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domenica 12 maggio 2013

don curzio - Introduzione a LA VERA NOZIONE DEL MAGISTERO

Introduzione a
LA VERA NOZIONE DEL MAGISTERO
d. CURZIO NITOGLIA
30 dicembre 2011
 
“O Signore, di cui i Santi Innocenti hanno confessato la lode, non parlando, ma morendo, mortifica in noi ogni male dei vizi;
affinché la Fede in Te, che è professata dalla nostra lingua, sia messa in pratica anche dalla nostra buona condotta”
(Messale Romano, Colletta della Messa dei Santi Innocenti, 28 dicembre).
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Avvertenza
Introduzione per rendere accessibile a tutti quanto verrà scritto dalla Rivista quindicinale “Sì Sì No No”, del 15 gennaio 2012, e pubblicato anticipatamente, il 28 dicembre 2011, per gentile concessione, su vari blog circa il tema della Tradizione e del Magistero. Il sito “chiesaepostconcilio” lo ha già anche pubblicato, ma “in forma non ultimata. La questione è di massima importanza, specialmente in questi giorni in cui, anche in ambiente antimodernista, sono apparse pubblicazioni inesatte (per eccesso o per difetto) su questi due temi. Spero che questo breve sunto riesca a fare chiarezza e a rasserenare gli animi.
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Tradizione/Magistero
●Recentemente sono apparsi articoli e libri, che, per difendere la Tradizione e la Chiesa, o hanno esagerato la portata del Magistero, facendone un ‘Assoluto’ oppure lo hanno minimizzato e quasi annichilito, negandone la funzione di ‘interpretare la Tradizione e la S. Scrittura’. Onde evitare gli errori per eccesso (che assolutizza il Magistero) e per difetto (che minimizza la sua realtà) su questo argomento, riassumo quanto ha scritto in passato[1] e recentemente mons. Brunero Gherardini (cfr. Disputationes Theologicae) e quanto si trova nei migliori manuali di ecclesiologia, che verranno citati in nota.
●Occorre evitare la premessa erronea che fa del Magistero un ‘Assoluto’ e non un ‘ente creato’, un ‘Fine’ e non un ‘mezzo’, un ‘Soggetto indipendente’ (absolutus = sciolto) da tutto e da tutti. Niente in questo mondo ha la qualità dell’Assoluto. La Chiesa non fa eccezione, non la sua Tradizione, non il suo Magistero e neppure la Gerarchia, Papa compreso. Solo Dio è l’unica realtà ultima o assoluta, infinita ed increata.
●Sulla Tradizione la Chiesa esercita un ‘discernimento’ che distingue l’autentico dal non autentico. Lo fa mediante uno strumento che è il Magistero. Il Magistero è un ‘servizio’, ma è anche un ‘compito’, un “munus”, appunto il “munus docendi”, che non può né deve sovrapporsi alla Chiesa, dalla quale e per la quale esso nasce ed opera. Dal punto di vista soggettivo, il Magistero coincide con la Chiesa docente (Papa e Vescovi in unione col Papa). Dal punto di vista operativo, il Magistero è lo strumento mediante il quale viene svolta la funzione di proporre agli uomini la divina Rivelazione con autorità.
●Troppo spesso, però, si fa di questo strumento un valore a Sé[2] (absolutus) e si fa appello ad esso per troncare sul nascere ogni discussione, come se il Magistero fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da accoglier interpretare e ritrasmettere nella sua integrità e fedeltà, ossia come Dio l’ha trasmessa.
●Il procedimento sbrigativo oggi invalso è più o meno il seguente: Cristo promise agli Apostoli, e quindi ai loro successori, vale a dire alla Chiesa docente, l’invio dello Spirito Santo e la sua assistenza per un esercizio nella verità del “munus docendi” e dunque l’errore è scongiurato in partenza, senza condizioni, le quali invece sono richieste e definite dal Concilio Vaticano I, come vedremo oltre. Un altro procedimento più che sbrigativo consiste nel negare al Magistero ogni “munus docendi et interpretandi” le due fonti della Rivelazione (Tradizione e S. Scrittura).
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Il Magistero della Chiesa
●Il Magistero si divide in Solenne e Ordinario. Quello Solenne si suddivide in Conciliare e Pontificio; quello Ordinario in Universale o Papale.
●Magistero Solenne Straordinario Conciliare è l’insegnamento di “tutti” (totalità morale non matematica o assoluta) i Vescovi del mondo riuniti fisicamente – in maniera non abituale o non permanente e non stabile e quindi “stra-ordinaria” – in Concilio Ecumenico sotto il Papa.
●Magistero Solenne Personale Pontificio: il Papa che in quanto Papa (o seduto sulla cattedra di Pietro, “ex cathedra Petri”) definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede e la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza.
●Il Magistero Ordinario si divide in Universale o Pontificio. Innanzitutto Ordinario significa che quanto al modo di esercizio è comune, non è solenne, non è eccezionale o “extra-ordinario”, ma è solo normale, abituale, ossia “ordinario”. Quindi non è l’insieme dei Vescovi riuniti stra-ordinariamente in Concilio sotto il Papa, poiché il Concilio Ecumenico è un avvenimento non ordinario, non abituale, non in pianta stabile, ma eccezionale nel corso della storia della Chiesa (Concilio di Trento, 1563; Concilio Vaticano I, 1870). Non è neppure il Papa che definisce in maniera solenne o straordinaria una verità di Fede, ma in quanto trasmette la Rivelazione, che è contenuta nella Tradizione e nella Scrittura, in maniera non solenne. Ciò non vuol dire che non sia Magistero vero, autentico, ufficiale, e, persino infallibile se vuole adempiere alle condizioni per essere assistito infallibilmente da Dio, ossia definire e obbligare a credere, anche se in maniera comune, ordinaria o semplice quanto al modo di insegnare. Esso in questo ultimo caso trasmette realmente il Deposito della Rivelazione e in ciò non può errare, pur non impiegando la pompa magna o la forma straordinaria e solenne in tale trasmissione della Rivelazione.
●Magistero Ordinario Universale: la trasmissione delle verità divinamente rivelate viene fatta dai Vescovi sparsi fisicamente nel mondo ossia residenti nelle loro Diocesi, ma in comunione col Papa e uniti intenzionalmente o in accordo tra loro e con Lui nell’insegnare una verità.
●Magistero Ordinario Papale: la trasmissione viene fatta dal Papa in quanto tale e in maniera ordinaria. Inoltre il Papa è infallibile se da solo definisce ed obbliga a credere ed anche se riprende, ripete ed enuncia una Verità di Fede o Morale, costantemente e universalmente tenuta da tutta la Chiesa (“quod sempre, ubique et ab omnibus creditum est”).
●Il teologo tedesco Albert Lang spiega bene che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro Magistero ‘in modo Ordinario e Universale’, oppure esercitino il loro Magistero ‘in modo Solenne’ riuniti in un Concilio Ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa, annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio»[3]. Ossia, per l’infallibilità il modo di insegnamento ordinario o straordinario è secondario e accidentale; ciò che è principale o sostanziale è la volontà di definire ed obbligare a credere una verità di Fede e Morale, sia in maniera solenne sia in maniera comune o ordinaria.
●Il Magistero è la ‘regola prossima’ della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.
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I termini esatti della questione
●Il ‘dogma’ è una verità rivelata da Dio e contenuta nel Depositum Fidei: Tradizione e S. Scrittura (dogma materiale) e poi proposta a credere come necessaria per la salvezza eterna, quale divinamente rivelata o di Fede (dogma formale), dal Magistero ecclesiastico con l’obbligo di credervi (Vaticano I, DB, 1800)[4]. Pertanto chi nega o rifiuta l’assenso a una verità di Fede definita dal Magistero è eretico e incorre ipso facto nella scomunica o anatema[5].
●La ‘definizione dogmatica’ è la dichiarazione obbligante della Chiesa su una verità rivelata e proposta obbligatoriamente a credere ai fedeli. Tale definizione può essere fatta sia dal Magistero ordinario (Papa che insegna in maniera ordinaria o non solenne ‘quanto al modo’, ma obbligante ‘quanto alla sostanza’ a credere una verità come rivelata da Dio e definita dalla Chiesa[6]), sia dal Magistero straordinario o solenne quanto al modo (una dichiarazione solenne o ‘extra-ordinaria’ del Papa o del Concilio[7]). Tale definizione dogmatica si chiama pure dogma formale o verità di Fede divino-cattolica o divino-definita. «Generalmente basta la funzione del Magistero ordinario a costituire una verità di Fede divino-cattolica, vedi Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792[8]» (P. Parente, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, 4° ed., 1957, voce “Definizione dommatica”). Attenzione però, se il Magistero ordinario può definire infallibilmente un dogma formale non significa che esso sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia una definizione dommatica; lo è solo se il Papa vuole definire una verità come di Fede rivelata ed obbligare a crederla per la salvezza eterna. (Cfr. “Enciclopedia Cattolica”, IV, col. 1792).
●‘L’infallibilità’[9] presuppone, infatti, da parte del Magistero la volontà di obbligare, definire, proporre obbligatoriamente a credere come dogma una verità contenuta nel Deposito della Rivelazione scritta o orale. Per cui il Magistero è realmente la ‘regola prossima’ della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa[10], che interpreta la Rivelazione e propone a credere, con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.
●I ‘Luoghi Teologici’ sono «la sede di tutti gli argomenti della ‘Scienza Sacra’ a partire dai quali i teologi traggono le loro argomentazioni sia per dimostrare una verità sia per confutare un errore» (Melchior Cano, De Locis tehologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900, Lib. 1, cap. 3). Monsignor Antonio Piolanti scrive: «La Teologia è fondata su Verità rivelate, le quali sono contenute nella Scrittura e nella Tradizione, la cui interpretazione è affidata al vivo Magistero della Chiesa, il quale a sua volta si manifesta attraverso le definizioni dei Concili, le decisioni dei Papi, l’insegnamento comune dei Padri e dei Teologi scolastici» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 246). Perciò erra gravemente chi separa le definizioni dei Concili e dei Papi dal Magistero e riduce, così, il Magistero ad un accidente contingente, nato con la crisi neomodernista alla quale Pio XII avrebbe risposto con l’Enciclica Humani generis (1950) lanciando l’idea di Magistero come baluardo contro la nouvelle théologie. No! il Magistero, come spiega Melchior Cano nei “Luoghi teologici”, è “la voce del Pastore” e interpreta realmente la Scrittura e la Tradizione, altrimenti basterebbero la sola Bibbia e il solo Denzinger, mentre Cristo ha detto ai suoi Apostoli: “Andate e insegnate a tutti i popoli” (Mt., XXVIII, 18). Quindi il mezzo stabilito da Cristo per la diffusione della dottrina evangelica non è la sola Scrittura o la sola Tradizione orale, ma il Magistero vivo, cui Egli assicura (a certe condizioni) un’assistenza (infallibile) sino alla fine del mondo. Il cardinal Pietro Parente scrive che il Magistero è perciò: “il potere conferito da Cristo alla sua Chiesa, in virtù del quale la Chiesa docente è costituita unica depositaria e autentica interprete della Rivelazione divina. […]. Secondo la dottrina cattolica la S. Scrittura e la Tradizione non sono che la fonte e la ‘regola remota’ della Fede, mentre la ‘regola prossima’ è il Magistero vivo della Chiesa” (Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 249-250).
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Tradizione, Assistenza divina e Magistero
●Sia nella Scrittura che nei Padri il concetto di Tradizione è sempre collegato 1°) all’Assistenza di Dio, poiché, senza l’aiuto dello Spirito di Verità, la purezza dell’insegnamento orale non potrebbe conservarsi senza mescolamento di errori. Inoltre il concetto di Tradizione è inseparabile 2°) dal Magistero che, pur non essendo la Tradizione stessa, è l’organo tramite il quale essa viene tramandata; il senso pieno di Tradizione lo si può avere solo a condizione di tenere uniti i due suoi aspetti (passivo e attivo) di cui il secondo è assai importante, di modo che una “tradizione” anche del I secolo, ma non attestata dal Magistero della Chiesa non costituirebbe ‘vera’ Tradizione divino-apostolica, al massimo avrebbe un valore di documentazione storica, ma non di Fede divina. Tra Magistero e Tradizione vi è una certa distinzione ma non è totale, ossia la Chiesa è come un Maestro (Magistero) che contiene e trasmette la Scrittura (Bibbia) e la Tradizione (Denzinger), ha un Libro di testo ufficiale (Bibbia + Denzinger) e ne spiega il vero significato ai discenti; se un allievo non capisce bene il significato del Libro può chiedere spiegazione al Maestro ed egli lo illuminerà. Da tutto ciò risulta la parte essenziale e non minimale o addirittura contingente che svolge il Magistero nel dare, “tutti i giorni sino alla fine del mondo”, la retta interpretazione soggettivo/formale del contenuto dommatico-morale della Tradizione, avendone garantito ieri la veridicità del contenuto passivo o oggettivo/materiale[11].
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Rapporto tra Tradizione e Magistero
●La Tradizione assieme alla Bibbia è una delle due “fonti” della divina Rivelazione (Tradizione passiva e oggettiva). Essa è anche la “trasmissione” (dal latino tradere, trasmettere) orale di tutte le verità rivelate da Cristo agli Apostoli o suggerite loro dallo Spirito Santo e giunte a noi mediante il Magistero sempre vivo della Chiesa, assistita da Dio sino alla fine del mondo (Tradizione passiva e oggettiva). La Tradizione assieme alla S. Scrittura è il “canale contenitore (Tradizione passiva) e veicolo trasmettitore (Tradizione attiva)” della Parola divinamente rivelata. Il Magistero ecclesiastico è “l’organo” della Tradizione. Mentre gli “strumenti” in cui si è conservata sono i Simboli di Fede, gli scritti dei Padri, la Liturgia, la pratica della Chiesa, gli Atti dei martiri ed i monumenti archeologici.
●Perciò la Tradizione si può considerare sotto due aspetti: 1°) in senso attivo (soggettivo o formale), essa è l’organo vivo o il soggetto (persone o istituzioni/Papa e Chiesa) il quale funge da canale di trasmissione; 2°) in senso passivo (oggettivo o materiale) è l’oggetto o deposito trasmesso (Dottrina e Costumi)[12].
●La Tradizione di cui ci occupiamo in questo articolo è quella sacra o cristiana e non quella profana. La Tradizione cristiana si divide in a) Tradizione divina (insegnata direttamente da Cristo agli Apostoli); b) Tradizione divino-apostolica (gli Apostoli non la ascoltarono dalla bocca di Cristo, ma la ebbero per ispirazione dello Spirito Santo). Essa consiste in quelle verità o precetti morali, disciplinari e liturgici, i quali derivano direttamente da Cristo o dagli Apostoli, in quanto promulgatori della Rivelazione, illuminati dallo Spirito Santo, trasmesse agli uomini incorrotte sino alla fine del mondo: esse sono oggetto di Fede divina.
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Esiste una Tradizione “vivente”?
●I primi ‘Discepoli’ degli Apostoli ricevettero in maniera diretta e immediata la Tradizione dalla bocca dei Dodici, mentre i posteri la ricevono in maniere indiretta e mediata, tramite l’insegnamento dei successori di Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i Vescovi) cum Petro et sub Petro. Il Magistero è l’organo della trasmissione ininterrotta della medesima eredità ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo o dello Spirito Santo. Questa è la funzione del Magistero: mediare, interpretare e attualizzare o trasmettere l’insegnamento divino, ma sempre agganciandosi alla Tradizione ricevuta e quindi già trasmessa. Non si tratta di far vivere una Fede nuova, ma di tramandare e far ricevere o rivivere continuamente e nuovamente l’unica Fede predicata da Cristo e dagli Apostoli, sino alla fine del mondo. Tale funzione non contiene e non propone nessuna novità sostanziale, ma solo ribadisce in maniera nuova e approfondita o esplicitata la stessa verità contenuta nella Scrittura e nella Tradizione. Da questa trasmissione della Fede è totalmente assente ogni ombra di contraddizione tra verità antiche e nuove e lo sviluppo o approfondimento deve avvenire “nello stesso senso e nello stesso significato” (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, XXIII). Solo in tale senso si può parlare anche di Tradizione “viva”, non in quanto “cangiante”, ma “omogeneamente crescente”[13]. Non vi è Tradizione, non sussiste verità cattolica dove si trova contraddizione, contrarietà o concorrenza tra “nova et vetera”. Il cardinal Pietro Parente su L’Osservatore Romano del 9-10 febbraio 1942 già scriveva: «c’è da deplorare […] la strana identificazione della Tradizione (fonte della Rivelazione) col Magistero vivo della Chiesa (custode ed interprete della divina Parola)». In breve vi è una distinzione tra Tradizione e Magistero nel senso che il secondo custodisce, spiega e propone a credere le verità contenute nella Tradizione ed è molto pericoloso identificare la Tradizione col Magistero vivente, perché si finisce col dare alla prima un carattere intrinsecamente evolutivo o al contrario relativizzare talmente il Magistero rispetto alla Tradizione sino a minimizzarlo o quasi annichilarlo. Sono i due errori, per eccesso e per difetto, che si riaffacciano oggi.
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Riassumendo
Quanto ai rapporti tra Magistero e Tradizione, il Magistero custodisce, spiega e interpreta la Parola di Dio scritta o orale. Quindi Magistero e Tradizione non sono identici. Il Magistero non è fonte di Rivelazione, la Scrittura e Tradizione sì. Perciò il Magistero presuppone le due fonti della Rivelazione, le custodisce e le spiega, onde in senso stretto non coincide con la Tradizione. Tuttavia se si considera il Magistero nei suoi documenti o oggettivamente, allora si può dire che in essi si ritrova la fonte o luogo in cui vi è la Rivelazione[14].
●Il Magistero è assistito da Dio. Tuttavia quest’assistenza non è assoluta, ma limitata alla trasmissione della Rivelazione. Dunque, lungi dal costituire la dottrina o la Verità, l’atto del Magistero la conserva e la dichiara: il Magistero si definisce come tale in dipendenza oggettiva dalla Rivelazione divina, di cui deve assicurare la trasmissione e non deve “inventare” nuove dottrine sostanzialmente diverse da quella Rivelata, che può essere approfondita.
●L’assistenza è data al Papa perché egli possa preservare la Fede della Chiesa. Se si perde di vista il giusto rapporto che fa dipendere il Magistero dalla Tradizione oggettiva, il Dio rivelatore rischia di passare in secondo piano a vantaggio del Magistero custode ed interprete, il ‘Creatore’ cederebbe il passo alla ‘creatura’, il ‘Fine’ al ‘mezzo’, l’ “Assoluto” allo ‘strumento’. Ma ciò è contraddittorio. Quindi ripugna, ossia è assolutamente impossibile.
d. CURZIO NITOGLIA
 
30 dicembre 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/introduzione_magistero.htm
 
LEGGI ANCHE:
IL MAGISTERO “LUOGO TEOLOGICO”, da SìSìNoNo del 15 gennaio 2011

[1] Brunero Gherardini, Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011.
[2] In filosofia scolastica oltre che di ‘Assoluto’ si usa anche il termine di ‘A se’ o ‘Aseitas’ per indicare Dio, che non è ‘ab alio’, non dipende da nessun altro, ma solo da Se stesso (‘Ipsum Esse subsistens’). Invece ogni creatura, anche l’Angelo, è ‘ab alio’ o è creato da Dio quindi è ‘dipendente’ e non ‘Assoluto’.
[3] A. Lang, Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461.
[4] Cfr. Cipriano Vagaggini, voce “Dogma”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 1792-1804; Giacinto Ameri, voce “Defnizione dogmatica”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 1306-1307.
[5] Cfr. G. Zannoni, voce “Eresia”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 487-492.
[6] Per es. Giovanni Paolo II sulla impossibilità del sacerdozio femminile; oppure i Vescovi sparsi nel mondo assieme al Papa. Per es. Pio XII che chiede ai Vescovi di tutto il mondo se reputano rivelata e definibile l’Assunzione di Maria SS. in Cielo.
[7] Per esempio Pio IX, che definisce da solo l’Immacolata Concezione o il Concilio Vaticano I, che definisce l’Infallibilità pontificia.
[8] «Sono da credersi di Fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa, sia con Giudizio solenne sia col Magistero ordinario, come divinamente rivelate».
[9] Cfr. Federico dell’Immacolata, voce “Infallibilità”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, coll. 1920-1924.
[10] Cfr. M. Cordovani, voce “Chiesa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. III, coll. 1443-1466; Antonio Piolanti, voce “Primato di San Pietro e del Romano Pontefice”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1953, vol. X, coll. 6-19; Giuseppe Damizia, voce “Concilio”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 167-172.
[11] Cfr. J. B. Franzelin, De divina traditione et Scriptura., Roma, 1870; L. Billot, De immutabilitate traditionis, Roma, 1904; S. G. Van Noort, Tractatus de fontibus Revelationis necnon de fide divina, 3a ed., Bussum, 1920; S. Cipriani, Le fonti della Rivelazione, Firenze, 1953; A. Michel, voce “Tradition”, in DThC, XV, coll., 1252-1350; G. Filograssi, La Tradizione divino-apostolica e il magistero ecclesiastico, in “La Civiltà Cattolica”, 1951, III, pp. 137-501; G. Proulx, Tradition et Protestantisme, Parigi, 1924; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 64, a. 2, ad 2; B. Gherardini, Divinitas 1, 2, 3/ 2010, Città del Vaticano, S. Cartechini, Dall’opinione al domma, Roma, Civiltà Cattolica, 1953, M. Schmaus, tr. it., La Chiesa, Casale Monferrato, Marietti, 1973.
[12] Cfr. G. Mattiussi, L’immutabilità del dogma, in “La Scuola cattolica”, marzo 1903.
[13] Cfr. A. Marìn Sola, L’evolution homogène du dogme, Friburgo, 1924.
[14] Cfr. J. Salaverri, De Ecclesia Christi, Madrid, BAC, 1958, n° 805 ss. 
 
 
 
 
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Il Magistero “luogo teologico”
data 21 gennaio 2012
Per gentile concessione di “sì sì no no” (del 15 gennaio 2012)
 
 
Il Magistero “luogo teologico”

 

● «La Dottrina sacra o della Fede viene annunziata dalla Chiesa poiché è divinamente rivelata e non è rivelata poiché annunziata dal Magistero della Chiesa.
Il Magistero non è la causa del carattere della divina Rivelazione annunziata dalla Chiesa, ma è solo uno strumento o un mezzo stabilito da Dio, per il quale il Rivelato viene interpretato e quindi da noi conosciuto con certezza» (A. Lang, Die Loci teologici des Melchior Cano und die dogmatischen  Beweises, Monaco, 1925, p. 82).
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Prologo
Ho già affrontato la recente disputa su Tradizione e Magistero per far chiarezza e correggere alcune imprecisioni a) ‘in primis’ di coloro che fanno del Magistero, anche non infallibilmente assistito, un ‘Assoluto’ da credersi senza alcuna possibilità di negare l’assenso anche di fronte a due proposizioni contraddittorie[1] e b)in secundis’ di coloro che annichilano il Magistero negando che sia un ‘luogo teologico’, il quale interpreta rettamente la Rivelazione, ed inoltre si permettono di criticare – senza fondamento – persino le Encicliche di Pio XII, specialmente la Divino Afflante Spiritu (1943) e addirittura la Humani generis (1950), definita comunemente “il terzo Sillabo” dopo il Syllabus di Pio IX (1864) e la Pascendi di San Pio X (1907)[2]. Mi sembra ora doveroso tornare sull’argomento per far maggior chiarezza in mezzo a tanta confusione che avvolge l’ambiente cattolico ed ecclesiale.
 
Una confutazione anticipata
Il teologo tedesco professor Albert Lang dell’Università di Monaco ha scritto nel 1925 un interessante libro sui ‘Luoghi teologici’ in cui confutava con 85 anni di anticipo questi due errori. Egli infatti scriveva:
a) «La Dottrina sacra o della Fede viene annunziata dalla Chiesa perché è divinamente rivelata e non è rivelata perché annunziata dal Magistero della Chiesa» confutando così l’errore di coloro che fanno del Magistero un ‘Assoluto’, che non deve “fare i conti” con la Tradizione e la Scrittura, ma sarebbe esso stesso fonte di Rivelazione.
Il teologo tedesco proseguiva:
b) «Il Magistero non è la causa del carattere della divina Rivelazione annunziata dalla Chiesa, ma è solo uno strumento o un mezzo stabilito da Dio, per il quale il Rivelato viene interpretato e quindi da noi conosciuto con certezza»[3] confutando così coloro che negano al Magistero la qualità di ‘luogo teologico’, che trasmette inalterato ed interpreta correttamente il Depositum Fidei.
 
Teologia e Magistero
La Teologia è la scienza che mediante la ragione illuminata dalla Fede (“sine Fide non remanet Theologia”), fondandosi sulle ‘due fonti della Rivelazione’ (Tradizione e S. Scrittura) sotto la direzione interpretativa del Magistero ecclesiastico, tratta di Dio e delle creature in rapporto a Dio. La ragione filosofica sviluppa tutta la fecondità del dato rivelato, giungendo a delle “Conclusioni teologiche[4], mediante un sillogismo, che, partendo da una premessa di Fede detta ‘Maggiore’, le accosta una seconda premessa di ragione detta ‘minore’ e ne tira una ‘Conclusione’ teologica certa, che non è formalmente, ma solo virtualmente rivelata.
Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange spiega che “la Teologia procede sotto la luce della Rivelazione divina (cfr. S. Th., I, q. 1) ed ha per ‘oggetto proprio’ Dio considerato nei suoi Misteri o nella sua Vita intima, che ci è fatto conoscere non dalla ragione naturale (come Dio Causa prima), ma dalla Fede e dalla Rivelazione come Deus sub ratione Deitatis (cfr. S. Th., I, q. 1, a. 6). Mentre il teologo in questa vita crede alla Deità obscure cognita per Fidem, il Santo in Paradiso vede la Deità clare facie ad faciem sicuti est per il Lumen gloriae, che produce la Visio beatifica. […]. La Fede è la radice della Teologia, la quale è scienza delle Verità di Fede, che essa deve approfondire, spiegare, e difendere. […]. Così se il teologo perde la Fede infusa, in lui resta solo un cadavere di Teologia, un corpo senz’anima, poiché egli non aderisce più alle Verità rivelate o di Fede, che sono i princìpi della Teologia”[5].
Monsignor Antonio Piolanti, a sua volta, scrive: «la Teologia è fondata su Verità rivelate, le quali sono contenute nella Scrittura e nella Tradizione, la cui interpretazione è affidata al vivo Magistero della Chiesa, il quale a sua volta si manifesta attraverso le definizioni dei Concili, le decisioni dei Papi, l’insegnamento comune dei Padri e dei Teologi scolastici»[6].
Il cardinal Pietro Parente afferma che il Magistero è perciò “il potere conferito da Cristo alla sua Chiesa, in virtù del quale la Chiesa docente è costituita unica depositaria e autentica interprete della Rivelazione divina. […]. Secondo la dottrina cattolica la S. Scrittura e la Tradizione non sono che la fonte e la regola remota della Fede, mentre la regola prossima è il Magistero vivo della Chiesa[7].
La possibilità di una Scienza razionale della Fede è dimostrata da S. Tommaso (S. Th., I, q. 1, a. 1) a partire dalla nostra elevazione gratuita all’ordine soprannaturale, che mediante la grazia santificante e le Virtù teologali ci ordina alla Visione beatifica di Dio visto in Cielo faccia a faccia e di cui la Teologia, che conosce Dio nel chiaro-oscuro della Fede, è solo una pallida anticipazione. S. Agostino ha scritto: “La Fede salutare viene nutrita, difesa e corroborata dalla sacra Teologia” (De Trinitate, XIV, I, 3).
 
I “Luoghi teologici”
Durante la Cristianità medievale le verità di Fede si ricevevano direttamente e pacificamente dalla Chiesa. Solo col soggettivismo antropocentrico del Luteranesimo, che dichiarò la ‘sola Scrittura’ come unica fonte di Fede, la Chiesa e i teologi approfondirono la questione dei ‘Luoghi o fonti della Fede e della Teologia’. Melchior Cano (+1560) ha stabilito 10 “Luoghi teologici”[8]: a)Luoghi propri e apodittici”: Tradizione e Scrittura (Fonti della Rivelazione), le Decisioni della Chiesa, dei Concili e dei Papi (Magistero ecclesiastico pontificio/universale, ordinario/straordinario)[9]; b)Luoghi intrinseci e probabili”: l’insegnamento dei Padri, dei teologi scolastici; c)Luoghi estrinseci”: la ragione umana, la retta filosofia e la storia. Questi ultimi tre sono “Luoghi alieni” o impropri cioè fonti ausiliarie per il lavoro teologico. I primi due sono “Luoghi fondamentali” o fonti della Rivelazione e quindi della Teologia, che si fonda sul Dato Rivelato. Gli altri cinque contribuiscono intrinsecamente alla retta interpretazione della Rivelazione.
 
Il Magistero “luogo teologico”
«Il Magistero ecclesiastico – scrive Lang –  è proprio quel ‘Luogo teologico’, nel quale per disposizione divina i fedeli ed i teologi trovano in primo luogo e nel modo più immediato le Verità di Fede, perché nella Parola o nel Magistero della Chiesa la Rivelazione continua a vivere, ad agire e perviene immediatamente ai singoli. La Dottrina sacra o della Fede viene annunziata dalla Chiesa poiché è divinamente rivelata e non è rivelata poiché annunziata dal Magistero della Chiesa. Il Magistero non è la causa del carattere della divina Rivelazione annunziata dalla Chiesa, ma è solo uno strumento o un mezzo stabilito da Dio, per il quale il Rivelato viene interpretato e quindi da noi conosciuto con certezza»[10]. Perciò il Magistero ecclesiastico è il luogo, il mezzo o lo strumento in cui i fedeli e i teologi trovano le Verità di Fede. La Tradizione e la S. Scrittura non possono illuminare i fedeli se staccate dal Magistero e dalla Chiesa docente, ma devono essere presentate ed interpretate dalla Chiesa. Ma  se da una parte il Magistero è lo strumento o Luogo teologico, che interpreta correttamente e tramanda incorrotta la Rivelazione, dall’altra parte non è un “Assoluto” o una sorta di “Divinità” che crea la Verità rivelata per cui ogni parola magisteriale non è un Dogma infallibile e irreformabile.
Come si fa seriamente Teologia.
S. Tommaso spiega che “la Teologia è una scienza che si fonda sui princìpi conosciuti alla luce di una scienza superiore che è la scienza di Dio e dei Beati. Quindi come la musica crede ai princìpi che le sono forniti dall’aritmetica, così la Teologia crede ai princìpi rivelati da Dio” (S. Th., I, q. 1, a. 2)[11]. Perciò, commenta padre Reginaldo Garrigou-Lagrange, «il metodo della Teologia è principalmente d’autorità; infatti riceve i suoi princìpi ex auctoritate Dei revelantis; gli altri argomenti la Teologia li usa strumentalmente come il superiore usa l’inferiore»[12]. L’autorità sulla quale si fonda la Teologia è la massima: la Scienza divina rivelatrice.
Il Lavoro teologico, spiega p. Garrigou-Lagrange, procede «1°) raccogliendo le Verità rivelate, contenute nel Depositum Fidei, che sono la Tradizione e la Scrittura, alla luce del Magistero della Chiesa, che definisce e ci propone a credere queste medesime Verità […]. 2°) La Teologia [poi] fa l’analisi dei concetti o termini delle Verità rivelate, per indicare con precisione il significato esatto ed oggettivo del soggetto e del predicato di queste Verità rivelate. Per esempio: “Verbum caro factum est” significa che “il Verbo, che è Dio, si è fatto uomo”. L’analisi è soprattutto concettuale o una definizione reale più che etimologica o grammaticale, dandoci il significato del genere e differenza specifica del soggetto e predicato della Verità di Fede. 3°) La Teologia [inoltre] difende le Verità rivelate contro gli avversari, per cui non si può predicare la Verità senza condannare l’errore […]. 4°) Infine la Teologia, mediante un sillogismo esplicativo, da una formula dogmatica oscura, difficile e confusa quanto a noi (per esempio “Verbum, quod est Deus, caro factum est”) passa ad una formula più chiara e definita (per esempio “Verbum consubstantiale Patri homo factus est”). […]. 5°) Questa formula dogmatica è molto più di una ‘Conclusione teologica’ o sillogismo illativo, che passa dal virtualmente rivelato ad una ‘Conclusione teologicamente certa’. Infatti il sillogismo esplicativo è l’espressione più esplicita di una stessa Verità formalmente rivelata, senza passare ad una nuova Verità virtualmente rivelata, come avviene nelle ‘Conclusioni teologiche’, dedotte per illazione o deduzione da una Verità rivelata, in cui la ‘Conclusione’ o seconda formula è una nuova verità, che è dedotta dalla precedente. Nel ragionamento esplicativo il soggetto e il predicato sono gli stessi (Verbo/Dio/carne/uomo), anche se la seconda formula è più chiara; mentre nel sillogismo deduttivo o illativo si passa da un soggetto ad un altro (per esempio: l’uomo è immortale, ora Antonio è uomo, quindi Antonio è immortale. Si è passati dal soggetto uomo ad Antonio). La ‘Conclusione teologica’ deduce da una Verità formalmente o in sé rivelata, un’altra verità non in se stessa rivelata ma solo virtualmente rivelata (per esempio “Antonio è immortale” è rivelato virtualmente nella “immortalità dell’anima umana”, che è per se stessa rivelata)»[13].
Compito della ragione
La ragione filosofica non può spiegare il mistero, ma deve dimostrare e difendere tutti gli altri argomenti che appartengono alla Teologia. Essa deve perciò difendere la Fede contro le obiezioni dei suoi avversari, spiegare i termini o le parole della Rivelazione, e infine ordinare con un sillogismo le diverse verità rivelate e dedurre da esse le ‘Conclusioni teologicamente certe’ (DB, 1839).
Padre Garrigou-Lagrange insegna che la Teologia “opera una sintesi in cui in primo luogo difende speculativamente l’autorità della divina Rivelazione contro coloro che la negano; in secondo luogo spiega e difende teoreticamente le Verità rivelate; infine o in terzo luogo ne tira delle Conclusioni teologicamente certe, procedendo dal più elevato e semplice in sé, ossia da Dio uno e trino, per giungere alle creature, e quindi studia le azioni morali umane in ordine a Dio, considerando come procedono da Dio e sono a Lui ordinate”[14]. Inoltre – prosegue l’ eminente teologo – la Teologia “fa un’analisi di tutte le nozioni dei termini della Rivelazione, spiegandone il significato esatto e difendendole dagli oppugnatori”[15]. Il teologo domenicano insiste sul fatto che compito principale del lavoro teologico non è quello di dedurre ‘Conclusioni teologiche’, ma «ciò che vi è di più importante in Teologia è la spiegazione delle stesse Verità di Fede, la loro penetrazione, il loro approfondimento. Invece le ‘Conclusioni teologiche non sono ricercate per se stesse, ma per arrivare ad una più perfetta intelligenza dei princìpi di Fede di cui esse manifestano la virtualità. […]. Tutto il lavoro teologico è ordinato principalmente allo scopo definito dal Concilio Vaticano I: “Ad una certa e fruttuosissima intelligenza dei Misteri Deo adiuvante” (DB, 1796). […]. La Teologia è veramente Fides quaerens intellectum et intellectus quaerens Fidem, […], essa è un commento alla Parola di Dio, scritta o tramandata, sulla quale attrae sempre più l’attenzione, facendo dimenticare se stessa, come S. Giovanni Battista, il quale annunziava l’Agnello di Dio, che doveva aumentare mentre lui doveva diminuire»[16].
 
La natura della teologia
La natura della Teologia è Assieme Speculativa e Pratica o affettiva: essa è una “conoscenza amorosa di Dio”. La corrente platonica della scuola agostiniana voleva una Teologia esclusivamente amorosa. La corrente puramente aristotelica di una certa scolastica essenzialistica voleva una Teologia solamente speculativa e teoretica. S. Bonaventura (IV Sent., Proemium, q. 3) e S. Tommaso (S. Th., I, q. 1, a. 4) hanno risolto la questione insegnando il primato dell’elemento speculativo ordinato, però, alla contemplazione o amore di Dio, che influisce sull’essere e l’agire di tutto l’uomo: intelletto, volontà e sensibilità.
Per comporre un articolo di Teologia occorre quindi, nell’ordine cronologico, citare la S. Scrittura e la Tradizione e i Padri che interpretano la Scrittura in maniera unanime. Poi si cita il Magistero e quindi si dà la ragione teologica mediante un sillogismo, la cui ‘minore’ di ragione va provata con un altro sillogismo che inizia con la ‘minore’ di ragione, la quale diventa la ‘Maggiore’ del secondo sillogismo. Infine si espongono le obiezioni contro la Fede e si risponde ad esse. Questo è il procedimento che segue S. Tommaso nella “Somma Teologica”.
Invece nell’ordine speculativo «poiché la Teologia parte dagli Articoli di Fede quali sono proposti a credere dal Magistero della Chiesa, 1°) il teologo, prima di studiare direttamente il Dato rivelato, deve conoscere la dottrina proposta dallo stesso Magistero, ‘norma prossima’ della Fede. 2°) Con questa guida sicura affronta le due Fonti dirette della Rivelazione (Tradizione e Sacra Scrittura) e quella indiretta (i Padri ecclesiastici), ne raccoglie la dottrina dimostrandone[17] la continuità attraverso i secoli e l’omogeneità col dogma. 3°) Quindi illustra, sistema, approfondisce razionalmente il Dato rivelato, sviluppandone le virtualità»[18].
 
Conclusione
Come appare chiaro dalle su riportate citazioni del Magistero, dei Padri, dei Dottori e teologi scolastici approvati, a) il Magistero è realmente un “Luogo teologico” che interpreta la Rivelazione e la trasmette inalterata ed è ‘norma prossima’ della Fede, ma b) non è un “Assoluto” o una specie di “Divinità rivelante”, che crea la Verità rivelata, da accettarsi ad occhi chiusi.
In Teologia occorre addirittura leggere la Rivelazione alla luce del Magistero soprattutto costante[19] o infallibile ex sese, specialmente in periodi di crisi come questa, come insegna San Vincenzo da Lerino: «Quando l’errore si espande talmente da infiltrarsi in quasi tutta la Chiesa, occorre aderire a ciò che Ella ha insegnato sempre e dappertutto ed è stato creduto universalmente» (Commonitorium, III, 15). Oggi di fronte alla nouvelle théologie del Vaticano II e del post-concilio, è prudente attendere una decisione infallibile della Chiesa gerarchica e nel frattempo restare ancorati all’ insegnamento costante e tradizionale del Magistero ecclesiastico (“quod ubique, semper et ab omnibus creditum est”). Questo non è spirito di rivolta, di disobbedienza, ma vero sensus Fidei.
Quindi il Magistero, pur non essendo un “Assoluto”, ha tuttavia un ruolo di primo piano poiché è lui, e non i fedeli o i Profeti, che interpreta il significato vero della Rivelazione. In medio stat virtus, “in mezzo e al di sopra”. Tra l’errore per eccesso, che divinizza la “creatura” Magistero, e l’errore per difetto, che lo annichila negando il suo munus interpretandi, si erge in culmine – come una vetta tra due precipizi – la verità: il Magistero non è un “Assoluto”, ma ha il primato nell’ interpretazione esatta della Rivelazione, specialmente - e senza tema di errori - se vuol definire ed obbligare a credere, godendo dell’assistenza infallibile di Dio.
Viva il Papa in quanto Papa! (anche se non è assolutamente Santo). Attenzione ai ‘falsi profeti’, che vengono vestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci! La Chiesa è monarchica, petrina, gerarchica, non è profetica, giovannea, carismatica e pneumatica. “Ubi Petrus ibi Ecclesia” è un assioma sempre valido, data la natura di Corpo Mistico della Chiesa (visibile e soprannaturale), e non è rimpiazzabile con “ubi Maria vel propheta ibi Ecclesia”. Infatti la Madonna è invisibile, è Assunta in Cielo, e i profeti hanno cessato la loro funzione ordinaria colla fine dell’Antica Alleanza. Quindi non si può fondare la riconoscibilità della Chiesa da parte dei fedeli su qualcosa che non si vede (Maria SS.) o su qualcosa che è straordinario nella storia sacra del Nuovo Testamento (il profetismo) a cui non è stata promessa assistenza divina “ogni giorno sino alla fine del mondo”, e soprattutto su cui Cristo non ha detto di voler fondare la Sua Chiesa: “Tu sei Pietro e su questa Pietra Io fonderò la Mia Chiesa”.
Basilius 
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[1] Cfr. la lettera di p. Giovanni Cavalcoli a “sì sì no no” sul sito www.riscossacristiana.org e la risposta di “sì sì no no” (15 gennaio 2012) a padre Cavalcoli (cfr. sito www.chiesaepostconcilio.com).
●Quanto alla sospensione dell’assenso di fronte a certe novità del Concilio Vaticano II, non si tratta di “libero esame” luterano, ma di non poter negare il principio primo ed evidente di non-contraddizione, per il quale non si può aderire nello stesso tempo e nello stesso rapporto a due proposizioni contraddittorie. Ora quando Giovanni Paolo II scrive nella sua seconda enciclica (del 1980) “Dives in misericordia” n.° 1: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa (conciliare, ndr) […] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del Magistero dell’ultimo Concilio», ci si trova nell’impossibilità oggettiva di aderire contemporaneamente all’ insegnamento teocentrico pre-conciliare, che “contrappone antropocentrismo con teocentrismo” ed all’insegnamento del Concilio Vaticano II, che fa coincidere uomo e Dio, scivolando nell’ immanentismo panteistico. E ciò per la contraddizion che nol consente” (Dante) e non per il “libero esame” soggettivistico, che vuole sostituire il fedele al Magistero della Chiesa.
[2] Cfr. R. De Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Torino, Lindau, 2011; Id., Apologia della Tradizione, Torino, Lindau, 2011. Quest’ultimo libro contiene una definizione gravemente erronea del Magistero in se stesso, mentre il primo la conteneva virtualmente con le critiche infondate al Magistero di Leone XIII sul Ralliememt, di Pio XI sull’Action Française e soprattutto di Pio XII sulla S. Scrittura (Divino Afflante Spiritu, 1943) e la ‘nuova teologia’ (Humani generis, 1950).
[3] A. Lang, Die Loci teologici des Melchior Cano und die dogmatischen  Beweises, Monaco, 1925, p. 82.
[4] Cfr. S. Tommaso, S. Th., I, q. 1; G. M. Roschini, Introductio in Sacran Theologiam, Roma, 1947; P. Parente,  Teologia, Roma, 1953; A. Gardeil, Le donné revélé et la théologie, Juvisy, 1932; A. Stolz, Introductio in sacram Theologiam, Friburgo, 1941.
[5] La Sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, pp. 69-71. Si può, quindi tranquillamente affermare che i teologi neo-modernisti condannati dalla Humani generis di Pio XII (1950) e chiamati nel 1960 come “periti” al Concilio Vaticano II (de Lubac, Congar, Schillebeechx, Chenu, Rahner, Daniélou, von Balthasar, Küng, Metz), non erano veri teologi, ma cadaveri di teologi o teologi puramente materiali, senza Fede cattolico-romana, ma imbevuti dell’eresia neo-modernistica, che sostituisce la nouvelle théologie alla Teologia tradizionale e la “fede” soggettiva nel dogma in perpetua evoluzione eterogenea, sostanziale ed intrinseca al Dogma oggettivo ed immutabile sostanzialmente anche nel suo sviluppo omogeneo (cfr. F. Marin-Sola, L’évolution homogène du dogme catholique, Friburgo, 1924).
[6] Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 246.
[7] Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 249-250.
[8] M. Cano, De Locis tehologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900.
[9] Cfr. R. Garrigou-Lagrange De Revelatione, Roma, Ferrari, II ed., 1921, I vol., p. 36. Le decisioni del Magistero sono apodittiche solo quando è assistito infallibilmente, avendo voluto definire ed obbligare a credere una Verità come rivelata per la salvezza eterna.
[10] A. Lang, Die Loci teologici des Melchior Cano und die dogmatischen  Beweises, Monaco, 1925, p. 82.
[11] Cfr. S. Th., I, q. 1, a. 8, ad 2.
[12] De Revelatione, Roma, Ferrari, II ed., 1921, I vol., p. 35.
[13] La Sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, pp. 72-75. Secondo p. Garrigou-Lagrange le ‘Conclusioni teologiche’ non sono definibili come dogmi di Fede, mentre per Marin-Sola esse sono definibili come Verità di Fede. Per cui chi nega una ‘Conclusione teologica’ è reputato condannabile dalla Chiesa come ‘eretico’ secondo Marin-Sola; mentre per Garrigou-Lagrange solo come “teologicamente erroneo”.
[14] De Revelatione, cit., pp. 37-38.
[15] De Revelatione, cit., p. 38; cfr. anche Pio XI, Costituzione Apostolica Deus scientiarum Dominus, 1931.
[16] La Sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, pp. 76-78
[17] Come si vede, quando mons. Brunero Gherardini (Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id.,Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011) dice che la “ermeneutica della continuità” tra Concilio Vaticano II e Tradizione della Chiesa, oltre ad essere affermata, va dimostrata, si trova pienamente in linea con la sana Teologia.
[18] P. Parente, voce “Teologia”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1953, vol. XI, col. 1959.
[19] La costanza dell’insegnamento magisteriale lo rende infallibile (cfr. Pio IX, Tuas libenter, 1863). 


 
 
 
 
              
 


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