Corpus Domini. Il Papa denuncia gli errori post-conciliari sull'Eucarestia
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Proseguendo nella sua opera
di correzione di un’interpretazione erronea del Concilio Ecumenico Vaticano II
secondo una «ermeneutica della discontinuità e della rottura», che ha letto il
Concilio come ripudio di tutto il Magistero precedente, Benedetto XVI ha tratto
occasione il 7 giugno 2012 dalla Solennità del Corpus Domini per pronunciare a
San Giovanni in Laterano un’importante omelia sull’Eucarestia, tutta intesa a
denunciare «visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono
riscontrate nel recente passato».Il Papa ha preso in esame in particolare due
errori. Il primo è la vera e propria guerra alla pratica dell’adorazione
eucaristica scatenata in nome della centralità esclusiva della celebrazione.
«Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II – ha detto il
Pontefice – aveva penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica
l’Eucaristia al momento celebrativo». Certo, «è stato molto importante
riconoscere la centralità della celebrazione», ma questa centralità «va
ricollocata nel giusto equilibrio». Altrimenti «per sottolineare un aspetto si
finisce per sacrificarne un altro». E nel post-Concilio è successo proprio così:
l’accentuazione «posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito
dell’adorazione». Ma questo «ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale
dei fedeli» e ha provocato gravi danni. «Infatti, concentrando tutto il rapporto
con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare
della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si
percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con
noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come “Cuore pulsante”
della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e
attività».In effetti, «è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione,
come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. È proprio il contrario: il
culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’“ambiente” spirituale entro
il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia». Senza
adorazione si rischia di capire male la stessa Messa. «Solo se è preceduta,
accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di
adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore.
L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la
comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa,
ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta,
rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con
la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e
ad offrirli al Padre».Ricordando le grandi esperienze di adorazione eucaristica
con i giovani alle Giornate Mondiali della Gioventù, Benedetto XVI ha osservato
che «comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per
comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in
silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera
amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi,
eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto
profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca
questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da
parte nostra, un gesto superficiale». Chi combatte l’adorazione eucaristica
finisce per sottovalutare e negare la presenza reale anche nella Messa.E questo
ci porta al secondo errore post-conciliare che il Papa ha denunciato: la
negazione della «sacralità dell’Eucaristia». Anche qui «abbiamo risentito nel
passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra
Scrittura» e del Vaticano II. «La novità cristiana riguardo al culto è stata
influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta
del secolo scorso». Anche in questo caso, non tutto è falso nelle sottolineature
degli ultimi decenni: con la venuta del Signore «è vero, e rimane sempre valido,
che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma
in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale».
Ma attenzione: «da questa novità fondamentale non si deve concludere che il
sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù
Cristo».La cosiddetta de-sacralizzazione dimentica che la Lettera agli Ebrei
presenta Gesù Cristo come «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), «ma non
dice che il sacerdozio sia finito». Cristo non ha abolito il sacerdozio e «non
ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto,
che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel
tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine,
nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio». Sbaglia quindi
chi pensa che il sacro, i simboli, i riti, siano finiti con Gesù Cristo. No:
«grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i
comandamenti, anche più esigente!».Anche qui, i danni di una certa vulgata
post-conciliare sono stati notevoli. Infatti, «il sacro ha una funzione
educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in
particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di
una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita
questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma
risulterebbe “appiattito”, e la nostra coscienza personale e comunitaria ne
resterebbe indebolita». E in quante città le processioni del Corpus Domini sono
state abolite!O ancora – ha detto il Papa – «pensiamo a una mamma e a un papà
che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni
ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti
surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che
più facilmente potrebbero diventare idoli». Ogni nuova generazione ha bisogno di
riti e di simboli. Se le si tolgono quelli cattolici, cercherà altre esperienze
religiose. Dio non ha tolto i riti, «non ha fatto così con l’umanità: ha mandato
il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al
sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il
Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio
pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo
fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale
segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso». «Con questa fede – ha concluso
il Pontefice – noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo
adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo».
Commento di Massimo
Introvigne
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