Modernismo e antimodernismo nell'epoca di Pio X
Ap - Nemici della Ch: Il Modernismo (1 di 3)
05
|
Dic2004
Inserito da admin
Argomento: Apologetica
La nascita del modernismo e il suo contesto storico. Loisy, Tirrell, Blondel. Il Modernismo in Italia: Minocchi, Murri, Bonaiuti. Il modernismo nella letteratura popolare: Fogazzaro. I "laboratori" del modernismo e la sua infiltrazione nella Città eterna. Il modernismo "figlio" del liberalismo cattolico ottocentesco e "padre" del progressismo cristiano del XXI secolo. Falsa ubbidienza, dissimulazione e l'anonimato come per cambiare la Chiesa dall'interno
Modernismo e antimodernismo
nell'epoca di Pio X
Con alcune riflessioni su don Orione
Testo del prof. Roberto de Mattei
tratto dall'opera "Don Orione negli anni del modernismo",
edita da Jaca Book, Milano 2002, pp. 320, Euro 23, ISBN 8816-30386-7
http://www.jacabook.it/ricerca/schedalibro.asp?idlibro=2714,
e curato da Don Flavio Peloso dell'Opera Don Orione,
tratto dall'opera "Don Orione negli anni del modernismo",
edita da Jaca Book, Milano 2002, pp. 320, Euro 23, ISBN 8816-30386-7
http://www.jacabook.it/ricerca/schedalibro.asp?idlibro=2714,
e curato da Don Flavio Peloso dell'Opera Don Orione,
http://213.156.45.144/m2wa/donorione/messaggi/articolo.asp?ID=129 ,
qui riprodotto per gentile concessione del curatore e dell'editrice.
I. La "crisi" modernista
"Punto nevralgico della sensibilità cattolica" 1, il dibattito sul modernismo resta uno dei nodi culturali del nostro tempo e non può essere circoscritto agli anni di san Pio X 2, nè spogliato della sua dimensione teologica e filosofica per essere ridotto a mero episodio di "storia della mentalità".
Un esame delle origini remote di questo dibattito 3 e delle sue conseguenze, pur di estrema importanza, esula dall'oggetto del nostro studio, che si propone di offrire una interpretazione della crisi di quel periodo, "tempo di salute pubblica, in un clima di stato d'assedio", secondo lo stesso Poulat 4, sullo sfondo di quella che può essere considerata una vera e propria "guerra civile" all'interno della Chiesa, le cui lacerazioni e ferite non sembrano rimarginate, a giudicare dai toni ancora dominanti nella saggistica.
Ci proponiamo da parte nostra di offrire una serena e obiettiva ricostruzione sintetica del dibattito che costituì lo sfondo storico entro cui si trovò ad operare il beato Luigi Orione.
1. Nascita e sviluppo del modernismo
Il termine modernismo ricorre ufficialmente la prima volta nell'enciclica Pascendi (1907) di Pio X per ricondurre al medesimo nucleo originario un complesso di errori in tutti i campi della dottrina cattolica (Sacra Scrittura, teologia, filosofia, culto) 5. Il documento pontificio fu d'altra parte, secondo Ernesto Buonaiuti, "l'unica riduzione ad unità dei molteplici indirizzi compresi sotto il nome generico di modernismo" 6, che si presentò come "una materia fluida e incandescente" 7 e il cui carattere distintivo "fu la stessa indeterminatezza del suo programma" 8.
L'orizzonte storico in cui il movimento si sviluppò fu il tardo pontificato di Leone XIII 9, morto a 93 anni il 20 luglio 1903, dopo venticinque anni di regno, nel corso del quale il discusso ralliement con la III Repubblica francese (1892) venne interpretato come una "apertura" al mondo moderno destinata ad estendersi dal campo politico a quello degli studi storico-esegetici. Va ricordato tuttavia che a Leone XIII si deve la Providentissimus Deus, nella quale il Pontefice ribadiva il principio tradizionale della verità assoluta della S. Scrittura e di ogni sua affermazione e il ruolo della Chiesa come sua unica depositaria ed interprete. Lo stesso Leone XIII istituì la Pontificia Commissione Biblica con la lettera apostolica Vigilantiae del 30 ottobre 1902, allo scopo di promuovere l'esegesi cattolica salvaguardando la verità della Fede nel campo degli studi biblici.
La scintilla che fece divampare il movimento, dopo un decennio di incubazione, furono le polemiche suscitate dalla apparizione del volumetto dell'abate Alfred Loisy 10 (1857-1940) - professore di scienza biblica all'Institut Catholique di Parigi dal 1889 al 1893 e allievo di mons. Duchesne 11 - L'Evangile et l'Eglise 12 (1902), in risposta all'interpretazione del cristianesimo che Adolf von Harnack (1851-1930), esegeta protestante di fama internazionale, aveva dato nelle sue lezioni presso l'Università di Berlino, poi raccolte nel volumetto Das Wesen des Christentums 13. In una visione retrospettiva della sua opera Loisy dichiarava di aver voluto "una riforma essenziale della esegesi biblica, di tutta la teologia e perfino del cattolicesimo in genere" 14. L'orizzonte che egli dischiudeva era quello della trasformazione del cristianesimo in una nebulosa "religione dell'umanità".
L'ossatura teologica del movimento si dovette al sacerdote irlandese Georges Tyrrell 15 (1861-1909), definito da Buonaiuti "l'araldo più ardimentoso, più coerente, più intimamente pervaso di fede e di entusiasmo della causa modernistica" 16 e forse, come osserva Maurilio Guasco, "l'unico vero teologo" del modernismo 17.
Tyrrell, che si convertì dal calvinismo all'anglicanesimo e da questo al cattolicesimo (1879) per poi entrare nella Compagnia di Gesù, raggiunse la notorietà quando si ravvisò in lui l'autore dell'opuscolo anonimo pubblicato sotto il titolo Lettera confidenziale ad un amico professore di antropologia (1905). Nello sviluppo del suo pensiero, poco sistematico e caratterizzato, come egli scriveva, da "una facoltà quasi femminea di balzare direttamente alle conclusioni senza l'aiuto delle premesse" 18, una data importante é l'anno 1899 con la pubblicazione su "The Month" del mese di novembre dell'articolo On the Relation of Theology to Devotion poi ristampato sotto il nuovo titolo Lex orandi, lex credendi nella raccolta Through Scylla and Charybdis del 1907, che é un compendio del suo pensiero. Tyrrell identifica la rivelazione con l'esperienza vitale (religious experience), che si compie nella coscienza di ognuno, per cui é la lex orandi a dettare le norme della lex credendi e non viceversa. La Rivelazione-esperienza, infatti, "non può venire a noi dal di fuori; l'insegnamento può essere l'occasione, non la causa" 19. Egli era convinto di trovare nelle dottrine sul "senso illativo" della fede del cardinale Newman l'anello di congiunzione tra il cattolicesimo e il pensiero moderno, fraintendendo il concetto di evoluzione del dogma del grande convertito inglese dell'Ottocento 20.
Dopo la morte di Tyrrell, la sua opera venne continuata da Maude Petre 21 (1863-1947), che dopo aver conosciuto il gesuita in un ritiro spirituale, nella congregazione religiosa di cui essa era la superiora provinciale, si era secolarizzata per seguirlo come sua discepola e "vestale".
Il dibattito fu allargato al campo filosofico dall'oratoriano Lucien Laberthonniére 22 (1862-1932) direttore degli "Annales de philosophie chrètienne" (1905-1913) in cui espose la necessità di separare il cristianesimo dall'aristotelismo tomista e di comprendere le formule dogmatiche come il risultato di un lungo approfondimento storico. Sulla stessa rivista, Maurice Blondel 23 (1861-1949) sviluppando il tema di fondo della sua tesi di dottorato L'Action. Essai d'une critique de la vie et d'une science de la pratique (1893), propose una nuova forma di apologetica che assumeva gli orientamenti immanentistici del pensiero moderno. In tal modo il modernismo sferrava un duplice attacco alle fonti della Rivelazione: alla Scrittura, attraverso il razionalismo esegetico di Loisy e alla Tradizione, attraverso l'evoluzionismo teologico di Blondel e Tyrrell.
Buonaiuti ricorda il "solco incancellabile" inciso dall'Azione di Blondel sulla sua anima 24 e Tyrrell sottolinea la sua affinità con il pensatore francese 25 a cui preferisce tuttavia Laberthonniére e Edouard Le Roy 27 (1870-1954) "che ha il vantaggio di essere chiaro" 26. Per quest'ultimo, discepolo e successore di Bergson al Collége de France, la verità dogmatica é solo un elemento di orientamento per la prassi e non si può dimostrare, ma solo tradurre in azione etica; Dio a sua volta, spogliato della sua assoluta permanenza nell'essere, "diviene" contemporaneamente alla creazione.
Il modernismo ebbe inoltre, secondo l'espressione di Loisy, un importante "agente di collegamento" nella figura del barone Friedrich von Hügel 28 (1852-1925), Di padre austriaco e di madre scozzese, per il suo prestigio sociale e per la sua condizione di cosmopolita, lo Hügel fu il "liaison officier" 29 dei diversi ambienti e delle diverse correnti, "l'anello intermediario tra società inglese tedesca e italiana, fra le idee della filosofia dell'azione e quelle dell'immanenza storica" 30. Paul Sabatier (1858-1928), il biografo protestante autore di Saint François d'Assise (1893), definì von Hügel il "vescovo laico dei modernisti" 31, ma Houtin definì lo stesso Sabatier come il "Papa" 32 del movimento. Pur esterno al cattolicesimo Sabatier fu un enigmatico "patron" internazionale del modernismo di cui non é stato ancora misurato il ruolo.
2. Il modernismo italiano
E' stata indicata come "data di nascita" 33 del modernismo italiano la comparsa a Firenze, nel gennaio 1901 della rivista "Studi religiosi" fondata e diretta per sette anni (1901-1907) dal biblista don Salvatore Minocchi 34 (1869-1943), alla quale collaborarono il barnabita Giovanni Semeria 35 (1867-1931), il padre Giovanni Genocchi 36 (1890-1926), superiore della casa romana dei missionari del Sacro Cuore, don Umberto Fracassini 37 (1862-1950) rettore (poi destituito) del seminario di Perugia e dal 1904 don Ernesto Buonaiuti 38 (1881-1946) professore di storia della Chiesa nel Seminario dell'Apollinare, destinato a rivelarsi come la figura di maggior spicco del movimento, di cui il Genocchi dava questo giudizio: "dell'ingegno del Buonaiuti ho grande stima; discreta, della sua erudizione vasta ma abborracciata; pochissima del suo carattere, senza del quale anche la più grande scienza diventa vana, perché soggetta al vento delle passioni"39.
Un posto a sè occupa don Romolo Murri 40 (1870-1944) esponente di quel movimento, affine al Sillon francese, che fu detto modernismo sociale, per il tentativo di conciliare i valori del cattolicesimo e quelli della democrazia secolarizzata moderna. Per fondare ideologicamente la democrazia cristiana, Murri tentava una sintesi tra il tomismo, da lui appreso all'Università Gregoriana, e il materialismo storico di Antonio Labriola di cui aveva frequentato, come Buonaiuti, le lezioni all'Università La Sapienza di Roma 41. Sotto il suo influsso sorse a Bologna nel 1905 la Lega Democratica Nazionale che rivendicava una piena autonomia dei democratici cristiani dalla gerarchia ecclesiastica. Murri fu tra i pochi che risposero apertamente alla Pascendi, con il libro La filosofia nuova e l'enciclica contro il modernismo 42. Se l'itinerario di Buonaiuti resta il più tetragono, quello di Murri, fondatore della democrazia cristiana, parlamentare radicale, aderente, come molti modernisti, al fascismo, per ritornare infine nel grembo della Chiesa, sembra incarnare emblematicamente l'intima contraddittorietà del movimento.
Nel solco della tradizione liberale cattolica, cioè all'interno di quel filone "transigente" e "conciliarista" che aveva auspicato la possibilità di un accordo politico tra lo Stato italiano risorgimentale e la Santa Sede 43, si inserì, a partire dal gennaio 1907, la rivista milanese "Il Rinnovamento" diretta da Antonio Aiace Alfieri (1880-1962), Alessandro Casati (1881-1955) e Tommaso Gallarati-Scotti44 (1878-1966) e sostenuta da Antonio Fogazzaro 45 (1842-1911).
Alcuni redattori del "Rinnovamento" avevano frequentato, all'inizio del secolo, il gruppo di studi biblici che si riuniva intorno al barnabita milanese Pietro Gazzola (1857-1915), parroco di Sant'Alessandro, ammiratore del Loisy, di cui diffondeva le idee nel suo circolo, paragonando, come faceva il suo confratello Semeria, la condanna del Loisy a quella del Galileo.
Alla fine di agosto del 1907, alla vigilia della pubblicazione della Pascendi, venne segretamente organizzato un convegno a Molveno, nel Trentino, dove convennero i maggiori rappresentanti del modernismo italiano, tra i quali Buonaiuti, Fogazzaro, Fracassini, Gallarati Scotti, Murri e, unico straniero, von Hügel. Il convegno, che doveva essere l'occasione di un coordinamento tra tutti i gruppi e le tendenze del movimento ne segnò invece un momento di crisi, specialmente dopo la pubblicazione dell'enciclica Pascendi, il 16 settembre dello stesso anno 46.
Il documento forse più significativo del modernismo é rappresentato dal Programma dei modernisti 47, apparso a Roma nell'ottobre 1907 anonimo, ma opera principalmente di Buonaiuti. Esso costituisce infatti una organica risposta alla Pascendi e fu elogiato dai principali esponenti dei movimento, come Tyrrell, che lo tradusse in inglese. Il Programma conferma di voler "ricavare l'affermazione del divino trascendente dalle esigenze immanenti della coscienza umana" 48 e professa l'evoluzione intrinseca e illimitata dei dogmi, il cui significato e valore non proviene dall'immutabile contenuto, ma dall'emozione soggettiva che può suscitare nel credente. Le sue premesse sono esplicitate nelle successive Lettere di un prete modernista 49 dello stesso Buonaiuti che "si presentano come il documento più radicale, il più lontano dall'ortodossia che abbia prodotto il modernismo italiano" 50.
Bedeschi respinge l'affermazione di Riviére secondo la quale il modernismo italiano sarebbe "una corrente di importazione" o avrebbe "valore di sottoprodotto" 51. Il modernismo italiano godeva infatti di più larghe simpatie di quello d'Oltralpe, ristretto ad èlites accademiche e "costituiva una specie di ortoprassi attraverso ansie spirituali più che libresche" 52. In Italia esso si presentava, più che come un movimento dottrinale, come un rinnovamento di mentalità, che accentuava il momento della "prassi" su quello della astratta teoria. Basti pensare al romanzo Il Santo 53 di Fogazzaro (all'indice nel 1906) definito da Tyrrell "il romanzo del movimento" 54, e agli scritti liturgici di Antonietta Giacomelli 55, il cui manuale Adveniat Regnum tuum. Rituale del cristiano venne messo all'indice nel 1912.
Non sbagliava Pio X nel riconoscere e temere l'influenza de Il Santo sui giovani 56. "Lo si regalava, il romanzo fogazzariano, ai neosacerdoti in dono per la prima messa come viatico di speranza" 57, scrive Bedeschi, ricordando come nel seminario di Cremona, il chierico Primo Mazzolari (1890-1859) affidava al suo diario confidenze ammirative nei confronti del protagonista dell'opera di Fogazzaro, Benedetto Maironi 58.
Antonio Gramsci ha rilevato per primo, sia pure da sponde avverse e con toni sprezzanti, l'importanza dell'opera letteraria del padre gesuita Antonio Bresciani (1798-1862) nella formazione della coscienza culturale italiana, fino a creare la categoria del "brescianismo" 59. Con Fogazzaro la prospettiva apologetica di Bresciani viene per la prima volta capovolta, dando vita a un nuovo genere letterario, quale strumento per veicolare le idee modernistiche 60. In un ampio excursus dedicato alla narrativa popolar-religiosa italiana dei primi tre lustri del secolo, Bedeschi documenta come le istanze e i fermenti del modernismo, repressi sul piano teologico, circolassero a livello popolare, attraverso racconti, bozzetti, romanzi di appendice, anche se a scapito della qualità della analisi concettuale 61. Chi volesse scrivere una storia dell'influenza del modernismo dopo la sua apparente scomparsa dovrebbe anche seguirla in quei campi in cui la teologia si fa "prassi", come la liturgia 62.
3. I "laboratori di riformismo cattolico"
La storia del modernismo, in cui le coordinate ideologiche si intrecciano con quelle "geografiche", vede estendersi, soprattutto in Italia, una fitta rete di gruppi e di conventicole. Tra questi "laboratori di riformismo", come li definisce Bedeschi che ne traccia un'accurata mappa 63, il centro é proprio la città di Roma dove fin dal 1895, mons. Louis Duchesne si era trasferito come direttore dell'Ecole Française e dove von Hügel passava i mesi invernali nel suo villino di via Ludovisi 64. "Roma in quegli anni era modernista" ricorda Minocchi, uno dei protagonisti di questa opera di capillare diffusione delle nuove idee.
Hügel faceva conoscere le tesi di Loisy e Tyrrell ad un piccolo gruppo di amici, laici e sacerdoti, che riuniva periodicamente nel suo villino 65. Tra questi c'era il barnabita padre Paolo Savi, attraverso il quale "von Hügel estendeva la sua influenza sui giovani barnabiti da Semeria, a Ghignoni, a Madonnini" (più noto con Pietro Laudense). Anche padre Genocchi, negli anni di fine secolo, si recava al villino "ogni giorno a passare un paio d'ore" 66; tramite Genocchi veniva interessato "un gruppo più vasto di giovani talenti coalizzati attorno a questi in via della Sapienza" 67.
Più tardi, col nuovo secolo, ospiti del villino saranno, tra gli altri, don Brizio Casciola e don Romolo Murri, don Giovanni Mercati, don Giuseppe Clementi, don Francesco Mari, monsignor Faberi, don Giovanni Pioli. Don Brizio Casciola 68 (1871-1957) ricorda di essere stato iniziato "alla critica biblica e alla teologia modernizzante" proprio dalle molte pubblicazioni dategli da von Hügel 69. Traduttore di Tyrrell, collaboratore di Murri, assistente dell'Unione per il Bene costituita dalla Giacomelli, Casciola fu l'ispiratore religioso della Lega democratica e il consigliere spirituale dei suoi primi dirigenti. "A lui - scrive don Bedeschi - si deve il germe di quella libertà interiore che ha nutrito i cattolici disubbidienti'" 70.
Altri "laboratori" riformisti risultavano essere il Seminario Pio, poi Pio Romano, tenuto sotto osservazione dalle autorità ecclesiastiche per l'accoglienza che sembrava dimostrare alle tendenze più eterodosse 71; l'"Unione per il Bene", con sede in via Arenula , in casa Giacomelli, dove "si tenevano conferenze, discussioni, scuola delle religioni, molto liberamente" 72. Fogazzaro nel Santo, sembra identificare questo sodalizio con l'alloggio dei protagonisti del suo romanzo, i Selva, anch'esso situato in via Arenula 73; ma accanto ad esso merita di essere ricordato il gruppo che si riuniva in casa Molajoni, una famiglia di funzionari pontifici, che risiedeva in piazza Rondanini. Il giovane Pio (1875-1944), figlio dell'anfitrione, ci ha lasciato una vivace descrizione delle riunioni, presentate come le "Catacombe del Santo", in quanto Fogazzaro vi avrebbe desunto molti elementi per il suo romanzo 74. Lo stesso Fogazzaro e Semeria erano i due ospiti più illustri dei dibattiti, a cui però non parteciparono mai contemporaneamente 75.
In via della Sapienza 32, presso la casa dei Missionari del Sacro Cuore, si riuniva quello che Fogazzaro definisce il "circolo del padre Genocchi" 76. Genocchi, già missionario in Turchia e nella Nuova Guinea, tornato a Roma in seguito a malattia nel 1895, aveva tenuto la cattedra di esegesi biblica all'Apollinare per un anno nel 1897-1898, spalancando per la prima volta al clero romano "la porta del metodo storico-scientifico" 77 ed era noto per la sua simpatia per Loisy, di cui cercò di impedire la condanna attraverso le sue relazioni con uomini di curia.
Un altro cenacolo modernizzante frequentato dallo stesso Genocchi era il villino del giovane principe Rufo Ruffo della Scaletta (1888-1959), nei pressi di piazza del Popolo, alle cui riunioni partecipavano studenti universitari e neo-laureati, che malgrado la provenienza generalmente aristocratica auspicavano un cristianesimo "democratico", inteso come una "religione degli umili, dei poveri di spirito, di tutti, non di alcuni speciali iniziati" 78. Aristocratici, gentildonne e sacerdoti si riunivano anche nel salotto della marchesa Maddalena Patrizi 79 (1866-1945) che dopo la morte di Pio X avrebbe preso il posto di donna Maria Cristina Giustiniani Bandini 80 (1866-1959) alla presidenza della Unione Donne di Azione Cattolica, mutandone l'orientamento.
Oltre a don Casciola e a padre Genocchi, si distingueva nelle riunioni di Casa Patrizi mons. Francesco Faberj (1869-1931), a cui Loisy attribuiva il merito della fondazione della Società di studi biblici a Roma nel 1896 (81). L'opera di Loisy era stata diffusa in Italia nelle riviste di Murri e Minocchi, entrambi già convittori al collegio Capranica e alunni al Collegio Romano, nelle pagine de "La Cultura sociale" e degli "Studi religiosi". Mons. Faberi, malgrado i suoi legami con Murri e Buonaiuti, ricoprì dal 1904 al 1912 la carica di segretario del vicariato, che gli consentì di assumere un ruolo non secondario nella diocesi di Roma.
L'ultimo "laboratorio" esaminato da Bedeschi é quello che aveva sede in corso Vittorio Emanuele, in casa dello stesso Buonaiuti, che vi riuniva segretamente un piccolo gruppo di amici e discepoli. A partire dal 1908, ciò acquistò un significato particolare sia per il periodo (dopo la Pascendi), sia per la frequenza (ogni venerdì pomeriggio), sia per il luogo (la sua casa), sia infine per i partecipanti scelti 82. Gli assidui erano don Mario Rossi, don Nicola Turchi (1882-1958), Antonino De Stefano (1880-1964), don Ottorino Coppa ( 1945) don Luigi Piastrelli, don Gustavo Verdesi. Quest'ultimo, in seguito a una crisi spirituale doveva poi svelare tutto al suo confessore, padre Carlo Bricarelli 83 (1857-1931), gesuita della "Civiltà Cattolica", che gli imponeva di farne denuncia al Papa. L'esistenza del cenacolo buonaiutano venne così alla luce con tutta la sua tematica ormai apertamente agnostica e razionalista.
I discepoli di Buonaiuti più che tra i teologi e tra i filosofi si collocheranno tra gli storici del cristianesimo e della Chiesa che abbandonarono il dibattito dottrinale per fare teologia nella storia e attraverso il metodo storico 84. Buonaiuti ritiene che il metodo storico sia "destinato a divenire il vero locus theologicus della Rivelazione cristiana" 85; ma il metodo storico elevato a principio teologico porterà i suoi discepoli più coerenti a ripercorrere l'itinerario protestante dal "metodo" al "dogma" del libero esame, già prefigurato dagli anabattisti italiani del secolo XVI. Tra gli adepti del circolo di Buonaiuti, una figura che non va dimenticata é quella di Giovanni Pioli 86 (1877-1969), vice rettore, fino all'11 gennaio 1908 del Collegio Internazionale di Propaganda, che dopo pochi mesi abbandonò la Chiesa per scivolare in un liberalismo religioso aconfessionale non molto diverso da quello professato dagli eretici italiani del cinquecento, come emerge dalla biografia che successivamente dedicò a Fausto Socino.
L'analogia tra i modernisti e gli eretici italiani del '500 si riscontra nel metodo della dissimulazione, per il quale Delio Cantimori coniò il termine di "nicodemismo" 87. "Saper dissimulare le proprie batterie é uno dei principi essenziali della guerra moderna. Fu anche uno dei caratteri distintivi del movimento modernista, quello di associare all'attacco diretto contro i dogmi la più estrema varietà di sotterfugi" ha osservato Riviére 88, ricordando il consiglio dato dal suo letto di morte dal Santo di Fogazzaro 89: "Non pubblicate mai scritti intorno a questioni religiose difficili perché siano venduti, ma distribuiteli secondo prudenza e mai non vi apponete il vostro nome" 90.
Di fronte alla condanna della Pascendi, l'atteggiamento dei modernisti fu analogo a quello dei giansenisti all'indomani della condanna delle proposizioni di Giansenio e della bolla Unigenitus del 1713: negarono di riconoscersi nelle proposizioni condannate, affermando che il modernismo, quale era condannato nell'enciclica, era una chimera 91.
Un testimone dal "di dentro" come Albert Houtin descrivendo il piano del modernismo prevedeva che i novatori non sarebbero usciti dalla Chiesa, neppure nel caso che avessero perso la fede, ma che vi sarebbero restati il più a lungo possibile per propagare le loro idee 92. "E' in questo senso che fu convenuto verso il 1903 e che si scriveva ancora nel 1911 che nessun vero modernista, laico o sacerdote, avrebbe potuto lasciare la Chiesa o la talare, perché altrimenti avrebbe in quel momento cessato di essere modernista nel senso elevato del termine" 93; "contemporaneamente alla Delenda Carthago, perchè non praticare la Dissolvenda?" 94.
"Fino ad oggi - spiegava Buonaiuti - si é voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo; ma é difficile. Hic opus, hic labor" 95. Il modernismo si proponeva, in questa prospettiva, di trasformare il cattolicesimo dall'interno, lasciando intatto, nei limiti del possibile, l'involucro esteriore della Chiesa. "Il culto esteriore - continua Buonaiuti - durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice, più liberale, e questo più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato; un protestantesimo che non distruggerà la continuità apostolica del ministero ecclesiastico nè l'essenza stessa del culto" 96.
Queste parole, a quasi cent'anni di distanza dalla "crisi modernista", vanno meditate, tanto più che il Programma dei modernisti e le Lettere di un prete modernista, così come le sue riviste e, più in generale, la sua attività e la sua fitta rete di relazioni in Italia e in Europa, fanno di Buonaiuti la personificazione del modernismo italiano 97.
NOTE
1 Emile Poulat, Modernistica. Horizons, Physionomies, Dèbats, Nouvelles Editions Latines, Paris 1982, p. 9.
2 Lo stesso Paolo VI, nel 1972, ricordava gli errori espressi in quel modernismo che "sotto altri nomi é ancora di attualità" (Udienza generale del mercoledì, 19 gennaio 1972, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. X, Poliglotta Vaticano, Città del Vaticano 1973, p. 56).
3 Le origini prossime del modernismo vanno cercate oltre che nell'"americanismo", condannato dalla lettera apostolica Testem benevolentiam del 22 gennaio 1899 di Leone XIII (testo della lettera in ASS, 31 [1898-1899], pp. 474-478), e in cui Jean Riviére vede una sorta di "prèface pratique du modernisme" (Le modernisme dans l'Eglise, Letouzey et Anè, Paris 1929, p. 187), nel protestantesimo liberale, i cui principi furono volgarizzati da Auguste Sabatier (1839-1901) nello scritto Esquisse d'une philosophie de la religion d'aprés la psychologie et l'histoire (Fischbacher, Paris 1897). Più remotamente le sue premesse possono essere riscontrate in Lamennais e nelle scuole "liberal-cattoliche" che ad esso si richiamarono. Tra i precursori meno noti, va ricordato il riformatore religioso polacco Andrzej Towianski (1799-1878), le cui teorie gnostiche e misticheggianti ebbero in Italia un adepto nel presidente del Senato Tancredi Canonico e influenzarono Antonio Fogazzaro (Enrico Rosa, Una fonte ignorata del modernismo di A. Fogazzaro, "Civ. Catt.", 1912, iii (1913), pp. 3-18) e don Brizio Casciola ("Fonti e documenti", vol. VIII, p. 335). Su questa figura e la sua influenza cfr. anche Alessandro Zussini, Andrei Towianski. Un riformatore polacco in Italia, Dehoniane, Bologna 1970.
4 E. Poulat, Modernistica, cit., p. 23.
5 L'ex benedettino francese Albert Houtin (1867-1926), che nel suo volume Histoire du Modernisme catholique (chez l'Auteur, Paris 1913) dedicherà un capitolo alla storia del termine modernismo (ivi, pp. 81-95), scriverà al suo corrispondente novarese Angiolo Gambaro (1883-1967) di aver incontrato per la prima volta il termine di "modernismo" in uno scritto di mons. Umberto Benigni su La mise à l'index de Loisy et Houtin, apparso nella "Miscellanea di storia ecclesiastica e studi ausiliari" diretta dallo stesso Benigni nel gennaio 1904 a p. 100 (Lettera del 13 dicembre 1911, in Corrispondenza Gambaro-Houtin [1911-1926], a cura di Lorenzo Bedeschi, in "Fonti e Documenti", n. 8 [1979], p. 327).
6 Ernesto Buonaiuti, Modernismo, in Dizionario delle Opere, Milano, Bompiani 1947, vol. I, p. 158.
7 E. Buonaiuti, Storia del Cristianesimo, Dall'Oglio, Milano 1943, vol. iii, p. 622.
8 E. Buonaiuti, Storia del Cristianesimo, cit., p. 618.
9 Cfr. Pietro Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico, Il Mulino, Bologna 1969, pp. 20-61; Maurilio Guasco, Fermenti nei seminari del primo novecento, Bologna 1971, pp. 103-112. Il rifiuto di Leone XIII morente di mettere all'indice il libro di Loisy mostra, secondo Houtin, la potenza che avevano raggiunto le nuove idee alla fine del pontificato di Leone XIII (A. Houtin, cit., p. 97). L'abbè Emmanuel Barbier (1851-1924), in Le progrès du libèralisme catholique en France sous le Pape Lèon XIII. Histoire documentèe (Lethielleux, Paris 1907, 2 voll.), si propose di documentare, con qualche forzatura, l'esistenza di una contraddizione tra il magistero anti-liberale di Leone XIII e la sua politica che avrebbe favorito gli errori religiosi e sociali del tempo, affermando che "comme persone privèe et comme homme politique le Souverain Pontife Lèon XIII s'est trompèe dans des questions de la plus grande importance et ses erreurs ont eu des consèquences dèsastreuses" (vol. i, p. 12). A causa di queste affermazioni l'opera fu messa all'Indice.
10 Sulla discussione attorno al volumetto di Loisy, si veda E. Poulat, Storia, dogma e critica nella crisi modernistica, con la prefazione di Guido Verucci, Morcelliana, Brescia 1967, pp. 38-78, 85-122, con tutte le indicazioni bibliografiche relative; M. Guasco, Alfred Loisy in Italia, Giappichelli, Torino 1975. Dello stesso Poulat, cfr. Critique et mystique. Autour de Loisy ou la conscience catholique et l'esprit moderne, Centurion, Paris 1984.
11 Su mons. Duchesne, si veda B. Wache, Monseigneur Louis Duchesne (1843-1922), Ecole Française de Rome, Rome 1922 e gli atti del convegno organizzato dalla Ecole Française di Roma, Monseigneur Duchesne et son temps, Ecole Française de Rome, Rome 1975.
12 L'opera, pubblicata dall'editore Picard, il 17 gennaio 1903 fu condannata dal cardinale François Marie Richard, arcivescovo di Parigi. Il 23 dicembre dello stesso anno fu inserita nell'Indice dei libri proibiti insieme ad altre quattro opere di Loisy: La religion d'Israel, Etudes Evangèliques, Autour d'un petit livre, Le quatriéme Evangile. Loisy fu scomunicato personalmente il 7 marzo 1908. Cfr. A. Loisy, Il Vangelo e la Chiesa e Intorno a un piccolo libro, con un saggio introduttivo di L. Bedeschi, tr. it. Ubaldini, Roma 1975.
13 Per un bilancio della discussione, cfr. G. Forni, L' "essenza del Cristianesimo". Il problema ermeneutico nella discussione protestante e modernista (1897-1940), Il Mulino, Bologna 1992.
14 Alfred Loisy, Choses passèes, Nourry, Paris 1913, p. 246. "Storicamente parlando - ricorderà Loisy - io non ammettevo che Cristo avesse fondato la Chiesa e i Sacramenti, professavo che i dogmi si erano formati gradualmente e che non erano immutabili lo stesso ammettevo per l'autorità ecclesiastica, di cui facevo un ministero di educazione umana. Non mi limitavo dunque a criticare Harnack. Insinuavo con discrezione, ma effettivamente, una riforma sostanziale dell'esegesi cattolica, della teologia ufficiale, del governo ecclesiastico in generale"; Mèmoires pour servir à l'histoire religieuse de notre temps, Nourry, Paris 1930-33, vol. ii, pp. 168-169.
15 La bibliografia delle opere di Tyrrell si può trovare in Thomas Michael Loome, A Bibliography of the published writings of George Tyrrell, pp. 280-314 e Id., A Bibliography of the printed works of George Tyrrell: supplement, pp. 161-164. Su Tyrrell si veda Domenico Grasso, La conversione e l'apostasia di G. Tyrrell, in "Gregorianum", 38 (1957), pp. 446-480; Daniele Rolando, Cristianesimo e religione dell'avvenire in George Tyrrell, Le Monnier, Firenze 1978, e la tesi per il dottorato in teologia di Stefano Visintin o.s.b., Rivelazione divina ed esperienza umana. La proposta di George Tyrrell e la risposta di Karl Rahner, Peter Lang, Bern 1999. Tyrrell fu scomunicato dopo che egli criticò nel giornale inglese "The Times" (30 settembre, 1 novembre 1907) i documenti pontifici di condanna del modernismo. Documenti importanti per comprenderne il pensiero sono la Autobiografia e biografia pubblicata da Maude Petre, sua esecutrice testamentaria, con il titolo Autobiography and Life of George Tyrrell, Edward Arnold, London 1912 (traduzione parziale in italiano Autobiografia e biografia, a cura di M.D. Petre, Milano 1915) e le Lettres de Georges Tyrrell à Henri Bremond, Aubier-Montaigne, Paris 1971, corrispondenza di cui abbiamo le risposte di Tyrrell, ma non le lettere di Brèmond, che sembrano perdute.
16 E. Buonaiuti, Storia del Cristianesimo, cit., p. 651.
17 M. Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995, p. 59. "La mia teoria - scrisse Tyrrell - può qualificarsi un amalgama di Loisy, Blondel, Munsterberg, Eucken, ecc.: io non ho fatto che mescolare l'infuso"; Autobiografia e biografia, cit., p. 416.
18 Cfr. la sua Lettera a un modernista italiano del 31 dicembre 1907, cit. in E. Buonaiuti, Il modernismo cattolico, cit., p. 182.
19 G. Tyrrell, Through Scylla and Charybdis, London, Green and Co. 1907, pp. 305-306.
20 Cfr. Jean Guitton, La philosophie de Newman. Essai sur l'idèe de dèvèloppement, Boivin, Paris 1933, pp. 166 ss. L'ortodossia del Newman fu del resto difesa dallo stesso Pio X nella lettera al vescovo di Limerick del 10 marzo 1908; ASS, 41 (1908), p. 201.
21 "Elle - scrive Tyrrell della Petre - a l'air de croire qu'il sera tout à fait simple pour nous de vivre ensemble si je quitte la Compagnie et elle a des rèves à la Paul et Virginie, C™te d'Azur et clair de lune"; lettera a Bremond del 26 maggio 1907 in Lettres, cit., p. 209.
22 AA.VV., Laberthonniére. L'homme et l'Ïuvre. Introduction à sa pensèe, a cura di P. Beillevert, Beauchesne, Paris 1972 (con ampia bibliografia, pp. 243-276). Importante la Correspondance philosophique di Laberthonniére con Blondel, a cura di C. Tresmontant, Seuil, Paris 1961, su cui cfr. gli studi di A. Fabriziani in "Studia patavina", 25 (1978), pp. 45-74.
23 Su Blondel, cfr. Renè Virgoulay, Blondel et le Modernisme: la philosophie de l'action et les sciences religieuxes (1896-1913), Cerf, Paris 1980; Id., "L'Action" de Maurice Blondel. 1893. Relecture pour un centenaire, Beauchesne, Paris 1992. Importante la Correspondance citata con Laberthonniére e quella con Teilhard de Chardin (Beauchesne, Paris 1965) e J. Wehrlè (Aubier, Paris 1969) commentate da padre Henri de Lubac.
24 E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma, Roma, Darsena 1945, p. 63. Buonaiuti ricorda l'"intimo senso di voluttuoso compiacimento" con cui trascorse nella lettura dell'opera di Blondel la prima notte del secolo ventesimo (ivi, p. 43).
25 G. Tyrrell, Autobiografia e Biografia, cit., p. 333.
26 G. Tyrrell, Lettres à Henri Bremond, cit., p. 271.
27 Su Le Roy, cfr. Mgr Rudolf Michael Schmitz, Dogma und Praxis. Der Dogmenbegriff der Modernisten Edouard Le Roy Kritisch Dargestellt, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993.
28 Cfr. Maurice Nèdoncelle, La pensèe religieuse de Friedrich von Hügel, Vrin, Paris 1935, p. 14. Cfr. anche J.P. Whelan, sub voce, in DSp, vii (1971), coll. 852 ss., con ampia bibliografia; John J. Heaney, The Modernist Crisis: von Hügel, G. Chapman, London 1969; Bernard Holland (ed.), Baron Friedrich von Hügel: Selected Letters, 1896-1924, Dent, London 1928.
29 F. Heer, Europa madre delle rivoluzioni, tr. it., Mondadori, Milano 1968, vol. II, p. 338. Accanto a von Hügel figurò, come "agente di collegamento" Henri Bremond (1865-1933), uscito dalla Compagnia di Gesù nel 1904 e successivamente celebre per la Histoire du sentiment religieux en France (1920-1936) in 12 volumi che gli valse di succedere al Duchesne nell'Accademia di Francia. Cfr. su di lui le voci di P. Deborgne in DHGE, X (1938), coll. 518-529 e J. De Guibert, in DSp, I (1937), coll. 1927-1938; Emile Goichot, En marge de la crise moderniste: la correspondance Bremond - von Hügel, "Revue des Sciences religieuses", XXLVIII (1974), pp. 209-234; Les annèes critiques (1900-1907), ibid. XLIX (1957), pp. 202-233; L'affaire Tyrrell, ibid., LIII (1979), pp. 124-146; Armando Savignano, Henri Bremond e il modernismo, "Rivista di Filosofia neo-scolastica", 4 (1982), pp. 627-649.
30 Giuseppe Prezzolini, Cos'é il modernismo, Treves, Milano 1908, p. 75.
31 Paul Sabatier, Les modernistes, Fischbacher, Paris 1909, p. LI. Cfr. Friedrich W. Graf, sub voce, TRE, 29 (1998), pp. 514-518, con bibliografia.
32 A. Houtin, cit., p. 140.
33 E. Buonaiuti, Modernismo cattolico, Guanda, Modena 1943, p. 133. "I primi passi di questa rivista segnano veramente la data di nascita del modernismo italiano, l'aurora della crisi nella quale fu involto il cattolicesimo nel territorio più vicino al seggio Pontificio" (ivi).
34 Salvatore Minocchi, professore di lingua e letteratura ebraica all'università di Firenze (1901-1909) e poi di Pisa (1909-1922) fu sospeso a divinis nel 1907 e depose l'abito talare l'anno successivo; si sposò civilmente nel 1912. Su di lui, cfr. Attilio Agnoletto, Salvatore Minocchi. Vita ed opera, Morcelliana, Brescia 1964, con un elenco degli scritti editi e inediti; id., sub voce, DSMCI, II, pp. 388-391. Dello stesso Minocchi, cfr. inoltre Memorie di un modernista, Vallecchi, Firenze 1974.
35 Sul Semeria cfr. la voce di Antonio M. Gentili, in DSMCI, II, pp. 596-602 e il saggio introduttivo di A. Gentili e Annibale Zambarbieri al carteggio Semeria-Vigorelli, Il caso Semeria, in "Fonti e Documenti" (1975), pp. 54-216.
36 Su padre Genocchi, ravennate, superiore della Procura Romana dei Missionari del S. Cuore, cfr. le voci di Rocco Cerrato, in DBI, 53 (1999), p. 134-138 e di Francesco Turvasi, in DHGE, 20 (1984), p. 488-493; dello stesso Turvasi: Padre Genocchi, il Sant'Uffizio e la Bibbia, Dehoniane, Bologna 1971, e Giovanni Genocchi e la controversia modernista, Storia e Letteratura, Roma 1974.
37 Su mons. Fracassini, cfr. le voci di M. Guasco in DHGE, 17 (1971) coll. 1367-1369 e R. Cerrato, in DBI, 49 (1997), pp. 541-543.
38 Buonaiuti fu scomunicato e sospeso a divinis, in seguito a un procedimento durato più di dieci anni, il 14 gennaio 1921. Su Buonaiuti cfr. la voce di Fausto Parente in DBI, XV (1972), pp. 112-122 con bibl. e quella di A. Zambarbieri, in DSMCI, II, pp. 58-66; Id., Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento. Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase della polemica modernista, Morcelliana, Brescia 1979. Fondamentale rimane la sua autobiografia, Pellegrino in Roma, cit.
39 Lettera di padre Genocchi a Umberto Pestalozzi del 2 novembre 1914, cit. in F. Turvasi, Buonaiuti e i missionari del Sacro Cuore, "Fonte e Documenti", 1 (1972), p. 394.
40 Su Murri cfr. l'ampia voce di M. Guasco in DSMCI, II, pp. 414-422 con bibliografia; Id., Romolo Murri e il modernismo, Cinque Lune, Roma 1968; Id., Il caso Murri dalla sospensione alla scomunica, Argalia, Urbino 1978; Carteggio a cura di L. Bedeschi, Edizioni Storia e Letteratura, Roma 1970; Aa.Vv. Romolo Murri nella società civile e religiosa del suo tempo, a cura di G. Rossini, Cinque Lune, Roma 1972.
41 Luigi Dal Pane, Antonio Labriola e Romolo Murri, in Scritti di sociologia e politica in onore di Luigi Sturzo, vol. I, Zanichelli, Bologna 1953, pp. 517-553. Nel 1908 Murri dedicava il suo libro La filosofia nuova e l'enciclica contro il modernismo ai "miei maestri" Billot e Labriola.
42 R. Murri, La filosofia nuova e l'enciclica contro il modernismo, Società Nazionale di Cultura, Roma 1907.
43 Cfr. Francesco Traniello, Cattolicesimo conciliarista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontese: 1825-1870, Milano 1970; Ettore Passerin d'Entréves, Cattolici liberali in DSMCI, I/2, pp. 2-9. Houtin vede le origini prossime del modernismo italiano in questo filone conciliatorista che aveva avuto come suoi esponenti figure come il sacerdote Antonio Stoppani (1824-1891), il cardinale Alfonso Capecelatro (1824-1912) e mons. Geremia Bonomelli (1831-1914), il cui liberalismo religioso avrebbe costituito "une excellente prèparation pour des doctrines plus avancèes"; A. Houtin, cit., p. 107. Sul modernismo lombardo, cfr. Aa.Vv., Aspetti religiosi e culturali della società lombarda negli anni della crisi modernista: 1898-1914, Cairoli, Como 1979.
44 Sul Gallarati Scotti, cfr. la voce di Nicola Raponi, in DBI, 51 (1998), pp. 519-526; id., Tommaso Gallarati Scotti tra politica e cultura, Vita e Pensiero, Milano 1971. cfr. anche Aa.Vv., Tre cattolici liberali. Alessandro Casati, Tommaso Gallarati Scotti, Stefano Jacini, a cura di A. Pellegrini, Adelphi, Milano 1972.
45 Su Fogazzaro resta essenziale Tommaso Gallarati Scotti, La vita di Antonio Fogazzaro, pubblicata nel 1920 dalla casa editrice Baldini e Castoldi; cfr. ora l'edizione di Arnaldo Mondadori, Milano 1963 (1934). cfr. anche la voce di Lucia Strappini, in DBI, 48 (1997), pp. 420-428. Su Fogazzaro e i "fogazzariani" cfr. Giovanni Casati, I libri letterari condannati dall'"Indice". Saggi, con prefazione di S. E. il card. Pietro Maffi, Romolo Ghirlanda, Milano 1921, pp. 359-404 e L. Bedeschi, Il modernismo italiano cit., pp. 114-133; Id., Fogazzaro e il modernismo, in "Humanitas", Brescia XLVII (1992) n. 5, pp. 704-716.
46 Sul convegno di Molveno, cfr. I veri promotori del convegno di Molveno, a cura di N. Raponi, "Fonti e Documenti", 16-17 (1987-1988), p. 348-349 e, in sintesi, M. Guasco, Modernismo, cit., p. 150-155. Con un gran numero di questi esponenti del modernismo italiano, don Luigi Orione intesserà una sorprendente "rete di rapporti" fraterni e duraturi. Si veda più avanti il capitolo di F. Peloso "Una rete di rapporti". Tali rapporti erano basati non tanto sul piano della discussione delle idee quanto piuttosto su quello della carità fraterna e della solidarietà verso categorie di persone più svantaggiate.
47 E. Buonaiuti, Il Programma dei Modernisti, Roma, Soc. Interna Scientifico-Religiosi 1908. Il documento si deve anche a Fracassini e a Semeria. Buonaiuti, in una lettera a von Hügel ammette "il debito semeriano" del proprio lavoro, avendo seguito nella parte filosofica un piano suggerito dal barnabita (Pellegrino di Roma, pp. 88-89). Un decreto del vicariato di Roma [ASS, XL (1907], p. 720), comminò la scomunica a coloro che avessero redatto o, in qualunque modo preso parte, alla realizzazione dell'opera.
48 Il programma dei modernisti, cit., p. 100.
49 Lettere di un prete modernista, Libreria Editrice Romana, Roma 1908. "Le Lettere di un prete modernista sono tutte mie - confermò Buonaiuti a Houtin - tranne una ventina di pagine della seconda lettera che sono dell'amico Turchi"; Lettera di Buonaiuti a Houtin del 7 maggio 1908, in "Fonti e Documenti", 1 (1972), pp. 48-50.
50 M. Guasco, Modernismo, cit., p. 169.
51 J. Riviére, Le modernisme dans l'Eglise, Letouzey et Anè, Paris 1929, p. 89.
52 Lorenzo Bedeschi, Il modernismo italiano. Voci e volti, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1995, p. 53.
53 L'opera di Fogazzaro fu pubblicata a Milano dalla casa editrice Baldini e Castoldi nel novembre 1905 e fu subito tradotta in diverse lingue, ottenendo grande successo soprattutto nei paesi di lingua inglese. Fu inserita nell'Indice dei Libri proibiti il 5 aprile 1906. Fogazzaro si sottomise alla condanna, ma continuò a sostenere pubblicamente le stesse idee.
54 G. Tyrrell, lettera a Bremond d
*******************************
Ap - Nemici della Ch: Il Modernismo (2 di 3)
05
|
Dic2004
Inserito da admin
Argomento: Apologetica
L'anti modernsimo sotto San Pio X. Il Magistero antimodernista di san Pio X: i contenuti dell'enciclica Pascendi, del Decreto Lamentabili e del Motu Proprio Sacrorum Antistitum. I pochi collaboratori di San Pio X nella difesa dell'ortodossia. Il Servo di Dio Card. R. Merry del Val. Mons. Benigni e il Sodalitium Pianum. La "leggenda nera" su Mons. Benigni. La Compagnia di Gesù al centro della tempesta. Il pretesto della riconciliazione come affermazione della «terza forza»....
II. L’antimodernismo sotto Pio x
II. L’antimodernismo sotto Pio x
Testo del prof. Roberto de Mattei
tratto dall'opera "Don Orione negli anni del modernismo",
edita da Jaca Book, Milano 2002, pp. 320, Euro 23, ISBN 8816-30386-7
http://www.jacabook.it/ricerca/schedalibro.asp?idlibro=2714,
e curato da Don Flavio Peloso dell'Opera Don Orione,
tratto dall'opera "Don Orione negli anni del modernismo",
edita da Jaca Book, Milano 2002, pp. 320, Euro 23, ISBN 8816-30386-7
http://www.jacabook.it/ricerca/schedalibro.asp?idlibro=2714,
e curato da Don Flavio Peloso dell'Opera Don Orione,
http://213.156.45.144/m2wa/donorione/messaggi/articolo.asp?ID=129 ,
qui riprodotto per gentile concessione del curatore e dell'editrice.
1. Il Magistero antimodernista di san Pio X
La reazione antimodernista all’interno della Chiesa si riassume emblematicamente nell’opera di magistero e di governo di Pio X anche senza evidentemente esaurirsi in essa. Il numero dei collaboratori pienamente fedeli agli orientamenti del Pontefice fu tuttavia meno consistente di quanto si possa immaginare e gli antimodernisti costituirono, come i modernisti, una minoranza all’interno della Chiesa.
Quando, il 4 agosto 1903, cardinale Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia, venne elevato al soglio pontificio, il padre Semeria ne apprese la notizia da don Minocchi in Russia. «Chi han fatto Papa?», domandò. «Sarto – rispose Minocchi – con il nome di Pio X». «Un reazionario! Siamo fritti», rispose Semeria1.
Il «reazionario» Pio X, «fu nel medesimo tempo – come ben sottolinea Roger Aubert – uno dei più grandi pontefici riformatori della storia»2. Il suo programma di restaurazione della società cristiana, riassunto dalla formula Instaurare omnia in Cristo, implicava, oltre alla ferma difesa dell’ortodossia della Chiesa minata dal modernismo, anche un vasto programma di iniziative pastorali e di riforme, a cominciare da quella della Curia pontificia. La reazione di Pio X contro il modernismo non fu d’altra parte, semplice repressione, ma profonda riflessione e fermo giudizio sui problemi che esso sollevava. Ciò risulta chiaramente dalla enciclica Pascendi3, l’atto più significativo del suo regno e uno dei documenti pontifici di maggior spessore teoretico del secolo XX. La Pascendi venne preceduta dal decreto Lamentabili4 che sta ad essa come il Sillabo alla Quanta cura e fu seguita dal giuramento antimodernista Sacrorum antistitum, che ne costituisce il compimento.
L’ampio ed elaborato documento è diviso in tre punti in cui vengono analizzate e ricondotte a unità le diverse personalità che si fondono nei fautori del modernismo: il teologo, lo storico, il critico, l’apologeta, il riformatore. Seguono le istruzioni disciplinari che i vescovi debbono attuare nella scelta dei professori nei seminari e per l’incremento degli studi filosofici, teologici e delle materie profane ausiliarie.
Per Pio X, l’agnosticismo, secondo cui la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni e non può innalzarsi a Dio, né conoscerne l’esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili, costituisce l’aspetto negativo del modernismo5. La dottrina dell’immanenza vitale ne costituisce l’aspetto positivo6.
L’immanenza, come ogni fenomeno vitale, nasce per i modernisti da un bisogno che sorge a sua volta da un «movimento del cuore», un sentimento religioso, la cui specificità è la fede che non poggiando su alcune premesse razionali è in realtà fideismo. La fede per essi non è l’adesione dell’intelligenza ad una verità rivelata da Dio, ma una esigenza religiosa che per «vitale immanenza» si sprigiona dall’oscuro fondo (subcoscienza) dell’anima umana. L’immanenza postula l’equivalenza tra coscienza e rivelazione intesa come l’apparire di Dio all’anima: di qui «la legge che erige la coscienza religiosa a regola universale sullo stesso piano della rivelazione e alla quale tutto deve essere sottoposto, perfino l’autorità suprema, nella sua triplice manifestazione, dottrinale, culturale, disciplinare»7.
L’immanenza viene applicata dal teologo alle formule e verità di fede con la conclusione che le rappresentazioni della realtà divina si riducono a «simboli», espressioni di particolari situazioni di coscienza la cui «formula intellettuale» muta a secondo dell’«esperienza interiore» del credente. Le formule del dogma, per i modernisti, non contengono verità assolute: esse sono immagini della verità che devono adattarsi al sentimento religioso8.
Il modernismo respinge i concetti della trascendenza teologica di Dio rispetto al creato, della divinità di Gesù Cristo, considerata unicamente presente nella coscienza del credente e della divinità della Chiesa, prodotto dell’esperienza collettiva. In ultima analisi l’unica formula valida della verità religiosa si risolve nella struttura che la coscienza dà a sé stessa di fronte ai singoli problemi della fede. In questo senso viene capovolta la prospettiva tradizionale secondo cui l’esperienza religiosa può essere soltanto un valore secondario e indipendente dalla Rivelazione e dal Magistero ecclesiastico e si riprende il tentativo dello gnosticismo di abbracciare tutte le istanze della verità attraverso un principio unico, la soggettività della verità e la relatività di tutte le sue formule9.
Il nucleo del modernismo per Pio X non consiste tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di «verità», mediante l’accettazione del «principio di immanenza» che sta a fondamento del pensiero moderno10, come riassume la proposizione 58 condannata dal Decreto Lamentabili: «La verità non è più immutabile dell’uomo stesso, giacché essa si evolve con lui, con lui per lui». Dio stesso si fa in noi e non sarà mai attuato in pieno perché il divenire non può arrestarsi. La conseguenza di quest’errore è la professione dell’evoluzione dei dogmi: il significato e valore dei dogmi non proviene più dal loro immutabile contenuto, ma dall’«esperienza religiosa» del credente, dall’emozione soggettiva che il dogma può suscitare in lui. Contrariamente ai principi di identità, di contraddizione e di causalità, il divenire è a se stesso la sua ragione, senza una causa superiore, in un vortice evolutivo in cui l’essere si confonde con il non essere, il vero con il falso, il bene col male.
Considerata nella sua struttura fortemente teoretica ed anche nel suo inconfondibile stile, la Pascendi può essere considerata come un documento fondamentale del Magistero della Chiesa e fra tutti gli atti di Pio X resta «il monumento più insigne del suo pontificato»11. Essa, come sottolinea Poulat12, è lo sbocco logico dell’orientamento vigorosamente affermato da Pio X, circa mezzo secolo prima, nel Sillabo (1864): «Pio IX denunciava gli errori ad extra (all’esterno della Chiesa) che correvano nel mondo; Pio X, al contrario, colpiva un fenomeno ad intra (all’interno della Chiesa), colpendo quegli stessi errori che si erano infiltrati nella Chiesa, dove avevano preso forme e radici»13.
La Pascendi costituirà un riferimento anche per l’enciclica Humani generis di Pio xii14 e la Fides et Ratio di Giovanni Paolo ii15.
Il documento di Pio x fu inaspettatamente elogiato per la sua potenza filosofica e la sua coerenza dai due principali pensatori «laici» dell’Italia del tempo, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Croce, dopo la pubblicazione dell’enciclica, scrisse un articolo sul «Giornale d’Italia» del 13 ottobre 1907, dal titolo Insegnamenti cattolici di un non cattolico. Benedetto Croce a Salvatore Minocchi in cui concludeva ponendo ai modernisti l’alternativa: «o andare innanzi o tornare indietro. Ossia, o ricongiungersi ritardatari alle schiere dei pensatori non confessionali: o, dopo essersi dibattuti vanamente per qualche tempo, ricadere nel cattolicesimo tradizionale»16. Gentile da parte sua scriveva che «in verità l’enciclica Pascendi dominicis gregis è una magistrale esposizione e una critica magnifica dei principi filosofici di tutto il modernismo: e l’accusa di sfiguramento (secondo il termine tolto a prestito dall’enciclica stessa) che l’enciclica avrebbe fatto di esso modernismo, è gridio di paperi, come avrebbe detto il Carducci. L’autore dell’enciclica ha visto fino in fondo e interpretato esattamente, da critico enunctae naris, la dottrina giacente nelle esigenze filosofiche, teologiche, apologetiche, storiche, critiche, sociali dell’indirizo modernista»17.
L’opera antimodernista di san Pio x fu coronata dal Motu proprio Sacrorum antistitum del 1 settembre 191018 e dal giuramento che esso imponeva. «Questo giuramento, senza nulla aggiungere di essenziale agli atti precedenti, ne è quasi un solenne riassunto»19: esso costituisce una positiva e diretta riaffermazione delle dottrine cattoliche alle quali si oppongono le eresie moderniste.
In particolare il giuramento respinge «l’eretica invenzione della evoluzione dei dogmi, secondo la quale tali dogmi cambierebbero di significato per riceverne uno diverso da quello che è stato dato loro dalla Chiesa agli inizi»20 e rigetta la concezione modernista che vede nella dottrina cristiana una «creazione della coscienza umana» che si sarebbe formata poco a poco con lo sforzo degli uomini e dovrebbe perfezionarsi indefinitamente. La Chiesa ribadisce che la «dottrina della fede» è stata «trasmessa dagli apostoli e dai Padri ortodossi» come un «deposito divino» e non come un prodotto umano, frutto del pensiero o della coscienza dell’uomo. Infine l’ultimo articolo, fondendo la dottrina del concilio Vaticano i e quella della Pascendi ricorda che la fede non è «un cieco sentimento religioso che erompe dalle oscurità del subcosciente», ma che essa è «un vero assenso dell’intelletto» alla verità rivelata da Dio21.
Nel corso del suo pontificato, Pio x seguì personalmente l’esecuzione delle disposizioni dell’enciclica e quelle relative al giuramento antimodernista. Questi interventi e le sanzioni ecclesiastiche che colpirono i protagonisti, circoscrissero la portata e gli effetti del movimento ma non valsero ad arrestarne il corso né a frenarne la profonda influenza.
2. I collaboratori di Pio X nella difesa dell’ortodossia
De gentibus non est vir mecum (Is. 63,3), aveva confidato Pio x a mons. Archi che era stato suo metropolitano a Venezia22. La croce del suo pontificato fu la solitudine nell’affrontare la lotta, con pochi veri e devoti collaboratori all’interno dell’episcopato italiano e della stessa Curia romana. Oltre alla sua segreteria, diretta da mons. Giambattista Bressan (1861-1950), Pio x fu coadiuvato soprattutto da due cardinali23, il segretario di Stato Rafael Merry del Val24 (1865-1930) e il prefetto della Congregazione Concistoriale per i Vescovi Gaetano De Lai25 (1853-1928). Se De Lai rappresentò, secondo alcuni, «l’uomo forte del pontificato»26, Merry del Val fu realmente unito a Pio x «cor unum et anima una»27, in undici anni di aspre lotte su molteplici fronti. Una unione intima e costante tra due uomini di così diverse provenienze che si spiega solo, come ben sottolinea Orio Giacchi, se si pensa «all’altissima atmosfera in cui le due anime vivevano»28: canonizzato il Pontefice, in attesa di beatificazione il suo Segretario di Stato, i due personaggi illuminarono indubbiamente con le loro personalità un’oscura epoca nella storia della Chiesa.
Mons. Alfonso Archi (1844-1938), chiamato nel 1905 alla diocesi di Como che resse fino al 1925, e mons. Giovanni Volpi29 (1860-1931) vescovo di Arezzo dal 1904 al 1919, furono i due presuli più vicini a Pio x, rappresentando «le due punte più in vista dell’antimodernismo all’interno dell’episcopato italiano»30. Entrambi furono, oltre che zelanti pastori, insigni direttori di anime. Mons. Archi fu direttore spirituale della visitandina Benigna Consolata Ferrero31 (1885-1916), di cui è in corso il processo di beatificazione; mons. Volpi, già vicario e vescovo ausiliare della diocesi di Lucca, lo era stato della beata Elena Guerra (1835-1914) e di santa Gemma Galgani (1878-1903)32. I loro nomi non avevano tuttavia il prestigio e l’influenza di altri vescovi, come il cardinale di Pisa, Pietro Maffi (1858-1931) e il cardinale arcivescovo di Milano Andrea Carlo Ferrari (1850-1921), favorevoli alla cosiddetta «stampa di penetrazione», avversata dal Pontefice che appoggiava quei giornali che affermassero apertamente e senza compromessi i principi cattolici in tutti i settori della vita cristiana33.
Il quotidiano «L’Unità cattolica» fondato nel 1863 a Torino da don Giacomo Margotti (1883-1887), poi trasferito a Firenze nel 1892 e affidato alla direzione di Giuseppe Sacchetti (1845-1906) era il più importante quotidiano intransigente dell’epoca e il più vicino a Pio x34. Esso fu diretto da due giovani sacerdoti, don Paolo de Toth35 (1881-1965) e poi don Alessandro Cavallanti36 (1879-1917).
A Breganze, nella diocesi di Vicenza, uscì dal 1890 al 1915, la rivista «La Riscossa, Per la chiesa e per la patria» dei fratelli Scotton37, Jacopo (1834-1909), Andrea (1838-1915) e Gottardo (1845-1916). Nella rivista, voce ufficiosa dell’Opera dei congressi, più volte incoraggiata dalla Segreteria di Stato38, Paul Sabatier vedeva, con l’«Unità Cattolica», lo «specchio del pensiero di Pio x»39.
A Genova infine, nel 1908, l’«Eco d’Italia» divenne «La Liguria del Popolo» sotto la direzione di don Giovanni Boccardo40 (1877-1956), membro, per un certo tempo, del Sodalitium Pianum41, legato a mons. Volpi, che gli affidò la direzione del seminario di Arezzo.
Nei momenti delle più calde polemiche, Pio x manifestò la sua simpatia e benevolenza, «con gesti ed espressioni pubbliche ed inequivocabili»42, verso questi giornali che sussidiava, come ricorda il suo segretario particolare mons. Pescini, perché combattevano contro il modernismo43.
3. Mons. Benigni e il Sodalitium Pianum (1909-1921)
Mons. Umberto Benigni44 (1862-1934), entrò in scena qualche anno più tardi, con la sua agenzia di informazioni «Corrispondenza romana» (1907)45, prima pubblicata in italiano e poi in francese e poi con il Sodalitium Pianum, o Sodalizio San Pio v (1909), sotto il patrocinio del Papa che aveva istituito il Sant’Uffizio e ottenuto la grande vittoria di Lepanto contro i turchi (1571).
Nato nel 1862 a Perugia dove aveva completato gli studi ecclesiastici, Benigni aveva iniziato una duplice attività nel campo storico e in quello giornalistico nella redazione di quotidiani intransigenti come il ligure «l’Eco d’Italia» e il romano «La voce della Verità». Personalità di forte ingegno e di vasta cultura, con notevoli doti di organizzatore, il 24 maggio del 1906, su proposta di mons. Gasparri, fu chiamato alla Segreteria di Stato come sottosegretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici straordinari e il 28 agosto 1906 venne nominato prelato domestico di Sua Santità46. Rimase in quella carica fino al 7 marzo 1911 quando gli successe l’allora monsignor Eugenio Pacelli47.
Fu certamente questo il periodo più importante della sua vita. Grazie alla sua conoscenza delle lingue e alle sue relazioni internazionali, egli si occupava in particolare del servizio stampa della Santa Sede, svolgendo, per la prima volta nella storia, un ruolo che lo rese l’antesignano di quella che sarà la «sala stampa» vaticana48.
Nella sua testimonianza al processo di beatificazione di Pio x, il cardinal Gasparri riferendosi al Sodalitium Pianum sottolinea «con dispiacere che questo fu approvato da Pio x e dalla Concistoriale audito Pontifice»49. Pur non avendo mai ricevuto un’approvazione canonica formale, il Sodalitium pianum fu effettivamente conosciuto e incoraggiato dalla Santa Sede: in particolare dalla S. Congregazione Concistoriale, di cui era prefetto il card. De Lai e dallo stesso Pio x che inviò tre autografi papali di benedizione ed assicurò una sovvenzione annuale; costituito nel 1909, il Sodalizio fu sciolto dopo la morte di Pio x per essere riattivato nel 1915, d’intesa con la Congregazione Concistoriale. Venne definitivamente sciolto in data 25 novembre 192150.
Da quel momento in poi e fino alla morte, il 26 febbraio del 1934, mons. Benigni non esercitò alcuna carica ufficiale, al di fuori dell’insegnamento51.
La storiografia contemporanea ha ripreso le accuse di «delazione» e di «spionaggio» già lanciate dai modernisti contro il prelato romano: Benigni sarebbe stato, in una parola, «il peccato di Pio x»52. Si dimentica però il «multiforme e fervido lavorio segreto»53 del modernismo, svolto, come scrive Bedeschi, da un «un reticolo inafferrabile e variegato»54 diffuso nelle principali città italiane (a Napoli Avolio, a Milano Casciola, a Roma Genocchi, a Genova Semeria); in particolare si deve a Sabatier «la creazione di una controinformazione vaticana e modernista»55 attraverso un efficace collegamento coi corrispondenti dalle capitali europee di autorevoli organi di infomazione, dal «Times» al «Journal des Débats», dal «Temps» a «Le Siècle», dal «Daily News» al «Morning Post». Così, nel 1907, Sabatier che era alla ricerca di notizie su Benigni per passarle al giornalista Maurice Pernot56, si rivolge all’oratoriano Mattia Federici per conoscere notizie sul passato genovese del direttore di «Corrispondenza Romana»57: metodi non molto diversi da quelli «spionistici» attribuiti al suo avversario.
Attorno a mons. Benigni e al Sodalitium pianum si è creata una vera e propria «leggenda nera», in maniera tale da impedire un giudizio obiettivo sul personaggio che ebbe un carattere difficile58, ma intese, come scrive il card. Antonelli nella Disquisitio, «mettere sé stesso, le sue molteplici qualità intellettuali, le sue vaste esperienze, soprattutto nel campo storico-culturale e sociologico, al servizio della Chiesa»59. Va tenuta in conto la obiettiva ricostruzione dell’opera del prelato romano e dei suoi collaboratori di uno studioso come Poulat, così come sono di grande valore storico le conclusioni che scaturiscono dalla Disquisitio, che poté basare il suo esame sul prezioso incartamento della S. Congregazione Concistoriale60.
1) Il Sodalitium pianum, considerato in sé e sulla base del suo Statuto e Programma, era un’organizzazione buona e destinata a buon fine.
2) Il Sodalitium pianum voleva essere un organo di penetrazione (vita esemplare dei membri in conformità a tutte le direttive pontificie: vita cattolica «integrale»), e di informazione (raccolta personale, rapida e sicura, di notizie su tutti i campi della vita religiosa, politica, sociale, culturale) a servizio della Curia Romana.
3) Il Sodalitium pianum nella idea primitiva di Benigni, avrebbe dovuto essere una specie di istituto ecclesiastico «secolare» sottoposto alla S. Congregazione Concistoriale, così come vivono e agiscono gl’Istituti religiosi sotto la S. Congregazione dei Religiosi.
Il Sodalitium pianum servì effettivamente la Santa Sede offrendo regolari informazioni, facendo uso alle volte, per garantire la sicurezza della corrispondenza, di un apposito cifrario61. Il padre Jules Saubat62 (1867-1949), procuratore generale dei Padri di Betharram, che fu indirizzato a Benigni dal cardinale Merry del Val63 e divenne segretario del Sodalitium pianum, testimonia che «mai nella lotta furono usati mezzi illeciti o disonesti; però tutte le arti umane, anche le più scaltre, furono messe al servizio della verità»64. Ma, depone ancora lo stesso Saubat: «Spia no: la spia è il male al servizio del male e per il male. Qui c’è la vigilanza attraverso mezzi umani sufficientemente onesti, per il bene. Altrimenti bisognerebbe dire: spie sono i Nunzi che sono incaricati di informare; spia il Segretario di Stato a cui tutte le mattine il Papa domanda: Custos quid de nocte? Il Segretario di Stato passa per la scala regia: Benigni passava per la scala di servizio; è tutta qui la differenza»65.
«In conclusione, e considerando oggettivamente le cose – afferma il card. Antonelli nella Disquisitio – il segreto e il cifrario erano in un certo senso mezzi necessari, per lo meno utili, certo non immorali, dal momento che Benigni non ebbe segreti verso l’autorità competente della Santa Sede con la quale si teneva in contatto»66.
4. La Compagnia di Gesù al centro della tempesta
Al centro dell’acceso scontro tra modernisti e antimodernisti si trovò la Compagnia di Gesù la cui rivista «Civiltà Cattolica», fin dalla sua fondazione legata alla Santa Sede, esprimeva il tradizionale spirito di attaccamento al Papato dell’Ordine, al cui interno tuttavia si erano manifestate gravi defezioni, a cominciare da quella del padre Tyrrell, espulso dalla Compagnia solo dopo il 1906.
All’inizio del secolo, la «Civiltà Cattolica», che era stata un bastione delle posizioni intransigenti, si era piegata al vento delle novità, avvicinandosi a poco a poco, come scriveva l’oratoriano genovese Mattia Federici, amico di Loisy, «alla scuola esegetica che prima riteneva fosse suo compito combattere»67.
Accanto a Pio x, si schierarono tuttavia le menti più fortemente speculative della Compagnia di Gesù come i padri Louis Billot68 (1846-1931) e Guido Mattiussi69 (1852-1925). Scrittore, conferenziere, professore, promotore del movimento tomistico in Italia70, Mattiussi «fu veramente il propugnatore della verità cattolica. Col suo ingegno potente ed acuto, penetrava con tale facilità le verità più alte, da dare la sensazione che ne avesse piuttosto un’intuizione che una qualunque cognizione»71 scrive il padre (poi cardinale) Paolo Dezza ricordandone «l’irremovibile fermezza nel difendere la verità»72.
Billot, nel suo volume De inspiratione Sacrae Scripturae (1903), confutava non solo Loisy, ma gli scritti, ispirati alla metodologia storico-critica loisista, dei suoi confratelli Franz-Xavier Funk (1840-1907) Franz von Hummelauer (1841-1914) e Ferdinand Prat (1857-1938), ospitati tra il 1902 e il 1903 da «La Civiltà Cattolica» al cui interno esistevano, intorno al 1902, una tendenza «conservatrice» e una tendenza «progressista»73. Il padre Angelo De Santi (1847-1922), esponente dell’ala «progressista», dimostrava una sorprendente benevolenza nei confronti di Harnack, definendolo «un critico giusto, leale ed erudito»74 e tentando, la ambigua operazione di prendere «il buono che seppe darci il professore berlinese, lasciando a lui e ai suoi il cattivo»75, mentre il padre Prat teorizzava il «terzo partito», tra eterodossia e ortodossia, «quello dell’esegeta geloso di conciliare l’ortodossia più rigorosa con il desiderio di essere del suo tempo»76. Quando la rivista dei gesuiti arrivò al punto di pubblicare un articolo sostanzialmente elogiativo nei confronti del filosofo positivista ed evoluzionista Herbert Spencer, morto nel 1903, scese in campo lo stesso padre Mattiussi.
Tra i gesuiti vicini a Pio x vanno ricordati inoltre lo storico Ilario Rinieri77 (1853-1941), il sociologo Giulio Monetti78 (1874-1948) e il padre Giuseppe Chiaudano79 (1858-1915), superiore della Provincia piemontese della Compagnia dal 1903 al 1910. Quando nel 1913 il padre Salvatore Brandi (1852-1915) fu colpito da apoplessia, Pio x, che stimava la pietà e la dottrina del padre Chiaudano, lo nominò inaspettatamente rettore del collegio degli scrittori della «Civiltà Cattolica», ma il padre Chiaudano sopravvisse di poco a Papa Sarto. Gli successe il padre Enrico Rosa80 (1870-1938), allievo del padre Sante Schiffini81 (1841-1906), mentre ferveva la polemica sul sindacalismo cattolico.
Pio X non nascose la sua diffidenza verso la nuova linea della Compagnia di Gesù. Il padre Franz-Xaver Wernz (1842-1914), preposito generale della Compagnia, gravemente malato, il 31 luglio 1914 scrisse una lunga lettera protestando la fedeltà sua e dell’ordine e chiedendo direttive al Papa. Papa Sarto non rispose e in un colloquio confidenziale col nuovo «assistente d’Italia» manifestò le sue preoccupazioni per la linea delle riviste «Etudes» e «Stimmen aus Maria Laach» e per la persona del padre Wlodzimierz Ledochowski (1866-1942), «assistente» del padre Wernz e dall’11 febbraio 1915 suo successore come generale dell’Ordine82.
5. L’affermazione della «terza forza»
Tra modernisti e antimodernisti esisteva un «terzo partito»83 impersonata fino al 1913 dal cardinale Mariano Rampolla del Tindaro84 (1843-1913), Segretario di Stato di Leone XIII e mancato Papa nel conclave del 1903. Rampolla, nel 1901, aveva scelto come suoi collaboratori diretti mons. Giacomo Della Chiesa85 (1854-1922) e mons. Pietro Gasparri86 (1852-1934); il primo lo aveva nominato segretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici ordinari e Sostituto alla Segreteria di Stato; il secondo, segretario della Congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari. Pio X, dopo aver nominato segretario di Stato il card. Merry del Val, aveva allontanato dalla Segreteria di Stato entrambi i protetti del cardinal Rampolla, il primo sostituito da mons. Nicola Canali (1874-1961), il secondo da mons. Raffaele Scapinelli di Legniguo (1858-1933). Dopo il 1908, la Segreteria di Stato, diretta da un cardinale Segretario comprendeva due sezioni, alla prima delle quali, la congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari, vennero affidati i compiti propri della Segreteria di Stato, mentre la seconda si occupava degli Affari interni. Dal cardinale Segretario di Stato Merry del Val dipendevano monsignor Canali, sostituto della Segreteria di Stato, a cui erano affidati gli Affari ecclesiastici ordinari e monsignor Scapinelli di Legniguo, segretario della sezione degli Affari ecclesiastici straordinari, coadiuvato fino al 1911 dal sottosegretario Umberto Benigni; una terza sezione si occupava dei brevi pontifici.
Mons. Gasparri fu creato cardinale nel concistoro del 6 dicembre del 1907 per assumere il compito di stendere la nuova codificazione del diritto canonico; mons. Della Chiesa, nell’ottobre del 1907, fu nominato a sua volta arcivescovo di Bologna, dove attese per ben sette anni la sua elevazione al cardinalato, avvenuta il 25 maggio del 191487. Pio X morì il 3 agosto 1914; appena tre mesi dopo il conferimento della porpora, il 3 settembre 1914 mons. Della Chiesa venne eletto a sorpresa al soglio pontificio: «I retroscena del Conclave, ormai noti abbastanza nei circoli romani – scrive Buonaiuti a Houtin il 17 settembre 1914 – mostrano indubbiamente che l’elezione del card. Della Chiesa ha voluto rappresentare l’indicazione di un governo ecclesiastico che fosse l’antitesi perfetta del regime di Pio X»88.
Quattro mesi dopo la morte di Pio X, mons. Eudoxe Mignot (1842-1918), arcivescovo di Albi, fece pervenire al cardinal Ferrata, primo segretario di Stato del neoeletto Benedetto XV, un Memoriale in cui attaccava duramente il movimento di reazione antimodernista promosso da san Pio X e invitava la Santa Sede ad una politica di «riconciliazione» con i modernisti89. Il 13 ottobre 1914, nominando, dopo il cardinale Ferrata, il cardinale Pietro Gasparri suo Segretario di Stato90, Benedetto XV manifestò la sua decisa volontà di mutare l’orientamento del pontificato piano91, tornando alla linea di governo «rampolliana» abbandonata da Pio X.
Benedetto XV in accordo con il cardinale Gasparri smantellò il Sodalitium pianum92 e tese la mano, senza successo, a Buonaiuti93. Dopo la morte di Benedetto XV, l’ultima battaglia tra la tendenza ecclesiastica antimodernista che si richiamava a Pio X e la linea moderata impersonata dal card. Gasparri si svolse nel corso di un conclave che, secondo quanto avrebbe confidato lo stesso Gasparri, fu «uno dei più contrastati nella storia»94. Il cardinale arcivescovo di Milano Achille Ratti venne eletto Papa il 6 febbraio del 1922 con il nome di Pio XI. L’aspro dibattito che aveva contrapposto il modernismo all’antimodernismo andò estinguendosi. Si aprì una stagione di apparente tregua in cui il modernismo parve inabissarsi e l’antimodernismo dissolversi.
NOTE
1 Il dialogo è riportato in A. Agnoletto, Salvatore Minocchi, cit., pp. 116-117. In termini pressoché analoghi si esprimeva Blondel in una lettera all’abbé Johannes Wharle del 5 agosto 1903, cit. in M. Blondel-A. Valensin, Correspondance 1899-1912, Aubier, Paris 1957, vol. I, p. 94.
2 R. Aubert, Pio IX tra restaurazione e riforma in Storia della Chiesa, vol. XXII/1, La Chiesa e la società industriale (1878-1922), a cura di E. Guerriero e A. Zambarbieri, tr. it. San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 1990, p. 137. cfr. anche M. Guasco, Modernismo, cit., p. 194. Tra le biografie: Yves Chiron, Saint Pie X, réformateur de l’Eglise, Publications du Courrier de Rome, Versailles 1999.
3 Pio X, Enciclica Pascendi dominici gregis dell’8 settembre 1907, in AAS, vol. 40 (1907), pp. 596-628; Denz-H, nn. 3475-3500. Tra le opere di scrittori antimodernisti che si affiancarono a Pio X in occasione della pubblicazione della Pascendi, cfr. Franz Heiner, La dottrina dei modernisti confutata, Desclée, Roma 1907; Id., Le disposizioni contro il modernismo contenute nell’enciclica «Pascendi» e nel motu proprio «Sacrorum antistitum», Pustet, Roma 1911; Giovanni Battista Lemius, Catechismo sul modernismo secondo l’enciclica «Pascendi Domini gregis» di Sua Santità Pio X, Desclée, Roma 1908; Ilario Rinieri s.j., La enciclica «Pascendi Dominicis gregis» e la evoluzione della Chiesa e del dogma, Tip. S. Bernardino, Siena 1908; Christian Pesch s.j., Fede, Dogmi e fatti storici. Studio sulle dottrine moderniste, Pustet, Roma 1909; Enrico Rosa s.j., L’enciclica Pascendi e il modernismo. Studi e commenti, La Civiltà Cattolica, Roma 1909; Guido Mattiussi s.j., Dichiarazione del giuramento antimodernista imposto dal S. P. Pio X. Lezioni di apologetica, Tip. S. Alessandro, Bergamo 1912; Felice Cappello s.j., Errori modernisti nello studio del diritto pubblico ecclesiastico, ossia La natura giuridica della Chiesa cattolica difesa contro le aberrazioni del modernismo e del semi-modernismo, Tip. Cuggioni, Roma 1912.
4 Decr. S. Officii Lamentabili del 3 luglio 1907, in AAS, vol. 40 (1907), pp. 470-478; Denz-H, nn. 3401-3466.
5 Il modernismo si collega in tal modo alle due linee scaturite dal protestantesimo, il razionalismo, che subordina la religione alla filosofia e l’irrazionalismo fideistico che pone l’essenza della religione nel sentimento individuale del divino. Gli errori ottocenteschi del fideismo e del razionalismo confluiscono, nella tesi hegeliana per cui la fede riposa unicamente sulla ragione e in quella analoga e contrapposta dei «filosofi del sentimento» (Jacobi, Schleiermacher, Fries) secondo cui la fede si riduce al manifestarsi interiore del «sentimento di dipendenza (Abhengigkeitsgefühl)»: l’«esperienza religiosa» si sostituisce simultaneamente sia alla ragione che alla fede. Cfr. C. Fabro, Dall’essere all’esistente, Morcelliana, Brescia 1957, pp. 71-125.
6 Il testo si collega alle condanne di Pio IX del fideismo (Denz-H, 2751-2756 e 2765-2769), del razionalismo (Denz-H, 2828-2831 e 2850-2861) e dell’ontologismo (Denz-H, 2841-2847).
7 La proposizione XX del decreto Lamentabili condanna la definizione della rivelazione di Loisy secondo cui «la rivelazione non ha potuto essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo della sua relazione con Dio». La Chiesa non nega che la verità rivelata sia ricevuta «nell’uomo», ma si rifiuta di vedere nella rivelazione il prodotto di un’attività semplicemente umana e naturale. L’uomo riceve il messaggio divino ma il suo contenuto procede da Dio ed è stato affidato alla Chiesa come un deposito da conservare fedelmente e da proclamare infallibilmente. La Rivelazione non è dunque una realtà in divenire, prodotto della coscienza umana, ma un deposito di verità soprannaturali affidato alla custodia della Chiesa; cfr. René Latourelle, Teologia della Rivelazione, tr. it., Cittadella, Assisi 1973, pp. 289-299.
8 «È superfluo far notare con quale fedeltà questo quadro ricostruisce le diverse affermazioni trovate in Sabatier, Loisy e Tyrrell. Indubbiamente in quegli autori, esse non hanno i contorni netti che attribuisce loro l’enciclica. Rimane però il fatto che, nell’insieme i tratti vi corrispondono. Il documento pontificio le ha riunite e confrontate per scoprirne gli elementi dissolvitori»; R. Latourelle, cit., p. 295.
9 Cornelio Fabro, Modernismo, in EC, vol. VIII, col. 1191.
10 Ibidem, col. 1190.
11 Ibidem, col. 1190.
12 E. Poulat, Modernistica, cit., p. 25.
13 Ibidem, p. 25.
14 Pio XII, Lettera enciclica Humani generis del 12 agosto 1950, in AAS, vol. 42 (1950), pp. 562-563.
15 Nella Fides et Ratio, Giovanni Paolo II ricorda esplicitamente il «prezioso contributo» (n. 54) dei suoi predecessori, affermando che oggi «i problemi di un tempo ritornano, ma con peculiarità nuove» (n. 55). «Il pragmatismo dogmatico degli inizi di questo secolo, secondo cui le verità di fede non sarebbero altro che regole di comportamento, è già stato rifiutato e rigettato», afferma Giovanni Paolo II, ricordando esplicitamente la proposizione 26 del Decreto Lamentabili. «In questo caso – aggiunge – si cadrebbe in uno schema inadeguato, riduttivo, e sprovvisto dell’incisività speculativa necessaria. Una cristologia, ad esempio, che procedesse unilateralmente «dal basso», come oggi si suole dire, o una ecclesiologia, elaborata unicamente sul modello delle società civili, difficilmente potrebbero evitare il pericolo di tale riduzionismo» (n. 98); Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et Ratio del 14 settembre 1998, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXI,2 (1998), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 277-454.
16 L’articolo di Benedetto Croce è ora riportato in Pagine sparse, Laterza, Roma-Bari 1960, pp. 383-387.
17 Giovanni Gentile, Il modernismo e i rapporti fra religione e filosofia, Sansoni, Firenze 1962 (1908), pp. 49-50. «Giudizio perfetto – commenta Augusto Del Noce – perché effettivamente la Pascendi definisce in maniera insuperabile l’essenza del modernismo»; A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1990, p. 184.
18 Motu proprio Sacrorum antistitum del 1 settembre 1910, in ASS, 2 (1910), p. 669-672; Denz-H, nn. 3537-3550. L’obbligo del giuramento fu sospeso nel 1967.
19 R. Latourelle, cit., p. 296.
20 Denz-H, n. 3541.
21 Denz-H, n. 3542.
22 E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, cit., pp. 100-101.
23 A questi due nomi, il cardinale Augusto Silj, nella sua testimonianza al processo di beatificazione (Positio, p. 719) aggiunge quello del prefetto dell’Indice, il cappuccino José Vives y Tuto (1854-1913).
24 Su Merry del Val, oltre alla sua Positio, cfr. le biografie di mons. Pio Cenci, Il Cardinale Merry del Val. Segretario di Stato di San Pio X Papa, L.I.C.E. – R. Berruti, Roma-Torino 1955 (l’opera è redatta in realtà dal card. Canali); P. G. Dal Gal, Il servo di Dio card. Raffaele Merry del Val, Paoline, Roma 1956 e José M. Javierre, Merry del Val, Juan Flors, Barcelona 1965. Si veda, più avanti, pp. 96-99.
25 Su De Lai, cfr. la voce di R. Cerrato in DBI, 36 (1988), pp. 278-280; E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, passim. De Lai, formatosi al seminario di Vicenza, prima di completare i suoi studi presso il Pontificio Seminario Romano, era stato ordinato sacerdote nel 1876 e aveva iniziato la sua carriera curiale. Nel 1889 aveva conosciuto il vescovo Giuseppe Sarto, in occasione di una sua visita alla diocesi di Mantova. Nel 1903, dopo l’elezione di Pio X, era stato promosso segretario della Congregazione del Concilio e l’anno successivo membro della commissione per la formazione del codice di diritto canonico. Creato cardinale nel concistoro del 16 dicembre 1907, venne nominato segretario della Congregazione concistoriale il 20 ottobre 1908 ufficio che mantenne fino all’ottobre 1928, quando gli successe il card. Carlo Perosi.
26 E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, cit., pp. 65, 270.
27 Cfr. G. Dal Gal, cit., pp. 69-76.
28 Orio Giacchi, Il Cardinale Raffaele Merry del Val, Società Editrice «Vita e Pensiero», Milano 1933, p. 9.
29 Su mons. Volpi, cfr. la voce di A. Romiti in DSMC, vol. III/2, 899-900. cfr. anche Alfonso Cenni o.s.b., Il vescovo del Sacro Cuore. Mons. Giovanni Volpi (1860-1931), Tip. Artigianelli, Lucca 1962.
30 L. Bedeschi, L’antimodernismo in Italia, Edizioni San Paolo, Milano 2000, p. 182.
31 Cfr. Massimo Petrocchi, Storia della spiritualità italiana, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1984, p. 554.
32 Cfr. M. Petrocchi, cit., pp. 523-527.
33 «Come infatti si possono approvare – scriveva il 20 ottobre 1912 al Prevosto di Casalpusterlengo – certi giornali che colla etichetta nascosta di Cattolici, perché qualche volta riferiscono i ricevimenti pontifici o le note vaticane, non solo non dicono mai una parola sulla libertà e l’indipendenza della Chiesa, ma fingono di non accorgersi della guerra continua che gli vien fatta? Giornali, che non solo non combattono gli errori che avvolgono la società, ma portano il loro contributo alla confusione delle idee e massime divergenti dalla ortodossia, che prodigano incensi agli idoli del giorno, lodano libri, imprese ed uomini nefasti alla religione?» (cit. in Disquisitio, p. XVII). Sul problema della stampa cattolica, cfr. più ampiamente Disquisitio, pp. 53-100. Sul cardinale Andrea C. Ferrari, ora Beato, cfr. Maria Torresin, Il Cardinale Andrea C. Ferrari, arcivescovo di Milano, e San Pio X, in «Memorie storiche della diocesi di Milano», vol. IX (1963), pp. 37-297; Carlo Snider, L’episcopato del cardinale Andrea C. Ferrari, 2 voll., Neri Pozza, Vicenza 1981-1982.
34 L. Bedeschi, Note e documenti per la storia dell’antimodernismo. De Toth e Cavallanti alla direzione dell’Unità Cattolica in «Nuova Rivista Storica», LV (1971), fasc. 1-2, p. 90132; id., L’antimodernismo in Italia, cit., pp. 53-68; Maurizio Tagliaferri, L’Unità Cattolica. Studio di una mentalità, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1993.
35 Su De Toth, cfr. il profilo di Marco Invernizzi, in Voci per un Dizionario del Pensiero Forte, a cura di Giovanni Cantoni, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 239-244.
36 Di Cavallanti si veda Modernismo e modernisti, Libreria del Sacro Cuore, Torino 1908, 2a ed.; su di lui cfr. il necrologio in Civ. Catt. 1612 (1917), p. 370 e le voci di L. Bedeschi in DBI, 22 (1979) pp. 680-683 e P.L. Ballini in DSMCI, vol. III/1, pp. 200-202.
37 Cfr. Ermenegildo Reato, voce Scotton, in DSMCI, vol. II, pp. 591-593; G. Menara, I fratelli Scotton (mons. Jacopo, Andrea e Gottardo). Memorie biografiche, Tip. S. Maria Novella, Firenze 1925; L. Bedeschi, L’antimodernismo, cit., pp. 68-74. Il nome di mons. Andrea Scotton, che Pio IX nominò Cameriere Segreto e Pio X Protonotario Apostolico, resta legato in particolare a un Corso completo di Catechismo, più volte ristampato (S.A.T. Editrice, Vicenza): Il simbolo apostolico (1949); I Sacramenti (1950); I comandamenti (1950); L’orazione e la giustizia cristiana (1952).
38 E. Reato, voce cit., p. 591.
39 P. Sabatier, Les modernistes, cit., p. 224. «Hanno torto questi scrittori del Periodico – scriveva Pio X il 28 marzo 1911 al cardinal Ferrari, attaccato dai fratelli Scotton – quando negli attacchi si lasciano sopraffare dalla passione, quando dai casi particolari vengono alle conclusioni generali, quando discendono alle personalità, ma hanno pure una attenuante alla loro colpa quando conoscendo il male si trovano di fronte a chi ostinatamente lo nega e adoperano per difendersi le stesse armi colle quali sono colpiti» (Disquisitio, p. 178).
40 Su don Giovanni Boccardo, direttore de «La Liguria del Popolo» dal 1908 al 1915, si veda L. Bedeschi, Lineamenti socioreligiosi dell’antimodernismo genovese, in «Fonti e documenti», 4 (1975), pp. 23-29. Il Boccardo fu ospite del Convitto Ecclesiastico dell’Opera di don Orione dal 1951 alla morte, il 6 dicembre 1956.
41 Cfr. Disquisitio, p. 287; E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, cit., pp. 582-583.
42 Giacomo Martina, Storia della Chiesa, vol. IV, Morcelliana, Brescia 1995, p. 99.
43 Pio X, Positio, p. 109.
44 Su mons. Umberto Benigni le due opere fondamentali sono i volumi di E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral (cit.) e Catholicisme, démocratie et socialisme. Le mouvement catholique et mgr. Benigni, Castermann, Bruxelles-Paris 1977; per una sintesi bio-bibliografica cfr. la voce dello stesso Poulat in DSMCI e quella di P. Scoppola in DBI, vol. VIII (1966), pp. 506-508. Si veda inoltre: Sergio Pagano, Documenti sul modernismo romano dal fondo Benigni, e id., Il fondo di mons. Umberto Benigni dell’Archivio Segreto Vaticano, Inventario e indici in «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 8 (1990), pp. 223-300, 347-402.
45 Il primo numero della «Corrispondenza romana» apparve il 23 marzo 1907, prima come ciclostilato, poi a stampa; dal numero del 2 ottobre 1909 cambiò il titolo in «La Correspondance de Rome» e durò fino al 31 dicembre 1912. Il direttore responsabile, Giovanni Grandi, e il gerente erano laici. Emile Poulat ne ha ricostruito e riprodotto una collezione pressoché completa (Feltrinelli Reprint, Milano 1971, 3 voll.).
46 Nel 1907 mons. Gasparri fu elevato alla porpora e al suo posto, come immediato superiore di Benigni, fu chiamato, il 18 maggio 1908, mons. Raffaello Scapinelli di Leguigno.
47 La ragione per cui Benigni lasciò la Segreteria di Stato risale probabilmente a una divergenza di vedute con Merry del Val. Che uscisse dalla Segreteria di Stato con onore lo si rileva dal fatto che Pio X creò per lui ex novo il posto di un ottavo Protonotario apostolico partecipante, mentre quel Collegio non aveva mai avuto più di sette membri. Sui rapporti Benigni-Merry del Val, Poulat scrive con giudizio: «Observation capitale: ce n’est pas dans la compréhension des évènements, dont ils ont l’un et l’autre une vue identique, mais sur la conduite des affaires que leur divergence s’est affirmée» (Intégrisme, cit., p. 77).
48 L. Bedeschi, L’antimodernismo, cit., p. 49-50.
49 Disquisitio, p. 10.
50 Fra i cardinali che ebbero stima del Sodalitium pianum e di cui si servirono bisogna ricordare, oltre a Merry del Val e De Lai, il cappuccino José Vives y Tuto (1899-1913), prefetto della Congregazione dei Religiosi, il domenicano Tommaso Pio Boggiani (1863-1942), assessore della Concistoriale e poi Arcivescovo di Genova e Cancelliere di Santa Romana Chiesa, Girolamo Gotti (1834-1916), prefetto di Propaganda, il redentorista Wilhelmus van Rossum (1854-1932) poi prefetto di Propaganda (1918), Hector-Irenée Sevin (1852-1916) arcivescovo di Lione; Disquisitio, p. 234.
51 Nel 1933 un anno prima della morte, Benigni pubblicò l’ultimo volume della sua Storia sociale della Chiesa, il cui primo volume era apparso nel 1907. «Morì povero – ricordò don Paolo de Toth – e questa è una delle sue migliori glorie e delle più significative prove della sua onestà e lealtà»; Disquisitio, p. 48.
52 La formula è stata usata da uno dei suoi difensori, il padre Jules Saubat, in Disquisitio, p. 34. «Ceux qu’il combattit sont unanimes à voir en lui leur pire ennemi; en même temps qu’un produit typique et repoussant de ce catholicisme intégral qui leur apparaissait comme l’inversion du vrai catholicisme. Pour eux, il aura été sans contexte le péché de Pie X, un péché qui a retardé la canonisation en cours du Pontificat apres avoir failli l’arrêter»; E. Poulat, Catholicisme, démocratie et socialisme, cit., pp. 39-40.
53 L. Bedeschi, Interpretazioni e sviluppo, cit., p. 86.
54 Ibidem, pp. 86-87.
55 Ibidem, p. 85.
56 Pernot avrebbe utilizzate le notizie fornite da Sabatier nel saggio Le Vatican et l’organisation de la presse, apparso su «La grande revue», dicembre 1908, pp. 209-227
***********************************
Ap - Nemici della Ch: Il Modernismo (3 di 3)
05
|
Dic2004
Inserito da admin
Argomento: Apologetica
L'azione del beato Don Luigi Orione. Don Orione vigila in qualità di Vicario del Papa a Messina. I pochi collaboratori di San Pio X nella difesa dell'ortodossia. Il "lealismo" verso il Papa del beato don Orione e il suo amore per le pecorelle smarrite, perfetto esempio di amore verso gli erranti e odio verso l'errore. La logica di un santo: "Il fine della Congregazione è di accrescere in noi e in altri l'amore al Romano Pontefice. Pare che il Signore l'abbia fatta sorgere contro le eresie moderne. Questo fine è precipuo: lottare estremamente contro chi vuole fare il deserto attorno al Santo Padre. Questa Congregazione è tutta del Papa, benché piccola, benché minima, pure essa è tutta di Lui"...
III. L’azione di don Orione
Testo del prof. Roberto de Mattei
tratto dall'opera "Don Orione negli anni del modernismo",
edita da Jaca Book, Milano 2002, pp. 320, Euro 23, ISBN 8816-30386-7
http://www.jacabook.it/ricerca/schedalibro.asp?idlibro=2714,
e curato da Don Flavio Peloso dell'Opera Don Orione,
tratto dall'opera "Don Orione negli anni del modernismo",
edita da Jaca Book, Milano 2002, pp. 320, Euro 23, ISBN 8816-30386-7
http://www.jacabook.it/ricerca/schedalibro.asp?idlibro=2714,
e curato da Don Flavio Peloso dell'Opera Don Orione,
http://213.156.45.144/m2wa/donorione/messaggi/articolo.asp?ID=129 ,
qui riprodotto per gentile concessione del curatore e dell'editrice.
1. Don Orione durante il periodo messinese (1909-1912)
Per illuminare dall’interno il dibattito sul modernismo, è interessante l’esame dell’atteggiamento di un protagonista di eccezione: il beato don Luigi Orione1 (1872-1940), fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, sia pure limitatamente ad alcuni episodi relativi alla sua permanenza a Messina come vicario generale della diocesi tra il 1909 e il 19122.
Il terremoto che aveva sconvolto le coste calabro-sicule il 28 dicembre 1908, aveva suscitato una immediata generosa mobilitazione non solo da parte delle autorità civili, ma della stessa Santa Sede. Pio X apparve subito preoccupato, oltre che della situazione materiale, delle condizioni morali e spirituali dei sopravvissuti, soprattutto dei numerosissimi orfani.
La scelta di don Orione quale suo vicario a Messina non era dovuta solo allo spirito di abnegazione verso il prossimo di cui il prete tortonese era notoriamente prodigo, ma anche alla sua comprovata fedeltà alle direttive pontificie e alle sue qualità diplomatiche necessarie in una situazione ingarbugliata quale era quella della città siciliana dopo il terremoto. Don Orione assolse il suo compito con la generosità che gli era caratteristica, ma si fece inevitabilmente dei nemici, sia negli ambienti civili impregnati di laicismo massonico, che in quelli ecclesiastici, a volte collusi con i precedenti. Messina fu, in più, l’imprevisto teatro di una presenza laico-modernista che toccò all’Orione fronteggiare. Gli approfondimenti offerti da questo volume3 ricostruiranno, grazie all’apporto di importanti documenti, quelle vicende storiche, tormento e gloria di don Orione, ma anche fonte di affrettati e talvolta antistorici giudizi nei confronti del suo operato.
Nel mese di marzo del 1910, don Orione apprese che si era costituita una Associazione Nazionale per gli interessi morali ed economici del Mezzogiorno d’Italia di cui era presidente l’on. Leopoldo Franchetti4 (1847-1917), e il nucleo era costituito da un gruppo di modernisti milanesi, Fogazzaro, Alfieri, Gallarati-Scotti, ovvero il gruppo dirigente della rivista “Il Rinnovamento” che, dopo essere incorso nella scomunica, il 24 dicembre del 1907, aveva cessato le pubblicazioni nel dicembre del 19095.
Le preoccupazioni di don Orione erano più che giustificate perché la penetrazione della Associazione per il Meridione, condotta con dovizia di mezzi, coinvolgeva lo stesso don Orione, nella sua qualità di Vicario del Pontefice: l’oggetto dello scontro era quello dell’educazione degli orfani e dell’influenza morale sulle popolazioni terremotate, in un periodo in cui il problema dell’educazione e dell’insegnamento era più che mai sul tappeto. Sono gli anni non solo del modernismo, ma quelli (1908-1911) in cui ritorna alla Camera il dibattito sulla laicità dell’insegnamento, divampano le manifestazioni in favore dell’anarchico Francesco Ferrer e Guido Podrecca a Montecitorio inneggia a favore di Giordano Bruno6.
La politica di Pio X nei confronti delle autorità del Regno non appariva tuttavia di scontro frontale. L’abolizione del non expedit e l’ingresso dei cattolici nella vita politica italiana comportava la necessità di compromessi e di attuare “alleanze”, senza che questo dovesse però significare un cedimento alla “morale laica” soprattutto nel campo dell’educazione. Al progetto immanentista di “rieducazione nazionale” tracciato da Francesco de Santis7 ed eseguito dai suoi successori, Pio X contrapponeva un programma di restaurazione religiosa e morale riassunto nella formula Instaurare omnia in Christo, la stessa che don Orione aveva scelto come motto della Congregazione, prima ancora dell’elevazione al pontificato di Papa Sarto.
Pio X sentiva fortemente il problema degli orfani del terremoto, che per legge passavano al Patronato Nazionale Regina Elena, presieduto dalla contessa Gabriella Spalletti Rasponi (1853-1931), e incaricò don Orione di “espugnare quella donna per avere in mano gli orfani”8.
I modernisti lombardi da parte loro non si presentavano come un innocuo sodalizio intellettuale, ma come un gruppo organizzato di cui lo stesso Fogazzaro aveva delineato il programma e mostrato l’estensione della rete nella conferenza tenuta all’Ecole des Hautes Etudes di Parigi nel gennaio 1907, quando aveva descritto con queste parole il co-protagonista del suo romanzo Il Santo, Giovanni Selva: “Giovanni Selva appartiene al mondo della realtà quanto voi ed io. Il suo nome è Legione. Egli vive, pensa e lavora in Francia, in Inghilterra, in Germania, in America come in Italia. Porta la tonaca e l’uniforme come l’abito di società. Si mostra nelle università, si nasconde nei seminari. Lotta nella stampa, prega nell’ombra dei monasteri. Non predica quasi più, ma tiene ancora delle conferenze. È esegeta e storico, teologo e dotto, giornalista e poeta (…). Egli si crede una energia vitale nel seno della Chiesa romana, di quell’organismo colossale del quale si dice nel mondo che ha le arterie ossificate dalla vecchiezza, che ha perduto la facoltà di adattarsi all’ambiente e che è colpito d’atassia. Giovanni Selva non è di questo avviso. Egli ammette volentieri che la sua Chiesa ha ben l’aria d’invecchiare di tempo in tempo, ma le attribuisce un fondo inesauribile di gioventù rinascente”9.
La Pascendi e la successiva condanna del “Rinnovamento” avevano costretto il modernismo lombardo a una metamorfosi, di cui l’Associazione del Mezzogiorno d’Italia era inizialmente espressione. Don Orione, convinto che l’associazione costituisca “un grave pericolo per la Chiesa specialmente in Calabria”, ne informa la Segreteria di Stato, con una lettera del 15 marzo 1910 al sostituto mons. Nicola Canali10, e ne parla quindi personalmente con il cardinale Gaetano De Lai11, prefetto della Concistoriale. Subito dopo, forse su suggerimento delle stesse autorità cui riferisce, suscita l’allarme anche attraverso la stampa, rivolgendosi a don Alessandro Cavallanti, direttore dell’“Unità Cattolica” che è in questo momento il giornale più vicino alla Santa Sede, pregandolo di pubblicare tre corrispondenze senza fare il suo nome12. L’“Unità Cattolica” a cui don Orione si rivolge è cara a Pio X che l’8 maggio 1908 ha incaricato l’Arcivescovo di Firenze, mons. Mistrangelo, “di assumere sul medesimo giornale una sorveglianza immediata e speciale”13. Il Papa che raccomanda a don Cavallanti e ai suoi collaboratori di evitare gli eccessi e di “dipendere in tutto da mons. Arcivescovo e seguirne i consigli”14, è convinto della necessità di “tener vivo fra tante tenebre questo lumicino”15, “dando fiato a questa voce, che predicherà pure al deserto, ma ha il merito di tenere desti quelli che vorrebbero dormire e non essere disturbati nella via che percorrono”16.
Le tre corrispondenze di don Orione vengono pubblicate il 19 e 29 aprile e il 19 maggio. “I noti modernisti lavorano – si legge in quella di maggio –. Essi vanno di paese in paese, e cercano di costituire in ogni terra della Calabria dei gruppi di amici, e stendere una vasta rete di soci corrispondenti e di affiliati. Coloro dei quali si possono fidare di più, vengono più strettamente riuniti”17.
Il 28 aprile 1910, don Orione aggiorna sulla situazione il cardinale Merry del Val: “È stato qui due volte di seguito il conte Gallarati Scotti. Ieri venne con lui l’ing. Alfieri. Non mi accennarono di volere fare della propaganda religiosa ma non credo che vogliano prescinderne; propaganda religiosa in senso, mi pare, protestante, certo molto ostile alla Chiesa, anche se non lo dicono”18. In seguito alle tempestive informazioni di don Orione, la Segreteria di Stato mise in guardia i vescovi calabresi con una circolare riservata.
Un anno dopo, in una lettera allo stesso Merry del Val del 14 luglio 1911, lo stesso don Orione dovendosi difendere dalle obiezioni mosse contro di lui dall’arcivescovo di Messina D’Arrigo di aver avuto contatti con esponenti modernisti, si difenderà rivendicando a suo merito di aver “condotto sull’Unità Cattolica la lotta contro i modernisti scesi in Calabria” e di avere “avvertito la S. Sede, che inviò una circolare riservata ai vescovi della Calabria”.
Un’altra iniziativa di don Orione durante il periodo messinese è dell’anno seguente, il 1911. Don Orione avvisa il Cardinale Segretario di Stato dell’arrivo a Messina della Contessa Spalletti, la quale, resasi conto del fallimento delle istitutrici laiche da lei inviate, prega don Orione di trovarle delle Suore a cui affidare l’Orfanotrofio della Croce Rossa. “Con la Spalletti – scrive don Orione – venne a Messina anche quell’Alfieri, che scriveva il Rinnovamento modernista a Milano”19. “Però – egli prosegue – la ragione precipua per cui sentii doveroso informare Vostra Eminenza, a bene della Chiesa e delle anime, è questa: la contessa Spalletti disse che, a Reggio, si farà un istituto per Orfani, e lasciò capire che vorrebbe chiamarvi a dirigerlo Padre Semeria, anzi ebbi l’impressione che già vi siano come degli accordi. Ciò sarebbe grave, ed io non glielo nascosi”. Don Orione non dissimulò la sua contrarietà a tale eventualità, chiosandola con un espressivo: “Ci mancherebbe ancora P. Semeria”.
2. Il “lealismo” di don Orione
In questa iniziativa qualcuno ha visto un atto di slealtà da parte di don Orione verso padre Semeria, con il quale aveva un precedente rapporto di amicizia. Il contributo di don Lanza20 mette in luce l’esatto contesto storico e relazionale di un tale pronunciamento.21 Per ora, basti osservare che rispetto al 1909, quando don Orione aveva invitato, senza esito, padre Semeria a impegnarsi nel campo della solidarietà, la situazione era cambiata profondamente. Lo stato maggiore del modernismo lombardo era infatti sceso in Meridione22 e l’atmosfera era divenuta tale per cui Semeria non si sarebbe recato a Messina per “seppellire il suo modernismo”, ma per promuoverlo, compromettendo la sua situazione disciplinare che proprio don Orione, precedentemente, aveva cercato di sbrogliare. Inoltre, aveva sempre destato notevoli riserve la attitudine pedagogica di Padre Semeria, che ora veniva chiamato proprio per dirigere un Istituto per orfani23.
Su questi due episodi – le tre corrispondenze del 1909 e il giudizio negativo sulla venuta di P. Semeria in Calabria nel 1911 – si sono concentrate alcune critiche all’operato di don Orione. L’atteggiamento del sacerdote piemontese è stato severamente giudicato, fino a parlare di “ambiguità”, da parte di due studiosi, don Lorenzo Bedeschi e padre Sergio Pagano24, i cui commenti rischiano di distorcere la verità storica dei due episodi in questione e di gettare un’ombra sulla correttezza di comportamento di don Orione.
I commenti di Bedeschi e di Pagano sembrano infatti confondere due aspetti che andrebbero rigorosamente distinti: quello storico e quello morale. Il giudizio storico, che si basa innanzitutto su un rigoroso accertamento dei fatti, è oggettivo e su di esso può concordare qualsiasi studioso, quale che sia la sua matrice e provenienza ideologica. Il giudizio morale è più delicato perché implica considerazioni che possono essere diverse e non da tutti accettate. Le due dimensioni non possono essere totalmente separate, ma vanno attentamente distinte, almeno sotto l’aspetto metodologico. Ancora più disastroso è il risultato di confusione quando il giudizio morale è fondato su una ricostruzione storica inesatta in molti fondamentali punti, come quelli già segnalati da don Antonio Lanza25.
Sul piano storico, la preoccupazione di don Orione di fronte al modernismo è indiscussa: “Se col modernismo e col semi-modernismo non si finisce – scriverà il 26 giugno 1913 – si andrà, presto o tardi, al protestantesimo o ad uno scisma nella Chiesa che sarà il più terribile che il mondo abbia mai visto”26. Da queste parole, che paventano il pericolo di uno scisma, si comprende come l’antimodernismo di don Orione sia innanzitutto la logica conseguenza della sua concezione ecclesiologica e della sua spiritualità, che ha il suo “focus” carismatico nel ruolo del Papato romano. La romanità papale – intesa come centro di coesione e di irradiazione universale della Chiesa27 – costituisce la concentrazione ecclesiologica che dà forma alla sua spiritualità e al suo apostolato. In questo, egli è erede di quel fecondo filone di spiritualità piemontese che prende le mosse, negli anni della Rivoluzione francese, da Pio Brunone Lanteri e dalle “Amicizie”, per arrivare a Cottolengo e don Bosco, che sono gli immediati predecessori di Orione28.
Fin dall’inizio della sua Piccola Opera della Divina Provvidenza don Orione aveva pensato di costituire, al suo interno, una Compagnia del Papa che si ponesse alle dirette dipendenze del Pontefice per realizzarne le direttive in qualsiasi circostanza29. Il progetto di una Compagnia del Papa fu abbandonato, ma lo “spirito papale” diede ugualmente spirito e forma a tutta la Famiglia religiosa da lui formata con il trascorrere degli anni. Don Orione stesso volle per i suoi Figli della Divina Provvidenza un “IV voto di speciale fedeltà al Papa”, inteso come la “più completa adesione di mente, di cuore e di opere al Pontefice”30.
Tra tutti i Pontefici che don Orione personalmente conobbe, quello a lui più vicino fu indubbiamente Pio X31. Ai suoi piedi, nella storica udienza del 19 aprile 1912, appena qualche giorno dopo aver rassegnato le sue dimissioni da vicario generale della diocesi di Messina, emise, oltre ai voti religiosi perpetui, un esplicito e vero giuramento “di amore sino alla consumazione di me e di fedeltà eterna ai Piedi e nelle mani del Vicario di Cristo”32. Don Orione non venera tuttavia la persona privata del Papa, ma l’istituzione divina che egli rappresenta, il Papato. Si tratta di un atto di fede teologica e non di una ideologia o calcolo strategico. La sua concezione è “romana” proprio perché egli coglie l’importanza della dimensione istituzionale del Papato; è questa istituzione che egli afferma, difende e promuove non solo di fronte al modernismo che vorrebbe spogliare la Chiesa del suo aspetto “giuridico”, ma anche in altri momenti storici di fronte ad altre questioni33 che toccano l’unità della Chiesa, ruotante attorno al suo “cardine nel mondo”, il Romano Pontefice34.
Ancora nel 1912, ai suoi sacerdoti e confratelli riuniti a Villa Moffa, don Orione lasciò preziose tracce sulla vita e lo spirito della Congregazione. “Il fine della Congregazione è di accrescere in noi e in altri l’amore al Romano Pontefice. Pare che il Signore l’abbia fatta sorgere contro le eresie moderne. Questo fine è precipuo: lottare estremamente contro chi vuole fare il deserto attorno al Santo Padre. Questa Congregazione è tutta del Papa, benché piccola, benché minima, pure essa è tutta di Lui”35.
Le prime costituzioni a stampa del 1912,36 al numero VII, prevedono la costituzione di una “Sezione speciale” di sacerdoti con lo speciale obbligo di “servire in tutto e per tutto al Romano Pontefice che è l’Arbitro e Superiore assoluto della nostra Congregazione, ne difendano con la massima sollecitudine l’autorità e si abbiano siccome guardie giurate della Fede e della dottrina cattolica: servitori fedeli fino alla morte e figli del Papa”, i quali, “non vivano che per la S. Chiesa di Roma, pronti, per la sua infallibile dottrina e divina costituzione, sempre a morire”37.
3. La logica di un santo
Per don Orione, dunque, il modernismo – specie nel periodo messinese (1909-1912) – rappresenta un pericolo che va segnalato ed egli lo fa anche per le speciali responsabilità che in questo momento ricopre. Don Orione è vicario generale e rappresenta il Papa nel delicato incarico; ha il dovere di informarlo su tutto quanto nella diocesi a lui affidata tocca direttamente o indirettamente le materie religiose e morali e gli interessi della Chiesa. Egli non “spia”, né “denunzia”, ma “informa” i suoi diretti superiori come informano i nunzi, i vescovi e devono informare i vicari.
Se usa la stampa per mettere in allarme sulla minaccia modernista – e ciò avviene solo in questi anni – lo fa in un frangente particolare per avvertire di un grave pericolo per le anime a lui affidate. Il suo comportamento, coerente con le sue premesse teologiche, non si discosta, sotto il piano etico, da quella dottrina cattolica a cui egli si richiama e al dovere istituzionale affidatogli38.
Don Orione non è un controversista né un polemista; il suo specifico carisma è quello di affermare la verità attraverso le “armi della carità”39.
La professione intransigente della verità d’altra parte è tanto più autentica, quanto più è accompagnata dall’ardore della carità, verso Dio e verso il prossimo. Verità e carità, giustizia e misericordia, che umanamente vediamo, a volte, come perfezioni contrapposte, in Dio formano un’unica perfezione e nelle anime dei santi, che tendono a riprodurre l’immagine divina, si conciliano spesso in maniera misteriosa ma reale40. Ricordando le parole di san Paolo Veritatem autem facientes in Charitate (Ef 4, 15), don Orione scrive a questo proposito: “Vivere la verità nella carità, operare cioè sempre secondo gli insegnamenti della fede, che contiene la verità rivelata, sotto l’impulso della carità, fedeli alla verità, ma in una volontà e spirito di santo amore, di carità”41.
La logica di don Orione, espressa in una lettera a Merry del Val del 14 luglio 1911, è quella di un santo, che fa sua la divisa di Pio X: fortiter in re, suaviter in modo; “se, nei modi, cerco di usare prudenza e carità, ciò non faccio mai a scapito dei principi e, in fatto di dottrina, di disciplina, di Chiesa, di Papa, di libertà della Chiesa, di obbedienza e di unione in tutto col Papa, mi sono sempre gloriato e mi glorio di essere un intransigente, e non saprei concepire un Sacerdote e un cattolico che pretendesse essere tale, la pensasse o facesse diversamente”42.
In una lettera al conte Roberto Zileri (1858-1937) del marzo 1911, don Orione manifesta la sua intenzione di darsi “a corpo morto ad un lavoro di difesa della Chiesa: con molta carità e pregando continuamente, per me e per quelli contro cui dovrò aprire il fuoco, che del resto non varrà che ad illuminare gli erranti e i dubbiosi, e non abbrucerà che gli errori e le iniquità dei traditori della Chiesa, di coloro che esigono essere considerati quali figli o soldati della Chiesa, mentre in realtà non passati così oltre, da non essere, in realtà, che disertori e talora, anche perfidi denigratori della Sede Apostolica e nuovi crocifissori del Vicario di Cristo. Sento che questo vuole Dio da me, sono povero servitore; che mi dia tutto al suo onore, sino all’olocausto di me stesso, e all’amore a difesa della nostra Madre, la S. Chiesa di Roma”43.
Negli anni in cui si acclamava la figura utopistica del “Santo” di Fogazzaro, don Orione incarna la vera santità, umile e silenziosa, ma non per questo meno incandescente nell’amore che la consuma. Decantate le polemiche, uno degli “accusati” di don Orione, lo stesso biografo di Fogazzaro, il Gallarati-Scotti, ammise: “Solo oggi posso dire: tutti sentivano il Santo. Il Santo che è al di sopra di tutti, che congiunge tutti, che abbraccia tutti, che comprende tutti”44. L’abbraccio caritatevole di don Orione verso i più lontani non sacrifica neppure uno iota alla Verità in cui egli crede e che riproduce in se stesso, ad immagine del suo Divino Maestro.
NOTE
1 Don Orione è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 26 ottobre 1980. Per un panorama della letteratura orionina si veda Bibliografia orionina a cura di A. Belano, Piccola opera della Divina Provvidenza, Roma 1997. Tra le biografie: Giorgio Papasogli, Vita di don Orione, Gribaudi, Torino 1974; Domenico Sparpaglione, Don Orione, Paoline, Roma 1978; cfr. anche AA.VV., La figura e l’opera di don Luigi Orione (1872-1940), Atti dell’incontro di studio tenuto a Milano il 22-24 novembre 1990, Vita e Pensiero, Milano 1994 e gli studi raccolti in questo volume.
2 Don Orione assume l’incarico il 25 giugno 1909 e lo tenne fino al 7 febbraio 1912. Sulla sua attività a Messina, cfr. G. Papasogli, cit., pp. 180-228.
3 Cfr. i capitoli successivi “Una rete di rapporti” e “Don Orione e Padre Semeria: una lunga e fraterna amicizia”.
4 Il barone Leopoldo Franchetti, celebre per le sue inchieste sulle condizioni dell’Italia meridionale, senatore dal 1909, era impegnato in numerose iniziative di carattere filantropico. Cfr. la voce di G. Sircana, in DBI, 50 (1998), pp. 71-73.
5 Sulle vicende de “Il Rinnovamento”, cfr. L. Bedeschi, Modernismo a Milano, Pan editrice, Milano 1974, pp. 31-70. Cfr. anche P. Scoppola, Crisi modernista, cit., pp. 163-200; O. Confessore, Conservatorismo politico e riformismo religioso, Il Mulino, Bologna 1971, in particolare per i rapporti con la rivista “La Rassegna Nazionale” (pp. 287-366).
6 Cfr. Giovanni Spadolini, Giolitti e i cattolici (1901-1914), Felice Le Monnier, Firenze 1960, pp. 155-177.
7 Cfr. Antonio Piromalli, Francesco de Santis e il programma massonico di pedagogia nazionale, in Centro per la Storia della Massoneria, La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria, 2a ed. riv., Bastogi, Foggia 1990. Cfr. anche Giorgio Canestri-Giuseppe Ricuperati, La scuola in Italia dalla Legge Casati ad oggi, Loescher, Torino 1976; G. Chiosso, L’educazione nazionale da Giolitti al primo dopoguerra, La Scuola, Brescia 1983; Fare gli Italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, a cura di S. Soldani-Gabriele Turi, Il Mulino, Bologna 1993; Emilio Gentile, La grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel XX secolo, Mondadori, Milano 1997.
8 Pio X, Positio, pp. 862-863; cfr. A. Lanza, Don Orione e la contessa Spalletti, “Messaggi di Don Orione” 32(2000) n. 100, pp. 51-57. A Messina lavoravano due organizzazioni: una costituita dalla Delegazione Pontificia presieduta da Monsignor Cottafavi, e l’altra laico-governativa, il Patronato Regina Elena per gli orfani, presieduto dalla Contessa Gabriella Spalletti Rasponi. La Spalletti, che era stata tra le fondatrici del Consiglio nazionale delle donne italiane nel 1900 (cfr. Agostino Gemelli-Francesco Olgiati, Il movimento femminile in Italia, in “Vita e Pensiero”, 5 (1919), p. 617-622; Danilo Veneruso, Benedetto XV e il laicato cattolico italiano, in Spiritualità ed azione del laicato cattolico italiano, II, Padova 1969, pp. 416-419), presiedeva la “Associazione delle Donne Italiane” a cui si era contrapposta la “Associazione delle Donne Cattoliche” fondata, su mandato di Pio X, da donna Cristina Giustiniani Bandini.
9 A. Fogazzaro, Le idee di Giovanni Selva, in “Il Rinnovamento”, febbraio 1907, pp. 130-131. Fogazzaro non aveva mutato le sue opinioni di fondo; in quello stesso 1910, definiva le opere di Tyrrell (già scomunicato), “libri ammirabili, superiori per potenza di suggestione religiosa a quanto ha prodotto il clero cattolico, direi, da secoli”; Lettera a Sabatier del 28 gennaio 1910, in Carteggio Fogazzaro-Sabatier, a cura di Ettore Passerin d’Entrêves, “Fonti e Documenti”, 2 (1973), p. 77.
10 Lettera del 15 marzo 1910 in Scritti, 107, 76. In una minuta di questa lettera si legge: “Mi pare sia tale da costituire un grave pericolo, specialmente per la Calabria. Essa è formata da uomini di varie religioni, ed è presieduta dal barone Franchetti, ebreo, ma moralmente pare sarà guidata dal Fogazzaro. Essi contano redimere il Mezzogiorno d’Italia dalla superstizione – ed educare il popolo al bene”; Scritti 107.76; 84. 24.
11 “Stasera, trovandomi da Sua Eminenza rev.ma il cardinale De Lai, ho stimato buona cosa fargli conoscere questo nuovo piano di guerra che si prepara per quella Diocesi, anche per essere autorizzato ad avvertirne subito Mons. Arcivescovo di Reggio (…). Tenuto conto della cultura, della disciplina ecclesiastica e dello spirito e vita sacerdotale del Clero della Calabria e di parte della Sicilia, questo lavoro, che vorrebbero fare per parecchi anni, già tanto in sé esiziale per le loro dottrine, temo grandemente porti ad una vera rovina pel clero di quelle parti”. L’11 ottobre 1909 il card. De Lai aveva compiuto una visita strettamente privata all’arcivescovo di Messina. La visita era dovuta alle insistenze su Pio X di don Orione che suggeriva le modalità in cui avrebbe dovuto svolgersi la visita; DO, pp. 220-222.
12 Don Orione scrive al Cavallanti, il 16 aprile: “Le dico che di questo lavoro che si vuole fare è già informata la S. Sede e credo poterle dire in via riservata che mi pare che Lei farà cosa a Roma gradita, ed utilissima a queste popolazioni, che sarebbero doppiamente disgraziate, se attecchisse qui il modernismo”; L. Bedeschi, Documenti, cit., p. 362.
13 Lettera di Pio X a mons. Mistrangelo dell’8 marzo 1908, in Disquisitio, p. 104.
14 Disquisitio, p. 110.
15 Disquisitio, p. 112.
16 Disquisitio, p. 111.
17 “L’Unità Cattolica”, 19 maggio 1910.
18 Scritti 84, 291; 96, 137.
19 Scritti 107, 98; 48, 61. “Non so quanto ci possa essere vero – aggiunge don Orione – ma egli, parlando, disse essere tutto intimo di un certo P. Gazzola, che è a Livorno e di avere bravi amici tra alcuni professori del Seminario di Milano”. Traspare da queste righe la diffidenza di don Orione verso padre Gazzola, di cui non conosceva, ma intuiva, i legami con i modernisti e verso i “bravi amici” del Seminario di Milano, considerato da Pio X come un focolaio di modernismo.
20 Cfr. Don Orione e Padre Semeria: una lunga e fraterna amicizia (pp. 123-222).
21 L’amicizia di don Orione con padre Semeria datava già dal 1898 e aveva portato il barnabita a collaborare con don Orione per la stesura delle Costituzioni, indubbio atto di fiducia e sintonia. Già nel gennaio del 1909 don Orione aveva invitato padre Semeria a portare la sua opera di soccorso ai terremotati (Scritti, 66.284). Don Orione, amando padre Semeria, pur senza condividerne certe idee, in quell’occasione lo invitava a misurare sul terreno della carità il proprio desiderio di apostolato. Semeria da parte sua, conoscendo l’influsso del sacerdote tortonese su Pio X, aveva visto nella proposta l’occasione per ottenere un’autorizzazione pontificia che potesse rompere il clima di isolamento in cui si trovava a causa del suo ambiguo atteggiamento nei confronti del modernismo. Scrisse dunque immediatamente una lettera a Pio X, che lo stesso don Orione si incaricò di far recapitare il 18 gennaio, in cui così si esprimeva: “Oh Padre Santo, io sono disposto a lasciare il campo arido delle discussioni intellettuali: io l’ho anzi lasciato, per gettarmi in questo campo della carità, che Don Orione m’addita, e le presenti circostanze impongono”, ma chiede a Pio X una “parola liberatrice” che gli restituisca “l’energia e la fiducia dell’apostolato” verso “tutta quella povera gente tra la quale discutere di critiche filosofiche o storiche sarebbe una irrisione. (…) Mi metterò a disposizione di don Orione col permesso della Santità Vostra, senza uscire menomamente dal mio caro Ordine. Che bella cosa sarebbe così il seppellire sotto le rovine del terremoto il mio cosiddetto modernismo!”; Scritti 66, 284 ss.
22 Semeria dopo aver preso parte alla redazione del Programma dei modernisti, aveva approvato, nel 1909, il progetto della “Revue moderniste internationale” di Antonino De Stefano (cfr. F. Parente, Buonaiuti, cit., p. 114): frequentava Buonaiuti (Giorgio Levi della Vida ricorda di aver incontrato Buonaiuti presso il Semeria nella casa dei Barnabiti in via dei Chiavari; Fantasmi ritrovati, Neri Pozza, Vicenza 1966, p. 128) e collaborava alla sua “Rivista storico-critica delle Scienze teologiche”. Quando nel 1910 fu imposto il giuramento antimodernista, egli domandò al Sant’Uffizio e quindi alla Concistoriale, di esserne dispensato e poi si rivolse direttamente a Pio X, sottomettendogli il suo “caso di coscienza”. Il Papa gli rispose concedendogli, a titolo personale, di prestare giuramento con le riserve che egli aveva indicato, ma poiché Semeria comunicava i propri segreti a tutti “sotto silenzio” confidenziale, la cosa fu conosciuta negli ambienti modernisti e utilizzata come pretesto per fare il giuramento senza aderirvi pienamente. Sul giuramento semeriano, cfr. Gentili-Zambarbieri, Il caso Semeria, in “Fonti e Documenti”, 4 (1975), pp. 170-184; F. Gabrieli (a cura di), Il testamento di fede di don P. Vannutelli, “Fonti e Documenti”, 8 (1979), p. 125. Gabrieli situa Semeria, come don Primo Vannutelli (1885-1945), “tra i modernisti rimasti dopo la condanna dentro la Chiesa, che si piegarono alla sua disciplina pur mantenendo nel cuore le loro intime convinzioni” .
23 Anche Adelaide Coari, pur estimatrice di Semeria, nelle sue memorie, conferma che “Padre Semeria venne in Calabria nel periodo della guerra 15/18, non mi pare sia venuto prima. Era una cara persona, ma non era nato del tutto per essere un educatore. Era troppo idealista, e largo, tollerante troppo, e troppo preoccupato del benessere degli assistiti. Anche don Orione voleva il benessere, ma anche lo spirito di sacrificio...”; Memorie di Adelaide Coari trasmesse al Postulatore di don Orione con lettera datata Milano 25 marzo 1959, in ADO, Coari.
24 L. Bedeschi, Documenti per la storia dell’antimodernismo: tre corrispondenze di don Orione dopo il terremoto Siculo-calabro, in “Rivista di Storia e letteratura religiosa”, VI (1970), pp. 350-367; padre Sergio Pagano, Il “caso Semeria” nei documenti dell’Archivio Segreto Vaticano”, “Barnabiti Studi”, 6 (1989), pp. 7-175).
25 A. Lanza, Don Orione negli anni del modernismo, Messaggi 24 (1992) n. 79. Alla luce dei nuovi e più completi documenti L. Bedeschi ha scritto la Nota riportata alle pp. 349-352.
26 Scritti, 43, 53.
27 Cfr. A. Zambarbieri, Centralismo romano e universalismo nella missione del Papato. La prospettiva di Don Orione: spunti, consonanze e accordi storici, “Messaggi di Don Orione”, 23 (2002), n. 107, pp. 5-24.
28 Cfr. i saggi di Mario Taccolini, Ecclesiologia e sacerdozio nella spiritualità di don Luigi Orione. Studio introduttivo, in Aa.Vv., La figura e l’opera di don Luigi Orione, cit., pp. 103-105, e N. Raponi, I rapporti di don Orione con il movimento cattolico, Pio X e il modernismo, ivi, pp. 142-148; A. Zambarbieri, La devozione al Papa, in “Storia della Chiesa” (Fliche-Martin), XXII/2, Milano 1990, pp. 9-81. Sulla genealogia spirituale che risale a Pio Brunone Lanteri, cfr. R. de Mattei, Idealità e dottrina delle “Amicizie”, Biblioteca Romana, Roma 1981.
29 “Il cattolico intransigente – afferma don Orione in uno scritto giovanile – è un cattolico schietto e semplice, che ascolta la voce del Leone vaticano e lo venera e ubbidisce nel suo governo (…), è in tutto e sempre col Papa e leva coraggiosamente la fronte e ti dice alto: Guardami in faccia: sono papalino!”; Scritti 57, 220. Cfr. Giancarlo Rocca, Nascita e orientamento della congregazione orionina nel quadro dello slancio sociale dei religiosi, in Aa.Vv., La figura e l’opera di don Luigi Orione, cit., pp. 125-140.
30 Scritti, 52,2. Sul IV voto cfr. Ignazio Terzi, “Speciale legame di speciale interesse”. Il IV voto di fedeltà assoluta al S. Padre, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona-Roma 1983; A. Lanza, Il IV voto di fedeltà al Papa dei Figli della Divina Provvidenza “Messaggi”, n. 60; AA.VV., Sui passi di Don Orione. Sussidio per la formazione al carisma, Dehoniane, Bologna 1996.
31 Cfr. le deposizioni di don Orione in Pio X, Positio, pp. 861-866, 1086-1088. Conferenza di don Orione in Scritti, vol. 61.128; Il Papa della Divina Provvidenza in Scritti, vol. 105.369; ne invoca la beatificazione, in Scritti 85.112; sulla condanna del modernismo cfr. Lettere, vol. 77.154.
32 Lettere I, pp. 77-101; cfr. I. Terzi, cit., p. 47. Don Orione aveva già emesso i voti perpetui un mese prima, il 19 marzo 1912, presso il Santuario della Madonna della Catena a Cassano Jonio. In quel testo si legge: “Prometto e giuro e faccio voto di difendere il Santo Padre, il Papa che ora è il S. Padre Pio X e tutti i suoi legittimi Successori, e di obbedire in tutto e sempre a Lui, e di amare e difendere non solo i suoi diritti spirituali, ma anche i temporali e la santa libertà della Sede Apostolica Romana e della Santa Madre Chiesa con tutte le mie forze, e anche colla effusione del sangue e con il sacrificio di tutta la vita, poiché questa piccola Congregazione è tutta opera della Santa Chiesa di Dio e della S. Sede Apostolica, che è la Romana, e del Vicario in terra di Nostro Signore Gesù Cristo che è il Santo Padre, il Papa di Roma oggi Pio X”; Scritti 71, 70; 80, 51.
33 Si veda per esempio la posizione di Don Orione di fronte alla “questione romana” o alla “questione sociale”: I. Terzi, La Chiesa dovrà trattare con i popoli, “Messaggi di Don Orione” 16 (1974) n. 20; Idem, Il momento storico in cui operò Don Orione, “Rivista Diocesana di Tortona”, maggio-giugno 1972, p. 105-112; Aldo Del Monte, La scelta sociale di Don Orione, in AA.VV., Don Orione nel centenario della nascita: 1872-1972, Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1974; pp. 92-100. Sulla questione romana si veda: A. Lanza, Don Orione, la Questione Romana e la Conciliazione, “Messaggi di Don Orione” 25 (1993) n. 81; Flavio Peloso, Don Orione e la Conciliazione, “Studi Cattolici” XLV (2001) n. 484, pp. 426-431.
34 Cfr. Piano e programma della Piccola Opera della Divina Provvidenza (Lettere I, pp. 11-22) presentato da don Orione al vescovo Igino Bandi in vista dell’approvazione della congregazione nel 1903.
35 Cit. in I. Terzi, “Speciale legame di speciale interesse”, cit., p. 42.
36 Per uno studio della elaborazione e delle successive edizioni delle Costituzioni, cfr. A. Lanza, Le Costituzioni della Piccola Opera della Divina Provvidenza, “Messaggi di Don Orione 23 (1991) n. 76.
37 I. Terzi, cit., p. 46. “Noi siamo guardie giurate del Papa. (…) Vivere, operare e morire d’amore per il Papa: ecco, questa, e solo questa, è la Piccola Opera della Divina Provvidenza” scriverà il 5 gennaio 1928 ai religiosi di Polonia della Congregazione (Lettere, vol. II, p. 45). Gunther J. Gerhartz S.I. afferma che il IV voto degli Orionini è più esteso ed esigente di quello dei Gesuiti; cfr. “Guardia Giurata” des Papstes: Don Orione und sein Werk, in “Insuper Promitto...”. Die feierlichen Sondergelebde katholischer Orden (Analecta Gregoriana, 153), Roma 1966, pp. 273-279.
38 Non vi è mai traccia, nel suo comportamento, di menzogna, che per la morale cattolica consiste nella locutio contra mentem, ossia nella esplicita contraddizione tra il proprio pensiero e quanto con la parola o con lo scritto si comunica al prossimo, tradendo la sostanziale funzione della parola, che è quella di esprimere il proprio animo; cfr. le voci di L. Godefroy, Mensonge, in DTC, coll. 555-569; Leonardo Azzolini, Menzogna, EC, VIII, coll. 701-705.
39 Anche a Messina, pur avendo una responsabilità istituzionale che lo portava alla contrapposizione, si fece autentici amici proprio quelli che combatteva tessendo con loro una rete di rapporti fecondi e duraturi. Cfr. il contributo alle pp. 87-122.
40 Cfr. Réginald Garrigou-Lagrange, Dieu. Son existence et sa nature, Beauchesne, Paris 1950, vol. II, pp. 720-726.
41 Scritti 57, 84. Cfr. anche Lo spirito di don Orione, vol. VII, Carità, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona-Roma 1993, p. 41. Su questa logica di don Orione, cfr. Divo Barsotti, La spiritualità del Beato Luigi Orione, Messaggi di Don Orione” 16 (1984) n. 59; F. Peloso, Don Orione un vero spirito ecumenico, Dehoniane, Roma 1997, in particolare pp. 59-65.
42 Scritti 107, 159; 102, 163. La lettera riportata in D.O., pp. 564-569.
43 Scritti 50, 278, 276.
44 ADO, Gallarati Scotti.
Nessun commento:
Posta un commento