IL REGNO MILLENARIO DI CRISTO
APOCALISSE
XX
Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave
dell'Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico -
cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, ve
lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le
nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per
un po' di tempo. Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il
potere di giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della
testimonanza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la
bestia e la sua statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla
mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti
invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la
prima risurrezione. Beati e santi coloro che prendono parte alla prima
risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di
Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni. (Apocalisse
20,1-6).
Questo brano è stato interpretato letteralmente da Papia di Gerapoli (Eusebio, Storia Ecclesiastica III,
39), da Ireneo di Lione (Ireneo, Contro le Eresie, V, 32-35), da Melitone di Sardi, da Tertulliano (Tertulliano, De Spe Fidelium e Tertulliano, Adversus Marcionem, III, 25), da Ippolito di Roma, da Cerinto (Eusebio, Storia Ecclesiastica
III, 28), da Metodio di Olimpo
(Metodio, Symposium, IX, 1), da Apollinare di Laodicea (Epifanio,
Contro le eresie, LXX, 36), da Commodiano (Instructiones, 41-44) e da
Lattanzio (Divinae
Institutiones, VII). Giustino martire (Dialogo con Trifone, 80)
riferisce poi come, al suo tempo, alcuni cristiani interpretassero il regno
millenario di Cristo in senso letterale, mentre altri propendevano per una
spiegazione simbolica. Una lettura simbolica ed
allegorica del regno millenario di Cristo fu invece data dal presbitero Caio (Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 28), da
Origene, da Dionigi di Alessandria, da Eusebio di Cesarea (Eusebio, Storia
Ecclesiastica III, 39), da Girolamo (Girolamo, Gli Uomini
Illustri, XVIII) e da Agostino
(La Città di Dio, XX).
IL
MILLENARISMO
Il millenarismo è una dottrina cristiana, detta anche "chiliasmo", che, partendo
dall’interpretazione letterale del capitolo XX dell’Apocalisse, annuncia
l’imminente ritorno di Cristo sulla terra per stabilirvi un regno di beatitudine
e di pace destinato a durare mille anni e riservato solo ad alcuni giusti.
Questi vengono, di solito, identificati con i martiri delle persecuzioni (i
144.000 del libro dell’Apocalisse) che, grazie al sacrificio della loro vita
in nome della fede, avranno il privilegio di una prima resurrezione, con
precedenza assoluta sulla resurrezione di tutta l'umanità, sul giudizio
universale e sull’instaurazione definitiva e gloriosa del regno di Dio (al
termine del millennio). Il millenarismo si diffuse negli ambienti cristiani
dell'Asia Minore soprattutto nel II secolo ed ebbe un certo rilievo anche in
Occidente (grazie soprattutto all’opinione autorevole di Papia di Gerapoli, di
Ireneo di Lione e di Tertulliano), sollevando un intenso dibattito teologico
prima della sua condanna definitiva come dottrina eretica. Moltissimi eretici
contribuirono poi a screditare il millenarismo letterale, proclamando l'attesa
di un tempo di bengodi, di perversioni, di vizi, di dissolutezze e di
depravazioni.
Dopo
Agostino, il millenarismo letterale non ha più
goduto il favore della chiesa ed anche oggi quasi tutti i cattolici
considerano il millennio come un lungo periodo di tempo intercorrente dalla fine
delle persecuzioni (e del paganesimo della Roma imperiale) alla liberazione di
Satana, prima dell'attacco finale alla Chiesa e del ritorno visibile di Cristo
per il giudizio universale. La prima resurrezione sarebbe pertanto simbolica e
corrisponderebbe all'entrata nella gloria celeste delle anime dei martiri e dei
cristiani, che non hanno ceduto alle tentazioni della bestia e del falso profeta
(Apocalisse 6,9-11). A favore di tale
tesi si dice infatti che: i) mai, in tutto il Nuovo Testamento, si parla di due
resurrezioni e di due giudizi (si veda a tal proposito Matteo 25,31; Luca
16,4-31; Giovanni 5,28-29; 2 Corinzi 5,10; Ebrei 9,27); ii) nel Nuovo Testamento
si parla invece, in senso simbolico, della resurrezione per spiegare il
battesimo e la rinascita dell'uomo dalle tenebre della legge, dell'ignoranza e
del peccato e per rappresentare la nuova vita in Cristo, nella luce, nella
grazia e nello Spirito Santo (si veda a tal proposito Giovanni 5,24-26; Romani
6,4-5; Efesini 2,6; Colossesi 3,1); iii) il millenarismo letterale sembra avere
matrice ebraica ed apocrifa (1 Enoch XCI-CIV; Salmi di Salomone XI-XVII; Oracoli
Sibillini III), piuttosto che origini
cristiane.
La
condanna del millenarismo da parte della cristianità non è stata però dogmatica
e definitiva e, anche all’interno della Chiesa Cattolica, sono sopravvissute,
nei vari secoli, forme di millenarismo spirituale e moderato. Lo stesso
Agostino, nella Città di Dio, prima di spiegare il senso del capitolo XX
dell’Apocalisse, molto onestamente scrisse: Coloro, che sulla base delle
parole di questo libro hanno congetturato che la prima risurrezione sarà dei
corpi, sono stati spinti soprattutto dal numero di mille anni. Sembrò loro
opportuno che nei santi in quella condizione avvenisse la celebrazione del
sabato di un sacrale grande periodo di tempo, cioè con un periodo di riposo dopo
seimila anni, da quando è stato creato l'uomo e per la pena del grande peccato
fu espulso dalla felicità del paradiso nelle tribolazioni dell'attuale
soggezione alla morte. Poiché si ha nella Scrittura: “Un solo giorno nel Signore
come mille anni e mille anni come un sol giorno”, passati seimila anni come sei
giorni, dovrebbe seguire il settimo del sabato negli ultimi mille anni per
celebrare, cioè, il sabato con la risurrezione dei santi. L'opinione sarebbe
comunque ammissibile se in quel sabato fosse riservato ai santi qualche
godimento spirituale. Anch'io una volta ho avuto questa opinione. Ma essi dicono
che coloro, i quali risusciteranno in quel tempo, attenderanno a sfrenate orge
carnali, nelle quali sarebbe così abbondante il cibo e le bevande non solo da
violare la moderazione, ma da sorpassare perfino la misura dell'incredibile. Ma
queste storie possono essere credute soltanto dai carnali. Gli spirituali
definiscono coloro che le credono con la parola greca χιλιασται che
noi, derivando parola da parola, potremmo denominare i "millenaristi". È lungo
ribatterli dettagliatamente; piuttosto dobbiamo esporre come si deve
interpretare questo passo della Scrittura.
(Agostino, La Città
di Dio, XX, 7)
Fuori dalla Chiesa Cattolica il millenarismo è
riaffiorato a più riprese nell'ambito di vari movimenti ereticali e riformati:
basti pensare a Gioacchino da Fiore (1130-1202), ai francescani spirituali
(XIII-XIV secolo), ai fratelli boemi (XV secolo), a Girolamo Savonarola
(1452-1498) e agli anabattisti (secolo XVI). Oggi il millenarismo costituisce
uno dei motivi di identificazione, e, allo stesso tempo, di maggiore popolarità,
di alcune confessioni religiose, come gli avventisti del settimo giorno, i
testimoni di Geova ed alcune sette fondamentaliste
statunitensi.
MILLENARISMO E FONDAMENTALISMO
Negli Stati Uniti è oggi molto diffusa una forma di
millenarismo piuttosto pessimista, sia all’interno di molte sette cristiane sia
dentro le chiese protestanti più tradizionali. Si tratta di una lettura biblica
che combina, in diverse proporzioni, avventismo, dispensazionalismo e
fondamentalismo ed è in grado di influenzare profondamente la morale, l’opinione
pubblica e le scelte politiche. Il pensiero avventista affonda le proprie
radici nella predicazione di W. Miller (1782-1849) e di C. T. Russel
(1852-1916), profondamente convinti dell’imminente fine dei tempi ed ispiratori
di un gran numero di congregazioni millenariste. A J. N. Darby (1800-1882) si
deve poi una dottrina escatologica piuttosto complicata, basata sulla
dispensazione di vari tempi storici all’umanità, sul ritorno del popolo
ebraico in Israele, sul rapimento della chiesa da parte di Cristo, sulla
conversione dei giudei, sulla venuta del regno dell’anticristo, sulla battaglia
Armarghedon e sulla reale instaurazione terrena del regno millenario di Cristo.
Alcuni studiosi evangelici come C. I. Scofield (1843-1921), A. C. Dixon
(1854-1925) e R. A. Torrey (1856-1928), hanno poi sviluppato ed elaborato il
pensiero fondamentalista, tendenza biblica e teologica maturata
all’interno del protestantesimo americano come reazione agli abusi della critica
testuale, del liberalismo religioso e dell’evoluzionismo darwiniano. Nella
Conferenza di Niagara (1889) i teologi fondamentalisti formularono i famosi
cinque punti fondamentali ed irrinunciabili del cristianesimo (inennarranza
verbale delle Sacre Scritture, divinità di Cristo, nascita verginale del Messia,
redenzione sacrificale dell’umanità, reale resurrezione fisica di Gesù). Da tali
nobili e giusti principi sono però scaturite interpretazioni estreme: il
fondamentalismo è oggi, infatti, sinonimo di letteralismo esasperato, di
conservatorismo politico e religioso, di scetticismo verso la ricerca biblica ed
il progresso scientifico e di lettura utopistica della
storia.
ALCUNE RAGIONI
DEL MILLENARISMO
Il
millenarismo ha incontrato ed incontra un terreno fertile soprattutto laddove
sono emerse ed emergono prospettive di fede poco equilibrate. Il rifugio in una
speranza utopistica ma fortemente radicata alle realtà terrene potrebbe,
infatti, essere frutto di un tentativo di fuga da posizioni estreme, oscillanti
tra tentativi politico-temporali di autocostruzione del Regno di Dio e totale
differimento delle speranze di salvezza ad una realtà trascendente ed
ultraterrena. Nei secoli passati, nei confronti della fede e della preghiera
l’atteggiamento di molti credenti non è stato, infatti, sempre equilibrato. Di
fatto, convivono, tuttora, anche all’interno della Chiesa cattolica, posizioni
magiche e fideistiche (che vedono nella preghiera la via maestra per forzare la
mano a Dio, per ottenere continui miracoli, per sovvertire il mondo e la realtà)
con atteggiamenti razionalisti ed intimisti (secondo cui la Divinità non
ascolterebbe quasi mai le suppliche degli uomini, raramente difenderebbe gli
oppressi, si interesserebbe limitatamente alla realtà ed alle sofferenze degli
uomini, limitandosi a dispensare quantità peraltro limitate di forza, coraggio,
saggezza e Spirito Santo ai suoi fedeli). Purtroppo i due atteggiamenti sono
spesso legati a concezioni radicali della missione salvifica della Chiesa. Da un
lato, il desiderio di una Chiesa politicizzata, gloriosa e trionfante già qui
sulla terra, poco disposta a soffrire ma molto propensa a far soffrire
peccatori, infedeli ed eretici, mentre dall’altro lato la simpatia verso una
Chiesa esaltatrice della rinuncia, del dolore, della sofferenza, della
persecuzione e della “croce a tutti i costi”.
La
morte di Gesù Cristo fu reputata stoltezza dai pagani e scandalo dagli ebrei (1
Corinzi 1,23). Per gli ebrei fu la prova più evidente che Cristo non era Dio: un
Dio che muore era infatti scandaloso ed inaccettabile anche per coloro che non
aspettavano un messia glorioso. Del resto il profeta Abacuc definisce Dio come
immortale, cioè "YHWH che non muore" (Abacuc 1,12): se Cristo fosse stato Dio
non sarebbe morto. Gesù invece realmente morì e, pur non subendo la corruzione,
venne deposto nel sepolcro (Atti 2,31). La morte non fu però solo conseguenza
della debolezza umana ma anche frutto di una libera scelta del Padre (Matteo
26,42) e del Figlio (Giovanni 10,18). Nei giorni del sepolcro Cristo non fu
annientato ma portò avanti la propria opera redentrice. Secondo la fede
cattolica Cristo discese agli inferi. L'apostolo Pietro insegna che Nostro
Signore andò in spirito a predicare ai morti, per cercare di salvare gli spiriti
ribelli che, nei tempi antichi, non avevano ascoltato l'invito alla conversione
(Giovanni 5,25; 1 Pietro 3,19-20; 1 Pietro 4,6; Filippesi 2,10). Senza la morte
di Gesù larga parte dell'umanità sarebbe stata tagliata fuori dalla salvezza. I
morti fuori dalla grazia di Dio non avrebbero potuto, infatti, sopportare la
luce di Dio e solo l’uomo Gesù Cristo riuscì, da morto, ad avvicinarli e a
liberarli dalle catene del male.
Evidentemente,in Cristo, croce e resurrezione, sofferenza
e gloria, umiliazione ed esaltazione sono indissolubilmente legate. Anche per il
cristiano sono pertanto possibili gioie e sofferenze, sconfitte e vittorie,
martirii e trionfi: sicuramente utopistica è l’opinione che il cristianesimo
metta i credenti al riparo dalle prove della vita (Salmo 34,20) ma certamente
blasfema è la convinzione che Dio non si prenda cura di noi (Salmo 55,23; 1
Corinzi 10,13; 1 Pietro 5,7; 2 Pietro 2,9). La verità
più profonda ed equilibrata contenuta nella croce e nella partecipazione del
cristiano alle sofferenze di Cristo per la costruzione della Chiesa (Colossesi
1,24) sembra pertanto risiedere, più che in posizioni estreme e poco
equilibrate, nell’umile quotidianità (Matteo 10,38), cioè nella progressiva
crocifissione delle opere morte della carne (Galati 5,18-21) e nella
contemporanea graduale crescita dell’uomo nuovo (Efesini 4-5) e dei suoi frutti
nello Spirito Santo (Galati 5,22-29). Il mistero della sofferenza, a questo
punto, potrebbe perdere larga parte di quel carattere casuale e stocastico oggi
tanto spesso invocato: la missione della Chiesa e dei credenti sarebbe quindi
non tanto quella di indicare colpevoli ed innocenti, misteri ed enigmi, dubbi ed
interrogativi ma piuttosto quella di riflettere e di far riflettere sulla
possibilità che molti mali che oggi affliggono l’umanità non siano solo frutto
di esperienze di malvagità e stoltezza ma anche dell’incapacità di crescere e di
portare frutti di salvezza. Non è forse un caso che, nel Vangelo di Luca, la
parabola del fico sterile (Luca 13, 6-9) segua immediatamente gli inviti alla
conversione, dopo gli inspiegabili massacri di Pilato e l’incomprensibile caduta
della torre di Siloe sui giudei innocenti (Luca 13,1-5).
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