“L’ECUMENISMO”: CONCILIAZIONE TRA “CRISTO E
BELIAR”?
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DON CURZIO NITOGLIA
14 giugno 2009
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Introduzione
Mons. Brunero Gherardini in “Divinitas”
(rivista fondata dall’ex rettore della Lateranense, mons. Antonio Piolanti), Città del Vaticano,
n° 2/2008, di cui egli è oggi il Direttore, ha scritto un bellissimo
articolo (“La vexata quaestio del deicidio”, pp. 215-223), in cui
sostiene e prova che per i cattolici, i quali credono nella divinità di Cristo,
la sua uccisione fu (per l’Unione Ipostatica, delle due nature, divina e umana,
nell’unica Persona divina del Verbo) un vero “deicidio”.
San Tommaso d’Aquino tratta esplicitamente il
problema della responsabilità morale del giudaismo nella crocifissione di Nostro
Signor Gesù Cristo. Nella Somma Teologica (III, q. 47, a.5), infatti, si domanda
‘Se i carnefici di Nostro Signore lo conoscessero come il Cristo’ e
risponde con una distinzione: i maggiorenti “lo conobbero come il Cristo [...]
essi infatti vedevano avverarsi in Lui tutti i segni predetti dai Profeti. Ma
essi non conobbero il mistero della sua divinità [...]. Però bisogna notare che
la loro ignoranza non li scusava dal delitto perché si trattava di ignoranza
affettata. essi infatti vedevano i segni evidenti della sua divinità, ma per
odio e per invidia verso Cristo li travisavano, e così non vollero credere alle
sue affermazioni di essere il Figlio di Dio. Mentre il popolo [...] non conobbe
pienamente né che egli era il Cristo, né che era il figlio naturale di Dio”
(in corpore). “Si affaccia a questo punto una obiezione: se non uccisero
la divinità (che in Cristo non morì), i giudei sono colpevoli soltanto di
semplice omicidio (e non di deicidio ndr). Al che si risponde: se qualcuno
insudicia intenzionalmente la veste del Re, non viene considerato colpevole di
reato allo stesso modo che se ne avesse imbrattato la persona? Perciò sebbene
non abbiano ucciso la natura divina di Cristo (cosa impossibile), gli autori
morali della morte di Gesù hanno meritato, in base alle loro intenzioni, una
gravissima condanna. [...] Chi lacerasse un decreto regio, attenta alla stessa
maestà regale; e quindi il peccato dei giudei è di tentato deicidio”
(In Symb. Ap.,a. 4, n° 912, Opuscola theologica; De re
spirituali, Marietti, Torino, 1954).
Si noti
inoltre che per il mistero dell’Unione Ipostatica, la natura umana di Cristo
sussisteva nella Persona divina del Verbo, quindi è lecito dire che gli ebrei
uccisero Dio, anche se non scalfirono neppure la sua natura divina, ma colsero
soltanto quella umana che sussiste nella Persona del Verbo divino. Così il
Dottore Angelico conclude questo articolo della Somma Teologica: “Vedendo i
giudei le mirabili opere di Cristo, per odio, non vollero ammettere che egli era
il Figlio di Dio” (ad 2um). La loro fu dunque una ignoranza affettata che non
scusa dalla colpa, ma piuttosto l’aggrava: infatti essa dimostra che uno è
talmente intenzionato a voler peccare, che preferisce rimanere nell’ignoranza
per poter fare il peccato: “Et ideo judei peccaverunt, non solum hominis
Christi, sed tamquam Dei crucifixores” (S.T., III, q. 47, a. 5, ad
3um). Il peccato di Deicidio è da attribuirsi quindi ai Capi del popolo in
maniera molto grave. Perciò, se da una parte è vero che soltanto una parte del
popolo giudaico (inteso in senso etnico-politico) vivente ai tempi di Gesù in
Palestina e nella Diaspora abbia preso parte attiva alla crocifissione fisica di
Gesù, «Non rimane scagionato da colpa o da pena il giudaismo o la religione
giudaica, cioè il popolo inteso in senso religioso! [...] A me sembrano essere
nel vero i numerosi e valenti esegeti i quali vedono emergere chiaramente da
tutta l’economia del Vecchio Testamento [...] il principio della ‘responsabilità
collettiva’ nel bene come nel male. [...] l’intero popolo è ritenuto
responsabile e quindi punito, per i delitti commessi ufficialmente dai suoi
capi, anche quando gran parte del popolo ne sia estranea. Ritengo legittimo
poter affermare che tutto il popolo giudaico dei tempi di Gesù - inteso in senso
religioso, cioè quale collettività professante la religione di Mosè - fu
responsabile in solidum del delitto di deicidio, quantunque soltanto i
Capi, seguiti da una parte degli adepti, abbiano materialmente consumato il
delitto [...] la sentenza di condanna fu emanata dal concilio (Jo XI, 49
sg.),cioè dal massimo organo autoritativo della religione giudaica. [...] Fu il
sacerdozio aronitico, [...] a condannare il Messia. È lecito, pertanto,
attribuire il deicidio al giudaismo, in quanto comunità religiosa. […]. Anche il
giudaismo dei tempi posteriori a Nostro Signore partecipa oggettivamente della
responsabilità del deicidio, nella misura in cui tale giudaismo costituisce la
libera e volontaria continuazione di quello di allora» (Luigi M. Carli: La questione giudaica
davanti al Concilio Vaticano II, in “Palestra del Clero”, n°4, 15 febbraio
1965, pp.191-203).
Inoltre nella rivista “Fides
Catholica”, Frigento, n° 1/2008 mons
Gherardini ha scritto un secondo magnifico articolo (“Sugli Ebrei:
così, serenamente”, pp. 245-278). In esso il monsignore distingue il
giudaismo vetero-testamentario da quello talmudico, parla di responsabilità
collettiva del popolo ebraico, e non dei soli Capi, nella morte di Gesù; muove
degli appunti a Nostra aetate - riallacciandosi all’articolo succitato -
per aver omesso la parola “deicidio”, la quale è l’unica che possa definire
esattamente l’uccisione di Gesù; asserisce che il giudaismo di oggi, continuando
nel rifiuto di Cristo e non avendo rotto con quello il quale condannò a morte
Gesù, forma una stessa entità con esso; riafferma che il giudaismo talmudico
discende da Abramo solo secondo la carne e non per la fede; critica pacatamente,
ma fermamente la teoria dell’Antica Alleanza mai revocata, poiché la
Nuova ha rimpiazzato la Vecchia, che era caduca ed ora è definitivamente
sorpassata; afferma inoltre che, Israele, avendo rifiutato Cristo, è stato
abbandonato da Dio e da tale abbandono è seguita la “maledizione” oggettiva di
esso, mentre “il piccolo resto d’Israele”, che ha creduto al Messia, è entrato
coi pagani nella Nuova ed Eterna Alleanza. Infine - egli scrive - i doni di
Dio sono irrevocabili da parte di Dio se gli uomini cooperano con Lui, ma, se lo
abbandonano, sono da Lui abbandonati e quindi conclude qualificando
l’insegnamento “pastorale”, dal Concilio Vaticano II al post-Concilio, come
“teologicamente assurdo, ma politicamente corretto”.
IL DEICIDIO E IL CONCILIO VATICANO II
La
dichiarazione conciliare “Nostra aetate” (28 ottobre 1965) recita:
“Quanto è stato commesso durante la Passione non può essere imputato né
indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro
tempo. [...] Gli ebrei non devono essere presentati come riprovati da dio, né
come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla S. Scrittura” (Nostra
aetate 4 g-h). Ora la S. Scrittura ci presenta gli ebrei come riprovati e
maledetti da Dio (F. Spadafora,
La Chiesa e il giudaismo, Caltanisetta, Krinon, 1987). Il Concilio
asserisce inoltre che la morte di Nostro Signore è “dovuta ai peccati di tutti
gli uomini” (Nostra aetate 4), e questo è pacifico quanto alla causa
finale; invece la causa prossima ed efficiente della morte di Gesù furono i
giudei (Giuda, i prìncipi e la folla), come è stato dimostrato ‘ad
abundantiam’ per quel che riguarda il deicidio. Come conciliare ora la
dottrina del Vaticano II con quella tradizionale? E’ impossibile.
Resta da
vedere come si è potuti arrivare a tale dichiarazione conciliare con 2041
placet,88 non placet e 3 voti nulli. Léon
de Poncins scrive che: «La mozione votata a Roma dimostra da parte di
molti Padri conciliari una profonda misconoscenza del giudaismo. Sembra che essi
si siano attenuti solo all’aspetto umanitario del problema, presentato abilmente
dai portavoce del giudaismo mondiale. [...] Infatti all’origine delle riforme
proposte dal Concilio per modificare l’atteggiamento e la dottrina secolari
della Chiesa verso il giudaismo [...] vi sono diverse personalità ed
organizzazioni ebree: Jules Isaac, Labelkatz [...] Nahum Golduran [...]. Tra le
personalità ebree sopra citate ce n’è una che ha svolto un compito preminente:
lo scrittore Jules Marx Isaac, ebreo d’Aix en Provence. [...]. Profittando del
Concilio, dove aveva trovato serî appoggî tra i Vescovi progressisti, Jules
Isaac è stato il principale teorico e promotore della campagna contro
l’insegnamento tradizionale della Chiesa. Vediamo ora la posizione presa per far
prevalere la sua tesi: [...] L’antisemitismo cristiano a base teologica è il più
temibile. Infatti l’atteggiamento dei cristiani verso il giudaismo è stato
sempre fondato sul racconto della passione tale e quale è stato riportato dai
quattro Evangelisti e sull’insegnamento che ne hanno fatto i Padri della Chiesa.
[...]. Jules Isaac ha tentato di distruggere questa base teologica fondamentale,
contestando il valore storico dei racconti evangelici e screditandone gli
argomenti proposti dai Padri della Chiesa. [...]. Il 13 giugno 1960 Jules Isaac
è ricevuto da Giovanni XXIII al quale domanda la condanna dell’insegnamento del
disprezzo e consiglia la creazione di una sottocommissione incaricata di
studiare tale problema. Più tardi il signor Isaac aveva la gioia di sapere che
le sue proposte erano state prese in considerazione dal Papa e trasmesse per lo
studio al card. Bea. [...]. Nel 1964 la questione era sottoposta al Concilio.
Jules Isaac ha consacrato due libri per criticare e distruggere i due pilastri
dell’insegnamento cristiano (riguardo al deicidio: i racconti evangelici e la
dottrina dei Padri della Chiesa, ndr). Nella prima di queste due opere,
“Jesus et Israel”, pubblicata nel 1949, Jules Isaac critica gli
Evangelisti, principalmente S. Giovanni e S. Matteo. “Lo storico ha il diritto
ed il dovere di considerare i racconti evangelici come testimonianze faziose
contro i giudei. [...] È evidente che tutti e quattro gli Evangelisti hanno
avuto la stessa preoccupazione di ridurre al minimo le responsabilità romane per
maggiormente aggravare quelle giudaiche [...] L’accusa cristiana contro Israele,
l’accusa di deicidio [...] è essa stessa criminale, la più grave, la più nociva
ed anche la più iniqua” (jules
isaac: L’Enseignement du Mépris, p. 141). In breve, dal racconto
della Passione rivisto e corretto da Jules Isaac gli Evangelisti ci appaiono
come menzogneri matricolati, ma il più velenoso è senza dubbio Matteo. Nella
seconda delle sue opere, ‘Genèse de l’Antisémitisme’, pubblicato a Parigi
nel 1956, Jules Isaac si sforza di screditare i Padri della Chiesa: [...]
“Contro il giudaismo [...] nessuna arma si è rivelata più temibile
dell’insegnamento del disprezzo dimostrato soprattutto dai Padri della Chiesa
del IV secolo; ed in questo insegnamento nessuna tesi è più nociva di quella del
popolo deicida”. (jules isaac:
Genèse de l’Antisémitisme, ed. Calmann-Lévy, Paris, 1956, p. 327). La
Chiesa, ci dice Jules Isaac, è la sola colpevole; i giudei sono completamente
innocenti, [...] solo la Chiesa perciò deve fare atto di riparazione emendando
il suo millenario insegnamento. E Jules Isaac giunge alle sue pratiche
realizzazioni. Egli domanda o piuttosto esige dal Concilio: [...] la modifica
delle preghiere liturgiche riguardanti gli ebrei, particolarmente quelle del
Venerdì Santo. L’affermazione che i giudei non sono affatto responsabili della
morte di Cristo [...] Il mettere a tacere [...] i passi evangelici che riportano
il cruciale episodio della Passione, particolarmente quello di S. Matteo, che
Jules Isaac […] tratta da menzognero e falsario. Nel Numero del 23 gennaio 1965
il settimanale ‘Terre de Provence’, pubblicato ad Aix, dava il resoconto
di una conferenza tenuta da Mons. de Provenchères, Vescovo di Aix. Citiamo
l’inizio dell’articolo. Parlando di Jules Isaac mons. de Provenchères ci dice
che fin dal primo incontro nel 1945 egli ebbe una profonda stima per lui, stima
rispettosa che ben presto ebbe una sfumatura d’affetto. Lo schema conciliare
sembra essere la ratifica solenne di quella che fu la loro conversazione.
L’origine di tale schema conciliare (Nostra aetate) si deve ad una
domanda di Jules Isaac al Vaticano, esaminata da più di 2000 vescovi. Questa
iniziativa fu presa da un laico ed un laico giudeo”. (‘Terre de
Provence’, 23 gennaio 1965). 2041 Padri hanno ritenuto che il racconto della
passione secondo la versione di Jules Isaac era da preferirsi a quella di s.
Giovanni e s. Matteo. [...]. In poche parole questo voto [...], sotto
l’apparenza di carità cristiana [...], è un’altra tappa nella via del
cedimento, dell’abbandono del cristianesimo tradizionale e del ritorno al
giudaismo. [...] Per i pensatori giudei la riforma conciliare deve essere
una nuova tappa nella via dell’abbandono, del cedimento, della distruzione della
tradizione cattolica svuotata a poco a poco della sua sostanza» (léon de poncins: Il problema dei
giudei in Concilio, Tipografia Operaia Romana,Via E.Morosini 17, Roma senza
data, pp. 6-28).
● Il
recente “caso Williamson”, con la dichiarazione dell’obbligo di riconoscere la
vulgata sterminazionista della shoah da parte di Benedetto XVI per essere
in piena comunione con la Chiesa (“Lettera ai vescovi di tutto il mondo”, 4
marzo 2009), rappresenta - teologicamente - un ulteriore gravissimo passo verso
la giudaizzazione, tramite l’olocausto-latria, dell’ambiente e della mentalità
cristiane.
1°) POSSONO I GIUDEI VENIR CHIAMATI ‘RIPROVATI’ DA DIO?
La
riprovazione di cui si parla ora non è quella che designa l’azione della
Provvidenza di Dio riguardo al conseguimento del fine ultimo da parte di ogni
singola anima. Il nostro problema riguarda un popolo (in senso religioso e non
politico-etnico o razziale) il cui fine si esaurisce nel tempo e che nel tempo
deve avere premio o castigo. resta salvo perciò il dogma che Dio “vuol che tutti
si salvino”(1 Tim II, 4); anche il singolo giudeo in buona fede, quindi, riceve
da Dio la grazia sufficiente per salvarsi l’anima. (Per chiarezza è bene
ricordare che la parola “riprovare” etimologicamente significa: reputare
inutile, disapprovare, rigettare, sconfessare, ndr). “Parlare di riprovazione o
meno di Israele non può significare altro che affermare o negare che quella
comunità in quanto tale abbia conseguito o meno il fine terrestre per il quale
Dio l’aveva eletta [...]. Il vecchio Israele, a causa della sua incredulità, è
stato da Dio privato del suo ruolo speciale che avrebbe dovuto avere nella
storia della salvezza [...] è subentrato il nuovo Israele, la Chiesa. .[…]
Israele ad un dato momento della sua storia risulta aver infranto il Patto di
Alleanza con Dio [...] per il fatto di aver rifiutato il fine stesso del Patto
rifiutando Gesù: ‘finis enim Legis Christus’ (Rom X, 4). [...]
Automaticamente rimase senza scopo, frustrata in pieno, l'elezione di Israele;
perdettero la loro ragione sufficiente i privilegi ad essa connessi. [...] La
religione mosaica la quale, per disposizione dichiarata di Dio, doveva sfociare
nel cristianesimo per trovarvi il proprio fine e la propria perfezione, si è
così invece costantemente rifiutata di aderire a Cristo [...] Per propria colpa
si è cristallizzata in una situazione obiettiva di contrarietà al volere di Dio.
[...] Si tratta di un positivo opporsi al volere di Dio. [...] Sotto questo
profilo il rapporto tra cristianesimo e giudaismo è di molto peggiore del
rapporto tra cristianesimo e altre religioni. Israele, nel piano di Dio, era
tutto relativo a Cristo e al cristianesimo. Non avendo avverato, per propria
colpa, tale e tanta ‘relatività’, da se stesso si è posto in uno stato di
obiettiva ‘riprovazione’. e tale stato perdurerà fino a quando il giudaismo
religione non avrà ufficialmente e globalmente riconosciuto ed accettato Gesù
Cristo” (mons. m. l. carli, op.
cit.).
2°)
POSSONO I GIUDEI VENIR CHIAMATI ‘MALEDETTI’ DA DIO ?
«Non si
tratta di maledizione formale [...] si vuole soltanto indicare una maledizione
oggettiva, cioè una situazione concreta, sulla quale Dio esprime il suo giudizio
di condanna. (Oggettivamente Israele, avendo rifiutato il piano di Dio, si trova
in uno stato di rivolta e di sterilità, che è constatata e condannata o
“maledetta” da Dio fino a che non si converta da tale stato, Dio, infatti, vuole
che il peccatore viva e si converta e torni a penitenza, ndr). [...]. Tale
situazione è stata liberamente accettata da Israele finché dura questa libera
accettazione permane lo stato di “oggettiva maledizione”. [...] va però
categoricamente negato che alcuna autorità umana, privata o pubblica, possa, a
qualsivoglia titolo o pretesto farsi esecutrice della pena connessa al giudizio
divino di condanna. [...] Ciò premesso, esprimo il parere che il giudaismo
(sempre inteso in senso religioso e non etnico-politico) possa legittimamente
dirsi “maledetto” allo stesso titolo e nella stessa misura in cui [...] può
dirsi “riprovato” da Dio. Del resto già in San Paolo l’idea di maledizione [...]
è affine [...] a quella di riprovazione [...] chiunque non porta frutto di opere
buone è “maledetto” da Dio come il fico (Mc XI, 21) di cui Dio constatò e
condannò la sterilità, ndr). [...] Questo stato di “maledizione” (o condanna
della sterilità già constatata, ndr) cesserà soltanto alla fine dei tempi,
quando “omnis Israel salvabitur” (Rom XI, 26) Quando cioè accetterà la
salvezza messianica » (Mons. l.m.
carli, op. cit.).
Conclusione
Infine, mons. Gheradini ha scritto (oltre ai due
succitati) anche vari articoli sulla “collegialità”, mettendone a nudo la
contraddizione intrinseca. Questi due articoli sono stati messi assieme ad altri
inediti e raccolti in un libro dello stesso Gherardini, intitolato, Quale
alleanza può esservi tra Cristo e Beliar?, Verona, Fede e Cultura, 2009. In
questo il Nostro affronta soprattutto le varie tematiche che aveva soltanto
sfiorato nel suo Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare
(Casa Mariana Editrice, Frigento, 2009) del dialogo inter-religioso o
“ecumenismo”, in oltre 200 pagine, fitte di osservazioni teologiche, molto ben
scritte e intelligibili anche ai non specializzati in teologia.
Il libro può essere richiesto
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Tel 045/ 941.
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Fax 045/ 925. 10.
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d. Curzio
Nitoglia
14 giugno
2009
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martedì 12 marzo 2013
“L’ECUMENISMO”: CONCILIAZIONE TRA “CRISTO E BELIAR”?
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