La sua è stata una vita spesa in difesa della dottrina tradizionale della Santa Chiesa, soprattutto in vista degli errori che si sono macroscopicamente manifestati sulla fedele trasmissione del depositum fidei, a partire dal Concilio Vaticano II. La sua opera di studioso, espressasi tramite centinaia di articoli apparsi su diversi giornali e riviste e tramite piú di 30 pubblicazioni, è stata per anni un punto di riferimento prestigioso per tutti coloro che hanno sentito il bisogno di rimanere ancorati alla dottrina tradizionale della Chiesa. Lo rimarrà sicuramente in avvenire, soprattutto in riferimento alla puntuale messa a punto da lui condotta contro le distorsioni dottrinali scaturite dalla cosiddetta "nuove esegesi" dei testi scritturali. Una delle caratteristiche del suo lavoro è la prevalente mancanza di opinioni personali, egli ha sempre curato che parlassero i testi e i documenti dottrinali della Chiesa; cosa che poteva procurargli, com'è avvenuto, solo il fastidio e il misconoscimento della corrente modernista. In questa occasione riportiamo qualche passo del suo libro La "Nuova Esegesi", Il trionfo del modernismo sull'Esegesi Cattolica (editons Les Amis de saint François de Sales, c. p. 2346, CH, 1950 Sion 2, 1996). Dal capitolo XV - Il post-Concilio frutto dell'equivocità del Concilio "Libertà" d'errore Frutto degli equivoci del Concilio è nel post-concilio il trionfo della “nuova” esegesi ovvero dell'esegesi neo-modernistica, che - cardinal Martini in testa - nega l'inerranza assoluta della Sacra Scrittura, l'autenticità e storicità degli Evangeli, respinge la guida del Magistero infallibile della Chiesa, ma proclama di essere in tal modo fedele alla Divino Afflante Spiritu di Pio XII (ridotta a pochi brani neo-modernisticamente interpretati), all'Istruzione della Pontificia Commissione Biblica (preparata e fatta approvare dal card. Bea), e alla Dei Verbum del Vaticano II (ridotta anch'essa a quelle parti che possono servire alla causa dei neo-modernisti e faziosamente interpretata). L'interpretazione neo-modernista della Dei Verbum è stata e viene proposta dai gesuiti: da padre Ignazio de la Potterie S. J. ai suoi confratelli de La Civiltà Cattolica; tutti sostanzialmente concordi con il padre R. Rouquette S. J., che entusiasta scriveva nel 1965: «Lo schema sulla Rivelazione nella sua forma definitiva resta un grande testo liberatore che non chiude alcuna porta; esso consacra il lavoro cosí considerevole della esegesi cattolica contemporanea [quella, s'intende, che nega i dogmi fondamentali dell'esegesi cattolica]. Esso lascia la via aperta alla ricerca. I Romani [i gesuiti del Biblico, Lyonnet e Zerwick in particolare] che erano stati cosí violentemente e cosí ingiustamente attaccati alcuni anni prima, esprimono unanimamente la loro soddisfazione» (Études 1965, p. 680). A sua volta, il card. Carlo Maria Martini, attuale cardinale di Milano e già rettore del Pontificio Istituto Biblico, dalle pagine de La Civiltà Cattolica proclamava enfaticamente: «La Dei Verbum, in una sintesi, riprende le autorevoli indicazioni delle encicliche [in ogni caso, una sola: la rivoluzionaria, secondo il Biblico, Divino Afflante Spiritu] e non solo toglie ogni possibile dubbio sulla validità dell'uso di questi metodi moderni nella esegesi cattolica, ma indica anche le vie di un ulteriore approfondimento» (Alcuni aspetti della Dei Verbum, ne La Civiltà Cattolica, 7.5.1966, pp. 216-266; in particolare pp. 211-226: Il Concilio e la scienza biblica). E dopo aver propugnato la «sua» interpretazione del capitolo V della Dei Verbum (inerranza e storicità) conclude, ancor piú entusiasta: «Si può dire che in questo capitolo l'odierno movimento biblico ha trovato il suo piú alto riconoscimento e la sua magna charta, che gli permetterà di permeare efficacemente e liberamente [libertà va cercando, ma se l'è presa già da tempo!] tutti gli aspetti della vita della Chiesa…». Libertà! La libertà di ricerca nell'esegesi cattolica c'è sempre stata. Basti ricordare l'opera compiuta nel campo degli studi biblici dal padre M. J. Lagrange O. P. con la sua École Biblique e dallo stesso Istituto Biblico fino al 1950 circa (V. École Biblique e Istituto Biblico nel Dizionario Biblico (ed. Studium) da me diretto). Ma non è la libertà di ricerca nello studio scientifico che i «nuovi esegeti» van cercando. Essi, accecati dalla loro infatuazione per i sistemi razionalistici protestantici, chiedono, ed oggi credono di aver conseguito la «libertà» dalla guida luminosa del Magistero infallibile della Chiesa, cui ogni esegeta cattolico è obbligato ad attenersi dai concili Tridentino e Vaticano I, ecumenici e dogmatici, i quali dichiarano che «nelle cose di fede e di costume, appartenenti alla edificazione della fede cristiana, bisogna tenere per vero senso della Sacra Scrittura quello che ha tenuto e tiene la Santa Madre Chiesa, cui compete giudicare del vero senso e della vera interpretazione della Sacre Scritture; perciò a nessuno è lecito interpretare la Sacra Scrittura contro questo senso (della Chiesa) o anche contro l'unanime consenso dei Padri» (Vaticano I, Costituzione De Fide Catholica, D. 3007. V. Giorgio Castellino, S. D. B., La Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, p. 208. Cf. F. Spadafora, Esegesi e Teologia, Il Principio fondamentale per la sana esegesi, in Renovatio 1967, pp. 233-264, e in Palestra del Clero, nn. 12-13, 1972). Silenzi ed omissioni del card. Martini Per il card. Martini e i «nuovi esegeti» il Vaticano II nella Dei Verbum avrebbe sancito due… eresie: 1) l'inerranza della Sacra Scrittura non è assoluta, ma limitata alla «verità salvifica»; 2) gli Evangeli non sono libri storici né sono stati scritti da Matteo, Marco, Luca e Giovanni, bensí da ignoti «redattori». Quali le argomentazioni del card. Martini? Guardate - egli dice in sostanza - «le successive formulazioni che il testo ricevette nei diversi schemi, in particolare il n. 11» [sull'inerranza]; dalla professione netta dell'inerranza si passa alla «verità salutare» e infine alla «verità […] consegnata nelle Sacre Lettere per la nostra salvezza»; allo stesso modo, dall'affermazione chiarissima sull'autenticità e storicità degli Evangeli si passa al testo attuale, che fa sua l'Istruzione del card. Bea, la quale approva la Formengeschichte ed apre cosí la via alla negazione dell'autenticità e storicità degli Evangeli. Cicero pro domo sua. Nessun accenno da parte del Martini alle subdole manovre della Commissione dottrinale, alla tenace opposizione di centinaia di Padri culminata nel ricorso al Papa, nessun cenno all'intervento di Paolo VI documentato anche dal gesuita Caprile (il cui articolo il Martini cita solo in nota), affinché fosse riaffermata l'inerranza assoluta e poi la piena storicità degli Evangeli con un testo non equivoco, come era troppo chiaramente il testo presentato in aula per la votazione (V. sí sí no no, agosto 1994, pp. 4-5). Il Martini, insomma, finge d'ignorare che le successive formulazioni, tutte insoddisfacenti, su cui egli poggia la «sua» interpretazione della Dei Verbum, furono opera non del Concilio, ma dei membri neo-modernisti (quasi tutti ex alunni del Biblico), eletti nella commissione teologica dai Cardinali e Vescovi dell'«Alleanza Europea». […] A questo punto il lettore può valutare l'importanza fondamentale delle commissioni conciliari e comprendere sempre meglio i cardinali Liénart, Frings, Lefèbvre (di Bruges, da non confondere con mons. Lefèbvre), Léger, Montini, Tisserant, ecc. esponenti maggiori della cosiddetta «Alleanza Europea», si diedero tanta cura di immettere in ciascuna di esse, e in particolare nella Commissione teologica, i propri elementi «liberali» o neo-modernisti (V. sí sí no no, agosto 1994, p. 2). Questi riuscirono in detta commissione ad avere la prevalenza ed inoltre, protetti e decisi, ebbero il sopravvento sugli altri membri, che avrebbero potuto e dovuto contrastarli, ed invece «pacifici» o ignari, si adattarono al compromesso. Ne ho personale esperienza. Membro della commissione teologica era sua ecc.za E. Florit, Vescovo in attesa del cardinalato. Ex alunno del Biblico e già professore di Sacra Scrittura al Laterano, aveva scritto contro la Formengeschichte: «non si dà [in essa] parte alcuna ad un intervento soprannaturale nella composizione dei Vangeli, quindi ispirazione divina e conseguente inerranza sono escluse» (E. Florit, Il metodo della "storia delle forme" e la sua applicazione ai racconti della Passione, 1935, pp. 227-230). Discutevamo una sera, durante il concilio, appunto sulla ispirazione dei Libri Sacri; «Lei ha ragione - concluse in risposta alle mie osservazioni sul testo conciliare - ma dobbiamo dare un contentino all'altra parte, agli oppositori». La diplomazia, il compromesso, invece di proporre integra e precisa la dottrina cattolica che emerge cosí limpida dai documenti del Magistero! […] Porta aperta all'errore «Quando si vuol giocare sulle ambiguità, niente di meglio che confondere i punti fondamentali nel mare di tante altre considerazioni» scrisse mons. P. C. Landucci. E il prof. Romano Amerio bene illustra l'«ermeneutica neoteorica» post-conciliare ovvero l'interpretazione neo-modernistica del Concilio (R. Amerio, Iota Unum, R. Ricciardi ed., Roma-Napoli 1985, p. 93). «Ancor piú rilevante è il fatto che il metodo del circiterismo [circiterismo = quasi esprimersi per approssimazione, in modo ambiguo] fu adoperato talvolta nella redazione stessa dei documenti conciliari. Il circiterismo fu allora imposto intenzionalmente affinché l'ermeneutica post-conciliare potesse poi rubricare o nigricare quelle idee che le premevano. “Nous l'exprimons d'une façon diplomatique, mais après le Concilie nous tirerons le conclusions implicites”» ("Noi l'esprimiamo in modo diplomatico, ma dopo il Concilio tireremo le conclusioni implicite": è una dichiarazione del «perito» domenicano Schillebeeckx alla rivista olandese De Bazuin, n. 16, 1965). Cosí, ad esempio, il testo della Dei Verbum dichiara in modo inequivocabile che la Santa Chiesa «afferma senza esitazione» la storicità degli Evangeli: «quorum [Evangelorium] historicitatem [Sancta Mater Ecclesia] incunctanter affirmat», ma mons. Galbiati nel suo commento precisa che questo vale solo per la «storia della salvezza» (E. Galbiati, La Costituzione dogmatica della Divina Rivelazione, Elle Di Ci, Torino 1966, p. 255). Donde attinge egli questa sua interpretazione limitativa, che restringe la storicità degli Evangeli alla sola «storia della salvezza», escludendo la storia profana? Dalla successiva affermazione che i Vangeli «tramandano fedelmente ciò che Gesú, Figlio di Dio, vivendo tra gli uomini, fece ed insegnò realmente per la loro salvezza». Dunque - egli ne conclude - i Vangeli tramandarono fedelmente solo ciò che riguarda la nostra salvezza. Cosí, con una espressione sintatticamente trasposta e avulsa dal suo contesto nonché dalla storia della sua elaborazione, il Galbiati vorrebbe limitare anche la storicità (non meno dell'inerranza) alle cose concernenti solo la fede e i costumi! Rileviamo con il prof. Amerio che «a questo proposito è sommamente importante il fatto che, avendo il Concilio giusta la consuetudine lasciato dietro di sé una commissione per l'interpretazione autentica dei suoi decreti, questa commissione non abbia mai emanato esplicazioni autentiche e non si trovi citata mai. Cosí il tempo postconciliare anziché di esecuzione, fu di interpretazione [quasi sempre arbitraria e faziosa] del Concilio. «Mancando un'interpretazione autentica, i punti in cui apparisse incerta e questionabile la mente del Concilio, tale definizione fu gettata alle dispute dei teologi […]. «Il carattere anfibologico dei testi conciliari dà cosí un fondamento tanto all'ermeneutica neoterica quanto a quella tradizionale» (R. Amerio, op. cit., p. 88). E in nota egli osserva: «L'incertitudine del Concilio è ammessa anche dai teologi piú fedeli alla Sede Romana che si studiano di discolparne il Concilio. Ma è chiaro che la necessità di difendere l'univocità del Concilio è già un indizio dell'equivocità sua». […] (3/98) |
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giovedì 6 giugno 2013
IN MEMORIA DI MONS. FRANCESCO SPADAFORA
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