Ordinariis locorum missa: in mentem normae vigentes de exorcismis revocantur, 29 septembris 1985, AAS 77(1985), pp. 1169-1170.
(32) Cfr. Rituale Romanum, Ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, Auctoritate Ioannis Pauli II promulgatum, De Exorcismis et Supplicationibus quibusdam, Editio typica, Typis Vaticanis MIM, Praenotanda, nn. 13- 19.



1 commento:

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