SAN PIO X
santo anche nella dura lotta
per difendere la Chiesa
dagli errori dei modernisti
SACRA RITUUM CONGREGATIO
SECTIO HISTORICA
S. Hist. n. 77santo anche nella dura lotta
per difendere la Chiesa
dagli errori dei modernisti
SACRA RITUUM CONGREGATIO
SECTIO HISTORICA
ROMANA
BEATIFICATIONIS ET CANONIZATIONIS
SERVI DEI
PII PAPAE X
DISQUISITIO
CIRCA QUASDAM OBIECTIONES
MODUM AGENDI SERVI DEI RESPICIENTES
IN MODERNISMI DEBELLATIONE
UNA CUM
SUMMARIO ADDITIONALI
EX OFFICIO COMPILATO
TYPIS POLYGLOTTIS VATICANIS
1950
1907 – 8 settembre – 2007
centenario dell’Enciclica di San Pio X
Pascendi Dominici gregis
sugli errori del Modernismo
La redazione di Flos Carmeli
ringrazia
Quirino Bortolato,
studioso della figura di San Pio X,
ed i suoi collaboratori della
Associazione Culturale “Tempo e Memoria”
di Salzano,
che curano il sito
Museo San Pio X
per averci fornito i testi della Disquisitio
-o0o-
—————o0o———————————-o0o——————-
Pascendi: l’enciclica che condannò il Modernismo
“L’antico parroco di campagna, nella sua imperizia facile preda dei raggiri gesuitici, ha manifestato fin da principio la volontà risoluta di calpestare ogni prete reo di volere il progresso della spiritualità del cattolicesimo”. 1
“…Ha aperto l’era delle discordie atroci fra noi e ha lasciato che tutti i lanzichenecchi della pretesa ortodossia, come cani in una partita di caccia, si mettessero sulle orme del cosiddetto modernismo e gettassero i latrati dei loro insulti volgari e dei loro colpi velenosi contro quanti cercano di compiere nella Chiesa opera di illuminazione e di rinnovamento”. 2
“…Questo modesto patriarca della laguna, balzato, come in un brutto sogno estivo, sulla sede che occuparono un dì Gregorio VII e Innocenzo III”. 3
“…Tutta la grettezza d’animo degli infimi strati sociali (…) tutta la ignoranza della più vecchia generazione clericale, cresciuta e alimentata fra gli anatemi al movimento di modernità; tutto l’astio degli incolti contro gli uomini della scienza; tutto il disprezzo incolto di chi non sa, per lo sviluppo e la ricchezza dell’intelligenza; dominano nell’animo di questo buon parroco di campagna, strappato da un singolare colpo di fortuna alle occupazioni piccine e alle conversazioni, innaffiate di un buon vino e di facili barzellette, della solitaria canonica, e portato a reggere il governo della più grande organizzazione religiosa”.4
“…Dicono che Pio X abbia un cuore d’oro, e che alle deficienze insanabili del suo intelletto, supplisca la tenerezza del sentimento … posso dire che questa è una pietosa menzogna…Anche l’uomo più egoista può a volte, elargire briciole cadute dal banchetto del suo benessere, senza per questo dar prova di una bontà iniziale di animo”. 5
“L’ex-patriarca di Venezia, salito al pontificato, lanciò il motto di un grandioso programma: Instaurare omnia in Christo. Ma, poverissimo di idee, tardo nei propositi, fiacco e incoerente nell’azione, la sua magna instauratio si è ridotta a ordinare quella visita apostolica che ha gettato lo scompiglio nelle diocesi italiane, e quelle riforme amministrative delle congregazioni romane, a beneficio del bilancio economico del Vaticano”. 6
“…Se tu sapessi qual solco di disgusto, di malessere, di risentimento hanno scavato nell’animo del giovane clero e del giovane laicato cattolico le condanne di Pio X”. 7Queste frasi così calunniose nei confronti di San Pio X, scritte da Enrico Buonaiuti, uno dei capifila del Modernismo italiano, rispecchiano lo stato d’animo dei modernisti nei confronti del Pontefice. Per comprendere questo odio dobbiamo fare un passo in dietro, tratteggiando, seppur brevemente, le origini del Modernismo e il ruolo assunto da San Pio X per combatterne la propagazione nella Chiesa.LE ORIGINI DEL MODERNISMO
Di fronte alle spinte rivoluzionarie del “cattolicesimo liberale”, che pretendeva riformare la Chiesa a partire da una sintesi tra la dottrina cattolica e il pensiero moderno, Leone XIII il 4 agosto 1879 pubblicò l’enciclica Aeternis Patris, 8 esortando “a rimettere in uso la sacra dottrina di San Tommaso”, che avrebbe dovuto ritornare a essere la base di ogni insegnamento filosofico, per evitare quei sistemi filosofici “che in alcuni paesi hanno contaminato la mente degli stessi filosofi cattolici”. Leone XIII infatti aveva individuato nel tomismo il freno alle tendenze più pericolose: sulla scia del documento (che provocò critiche accese soprattutto in Germania e in Francia) si formò il cosiddetto “neotomismo”. Malgrado l’enciclica, la critica protestante e razionalista, il pensiero fenomenologico e kantiano, continuarono a diffondersi tra i ranghi cattolici, attraverso il clero liberale che aveva un concetto distorto di quello che avrebbe dovuto rappresentare il neotomismo; divennero così focolai di insegnamento distorto le facoltà teologiche di Strasburgo, Monaco, Tubinga, l’Università di Lovanio con monsignor Mercier (che si prefiggeva “di ripensare i problemi e le soluzioni tomiste alla luce delle preoccupazioni moderne”) 9, l’Istituto Cattolico di Parigi, dove insegnavano Duschesne e Loisy sotto la direzione di D’Hulst (“sostenitore, al pari di Mercier, di un tomismo decisamente progressista, che doveva armonizzarsi con le scienze sperimentali e porsi in costante confronto con la filosofia moderna” ). 10
Furono evidentemente le Università e i Seminari romani le roccaforti dell’ortodossia, attraverso della grandi figure come il gesuita Louis Billot (1846-1931), professore all’Università Gregoriana, creato poi cardinale da S. Pio X per i suoi meriti contro il Modernismo; il padre Pio de Mandato, tenace avversario del protestantesimo quando questi dilagò a Roma in seguito all’occupazione del 1870; il cardinale Camillo Mazzella (1833-1900), dapprima professore alla Gregoriana e poi prefetto della Congregazione degli Studi. Quest’ultimo di distinse per la dura critica a Mercier e all’impostazione filosofica da lui data all’Università di Lovanio.
L’adesione sempre più incondizionata alla filosofia moderna, col parallelo disprezzo della teologia tradizionale, da parte di intellettuali cattolici liberali, portarono alla nascita del Modernismo. Scriveva Arnaldo Cervasato, nell’introduzione al libro del modernista irlandese George Tyrrell (1861-1909), Il Papa e il modernismo: “modernismo significa insistenza sulla modernità come principio, vale a dire il riconoscimento, da parte della religione, dei diritti del pensiero moderno, del bisogno di una sintesi non indistintamente tra il vecchio e il nuovo, ma fra quello che mediante l’analisi critica è giudicato buono nel vecchio [pressoché nulla, n.d.r.] e nel nuovo [pressoché tutto, n.d.r.]“. 11
Evidentemente la Chiesa non poteva rimanere indifferente davanti a queste persone che pretendevano “ristudiare” i dogmi, la gerarchia e il culto con lo stesso metodo con cui un fisico analizza il mondo delle scienze naturali! Leone XIII aveva già condannato, con la lettera Testem benevolentiae del gennaio 1899, l’Americanismo del padre Isacco Hecker (morto nel 1888) che metteva in discussione l’immutabilità del dogma. Il Tyrrell tesseva l’elogio a questi precursori d’oltre oceano, affermando che “educati ai principi democratici (…) tenessero a invertire la piramide gerarchica (…) per riportarla nuovamente sulla sua larga base, come cosa che poggi su fondamenta terrestri e non sembri caduta a capofitto dagli spazi aerei”. 12
Il pensiero dell’eresiarca irlandese riassume il Modernismo: ridurre la religione rivelata, la cui ortodossia è stata affidata alla Gerarchia della Chiesa, a un immanentismo religioso, la cui continua evoluzione è osservata da una struttura ecclesiale democratica. Il pensiero modernista, oltre che con le opere di Tyrrell, si diffuse in tutta Europa con gli scritti dei francesi Loisy, Houtin, Laberthonnière, Sabatier, Le Roy, del tedescho Schell, dell’austriaco von Hügel. In Italia il movimento modernista conoscerà tra i suoi esponenti più rappresentativi Enrico Buonaiuti, Romolo Murri, Antonio Fogazzaro. Un pò ovunque sorsero delle riviste d’indirizzo modernistico, che circolavano discretamente ma efficacemente tra il clero giovane italiano, come Il Rinnovamento, Battaglie d’oggi, Nova et vetera, La cultura moderna, Coenobium (quest’ultime due con la redazione in Ticino, ma ben conosciute nelle diocesi italiane).
La figura di Romolo Murri (1860-1944) è legata alla “democrazia cristiana”, applicazione politica del Modernismo, soggetto troppo complesso per essere trattato nel presente articolo. Basti comunque ricordare che il partito democristiano dell’epoca, la “Lega Democratica Nazionale”, di cui Murri fu uno dei principali esponenti, fu decisamente sconfessata da San Pio X, il quale colpì con la sospensione a divinis gli ecclesiastici che ne avessero fatto parte, per porre “un argine efficace a questo fuorviare di idee e a questo dilatarsi di spirito d’indipendenza”. 13
Sul problema dell’indipendenza del laicato cattolico dalla Gerarchia, condannando la “democarzia cristiana” del movimento francese del Sillon, S. Pio X scriverà che “è bene che la milizia sacerdotale si conservi superiore alle associazioni laiche, seppure le più utili e animate dal migliore spirito”. 14L’AZIONE DI SAN PIO X
San Pio X, fin dal primo anno del suo pontificato, svolse un’azione energica per debellare il Modernismo, mettendone all’Indice i libri, colpendo con sanzioni disciplinari i rappresentanti più pericolosi, favorendo la stampa antimodernista dei cosiddetti “cattolici integristi”, che troveranno di lì a poco nell’azione di monsignor Benigni la massima collaborazione tra la Santa Sede e questa pubblicistica integrista. Un mese dopo l’elezione, nell’enciclica E supremi apostolatus, Papa Sarto metteva in guardia i vescovi affinchè “i membri del clero non siano tratti dalle insidie di una certa nuova scienza e fallace che si adorna con la maschera della verità e si studia, con l’ausilio di ragionamenti ingannatori e perfidi, di aprire un varco alle vedute del razionalismo e del semirazionalismo”. 15
Tra il 1903 e il 1907 la Congregazione dell’Indice condanna 32 libri, in particolare le opere dei francesi Loisy, Houtin, Laberthonnière e Le Roy. Nell’aprile del 1906 è la volta di Antonio Fogazzaro (1842-1911) col suo romanzo Il Santo, espessione della sua adesione al Modernismo (nel 1902 scriveva all’amico mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, esponente di spicco dei cattolici liberali in Italia, che le “letture di Loisy, di Houdin, di Tyrrell (…) mi hanno scosso, illuminata, qualche volta pure, se vuole, turbata l’anima; turbata di quel turbamento (…) che non è che una febbre di sviluppo”. 16
Enrico Buonaiuti (1881-1946), che si aggiungerà presto all’elenco, nell’ottobre del 1906 viene destituito dall’insegnamento, mentre nello stesso periodo Loisy viene sospeso a divinis. Nell’aprile del 1907 è il turno di Romolo Murri. Di fronte all’azione di San Pio X gli esponenti più importanti del Modernismo italiano decidono di organizzare un convegno segreto, scegliendo la località di Molveno, nel Trentino. All’assise modernista prende parte il fior fiore dell’etedorossia italiana: Fogazzaro, Fracassini, Buonaiuti, Mari, Murri, Piastrelli, Gallari Scotti, Casati; si dibatte per stabilire un coordinamento capace di far fronte all’azione sempre più incisiva della Santa Sede. Ma ormai era troppo tardi. Infatti, poche settimane dopo il convegno, il 17 luglio 1907 veniva pubblicato sull’Osservatore Romano, con la data del 3 luglio 1907, il decreto Lamentabili sane exitu della Sacra Romana e Universale Congregazione, con un elenco di 65 proposizioni moderniste da considerare “reprobatae et proscriptae” riguardanti l’autorità del Magistero della Chiesa, l’ispirazione e il valore delle S. Scritture, le nozioni di Rivelazione, dogma e fede, l’origine e lo sviluppo della dottrina, la costituzione della Chiesa. Il documento non citava nessun autore delle tesi incriminate, ma lo stesso Loisy rivendicò la paternità di 53 proposizioni, contenute principalmente nelle due opere L’Évangile et l’Église e Autour d’un petit livre. 17
Alla fine dell’estate, il 16 settembre (data ufficiale l’8 settembre) giungeva l’enciclica Pascendi: “precisa e spietata analisi delle dottrine moderniste. Se il decreto era stato soltanto un elenco di proposizioni, l’enciclica si presentava come un vero trattato sistematico, una sintesi meticolosa di tutte le posizioni che erano state espresse negli ultimi anni”. 18
Tra i collaboratori di San Pio X per la stesura dell’enciclica figurarono, per la parte dottrinale, il padre Giuseppe Lemius (1860-1923), procuratore generale degli Oblati di Maria Immacolata a Roma e consultore di diverse Congregazioni (e forse anche il p. L. Billot, futuro cardinale), mentre per la parte morale il cardinal José Vives y Tuto (1854-1913), cappuccino spagnolo, creato cardinale nel 1899 e prefetto della Congregazione dei religiosi nel 1908, uno tra i cardinali più acerrimi oppositori al Modernismo insieme al card. Gaetano de Lai (1853-1928), prefetto della Congregazione Concistoriale.LA PASCENDI, CAPOLAVORO TEOLOGICO
Veniamo al contenuto dell’enciclica, ispirandoci in massima parte alla eccellente sintesi fatta dal padre Francesco Maria Bauducco, nel Dizionario Ecclesiastico dell’UTET. 19
Il documento, dopo aver ricordato l’ufficio del Sommo Pontefice di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede, offre l’esposizione degli errori, delle cause e dei rimedi del Modernismo.
I) Gli errori.
La prima parte, più diffusa, ci presenta il modernista sotto sei aspetti: di filosofo, credente, teologo, storico-critico, apologeta, riformatore. a) Il modernista filosofo professa due dottrine: una “negativa”, l’agnosticismo, per cui la ragione umana attinge solo il fenomeno; l’altra “positiva”, l’immanenza, la quale vorrebbe spiegare la cognizione e ogni fenomeno vitale con una ragione determinante intrinseca all’uomo, come il “bisogno”; così si spiegano la fede, la religione, la rivelazione. Il dogma, mentre di fronte alla fede è “simbolo” – cioè espressione inadeguata, immagine di verità – per il credente è “strumento”, veicolo di verità; esso è mutabile (evoluzione dei dogmi).
b) Il modernista credente è costituito dall’esperienza del sentimento religioso; dal che deriva che ogni religione è vera. Comunicare agli altri tale esperienza è la “tradizione”. Tra scienza e fede è separazione quanto all’oggetto, fenomeno per la prima, realtà divina per la seconda; però la fede è soggetta alla scienza.
c) Il modernista teologo ammette, dipendentemente dalla filosofia modernista: il simbolismo (= le rappresentazioni della realtà divina sono semplicemente simboli), l’immanenza (= esperienza privata), la permanenza del divino (= esperienza trasmessa per tradizione). Secondo lui: la dottrina dei “bisogni” spiega l’origine non solo della fede, ma del dogma, culto, Sacramenti, S. Scrittura (= raccolta delle esperienze straordinarie avute in ogni religione), la Chiesa (=frutto di due bisogni: uno, nel credente, di comunicare ad altri la propria fede; l’altro, di associarsi, nella collettività, dopo che la fede si è fatta comune a molti. La Chiesa è parte della “coscienza collettiva” da cui scaturiscono e dipendono le 3 autorità: disciplinare, dogmatica, culturale. Essa è separata per il fine dallo Stato, da cui però dipende nelle cose temporali). L’evoluzione invece di tutte queste cose risulta dal conflitto di due forze: una progressiva, che sta nelle coscienze individuali, ed è costituita dai bisogni; l’altra conservatrice, che sta nelle Chiesa, consiste nella tradizione ed è esercitata dall’autorità religiosa.
d) Per il modernista storico-critico, sempre dipendente dal filosofo: – L’agnosticismo bandisce Dio e ogni fatto divino dalla storia, e – solo contento dei fenomeni – attribuisce alla fede la “trasfigurazione” e lo “sfiguramento” dei fatti, opponendo così il Cristo, la Chiesa, i Sacramenti “della storia” nel loro elemento umano, al Cristo, alla Chiesa e ai Sacramenti “della fede” nel loro elemento divino; – L’immanentismo vuole spiegare le origini e dividere i documenti secondo i “bisogni”, che esso suppone immanenti nella Chiesa; l’evoluzionismo presume chiarirne i rivolgimenti e le vicende: storia e critica aprioristiche.
e) Il modernista apologeta, volendo ingenerare nell’incredulo l’esperienza del Cattolicesimo apre due strade: una oggettiva, con l’applicazione dell’agnosticismo, per cui sotto i fenomeni di vitalità della Chiesa vuol provare l’esistenza di qualcosa d’incognito, inconoscibile o divino; l’altra soggettiva con l’applicazione dell’immanenza, per cui pretende dimostrare immanente in noi l’esigenza del soprannaturale, del cattolicesimo stesso.
f) Il modernista riformatore vuol modificare l’insegnamento e la dottrina, il culto, il governo, la morale, lasciando nulla d’intatto. L’enciclica definisce quindi il modernismo “sintesi di tutte le eresie” e lo confuta nei punti essenziali.
II. Le cause La seconda parte espone le cause “morali” (curiosità e superbia) e quelle “intellettuali” (ignoranza e nominatamente difetto di filosofia scolastica); denunzia la tattica di opposizione contro il metodo scolastico, la Tradizione e i Padri, il magistero ecclesiastico, i Cattolici difensori della Chiesa; svela la propaganda attraverso svariati artifizi.
III. I rimedi La terza parte assegna i rimedi: formazione filosofico-teologica secondo il metodo scolastico, congiunta in saggia misura alla teologia positiva e agli studi profani; scelta dei rettori e docenti nei seminari e istituti cattolici; provvedimenti contro la lettura, vendita, stampa di libri infetti di Modernismo; precauzioni circa i congressi di sacerdoti; consiglio di vigilanza in ogni diocesi; relazione triennale imposta ai vescovi e superiori generali degli Ordini religiosi.
L’enciclica si chiude con l’assicurazione che la Chiesa non è nemica della scienza e del progresso e invocando l’aiuto di Gesù Cristo e della Vergine.
Circa il valore dogmatico, l’enciclica deve ammettersi almeno come un documento dottrinale, strettamente obbligatorio, del magistero ordinario pontificio.LA REAZIONE ALL’ENCICLICA
Tra i ranghi degli innovatori, che accecati dall’orgoglio si consideravano intoccabili, l’enciclica seminò al contempo sgomento e rabbia. Scrive il prof. Guasco, in un libro edito dalle Paoline due anni fà: “Il tono usato era incredibilmente duro, potremmo dire offensivo; e coloro che si sentivano colpiti, non potevano non reagire alle accuse di doppiezza, ipocrisia, orgoglio” . 20
Buonaiuti scrive la sera stessa della pubblicazione dell’enciclica all’amico Piastrelli: “Questa sera esce l’enciclica ed è terribile. Non ne ho potuto vedere tutto il testo, ma a quanto ne ho saputo basta per capire che è la condanna definitiva di quel che noi riteniamo con maggior fermezza nel campo filosofico e critico”. 21 E a Gallarati Scotti scriveva: “Per mio conto, vi trovo la riproduzione delle mie convinzioni scientifiche e filosofiche più irremovibili”. 22 In Inghilterra Tyrrell (già sospeso a divinis) reagì con ogni mezzo a sua disposizione, sia attraverso le colonne di alcuni quotidiani come il Time e il Giornale d’Italia (dove “ritornò più volte a ribadire l’incalcolabile danno che la Pascendi aveva arrecato al movimento di ripresa della spiritualità cattolica nel mondo”) 23, sia pubblicando il pamphlet Mediovalismo. Risposta al card. Mercier, “nel quale ribadiva le critiche formulate dai riformatori alle dottrine della Chiesa”. 24
Buonaiuti, nella sua veste ufficiale di direttore della Rivista storico-critica delle scienze teologiche dichiarava di attenersi alle disposizioni dell’enciclica, scegliendo poi l’anonimato per criticare duramente l’enciclica. Infatti fu l’autore principale del libello anonimo Programma dei modernisti. Risposta all’enciclica di Pio X “Pascendi dominici gregis”, datato 8 dicembre 1907. Dopo aver ricordato come i modernisti si erano “immersi con amore sull’anima moderna per studiarne le aspirazioni, condividendo con caloroso entusiasmo il suo ideale di fratellanza universale, scoprendo nei suoi sussulti i sintomi d’una magnifica rinascita religiosa” 25, sentenziava che “la Chiesa non può e non deve pretendere che la Somma di San Tommaso risponda alle esigenze del pensiero religioso del XX secolo” 26. Quindi pretendeva confutare punto per punto la Pascendi col principio usato da tutti gli autori modernisti: la S. Sede non aveva capito la complessità e la ricchezza del Modernismo, dimostrando i limiti intellettuali del pontificato di S. Pio X. Poco dopo la sua diffusione, il S.Uffizio colpì con la scomunica gli autori “anonimi” del libello. Il tormentato Buonaiuti non tardò a pubblicare un’altra opera di apologia del modernismo (sempre nascondendosi dietro l’anonimato), Lettere di un prete modernista, “il documento più radicale, il più lontano dalla ortodossia cattolica che abbia prodotto il modernismo italiano”. 27
Il Murri pubblicò un libello, La filosofia nuova e l’enciclica contro il modernismo, nel quale affermava di non considerarsi coinvolto dall’enciclica, anche se la criticava “per i sospetti e le diffidenze che aveva gettato in tutto un movimento di pensiero e di ricerche vastissimo” . 28 Anche in Francia Loisy e gli altri seguaci del Modernismo diffusero alcuni scritti. In seguito alla pubblicazione di uno di questi, nel gennaio del 1908 la Santa Sede intimò al Loisy una dichiarazione di sottomissione. L’eresiarca rispose con la pubblicazione di altre opere in cui ribadiva le sue posizioni moderniste: fu allora scomunicato il 7 marzo 1908, festa di S.Tommaso d’Aquino, simbolica rivalsa dell’ortodossia scolastica. Dopo la condanna continuò a percorrere la strada dell’eresia, giungendo a considerare “la Società delle Nazioni come possibile surrogato dell’amministrazione carismatica ed ecclesiale nella vita associata degli uomini”, anticipando così l’attuale posizione di ossequio e di collaborazione della Chiesa conciliare nei confronti del Mondialismo promotore della società multirazziale e multireligiosa. 29
Nel settembre 1910 San Pio X, dopo soli tre anni dalla Pascendi, col Motu proprio Sacrorum antistitum ribadiva la condanna al Modernismo, sollecitando nuovamente l’episcopato a mettere in pratica le norme di vigilanza indicate nell’enciclica del 1907; per rendere più sicura la difesa della Chiesa dall’infiltrazione modernista disponeva poi che tutto il clero si sottoponesse a un giuramento antimodernista.
La fermezza di San Pio X portò a decimare le file dei maestri del Modernismo, dopo la già menzionata condanna di Loisy. Romolo Murri venne sospeso a divinis nel 1907; dopo essersi candidato alle elezioni politiche del 1909 con l’appoggio dei socialisti e dei democristiani della “Lega nazionale”, fu colpito dalla scomunica maggiore nel marzo 1909. Salvatore Minocchi (1869-1943), sospeso a divinis nel gennaio 1908, si spretò pochi mesi dopo. Anche Buonaiuti morì scomunicato: colpito da una prima scomunica nel 1921 si era apparentemente sottomesso, ma col persistere a sostenere le dottrine eterodosse, fu scomunicato una seconda volta nel ’24, alla quale non seguì più una riconciliazione con la Chiesa. Tyrrell, espulso dalla Compagnia di Gesù nel 1906 e sospeso a divinis nello stesso anno, fu scomunicato nell’ottobre 1907.L’ATTUALITÀ DELLA PASCENDI
Gli eventi che seguirono la morte di San Pio X dimostrano che la Provvidenza volle ispirare al santo pontefice la Pascendi non per fermare definitivamente il Modernismo, ma per denunciarlo, esaminandolo scientificamente. Infatti Benedetto XV, salito al trono pontificio dopo la morte di San Pio X, non seppe continuare la linea di fermezza intrapresa dal suo predecessore, sia per le tragiche vicende della prima guerra mondiale, sia per la moderazione sciagurata dell’ala liberale dell’episcopato. La storia dovrà poi fare luce sul ruolo del card. Gasparri, segretario di Stato di Benedetto XV e di Pio XI, e in particolare sui suoi legami con gli ambienti massonici. Il card. Gasparri preparò la soppressione del Sodalitium Pianun diretto da monsignor Benigni, una sorta di servizio segreto candeggiato da San Pio X per contrastare efficacemente l’infiltrazione dei modernisti nella Chiesa. La condanna al Modernismo, seppur ribadita da Benedetto XV con l’enciclica Ad beatissimi Apostolorum Principis del 1° novembre 1914, era così destinata a diventare puramente teorica, perdendo lo strumento concreto del Sodalizio di Benigni (difeso con ogni mezzo dal card. de Lai dopo la morte di San Pio X).
Quindi, malgrado le condanne dei padri storici del Modernismo, gli anni venti videro la riorganizzazione delle fila moderniste che portò alla scalata del potere culminata col Concilio Vaticano II, quando la setta riuscì a far spacciare per magistero cattolico l’ideologia modernista.
La Pascendi rimane allora un vero e proprio manifesto di ortodossia del cattolicesimo romano voluto dalla Provvidenza per armare dottrinalmente le coscienze cattoliche poste a scegliere tra l’adesione agli errori di oggi o alla verità di sempre. In questo senso la Pascendi, e l’intero magistero di San Pio X, diventano un preziosissimo e insostituibile strumento di discernimento, capace di non limitare l’opposizione al neomodernismo ad un semplice aspetto emotivo, bensì di imporla, alla luce dell’insegnamento di Pietro, come l’unica posizione per chi vuole rimanere veramente cattolico.
Con lo studio della Pascendi cresce così l’amore per la Chiesa e in particolare per il Primato del Romano Pontefice (esercitato dai legittimi successori di San Pietro sino a Pio XII), primato messo in discussione da posizioni apparentemente divergenti ma sostanzialmente identiche quanto al fondamento dottrinale (collegialità vaticanosecondista, episcopalismo gallicano, democratismo carismatico, ecc.).
Non ci resta che invocare San Pio X per perseverare nell’autentica Fede cattolica, ricordando le parole dello stesso Papa: “… i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti”. 30Note
1) “Anonimo” (E.Buonaiuti), Lettere di Prete Modernista, Libreria Editrice Romana, Roma 1908, pag. 80 2) “Anonimo”, op. cit., pag. 80 3) “Anonimo”, op. cit., pag. 81 4) “Anonimo”, op. cit., pag. 82 5) “Anonimo”, op. cit., pag. 84 6) “Anonimo”, op. cit., pag. 85 7) “Anonimo”, op. cit., pag. 86 8) Aeternis patris, in Lettres Apostoliques de S. S. Leon XIII, Maison de la Bonne Presse, Paris, t. I, pp. 42 ss. 9) D.Saresella, Modernismo, Editrice Bibliografica, Milano 1995, pag. 8. 10) D.Saresella, op. cit., pag.8. 11) A. Cervasato, introduzione a G.Tyrrell, Il Papa e il modernismo, Edizioni Enrico, 1912, pag. IX-X 12) G. Tyrrell, Da Dio agli uomini, 1907, pag. 90. 13) M. Guasco, op. cit., pag. 145. 14) Condamnation du “Sillon”, in Actes de S. S.Pie X, Maison de la Bonne Presse, Paris, t.V, pag. 140. 15) Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, dall’Oglio editore, Milano, pag. 526. 16) A. Fogazzaro, Lettere scelte, a cura di T. Gallarati Scotti, Mondadori, Milano 1940, pag. 498. 17) A. Loisy, Simple réflexion sur le Décret du Saint Office “Lamentabili sane exitu” et sur l’Encyclique “Pascendi dominici gregis”, Ceffonds, Paris 1908. 18) M.Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1995, pag. 157. 19) Dizionario Ecclesiastico, UTET, Torino 1958, voce Pascendi, pag. 90. 20) M. Guasco, op. cit., pag. 163. 21) P.Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Il Mulino, Bologna 1961, pag. 245. 22) A. Zambarieri, Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento, pag. 399. 23) D. Saresella, op. cit., pag. 77. 24) D.Saresella, op. cit., pag. 77. 25) (E.Buonaiuti), Le programme des modernistes. Réplique à l’encyclique de Pie X: “Pascendi Dominici Gregis”, Paris 1908, Librairie Critique, pag. 8. 26) (E.Buonaiuti), op. cit. pag.10. 27) M. Guasco, op. cit., pag. 169 28) D. Saresella, op. cit., pag. 76. 29) D. Saresella, op. cit., pag. 79. 30) “Notre charge apostolique”, lettera di San Pio X all’episcopato francese, del 25 agosto 1910.
“…Ha aperto l’era delle discordie atroci fra noi e ha lasciato che tutti i lanzichenecchi della pretesa ortodossia, come cani in una partita di caccia, si mettessero sulle orme del cosiddetto modernismo e gettassero i latrati dei loro insulti volgari e dei loro colpi velenosi contro quanti cercano di compiere nella Chiesa opera di illuminazione e di rinnovamento”. 2
“…Questo modesto patriarca della laguna, balzato, come in un brutto sogno estivo, sulla sede che occuparono un dì Gregorio VII e Innocenzo III”. 3
“…Tutta la grettezza d’animo degli infimi strati sociali (…) tutta la ignoranza della più vecchia generazione clericale, cresciuta e alimentata fra gli anatemi al movimento di modernità; tutto l’astio degli incolti contro gli uomini della scienza; tutto il disprezzo incolto di chi non sa, per lo sviluppo e la ricchezza dell’intelligenza; dominano nell’animo di questo buon parroco di campagna, strappato da un singolare colpo di fortuna alle occupazioni piccine e alle conversazioni, innaffiate di un buon vino e di facili barzellette, della solitaria canonica, e portato a reggere il governo della più grande organizzazione religiosa”.4
“…Dicono che Pio X abbia un cuore d’oro, e che alle deficienze insanabili del suo intelletto, supplisca la tenerezza del sentimento … posso dire che questa è una pietosa menzogna…Anche l’uomo più egoista può a volte, elargire briciole cadute dal banchetto del suo benessere, senza per questo dar prova di una bontà iniziale di animo”. 5
“L’ex-patriarca di Venezia, salito al pontificato, lanciò il motto di un grandioso programma: Instaurare omnia in Christo. Ma, poverissimo di idee, tardo nei propositi, fiacco e incoerente nell’azione, la sua magna instauratio si è ridotta a ordinare quella visita apostolica che ha gettato lo scompiglio nelle diocesi italiane, e quelle riforme amministrative delle congregazioni romane, a beneficio del bilancio economico del Vaticano”. 6
“…Se tu sapessi qual solco di disgusto, di malessere, di risentimento hanno scavato nell’animo del giovane clero e del giovane laicato cattolico le condanne di Pio X”. 7Queste frasi così calunniose nei confronti di San Pio X, scritte da Enrico Buonaiuti, uno dei capifila del Modernismo italiano, rispecchiano lo stato d’animo dei modernisti nei confronti del Pontefice. Per comprendere questo odio dobbiamo fare un passo in dietro, tratteggiando, seppur brevemente, le origini del Modernismo e il ruolo assunto da San Pio X per combatterne la propagazione nella Chiesa.LE ORIGINI DEL MODERNISMO
Di fronte alle spinte rivoluzionarie del “cattolicesimo liberale”, che pretendeva riformare la Chiesa a partire da una sintesi tra la dottrina cattolica e il pensiero moderno, Leone XIII il 4 agosto 1879 pubblicò l’enciclica Aeternis Patris, 8 esortando “a rimettere in uso la sacra dottrina di San Tommaso”, che avrebbe dovuto ritornare a essere la base di ogni insegnamento filosofico, per evitare quei sistemi filosofici “che in alcuni paesi hanno contaminato la mente degli stessi filosofi cattolici”. Leone XIII infatti aveva individuato nel tomismo il freno alle tendenze più pericolose: sulla scia del documento (che provocò critiche accese soprattutto in Germania e in Francia) si formò il cosiddetto “neotomismo”. Malgrado l’enciclica, la critica protestante e razionalista, il pensiero fenomenologico e kantiano, continuarono a diffondersi tra i ranghi cattolici, attraverso il clero liberale che aveva un concetto distorto di quello che avrebbe dovuto rappresentare il neotomismo; divennero così focolai di insegnamento distorto le facoltà teologiche di Strasburgo, Monaco, Tubinga, l’Università di Lovanio con monsignor Mercier (che si prefiggeva “di ripensare i problemi e le soluzioni tomiste alla luce delle preoccupazioni moderne”) 9, l’Istituto Cattolico di Parigi, dove insegnavano Duschesne e Loisy sotto la direzione di D’Hulst (“sostenitore, al pari di Mercier, di un tomismo decisamente progressista, che doveva armonizzarsi con le scienze sperimentali e porsi in costante confronto con la filosofia moderna” ). 10
Furono evidentemente le Università e i Seminari romani le roccaforti dell’ortodossia, attraverso della grandi figure come il gesuita Louis Billot (1846-1931), professore all’Università Gregoriana, creato poi cardinale da S. Pio X per i suoi meriti contro il Modernismo; il padre Pio de Mandato, tenace avversario del protestantesimo quando questi dilagò a Roma in seguito all’occupazione del 1870; il cardinale Camillo Mazzella (1833-1900), dapprima professore alla Gregoriana e poi prefetto della Congregazione degli Studi. Quest’ultimo di distinse per la dura critica a Mercier e all’impostazione filosofica da lui data all’Università di Lovanio.
L’adesione sempre più incondizionata alla filosofia moderna, col parallelo disprezzo della teologia tradizionale, da parte di intellettuali cattolici liberali, portarono alla nascita del Modernismo. Scriveva Arnaldo Cervasato, nell’introduzione al libro del modernista irlandese George Tyrrell (1861-1909), Il Papa e il modernismo: “modernismo significa insistenza sulla modernità come principio, vale a dire il riconoscimento, da parte della religione, dei diritti del pensiero moderno, del bisogno di una sintesi non indistintamente tra il vecchio e il nuovo, ma fra quello che mediante l’analisi critica è giudicato buono nel vecchio [pressoché nulla, n.d.r.] e nel nuovo [pressoché tutto, n.d.r.]“. 11
Evidentemente la Chiesa non poteva rimanere indifferente davanti a queste persone che pretendevano “ristudiare” i dogmi, la gerarchia e il culto con lo stesso metodo con cui un fisico analizza il mondo delle scienze naturali! Leone XIII aveva già condannato, con la lettera Testem benevolentiae del gennaio 1899, l’Americanismo del padre Isacco Hecker (morto nel 1888) che metteva in discussione l’immutabilità del dogma. Il Tyrrell tesseva l’elogio a questi precursori d’oltre oceano, affermando che “educati ai principi democratici (…) tenessero a invertire la piramide gerarchica (…) per riportarla nuovamente sulla sua larga base, come cosa che poggi su fondamenta terrestri e non sembri caduta a capofitto dagli spazi aerei”. 12
Il pensiero dell’eresiarca irlandese riassume il Modernismo: ridurre la religione rivelata, la cui ortodossia è stata affidata alla Gerarchia della Chiesa, a un immanentismo religioso, la cui continua evoluzione è osservata da una struttura ecclesiale democratica. Il pensiero modernista, oltre che con le opere di Tyrrell, si diffuse in tutta Europa con gli scritti dei francesi Loisy, Houtin, Laberthonnière, Sabatier, Le Roy, del tedescho Schell, dell’austriaco von Hügel. In Italia il movimento modernista conoscerà tra i suoi esponenti più rappresentativi Enrico Buonaiuti, Romolo Murri, Antonio Fogazzaro. Un pò ovunque sorsero delle riviste d’indirizzo modernistico, che circolavano discretamente ma efficacemente tra il clero giovane italiano, come Il Rinnovamento, Battaglie d’oggi, Nova et vetera, La cultura moderna, Coenobium (quest’ultime due con la redazione in Ticino, ma ben conosciute nelle diocesi italiane).
La figura di Romolo Murri (1860-1944) è legata alla “democrazia cristiana”, applicazione politica del Modernismo, soggetto troppo complesso per essere trattato nel presente articolo. Basti comunque ricordare che il partito democristiano dell’epoca, la “Lega Democratica Nazionale”, di cui Murri fu uno dei principali esponenti, fu decisamente sconfessata da San Pio X, il quale colpì con la sospensione a divinis gli ecclesiastici che ne avessero fatto parte, per porre “un argine efficace a questo fuorviare di idee e a questo dilatarsi di spirito d’indipendenza”. 13
Sul problema dell’indipendenza del laicato cattolico dalla Gerarchia, condannando la “democarzia cristiana” del movimento francese del Sillon, S. Pio X scriverà che “è bene che la milizia sacerdotale si conservi superiore alle associazioni laiche, seppure le più utili e animate dal migliore spirito”. 14L’AZIONE DI SAN PIO X
San Pio X, fin dal primo anno del suo pontificato, svolse un’azione energica per debellare il Modernismo, mettendone all’Indice i libri, colpendo con sanzioni disciplinari i rappresentanti più pericolosi, favorendo la stampa antimodernista dei cosiddetti “cattolici integristi”, che troveranno di lì a poco nell’azione di monsignor Benigni la massima collaborazione tra la Santa Sede e questa pubblicistica integrista. Un mese dopo l’elezione, nell’enciclica E supremi apostolatus, Papa Sarto metteva in guardia i vescovi affinchè “i membri del clero non siano tratti dalle insidie di una certa nuova scienza e fallace che si adorna con la maschera della verità e si studia, con l’ausilio di ragionamenti ingannatori e perfidi, di aprire un varco alle vedute del razionalismo e del semirazionalismo”. 15
Tra il 1903 e il 1907 la Congregazione dell’Indice condanna 32 libri, in particolare le opere dei francesi Loisy, Houtin, Laberthonnière e Le Roy. Nell’aprile del 1906 è la volta di Antonio Fogazzaro (1842-1911) col suo romanzo Il Santo, espessione della sua adesione al Modernismo (nel 1902 scriveva all’amico mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, esponente di spicco dei cattolici liberali in Italia, che le “letture di Loisy, di Houdin, di Tyrrell (…) mi hanno scosso, illuminata, qualche volta pure, se vuole, turbata l’anima; turbata di quel turbamento (…) che non è che una febbre di sviluppo”. 16
Enrico Buonaiuti (1881-1946), che si aggiungerà presto all’elenco, nell’ottobre del 1906 viene destituito dall’insegnamento, mentre nello stesso periodo Loisy viene sospeso a divinis. Nell’aprile del 1907 è il turno di Romolo Murri. Di fronte all’azione di San Pio X gli esponenti più importanti del Modernismo italiano decidono di organizzare un convegno segreto, scegliendo la località di Molveno, nel Trentino. All’assise modernista prende parte il fior fiore dell’etedorossia italiana: Fogazzaro, Fracassini, Buonaiuti, Mari, Murri, Piastrelli, Gallari Scotti, Casati; si dibatte per stabilire un coordinamento capace di far fronte all’azione sempre più incisiva della Santa Sede. Ma ormai era troppo tardi. Infatti, poche settimane dopo il convegno, il 17 luglio 1907 veniva pubblicato sull’Osservatore Romano, con la data del 3 luglio 1907, il decreto Lamentabili sane exitu della Sacra Romana e Universale Congregazione, con un elenco di 65 proposizioni moderniste da considerare “reprobatae et proscriptae” riguardanti l’autorità del Magistero della Chiesa, l’ispirazione e il valore delle S. Scritture, le nozioni di Rivelazione, dogma e fede, l’origine e lo sviluppo della dottrina, la costituzione della Chiesa. Il documento non citava nessun autore delle tesi incriminate, ma lo stesso Loisy rivendicò la paternità di 53 proposizioni, contenute principalmente nelle due opere L’Évangile et l’Église e Autour d’un petit livre. 17
Alla fine dell’estate, il 16 settembre (data ufficiale l’8 settembre) giungeva l’enciclica Pascendi: “precisa e spietata analisi delle dottrine moderniste. Se il decreto era stato soltanto un elenco di proposizioni, l’enciclica si presentava come un vero trattato sistematico, una sintesi meticolosa di tutte le posizioni che erano state espresse negli ultimi anni”. 18
Tra i collaboratori di San Pio X per la stesura dell’enciclica figurarono, per la parte dottrinale, il padre Giuseppe Lemius (1860-1923), procuratore generale degli Oblati di Maria Immacolata a Roma e consultore di diverse Congregazioni (e forse anche il p. L. Billot, futuro cardinale), mentre per la parte morale il cardinal José Vives y Tuto (1854-1913), cappuccino spagnolo, creato cardinale nel 1899 e prefetto della Congregazione dei religiosi nel 1908, uno tra i cardinali più acerrimi oppositori al Modernismo insieme al card. Gaetano de Lai (1853-1928), prefetto della Congregazione Concistoriale.LA PASCENDI, CAPOLAVORO TEOLOGICO
Veniamo al contenuto dell’enciclica, ispirandoci in massima parte alla eccellente sintesi fatta dal padre Francesco Maria Bauducco, nel Dizionario Ecclesiastico dell’UTET. 19
Il documento, dopo aver ricordato l’ufficio del Sommo Pontefice di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede, offre l’esposizione degli errori, delle cause e dei rimedi del Modernismo.
I) Gli errori.
La prima parte, più diffusa, ci presenta il modernista sotto sei aspetti: di filosofo, credente, teologo, storico-critico, apologeta, riformatore. a) Il modernista filosofo professa due dottrine: una “negativa”, l’agnosticismo, per cui la ragione umana attinge solo il fenomeno; l’altra “positiva”, l’immanenza, la quale vorrebbe spiegare la cognizione e ogni fenomeno vitale con una ragione determinante intrinseca all’uomo, come il “bisogno”; così si spiegano la fede, la religione, la rivelazione. Il dogma, mentre di fronte alla fede è “simbolo” – cioè espressione inadeguata, immagine di verità – per il credente è “strumento”, veicolo di verità; esso è mutabile (evoluzione dei dogmi).
b) Il modernista credente è costituito dall’esperienza del sentimento religioso; dal che deriva che ogni religione è vera. Comunicare agli altri tale esperienza è la “tradizione”. Tra scienza e fede è separazione quanto all’oggetto, fenomeno per la prima, realtà divina per la seconda; però la fede è soggetta alla scienza.
c) Il modernista teologo ammette, dipendentemente dalla filosofia modernista: il simbolismo (= le rappresentazioni della realtà divina sono semplicemente simboli), l’immanenza (= esperienza privata), la permanenza del divino (= esperienza trasmessa per tradizione). Secondo lui: la dottrina dei “bisogni” spiega l’origine non solo della fede, ma del dogma, culto, Sacramenti, S. Scrittura (= raccolta delle esperienze straordinarie avute in ogni religione), la Chiesa (=frutto di due bisogni: uno, nel credente, di comunicare ad altri la propria fede; l’altro, di associarsi, nella collettività, dopo che la fede si è fatta comune a molti. La Chiesa è parte della “coscienza collettiva” da cui scaturiscono e dipendono le 3 autorità: disciplinare, dogmatica, culturale. Essa è separata per il fine dallo Stato, da cui però dipende nelle cose temporali). L’evoluzione invece di tutte queste cose risulta dal conflitto di due forze: una progressiva, che sta nelle coscienze individuali, ed è costituita dai bisogni; l’altra conservatrice, che sta nelle Chiesa, consiste nella tradizione ed è esercitata dall’autorità religiosa.
d) Per il modernista storico-critico, sempre dipendente dal filosofo: – L’agnosticismo bandisce Dio e ogni fatto divino dalla storia, e – solo contento dei fenomeni – attribuisce alla fede la “trasfigurazione” e lo “sfiguramento” dei fatti, opponendo così il Cristo, la Chiesa, i Sacramenti “della storia” nel loro elemento umano, al Cristo, alla Chiesa e ai Sacramenti “della fede” nel loro elemento divino; – L’immanentismo vuole spiegare le origini e dividere i documenti secondo i “bisogni”, che esso suppone immanenti nella Chiesa; l’evoluzionismo presume chiarirne i rivolgimenti e le vicende: storia e critica aprioristiche.
e) Il modernista apologeta, volendo ingenerare nell’incredulo l’esperienza del Cattolicesimo apre due strade: una oggettiva, con l’applicazione dell’agnosticismo, per cui sotto i fenomeni di vitalità della Chiesa vuol provare l’esistenza di qualcosa d’incognito, inconoscibile o divino; l’altra soggettiva con l’applicazione dell’immanenza, per cui pretende dimostrare immanente in noi l’esigenza del soprannaturale, del cattolicesimo stesso.
f) Il modernista riformatore vuol modificare l’insegnamento e la dottrina, il culto, il governo, la morale, lasciando nulla d’intatto. L’enciclica definisce quindi il modernismo “sintesi di tutte le eresie” e lo confuta nei punti essenziali.
II. Le cause La seconda parte espone le cause “morali” (curiosità e superbia) e quelle “intellettuali” (ignoranza e nominatamente difetto di filosofia scolastica); denunzia la tattica di opposizione contro il metodo scolastico, la Tradizione e i Padri, il magistero ecclesiastico, i Cattolici difensori della Chiesa; svela la propaganda attraverso svariati artifizi.
III. I rimedi La terza parte assegna i rimedi: formazione filosofico-teologica secondo il metodo scolastico, congiunta in saggia misura alla teologia positiva e agli studi profani; scelta dei rettori e docenti nei seminari e istituti cattolici; provvedimenti contro la lettura, vendita, stampa di libri infetti di Modernismo; precauzioni circa i congressi di sacerdoti; consiglio di vigilanza in ogni diocesi; relazione triennale imposta ai vescovi e superiori generali degli Ordini religiosi.
L’enciclica si chiude con l’assicurazione che la Chiesa non è nemica della scienza e del progresso e invocando l’aiuto di Gesù Cristo e della Vergine.
Circa il valore dogmatico, l’enciclica deve ammettersi almeno come un documento dottrinale, strettamente obbligatorio, del magistero ordinario pontificio.LA REAZIONE ALL’ENCICLICA
Tra i ranghi degli innovatori, che accecati dall’orgoglio si consideravano intoccabili, l’enciclica seminò al contempo sgomento e rabbia. Scrive il prof. Guasco, in un libro edito dalle Paoline due anni fà: “Il tono usato era incredibilmente duro, potremmo dire offensivo; e coloro che si sentivano colpiti, non potevano non reagire alle accuse di doppiezza, ipocrisia, orgoglio” . 20
Buonaiuti scrive la sera stessa della pubblicazione dell’enciclica all’amico Piastrelli: “Questa sera esce l’enciclica ed è terribile. Non ne ho potuto vedere tutto il testo, ma a quanto ne ho saputo basta per capire che è la condanna definitiva di quel che noi riteniamo con maggior fermezza nel campo filosofico e critico”. 21 E a Gallarati Scotti scriveva: “Per mio conto, vi trovo la riproduzione delle mie convinzioni scientifiche e filosofiche più irremovibili”. 22 In Inghilterra Tyrrell (già sospeso a divinis) reagì con ogni mezzo a sua disposizione, sia attraverso le colonne di alcuni quotidiani come il Time e il Giornale d’Italia (dove “ritornò più volte a ribadire l’incalcolabile danno che la Pascendi aveva arrecato al movimento di ripresa della spiritualità cattolica nel mondo”) 23, sia pubblicando il pamphlet Mediovalismo. Risposta al card. Mercier, “nel quale ribadiva le critiche formulate dai riformatori alle dottrine della Chiesa”. 24
Buonaiuti, nella sua veste ufficiale di direttore della Rivista storico-critica delle scienze teologiche dichiarava di attenersi alle disposizioni dell’enciclica, scegliendo poi l’anonimato per criticare duramente l’enciclica. Infatti fu l’autore principale del libello anonimo Programma dei modernisti. Risposta all’enciclica di Pio X “Pascendi dominici gregis”, datato 8 dicembre 1907. Dopo aver ricordato come i modernisti si erano “immersi con amore sull’anima moderna per studiarne le aspirazioni, condividendo con caloroso entusiasmo il suo ideale di fratellanza universale, scoprendo nei suoi sussulti i sintomi d’una magnifica rinascita religiosa” 25, sentenziava che “la Chiesa non può e non deve pretendere che la Somma di San Tommaso risponda alle esigenze del pensiero religioso del XX secolo” 26. Quindi pretendeva confutare punto per punto la Pascendi col principio usato da tutti gli autori modernisti: la S. Sede non aveva capito la complessità e la ricchezza del Modernismo, dimostrando i limiti intellettuali del pontificato di S. Pio X. Poco dopo la sua diffusione, il S.Uffizio colpì con la scomunica gli autori “anonimi” del libello. Il tormentato Buonaiuti non tardò a pubblicare un’altra opera di apologia del modernismo (sempre nascondendosi dietro l’anonimato), Lettere di un prete modernista, “il documento più radicale, il più lontano dalla ortodossia cattolica che abbia prodotto il modernismo italiano”. 27
Il Murri pubblicò un libello, La filosofia nuova e l’enciclica contro il modernismo, nel quale affermava di non considerarsi coinvolto dall’enciclica, anche se la criticava “per i sospetti e le diffidenze che aveva gettato in tutto un movimento di pensiero e di ricerche vastissimo” . 28 Anche in Francia Loisy e gli altri seguaci del Modernismo diffusero alcuni scritti. In seguito alla pubblicazione di uno di questi, nel gennaio del 1908 la Santa Sede intimò al Loisy una dichiarazione di sottomissione. L’eresiarca rispose con la pubblicazione di altre opere in cui ribadiva le sue posizioni moderniste: fu allora scomunicato il 7 marzo 1908, festa di S.Tommaso d’Aquino, simbolica rivalsa dell’ortodossia scolastica. Dopo la condanna continuò a percorrere la strada dell’eresia, giungendo a considerare “la Società delle Nazioni come possibile surrogato dell’amministrazione carismatica ed ecclesiale nella vita associata degli uomini”, anticipando così l’attuale posizione di ossequio e di collaborazione della Chiesa conciliare nei confronti del Mondialismo promotore della società multirazziale e multireligiosa. 29
Nel settembre 1910 San Pio X, dopo soli tre anni dalla Pascendi, col Motu proprio Sacrorum antistitum ribadiva la condanna al Modernismo, sollecitando nuovamente l’episcopato a mettere in pratica le norme di vigilanza indicate nell’enciclica del 1907; per rendere più sicura la difesa della Chiesa dall’infiltrazione modernista disponeva poi che tutto il clero si sottoponesse a un giuramento antimodernista.
La fermezza di San Pio X portò a decimare le file dei maestri del Modernismo, dopo la già menzionata condanna di Loisy. Romolo Murri venne sospeso a divinis nel 1907; dopo essersi candidato alle elezioni politiche del 1909 con l’appoggio dei socialisti e dei democristiani della “Lega nazionale”, fu colpito dalla scomunica maggiore nel marzo 1909. Salvatore Minocchi (1869-1943), sospeso a divinis nel gennaio 1908, si spretò pochi mesi dopo. Anche Buonaiuti morì scomunicato: colpito da una prima scomunica nel 1921 si era apparentemente sottomesso, ma col persistere a sostenere le dottrine eterodosse, fu scomunicato una seconda volta nel ’24, alla quale non seguì più una riconciliazione con la Chiesa. Tyrrell, espulso dalla Compagnia di Gesù nel 1906 e sospeso a divinis nello stesso anno, fu scomunicato nell’ottobre 1907.L’ATTUALITÀ DELLA PASCENDI
Gli eventi che seguirono la morte di San Pio X dimostrano che la Provvidenza volle ispirare al santo pontefice la Pascendi non per fermare definitivamente il Modernismo, ma per denunciarlo, esaminandolo scientificamente. Infatti Benedetto XV, salito al trono pontificio dopo la morte di San Pio X, non seppe continuare la linea di fermezza intrapresa dal suo predecessore, sia per le tragiche vicende della prima guerra mondiale, sia per la moderazione sciagurata dell’ala liberale dell’episcopato. La storia dovrà poi fare luce sul ruolo del card. Gasparri, segretario di Stato di Benedetto XV e di Pio XI, e in particolare sui suoi legami con gli ambienti massonici. Il card. Gasparri preparò la soppressione del Sodalitium Pianun diretto da monsignor Benigni, una sorta di servizio segreto candeggiato da San Pio X per contrastare efficacemente l’infiltrazione dei modernisti nella Chiesa. La condanna al Modernismo, seppur ribadita da Benedetto XV con l’enciclica Ad beatissimi Apostolorum Principis del 1° novembre 1914, era così destinata a diventare puramente teorica, perdendo lo strumento concreto del Sodalizio di Benigni (difeso con ogni mezzo dal card. de Lai dopo la morte di San Pio X).
Quindi, malgrado le condanne dei padri storici del Modernismo, gli anni venti videro la riorganizzazione delle fila moderniste che portò alla scalata del potere culminata col Concilio Vaticano II, quando la setta riuscì a far spacciare per magistero cattolico l’ideologia modernista.
La Pascendi rimane allora un vero e proprio manifesto di ortodossia del cattolicesimo romano voluto dalla Provvidenza per armare dottrinalmente le coscienze cattoliche poste a scegliere tra l’adesione agli errori di oggi o alla verità di sempre. In questo senso la Pascendi, e l’intero magistero di San Pio X, diventano un preziosissimo e insostituibile strumento di discernimento, capace di non limitare l’opposizione al neomodernismo ad un semplice aspetto emotivo, bensì di imporla, alla luce dell’insegnamento di Pietro, come l’unica posizione per chi vuole rimanere veramente cattolico.
Con lo studio della Pascendi cresce così l’amore per la Chiesa e in particolare per il Primato del Romano Pontefice (esercitato dai legittimi successori di San Pietro sino a Pio XII), primato messo in discussione da posizioni apparentemente divergenti ma sostanzialmente identiche quanto al fondamento dottrinale (collegialità vaticanosecondista, episcopalismo gallicano, democratismo carismatico, ecc.).
Non ci resta che invocare San Pio X per perseverare nell’autentica Fede cattolica, ricordando le parole dello stesso Papa: “… i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti”. 30Note
1) “Anonimo” (E.Buonaiuti), Lettere di Prete Modernista, Libreria Editrice Romana, Roma 1908, pag. 80 2) “Anonimo”, op. cit., pag. 80 3) “Anonimo”, op. cit., pag. 81 4) “Anonimo”, op. cit., pag. 82 5) “Anonimo”, op. cit., pag. 84 6) “Anonimo”, op. cit., pag. 85 7) “Anonimo”, op. cit., pag. 86 8) Aeternis patris, in Lettres Apostoliques de S. S. Leon XIII, Maison de la Bonne Presse, Paris, t. I, pp. 42 ss. 9) D.Saresella, Modernismo, Editrice Bibliografica, Milano 1995, pag. 8. 10) D.Saresella, op. cit., pag.8. 11) A. Cervasato, introduzione a G.Tyrrell, Il Papa e il modernismo, Edizioni Enrico, 1912, pag. IX-X 12) G. Tyrrell, Da Dio agli uomini, 1907, pag. 90. 13) M. Guasco, op. cit., pag. 145. 14) Condamnation du “Sillon”, in Actes de S. S.Pie X, Maison de la Bonne Presse, Paris, t.V, pag. 140. 15) Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, dall’Oglio editore, Milano, pag. 526. 16) A. Fogazzaro, Lettere scelte, a cura di T. Gallarati Scotti, Mondadori, Milano 1940, pag. 498. 17) A. Loisy, Simple réflexion sur le Décret du Saint Office “Lamentabili sane exitu” et sur l’Encyclique “Pascendi dominici gregis”, Ceffonds, Paris 1908. 18) M.Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1995, pag. 157. 19) Dizionario Ecclesiastico, UTET, Torino 1958, voce Pascendi, pag. 90. 20) M. Guasco, op. cit., pag. 163. 21) P.Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Il Mulino, Bologna 1961, pag. 245. 22) A. Zambarieri, Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento, pag. 399. 23) D. Saresella, op. cit., pag. 77. 24) D.Saresella, op. cit., pag. 77. 25) (E.Buonaiuti), Le programme des modernistes. Réplique à l’encyclique de Pie X: “Pascendi Dominici Gregis”, Paris 1908, Librairie Critique, pag. 8. 26) (E.Buonaiuti), op. cit. pag.10. 27) M. Guasco, op. cit., pag. 169 28) D. Saresella, op. cit., pag. 76. 29) D. Saresella, op. cit., pag. 79. 30) “Notre charge apostolique”, lettera di San Pio X all’episcopato francese, del 25 agosto 1910.
di don Ugo Carandino
——————o0o—————–
I veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti. (San Pio X, Lettera Apostolica “Notre charge apostolique”)
San Pio X contro i teologi modernisti nei seminari
sabato 23 marzo 2013
Ma qui già siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Università cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, benché forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano più aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perché gli incauti sieno tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll’azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ciò con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usciti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant’oltre, pure, respirata un’aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere più liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altresì nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verità, tutto ciò che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con voluttà mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetustà. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sarà, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si dànno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realtà gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l’intenzione con cui operano e per l’aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti.
[Brano tratto dall'Enciclica "Pascendi Dominici gregis" di San Pio X]
—————–o0o—————-
Niente celebrazioni ufficiali per il centenario della “Pascendi”. Bruciano i “metodi indegni” con cui si combatté quella battaglia. Ma le questioni al centro di quello scontro sono tuttora aperte. E il libro “Gesù di Nazaret” ne è una prova
di Sandro Magister
ROMA, 23 ottobre 2007 – L’anniversario è scivolato via in silenzio, in Vaticano, senza commemorazioni ufficiali. Ma le questioni affrontate cento anni fa dall’enciclica “Pascendi Dominici Gregis” di san Pio X “sugli errori del modernismo” sono giudicate tuttora attuali. Il riserbo è dovuto piuttosto alle modalità pratiche con cui si mosse la Chiesa di un secolo fa: modalità ritenute sbagliate dalle autorità della Chiesa di oggi.
Questo ha detto il nuovo direttore dell’”Osservatore Romano”, il professor Giovanni Maria Vian, nella prima importante intervista rilasciata dopo la sua nomina:
“Pio X fu un grande papa riformatore, che sulla questione modernista capì benissimo quale era la posta in gioco e i pericoli per la fede della Chiesa. Purtroppo la sua fama è ora legata per lo più ai modi con cui il modernismo venne combattuto, spesso con metodi indegni della causa che si intendeva difendere”.
E questo dicono i due unici articoli sulla “Pascendi” usciti nelle ultime settimane su organi di stampa controllati dalla gerarchia della Chiesa: “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con l’autorizzazione previa delle autorità vaticane, e “Avvenire”, il quotidiano di proprietà della conferenza episcopale italiana.
Su “Avvenire” il teologo Corrado Pizziolo ha sottolineato la perdurante attualità delle questioni centrali affrontate dall’enciclica.
Su “La Civiltà Cattolica”, invece, lo storico gesuita Giovanni Sale, nel ricostruire la genesi e gli sviluppi di quel documento, ne ha evidenziato gli elementi ritenuti più caduchi: lo schema troppo “dottrinario”, il tono troppo “duro e censorio”, la successiva applicazione “eccessivamente integralista e intransigente”.
* * *
Padre Sale smentisce che dei gesuiti siano stati gli effettivi scrittori della “Pascendi”. Ne indica gli autori materiali nel cardinale Vivès y Tuto, cappuccino, e in padre Lemius dei missionari di Maria Immacolata. Conferma però che “uno dei maggiori ispiratori dal punto di vista teologico e culturale” dell’enciclica fu proprio un gesuita della “Civiltà Cattolica”, padre Enrico Rosa.
A giudizio di padre Rosa – e di Pio X – il modernismo era “un cristianesimo nuovo che minacciava di sopprimere l’antico”. Per contrastarlo bisognava colpirlo nella sua radice filosofica, nell’errore dal quale derivavano tutti gli altri errori nella teologia, nella morale, nella cultura, nella vita pratica. L’errore fondamentale attribuito ai modernisti era di negare alla ragione la capacità di conoscere la verità; per cui tutto – anche la religione, anche il cristianesimo – si riduceva a esperienza soggettiva.
Padre Sale fa notare, però, che i modernisti non accettarono mai questo schema interpretativo:
“Secondo essi il movimento di riforma delle scienze religiose, come era chiamato da loro, non era iniziato partendo da determinate teorie filosofiche, bensì dalla critica storica e dalla nuova esegesi della Sacra Scrittura. Essi cioè ponevano a fondamento della loro svolta non la filosofia, bensì la storia, o meglio la storia sacra, liberata dalle adulterazioni e restituita alla sua genuinità originaria, attraverso il nuovo metodo storico-critico”.
Inoltre, padre Sale scrive che la tendenza modernista non si estese mai alle masse popolari come invece temevano padre Rosa e Pio X:
“Il movimento dei ‘novatori’ (almeno quello dottrinale e teologico) rimase confinato entro cerchie ristrette di studiosi cattolici, per lo più giovani preti o seminaristi”.
Ciò però non trattenne “alcune forze conservatrici cattoliche”, negli anni successivi alla “Pascendi”, dallo scatenare dentro la Chiesa “una violenta polemica antimodernista, spesso con pochi scrupoli”. Il più attivo in questa campagna fu un prelato della curia vaticana, monsignor Umberto Benigni, che si mosse – annota padre Sale – “con l’approvazione e benedizione dello stesso papa”.
Su Benigni e sul “Sodalitium Pianum” da lui creato – una sorta di centrale spionistica nella Chiesa dell’epoca, correntemente chiamata “la Sapinière” – ha scritto studi fondamentali lo storico francese Émile Poulat.
* * *
Diverso è l’approccio alla “Pascendi” che don Corrado Pizziolo, professore di teologia e vicario generale a Treviso, la diocesi natale di san Pio X, fa su “Avvenire”.
Egli richiama l’attenzione soprattutto su due questioni che erano al centro dello scontro tra Pio X e i modernisti. Per mostrare quanto esse siano ancora attuali.
La prima questione riguarda l’esegesi biblica. Secondo i modernisti, in particolare Alfred Loisy, l’esegesi scientifica applicata alla Bibbia è la sola che accerta cose sicure e verificabili. La lettura di fede, invece, “non è reale: è una lettura puramente soggettiva, frutto del sentimento religioso”.
Scrive Pizziolo:
“La condanna decretata dal magistero antimodernista concerne non l’esegesi scientifica in quanto tale, ma la dichiarata opposizione, professata dal modernismo, tra la fede e la storia, tra l’esegesi teologica e l’esegesi scientifica”. Tale opposizione “continua a proporsi ancor oggi come una questione con cui fare i conti. Non si spiegherebbe altrimenti perché, cento anni dopo, Benedetto XVI dedichi la premessa del suo recente libro su Gesù di Nazareth proprio a ricordare il valore e i limiti del metodo storico-critico, insistendo sulla necessità di un’esegesi scientifica illuminata dalla fede”.
La seconda questione riguarda la rivelazione divina. I modernisti identificavano tale rivelazione in un’esperienza puramente interiore, nel sentimento religiose o mistico.
L’enciclica “Pascendi” ribadì invece che la rivelazione viene da Dio, è Dio che parla all’uomo. E con ancor più forza il Concilio Vaticano II, nella costituzione “Dei Verbum”, sottolineò che tale comunicazione si identifica nella persona di Gesù Cristo.
“Tuttavia – scrive Pizziolo – tale apparente ovvietà non è affatto da dare oggi per scontata. La sensibilità della cultura anche religiosa attuale tende ad equiparare tutte le religioni esistenti, ponendole tutte sullo stesso piano. Non riappare forse l’idea che la religione – ogni religione, quindi anche il cristianesimo – non sia altro che il prodotto dello spirito umano? Che la cosiddetta ‘rivelazione’ non sia altro che una generica e inesprimibile esperienza del trascendente, esclusivamente frutto del sentimento religioso?”.
Conclude Pizziolo:
“Alla luce di questi brevi cenni si può comprendere l’importanza dei temi toccati dall’enciclica ‘Pascendi’. Essa affronta i fondamenti della fede cattolica, in un momento storico in cui apparivano messi seriamente in discussione. Va certamente detto che i problemi sollevati dagli autori accusati di modernismo erano problemi reali: il rapporto tra fede e storia e tra fede e scienza; la relazione tra coscienza umana e rivelazione di Dio; il rapporto tra il linguaggio umano del dogma e la verità soprannaturale che esso esprime; il senso di un’autorità nella Chiesa… Ma va anche affermato che molte delle soluzioni che venivano prospettate non erano compatibili con la fede cattolica. Di qui la doverosa necessità di un intervento del magistero.
“Possiamo anche aggiungere che il magistero del tempo non disponeva di una teologia adeguata per affrontare le questioni che la nuova cultura moderna suscitava. In questo senso l’intenzione dell’enciclica non fu quella di risolvere tutti i problemi in questione, ma quella di ribadire l’identità e l’integralità della fede cattolica, riassegnando alla teologia il compito di ripensare le tematiche in questione. Un frutto di questa rinnovata riflessione possiamo certamente riconoscerlo nel Concilio Vaticano II, senza però pensare che tutti gli interrogativi sorti nel periodo modernistico abbiano trovato adeguata e definitiva soluzione. Essi rimangono, in buona parte, ancora molto attuali e richiedono nuovi sforzi di riflessione. Si tratterà però, alla luce dell’insegnamento della ‘Pascendi’, di uno sforzo che dovrà compiersi nel pieno rispetto dell’identità della fede e della tradizione di quel popolo di Dio che è la Chiesa”.
––––––––––
L’enciclica di Pio X “Pascendi Dominici Gregis” dell’8 settembre 1907, nella versione italiana ufficiale:
> “L’officio di pascere il gregge del Signore…”
__________
L’articolo di Giovanni Sale su “La Civiltà Cattolica” del 6 ottobre 2007:
> A un secolo dall’enciclica contro il modernismo
__________
L’articolo di Corrado Pizziolo su “Avvenire” del 5 settembre 2007:
> Modernismo, quale eredità? A cento anni dall’enciclica “Pascendi”
__________
L’intervista di Giovanni Maria Vian a “30 Giorni”, citata nel servizio:
> Vian: “Il confronto delle idee è sempre positivo”
Vian, nuovo direttore dell’”Osservatore Romano”, è professore di filologia patristica e specialista della storia del papato contemporaneo. Suo nonno, Agostino Vian, era molto amico di Pio X, il papa della “Pascendi”.
__________
di Sandro Magister
ROMA, 23 ottobre 2007 – L’anniversario è scivolato via in silenzio, in Vaticano, senza commemorazioni ufficiali. Ma le questioni affrontate cento anni fa dall’enciclica “Pascendi Dominici Gregis” di san Pio X “sugli errori del modernismo” sono giudicate tuttora attuali. Il riserbo è dovuto piuttosto alle modalità pratiche con cui si mosse la Chiesa di un secolo fa: modalità ritenute sbagliate dalle autorità della Chiesa di oggi.
Questo ha detto il nuovo direttore dell’”Osservatore Romano”, il professor Giovanni Maria Vian, nella prima importante intervista rilasciata dopo la sua nomina:
“Pio X fu un grande papa riformatore, che sulla questione modernista capì benissimo quale era la posta in gioco e i pericoli per la fede della Chiesa. Purtroppo la sua fama è ora legata per lo più ai modi con cui il modernismo venne combattuto, spesso con metodi indegni della causa che si intendeva difendere”.
E questo dicono i due unici articoli sulla “Pascendi” usciti nelle ultime settimane su organi di stampa controllati dalla gerarchia della Chiesa: “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con l’autorizzazione previa delle autorità vaticane, e “Avvenire”, il quotidiano di proprietà della conferenza episcopale italiana.
Su “Avvenire” il teologo Corrado Pizziolo ha sottolineato la perdurante attualità delle questioni centrali affrontate dall’enciclica.
Su “La Civiltà Cattolica”, invece, lo storico gesuita Giovanni Sale, nel ricostruire la genesi e gli sviluppi di quel documento, ne ha evidenziato gli elementi ritenuti più caduchi: lo schema troppo “dottrinario”, il tono troppo “duro e censorio”, la successiva applicazione “eccessivamente integralista e intransigente”.
* * *
Padre Sale smentisce che dei gesuiti siano stati gli effettivi scrittori della “Pascendi”. Ne indica gli autori materiali nel cardinale Vivès y Tuto, cappuccino, e in padre Lemius dei missionari di Maria Immacolata. Conferma però che “uno dei maggiori ispiratori dal punto di vista teologico e culturale” dell’enciclica fu proprio un gesuita della “Civiltà Cattolica”, padre Enrico Rosa.
A giudizio di padre Rosa – e di Pio X – il modernismo era “un cristianesimo nuovo che minacciava di sopprimere l’antico”. Per contrastarlo bisognava colpirlo nella sua radice filosofica, nell’errore dal quale derivavano tutti gli altri errori nella teologia, nella morale, nella cultura, nella vita pratica. L’errore fondamentale attribuito ai modernisti era di negare alla ragione la capacità di conoscere la verità; per cui tutto – anche la religione, anche il cristianesimo – si riduceva a esperienza soggettiva.
Padre Sale fa notare, però, che i modernisti non accettarono mai questo schema interpretativo:
“Secondo essi il movimento di riforma delle scienze religiose, come era chiamato da loro, non era iniziato partendo da determinate teorie filosofiche, bensì dalla critica storica e dalla nuova esegesi della Sacra Scrittura. Essi cioè ponevano a fondamento della loro svolta non la filosofia, bensì la storia, o meglio la storia sacra, liberata dalle adulterazioni e restituita alla sua genuinità originaria, attraverso il nuovo metodo storico-critico”.
Inoltre, padre Sale scrive che la tendenza modernista non si estese mai alle masse popolari come invece temevano padre Rosa e Pio X:
“Il movimento dei ‘novatori’ (almeno quello dottrinale e teologico) rimase confinato entro cerchie ristrette di studiosi cattolici, per lo più giovani preti o seminaristi”.
Ciò però non trattenne “alcune forze conservatrici cattoliche”, negli anni successivi alla “Pascendi”, dallo scatenare dentro la Chiesa “una violenta polemica antimodernista, spesso con pochi scrupoli”. Il più attivo in questa campagna fu un prelato della curia vaticana, monsignor Umberto Benigni, che si mosse – annota padre Sale – “con l’approvazione e benedizione dello stesso papa”.
Su Benigni e sul “Sodalitium Pianum” da lui creato – una sorta di centrale spionistica nella Chiesa dell’epoca, correntemente chiamata “la Sapinière” – ha scritto studi fondamentali lo storico francese Émile Poulat.
* * *
Diverso è l’approccio alla “Pascendi” che don Corrado Pizziolo, professore di teologia e vicario generale a Treviso, la diocesi natale di san Pio X, fa su “Avvenire”.
Egli richiama l’attenzione soprattutto su due questioni che erano al centro dello scontro tra Pio X e i modernisti. Per mostrare quanto esse siano ancora attuali.
La prima questione riguarda l’esegesi biblica. Secondo i modernisti, in particolare Alfred Loisy, l’esegesi scientifica applicata alla Bibbia è la sola che accerta cose sicure e verificabili. La lettura di fede, invece, “non è reale: è una lettura puramente soggettiva, frutto del sentimento religioso”.
Scrive Pizziolo:
“La condanna decretata dal magistero antimodernista concerne non l’esegesi scientifica in quanto tale, ma la dichiarata opposizione, professata dal modernismo, tra la fede e la storia, tra l’esegesi teologica e l’esegesi scientifica”. Tale opposizione “continua a proporsi ancor oggi come una questione con cui fare i conti. Non si spiegherebbe altrimenti perché, cento anni dopo, Benedetto XVI dedichi la premessa del suo recente libro su Gesù di Nazareth proprio a ricordare il valore e i limiti del metodo storico-critico, insistendo sulla necessità di un’esegesi scientifica illuminata dalla fede”.
La seconda questione riguarda la rivelazione divina. I modernisti identificavano tale rivelazione in un’esperienza puramente interiore, nel sentimento religiose o mistico.
L’enciclica “Pascendi” ribadì invece che la rivelazione viene da Dio, è Dio che parla all’uomo. E con ancor più forza il Concilio Vaticano II, nella costituzione “Dei Verbum”, sottolineò che tale comunicazione si identifica nella persona di Gesù Cristo.
“Tuttavia – scrive Pizziolo – tale apparente ovvietà non è affatto da dare oggi per scontata. La sensibilità della cultura anche religiosa attuale tende ad equiparare tutte le religioni esistenti, ponendole tutte sullo stesso piano. Non riappare forse l’idea che la religione – ogni religione, quindi anche il cristianesimo – non sia altro che il prodotto dello spirito umano? Che la cosiddetta ‘rivelazione’ non sia altro che una generica e inesprimibile esperienza del trascendente, esclusivamente frutto del sentimento religioso?”.
Conclude Pizziolo:
“Alla luce di questi brevi cenni si può comprendere l’importanza dei temi toccati dall’enciclica ‘Pascendi’. Essa affronta i fondamenti della fede cattolica, in un momento storico in cui apparivano messi seriamente in discussione. Va certamente detto che i problemi sollevati dagli autori accusati di modernismo erano problemi reali: il rapporto tra fede e storia e tra fede e scienza; la relazione tra coscienza umana e rivelazione di Dio; il rapporto tra il linguaggio umano del dogma e la verità soprannaturale che esso esprime; il senso di un’autorità nella Chiesa… Ma va anche affermato che molte delle soluzioni che venivano prospettate non erano compatibili con la fede cattolica. Di qui la doverosa necessità di un intervento del magistero.
“Possiamo anche aggiungere che il magistero del tempo non disponeva di una teologia adeguata per affrontare le questioni che la nuova cultura moderna suscitava. In questo senso l’intenzione dell’enciclica non fu quella di risolvere tutti i problemi in questione, ma quella di ribadire l’identità e l’integralità della fede cattolica, riassegnando alla teologia il compito di ripensare le tematiche in questione. Un frutto di questa rinnovata riflessione possiamo certamente riconoscerlo nel Concilio Vaticano II, senza però pensare che tutti gli interrogativi sorti nel periodo modernistico abbiano trovato adeguata e definitiva soluzione. Essi rimangono, in buona parte, ancora molto attuali e richiedono nuovi sforzi di riflessione. Si tratterà però, alla luce dell’insegnamento della ‘Pascendi’, di uno sforzo che dovrà compiersi nel pieno rispetto dell’identità della fede e della tradizione di quel popolo di Dio che è la Chiesa”.
––––––––––
L’enciclica di Pio X “Pascendi Dominici Gregis” dell’8 settembre 1907, nella versione italiana ufficiale:
> “L’officio di pascere il gregge del Signore…”
__________
L’articolo di Giovanni Sale su “La Civiltà Cattolica” del 6 ottobre 2007:
> A un secolo dall’enciclica contro il modernismo
__________
L’articolo di Corrado Pizziolo su “Avvenire” del 5 settembre 2007:
> Modernismo, quale eredità? A cento anni dall’enciclica “Pascendi”
__________
L’intervista di Giovanni Maria Vian a “30 Giorni”, citata nel servizio:
> Vian: “Il confronto delle idee è sempre positivo”
Vian, nuovo direttore dell’”Osservatore Romano”, è professore di filologia patristica e specialista della storia del papato contemporaneo. Suo nonno, Agostino Vian, era molto amico di Pio X, il papa della “Pascendi”.
__________
—————-o0o—————-
Il Modernismo fu un’eresia, sì, e il suo erede è il ProgressismoRino Cammilleri, su Il Giornale 9 gennaio 2008
Mise la coscienza al centro di tutto. E fece della fede non più l’assenso dell’intelletto alla verità rivelata da Dio ma un cieco sentimento religioso.È praticamente passato sotto silenzio, lo scorso settembre, il centenario dell’enciclica “Pascendi Dominici gregis” con cui il papa San Pio X condannava il modernismo definendolo «sintesi di tutte le eresie». Eppure, rileggendola oggi nelle edizioni Cantagalli (pagg. 134, euro 13,50), ci sarebbe ogni motivo per un ampio dibattito, dal momento che il modernismo, scomunicato cent’anni fa, ha conquistato gran parte del clero (e dei vescovi) con il nuovo nome di progressismo.
In appendice al testo dell’enciclica sono riportati il decreto “Lamentabili” (che condannava 65 proposizioni moderniste) e il «giuramento antimodernista» che quel papa impose nei seminari. Il vescovo di San Marino, Luigi Negri, nella prefazione così si esprime: «Sono rimasto quasi sgomento; le proposizioni fondamentali, tutte chiaramente in contrasto con la dottrina cattolica, hanno costituito in questi ultimi vent’anni il contenuto anche esplicito di tante pubblicazioni teologiche ed esegetiche e hanno sicuramente influenzato l’insegnamento in facoltà teologiche e in seminari».
La “Pascendi Dominici gregis” venne addirittura elogiata, «per la sua potenza filosofica e la sua coerenza» (come ricorda lo storico Roberto De Mattei nell’introduzione), dai due massimi esponenti del pensiero laico del tempo, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Era, infatti, un «affare interno» della Chiesa, che così isolava i suoi nemici più pericolosi e subdoli, il cui obiettivo era trasformare il cattolicesimo «da dentro» lasciandone intatto l’involucro strutturale.
Così, infatti, si esprimeva uno dei loro esponenti di spicco, il sacerdote Ernesto Buonaiuti, riferendosi alla Chiesa nella sua opera “Il modernismo cattolico”: «Diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato; un protestantesimo che non distruggerà la continuità apostolica del ministero ecclesiastico né l’essenza stessa del culto». Un altro famoso modernista, il romanziere Antonio Fogazzaro, quando vide una sua opera messa all’Indice fece atto (esteriore) di pentimento ma si giocò il Nobel, che gli antipapisti del comitato assegnarono all’anticlericale Carducci.
Non era facile, in effetti, cogliere esattamente l’eresia modernista, dal momento che essa non si opponeva a questa o a quella delle verità rivelate. Ma Papa Sarto ne individuò il punto centrale nel mutamento della nozione stessa di «verità», che per il modernismo era in evoluzione; così anche i dogmi. In tal modo la coscienza diventava il centro di tutto, la regola universale, l’autorità suprema. Perciò, la fede non era più assenso dell’intelletto alla verità rivelata da Dio, bensì una specie di cieco sentimento religioso. Ma non fu facile la lotta al modernismo, proprio per l’evanescenza del suo insegnamento: ci vollero dieci lunghi anni prima che Buonaiuti venisse sospeso a divinis. Negli anni Quaranta il modernismo riemerse con la cosiddetta “Nouvelle théologie”, che ebbe tra i suoi ispiratori Maurice Blondel e fu condannata da Pio XII con l’enciclica “Humani generis” del 1950. Tra i suoi eredi successivi, il panteismo cosmico-mistico del gesuita-archeologo Pierre Teilhard de Chardin e la svolta razionalista del teologo, celebre negli anni Sessanta, Karl Rahner.
La trasformazione del vecchio modernismo nel progressismo odierno si ebbe al tempo del concilio Vaticano II; soprattutto dopo, quando il cosiddetto «spirito del concilio» convertì molto clero a «quell’ermeneutica della rottura» che l’attuale pontefice non si stanca di condannare: il Vaticano II – dice in sostanza Benedetto XVI – va letto in continuità con tutta la tradizione precedente, e non costituisce affatto una «rottura» con il cattolicesimo definito sprezzantemente «pacelliano» o «preconciliare». Infine, una vera e propria leggenda nera è stata artatamente creata attorno al prete Umberto Benigni, che affiancò San Pio X nella lotta al modernismo con il “Sodalitium Pianum” (Sodalizio San Pio V, creato nel 1909 e sciolto nel 1921) e l’agenzia di informazioni Corrispondenza romana.
Come nota De Mattei, certa storiografia contemporanea «ha ripreso le accuse di “delazione” e “spionaggio” già lanciate dai modernisti contro il prelato romano». Il che costituisce un’ulteriore conferma dell’odierna egemonia culturale del progressismo. Ma si dovrebbe, del pari, ricordare il clima del tempo, e soprattutto quello che lo storico Lorenzo Bedeschi definiva il «multiforme e fervido lavorio segreto» dei modernisti, che costituivano «un reticolo inafferrabile e variegato» diffuso nelle principali città italiane. La lotta antimodernista di San Pio X ebbe anche l’appoggio di un santo come don Orione, che aveva compreso come il modernismo, sganciando l’uomo da ogni realtà oggettiva posta al di fuori di sé e della propria coscienza, preparasse il terreno al nichilismo.
——————o0o——————
1. L’importanza dell’Enciclica (Aurelio Fusi)
2. L’atteggiamento di Don Orione verso il modernismo (Flavio Peloso)
3. Don Orione parla di Pio X
L’IMPORTANZA DELL’ENCICLICA
Aurelio Fusi
L’enciclica di Pio X “Pascendi” è un documento fondamentale del magistero della Chiesa e fra tutti gli atti di Pio X resta “il monumento più insigne del suo pontificato”. Questo importante documento venne preceduto dal decreto Lamentabili e fu seguito, qualche anno dopo, dal giuramento antimodernista Sacrorum antistitum , che ne costituiva il compimento.Anche se lo scopo del modernismo (movimento di pensiero cattolico operante tra la fine dell’ Ottocento e i primi del Novecento) poteva sembrare positivo in quanto cercava una conciliazione tra la filosofia e scienza moderne con la teologia cristiana , di fatto, per le sue posizioni contro la tradizione e i dogmi, venne condannato dall’enciclica papale che subito, fin dalle prime righe, chiarisce i suoi obiettivi: “L’officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome”.
Il termine “modernismo” fu coniato dai critici di questa corrente filosofico-teolocica e fu utilizzato anche nella enciclica; in seguito, venne usato come dispregiativo del moderno.
In concreto l’enciclica del Papa nella sua prima parte condannava:
1) il rifiuto delle prove classiche tradizionali sull’esistenza di Dio che si è fatto conoscere all’uomo con una rivelazione esterna, obiettiva, espressa mediante formule intellettuali;
2) la riduzione della rivelazione ad una esperienza religiosa personale;
3) la concezione dei dogmi come strumenti per comunicare agli altri le proprie esperienze religiose e quindi ridotti a semplici strumenti in divenire;
4) la separazione radicale tra scienza e fede, dove quest’ultima è ridotta ad un atto irrazionale e ad un’adesione cieca;
5) il metodo esegetico della “demitizzazione”.
Nelle tesi principali del modernismo, il cristianesimo è ridotto ad una fede puramente soggettiva, che rifiuta ogni prova di carattere esterno e sociale. Il pensiero moderno riteneva unico criterio di verità l’esperienza interiore personale, per fondare su di essa l’affermazione di Dio trascendente.
La seconda parte dell’enciclica contiene varie disposizioni da attuarsi soprattutto nella formazione del clero: vigilanza sui professori dei seminari e dell’università, selezione rigorosa degli ordinandi, limitazione della frequenza alle università statali, aggravamento della censura, istituzione di una commissione speciale in ogni diocesi per indagare su eventuali indizi di modernismo, con l’obbligo di inviare periodiche relazioni a Roma.
I modernisti negarono di riconoscersi nelle proposizioni condannate, affermando che il movimento, quale era presentato nell’enciclica, era un’ipotesi assurda. Protestarono subito di non essere stati compresi. Buonaiuti pubblicò, sotto il velo dell’anonimato, Il programma dei modernisti. Dichiarava che il loro pensiero era stato travisato, pur ammettendo che “in fondo queste sono le nostre idee sull’origine della religiosità”.
Al contrario, il documento fu inaspettatamente elogiato per la sua potenza filosofica e la sua coerenza dai due principali pensatori laici dell’Italia del tempo: Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Il primo, dopo la pubblicazione dell’enciclica, scrisse un articolo sul Giornale d’Italia del 13 ottobre 1907, dal titolo Insegnamenti cattolici di un non cattolico. Benedetto Croce a Salvatore Minocchi , in cui concludeva ponendo ai modernisti l’alternativa: “O andare innanzi o tornare indietro. Ossia, o ricongiungersi ai pensatori non confessionali o, dopo essersi dibattuti vanamente per qualche tempo, ricadere nel cattolicesimo tradizionale”.
L’opera antimodernista di san Pio X fu coronata dal Motu proprio Sacrorum antistitum del 1 settembre 1910 e dal giuramento che esso imponeva. In particolare questo giuramento respingeva la concezione modernista che vedeva nella dottrina cristiana una “creazione della coscienza umana” che si sarebbe formata con lo sforzo degli uomini e avrebbe dovuto perfezionarsi all’infinito. La Chiesa ribadiva, invece, che la “dottrina della fede” è stata “trasmessa dagli apostoli e dai Padri ortodossi” come un “deposito divino” e non come un prodotto umano, frutto del pensiero o della coscienza dell’uomo. Infine l’ultimo articolo, fondendo la dottrina del concilio Vaticano I e quella dalla Pascendi ricorda che la fede non è “un cieco sentimento religioso che irrompe dalle oscurità del subcosciente”, ma che essa è “un vero assenso dell’intelletto” alla verità rivelata da Dio.
2. L’ATTEGGIAMENTO DI DON ORIONE VERSO IL MODERNISMO
Flavio Peloso
Quale fu la posizione di san Luigi Orione che al tempo della promulgazione dell’enciclica era un sacerdote ormai maturo e godeva la piena fiducia del Papa? Non dimentichiamo che l’anno successivo si verificò il terremoto calabro-siculo e Don Orione, dopo i primi soccorsi, venne nominato, dallo stesso Papa Sarto, vicario generale della diocesi di Messina, pur avendo solo 36 anni. La risposta a questo interrogativo la troviamo nel prestigioso volume “Don Orione negli anni del modernismo” . Modernista o filomodernista Don Orione certamente non fu. Antimodernista? Lo fu a modo suo. Il suo, infatti, non fu un antimodernismo per così dire “primario”, ma la logica e amorosa conseguenza di una “schietta fede papale” apertamente vissuta, professata e proclamata.La fedeltà al Papato e alla Chiesa di Roma, infatti, è al centro del sentire ecclesiale di don Orione e costituisce il fine precipuo della Piccola Opera della Divina Provvidenza da lui fondata. Proviene, si badi, da un atto di fede teologica e non da una ideologia o calcolo strategico. Don Orione coglie l’importanza della dimensione istituzionale del Papato che egli afferma, difende e promuove non solo di fronte al modernismo, ma anche in altri momenti storici di fronte ad altre questioni che toccano l’unità della Chiesa, ruotante attorno al suo “cardine nel mondo”, il Romano Pontefice. Quindi, anche la sua attitudine di fronte al modernismo e ai “modernisti” non fu tanto per “separare” onde evitare confusioni e minacce – opera pur necessaria – quanto piuttosto quella di “unire”, sul piano di una calorosa umanità-carità di cui era campione, nel massimo di comunione possibile, premessa per ulteriori e imprevedibili sviluppi di unità, come avvenne in molti casi quali quelli di Casciola, Murri, Federici e altri.
Don Orione ebbe la fiducia della Santa Sede, che mai dubitò della sua ortodossia, e contemporaneamente si guadagnò la fiducia degli “erranti” che si affidarono alla sua “sconfinata e pronta al soccorso bontà” come disse di lui Buonaiuti. Questa opera di dialogo fu intenzionalmente voluta da Don Orione, permessa e talvolta incoraggiata da Pio X, che, come ricorda Gallarati Scotti , ebbe in lui piena fiducia “lasciandogli tutte le libertà nei suoi rapporti con queste anime turbate”.
Fu la superiore tensione interiore – che possiamo anche chiamare carità o santità – a permettere al discreto ed efficace “tessitore di rapporti” di trovare il delicato punto di equilibrio tra il rigore dottrinale e la carità verso il prossimo, altrimenti risolvibile in compromesso, daltonismo psicologico o dissociazione interiore.
La chiave esistenziale dell’atteggiamento di Don Orione negli anni del modernismo sta nel “Veritatem autem facientes in Charitate” (Ef. 4, 15) di san Paolo, a proposito del quale Don Orione scrive: “Vivere la verità nella carità, operare cioè sempre secondo gli insegnamenti della fede, che contiene la verità rivelata, sotto l’impulso della carità, fedeli alla verità, ma in una volontà e spirito di santo amore, di carità”. Per questo, poi esorta: “Anche quando ti alzerai paladino di rettitudine e della verità, segui l’ammaestramento dato da san Paolo ai cristiani di Efeso: Facere veritatem in charitate. E perché? Perché Deus charitas est ”.
Nella figura di Don Orione si riflette, come in un prisma, quella della Chiesa stessa che “nella sua manifestazione di uomini e di azioni è magistra inflessibile fino alla durezza nella custodia della verità consegnatale e, insieme, mater fiduciosa che non abbandona i propri figli attraverso l’azione di altri suoi figli”.
DON ORIONE PARLA DI PIO X
Appunti d’una conferenza su Pio X tenuta in Argentina il 22 giugno del 1936
Pio X fu uno de’ più amati in vita e dopo morte. Nessuno di quanti lo videro può dimenticare l’onestà e pia dolcezza del suo bel viso popolano e maestoso, e quella fronte su cui in certi momenti pareva risplendere un raggio di predestinazione.Pio X, il ragazzo di umilissimi natali, che salì, nella santa luce della fede e del silenzio, tutti i gradi della gerarchia della chiesa: da cappellano di Tombolo a parroco di Salzano, da cancelliere della di Curia di Treviso a Direttore spirituale del Seminario di Treviso, da Canonico a Vicario generale, a Vescovo di Mantova, a Patriarca, a Sovrano Pontefice. In ogni grado, in ogni stato, in ogni paese lasciò dietro di sé il rimpianto, la memoria d’una bontà intelligente e operante, d’una fermezza che sapeva essere umana anche nella severità, d’una dottrina sicura che si nascondeva sotto la semplice, ma vincente parlata evangelica.
Colui che per ispregio fu proverbiato dai nemici della chiesa … come «pretucolo di campagna» appare ormai uno de’ più grandi e santi Papi che lo Spirito Santo ha posto sulla sedia di Pietro.
« Da noi altri italiani – dirà un giorno Pio X – la fede è come un dono di natura »
Le prove sono evidenti. Percorrete il Veneto: l’assistenza alle funzioni, il numero dei bambini (famiglie patriarcali), le croci di fianco alle strade, le immagini della Vergine e dei Santi che decorano i muri delle case… vi dicono la fede del paese. Domandate, per esempio, a un vecchio o ad una vecchia quant’anni hanno. Avrete soltanto questa risposta, che è bella: « Poco manca andar a casa », alla Casa paterna, dove sta è il gran Padre che sta nei cieli.
La Exhortatio ad Clerum (Haerent animo) – scritta tutta di proprio pugno – uscì il 4 agosto 1908 in occasione del suo giubileo sacerdotale. La lettera è uno stupendo trattato: fu l’ultimo sigillo di fuoco apposto alla lunga serie di esortazioni della sua vita di pastore.
Tutta la politica di Papa Sarto consistette nel salvaguardare i sacrosanti diritti della Chiesa, difendendone la libertà e l’indipendenza e procurare la più sapiente concordia fra l’Autorità civile e l’Autorità religiosa.
Ecco il segreto della Santità di Pio X: Egli è stato un gran sacerdote, un gran prete, il gran prete padre. Riferendogli gli insulti di uno scrittore modernista, il Papa si accontentò di rispondere: “ Via! dopo tutto, non ammise che sono un buon prete? Di tutte le lodi è l’unica che io abbia mai apprezzata ”.
Questa fede fu il fondamento, il sostegno, il movente del suo grande zelo che gli rendeva giocondo ogni lavoro: « lavorare è godere »; lo sostenne nelle sue battaglie memorabili per la riforma del clero e del popolo, la restaurazione del regno di Cristo nelle anime e nella società, la rivendicazione dei diritti di Dio e della Chiesa sua, la difesa del deposito della fede contro il modernismo, da lui definito la sintesi di tutte le eresie.
Il Papa della restaurazione d’ogni cosa in Cristo. Pio X, salvando l’Azione Cattolica da pericolosi deviamenti ha sapientemente preparato il terreno agli statuti di Pio XI. Pio X poi, aprendo prudentemente ai cattolici italiani il terreno politico per la difesa sociale, ha preparato quella Conciliazione che era nei voti ardenti del suo cuore e che l’undecimo Pio, coi nuovi tempi e i nuovi indirizzi, poteva realizzare, «restituendo Dio all’Italia e l’Italia a Dio».
Carità è midolla dall’Evangelo sintesi del Cristianesimo. “Se parlassi tutte le lingue …”. Charitas Deus est , il sovrano dei cuori. Anime e Anime! Dio è amore alle anime. Egli fu un uomo veramente di fede.
Chiamato a diventare Pastore di tutti i fedeli si sentì subito l’anima pervasa da quella che S. Paolo chiama la sollecitudo omnium ecclesiarum .
Instaurare omnia in Christo ut sit omnia et in omnibus Christus . E cominciò da Roma l’opera riformatrice, anzi dalla stessa Curia pontificia.
Modernismo: defensor fidei . « Ora bisogna agire da Papa» «Tutto il mondo si svegliò ariano».
Modernisti ancora ne esistono, ma il loro sistema è spezzato. Fu detto che Pio X salvò l’anima della Chiesa come nella lotta contro la Francia laica ne salverà, per così dire, il corpo. Basterebbe questo per annoverarlo fra i più grandi Pontefici vindici della fede.
È stato detto che ci fu chi abusò del suo nome per scovare modernisti anche dove non c’erano. Ma è pur vero che il Papa fu sempre pronto a prendere le difese degli accusati appena veniva scoperta l’infondatezza delle accuse come ad accogliere con paterna benevolezza la pecorella smarrita.
Il 20 agosto 1914, il telegrafo, uso da settimane a trasmettere notizie di armamenti e di massacri, con la rapidità della folgore ne diffondeva una che parve di tutte la più luttuosa: Sua Santità Pio X s’era spento santamente all’1 e 15 di quella notte, in seguito a bronco-polmonite.
È morto un Santo. Marchiafava, il suo vecchio e buon amico, conferma che l’orribile guerra scoppiata in Europa era stata fatale per Pio X. Ripeteva: “ Milioni e milioni di miei figli che muion ”. Dal 18 al 19 s’aggravò rapidamente. Presto sarò in Paradiso dove pregherò per voi.
Le grotte vaticane si sono aperte al gran cuore di colui che volle tutto instaurare omnia in Christo .
* * *
In una minuta senza data
Il Papa parla e la sua è parola precisa e pratica, soave e forte: vi è tutto Lui Pio X.
Il Papa parla nella Exhortatio ad Clerum (Haerent animo) ai Vescovi d’Italia con una Enciclica gravissima di sapore veramente apostolico, ispirata a un grande, solenne proposito, quello di volere che il Clero sia degno della sua divina missione, che nutra le anime e mantenga intatto il patrimonio della fede e della morale.
La parola del Papa è condanna severa e terribile di tutto ciò che è modernismo, brutta parola di più brutte cose…
Auguriamo che pel bene della Chiesa e delle anime, pel vero miglioramento sociale ed intellettuale del popolo d’Italia, la parola del Papa, che è verbo di Dio, trovi in tutti umiltà di figli e fedeltà di soldati.
——————–o0o——————–
“Massoneria cattolica”, ovvero il Modernismo riciclato
Diverse iniziative hanno rievocato nel 2007 il centenario dell’enciclica Pascendi, con la quale Papa san Pio X condannava il modernismo. All’epoca molti esultarono per la disfatta di questa “sintesi di tutte le eresie”, dichiarando la sua morte. Il modernismo, però, si era solo mimetizzato in attesa di tempi migliori.Da quando venne eletto al soglio pontificio, nell’agosto 1903, san Pio X dimostrò una paterna sollecitudine nel custodire il dogma della Fede, insidiato fin dalle fondamenta da molteplici correnti riformatrici, poi caratterizzatesi come “modernismo”.
La lotta di un Papa in difesa della Verità
Nell’enciclica E supremi apostolatus, pubblicata appena due mesi dopo l’elezione, Papa Sarto già ammoniva contro «le insidie di una certa nuova e fallace scienza, che in Cristo non s’insapora, e che con larvati e subdoli argomenti si studia di dar passo agli errori del razionalismo e semi razionalismo».
Ancora due mesi, e il Sant’Uffizio metteva all’Indice quattro libri di Alfred Loisy, capofila del modernismo, nonché un’opera di Albert Houtin, inaugurando una serie di analoghe misure che colpirono i principali promotori dell’eresia in Europa e negli Stati Uniti.
Nell’Enciclica Pieni l’animo, del luglio 1906, il Pontefice torna a censurare le dottrine moderniste deplorando che settori del clero ne siano infettati: «Purtroppo un’atmosfera di veleno corrompe largamente gli animi ai nostri giorni. (…) Che tale spirito penetri fino nel santuario e infetti [il clero] è cosa questa che Ci ricolma l’animo d’immenso dolore».
Nell’allocuzione al Concistoro del 17 aprile 1907, san Pio X denunciava ancora «questo attacco che costituisce non solo una eresia, ma la sintesi, la velenosa essenza di tutte le eresie».
Il 3 luglio, il Sant’Ufficio pubblicava il decreto Lamentabili sane exitu, contenente 65 proposizioni moderniste condannate. Finalmente, l’8 settembre il Pontefice pubblica l’enciclica Pascendi Dominici gregis, nella quale qualifica il Modernismo “la sintesi di tutte le eresie” (“omnium haereseon conlectum”), e i modernisti «i più perniciosi nemici della Fede».
Morte del Modernismo?
La prima reazione dei modernisti fu di… negare l’esistenza del Modernismo!
Le publicazioni filo-moderniste dell’epoca abbondano in sarcasmi contro «la troppo fertile immaginazione dei campioncini dell’ortodossia», «il delirio di cervelli refrattari», «i fanatici dell’Inquisizione» che avrebbero «fabbricato di sana pianta questa sintesi di tutte le eresie».
Paul Naudet, leader dei cosiddetti abbés démocrates, ironizzava: «Il problema del Modernismo è che… nessuno vi si riconosce! Nessuno vuol essere modernista. D’altronde in perfetta buona fede».
Perfino l’utilizzo del termine “Modernismo” veniva contestato. «Non crediamo ci sia bisogno di un appellativo nuovo per definire il nostro atteggiamento religioso, che vuol essere semplicemente di cristiani viventi in armonia con lo spirito del loro tempo», scriveva Ernesto Buonaiuti.
Ma il colpo era stato troppo devastante, le loro dottrine esposte in modo troppo preciso, le conseguenze tratte in maniera troppo rigorosa e, quel che è peggio, negli atti disciplinari i nomi erano stati fatti. Per i modernisti non c’era scampo. Nonostante qualche vano tentativo di reazione, dovettero arrendersi.
Nell’ottobre 1909, Loisy riteneva dover parlare dei suoi compagni come dei “morti”. Un mese prima, egli ammetteva che il Modernismo «è in piena ritirata e sarà presto annientato». Dall’altra sponda, lo scrittore tradizionalista Hillaire Belloc proclamava che «il colpo della Pascendi è stato mortale (…) Il Modernismo è morto!». Purtroppo sia l’uno che l’altro si ingannavano.
Lungi dal lasciarsi prendere dallo sgomento, i duri e puri facevano strane profezie: «Quando mi guardo attorno – scriveva George Tyrrell nell’agosto 1908 – sono costretto ad ammettere che l’onda di resistenza modernista si è esaurita, e che ha dato tutto ciò che poteva dare per adesso. Dobbiamo aspettare il giorno in cui, grazie ad un lavoro silenzioso e segreto, avremo guadagnato alla causa della libertà una porzione più grande dei fedeli».
Un lavoro silenzioso e segreto? A cosa si riferiva il modernista inglese?
“Massoneria Cattolica”
Aveva sempre fatto parte del carattere modernista un pronunciato vezzo per la segretezza. In parte dovuto alla paura di incorrere in sanzioni ecclesiastiche, in parte perché, tutto sommato, erano ancora una minoranza, i modernisti funzionavano in pratica come una setta semi-clandestina.
Già prima della Pascendi, il mensile Unità cattolica parlava di «un complotto contro i cattolici ‘papalini’ (…) una trama per isolare il Dolce Cristo in terra (…) ordita da sette e conventicole ribelli». Nel condannare i modernisti, lo stesso san Pio X osservava che «essi sono tanto più perniciosi quanto meno sono in vista (…) [quanto più] inculcano le loro dottrine velatamente».
Per niente pentiti, dopo la Pascendi i modernisti si nascosero ancor di più, formando ciò che Antonio Fogazzaro definì “Massoneria Cattolica”. Nel romanzo teologico Il Santo, in realtà un libro programmatico, il Senatore del Regno (simpatizzante del Modernismo ma sottomessosi alla Pascendi), indicava ai confratelli la strategia a seguire per aggirare la condanna e continuare i lavori: «Noi vogliamo comunicare nel Cristo vivente quanti sentiamo ch’Egli prepara una lenta ma immensa trasformazione religiosa, la quale si opererà con sacrificio, con dolore, con divisione di cuori. (…) Comunicare, vogliamo, tutti, di ogni paese, ordinare la nostra azione. Una Massoneria Cattolica? Sì, la Massoneria delle Catacombe! (…)».
«Prima dunque di iniziare questa frammassoneria cattolica, io credo che vi converrebbe intendervi circa le riforme. Dirò di più; io credo che anche quando fosse fra voi un pienissimo accordo nelle idee, io non vi consiglierei di legarvi con un vincolo sensibile. La mia obbiezione è di una natura molto delicata. Voi pensate certo di poter navigare sicuri sott’acqua come pesci cauti, e non pensate che un occhio acuto di Sommo Pescatore o vice Pescatore vi può scoprire benissimo e un buon colpo di fiocina cogliere. Ora io non consiglierei mai ai pesci più fini, più saporiti, più ricercati, di legarsi insieme. Voi capite cosa può succedere quando uno è colto e tirato su. E, voi lo sapete bene, il grande Pescatore di Galilea metteva i pesciolini nel suo vivaio, ma il grande Pescatore di Roma li frigge».
Ma “l’occhio acuto del Sommo Pescatore” vegliava. Nel 1910, san Pio X pubblicava il Motu Proprio Sacrorum antistitum, nel quale denunciava che i modernisti si stavano raggruppando in una lega clandestina (clandestinum foedus) e che «non hanno abbandonato il loro intento di perturbare la pace della Chiesa». Al fine di chiudere definitivamente le porte, egli istituì il celebre “giuramento anti-modernista”, richiesto ai vescovi e sacerdoti, nonché ai professori di teologia.
Un clima diverso
Il grande Papa morì nell’agosto 1914, amareggiato dalla Guerra che egli aveva strenuamente cercato di impedire. Il suo successore Benedetto XV riaffermò le condanne, specialmente nell’enciclica Ad beatissimi (1914), nella quale denunciava «i mostruosi errori del Modernismo».
Alcuni, però, interpretarono il suo appello a «sopire i dissensi e le discordie tra i cattolici» come un implicito richiamo a cessare la lotta anti-modernista. L’allontanamento di Mons. Umberto Benigni, che si era distinto nella lotta contro l’eresia, benché dovuta ad una vecchia differenza personale col nuovo Papa, fu anch’essa interpretata come un cambio di indirizzo.
Rievocando il cambiamento di clima dopo la morte di san Pio X, il teologo Marie Dominique Chenu, allora un giovane seminarista, rileva alcuni aspetti del nuovo pontificato: «Il pontificato di Benedetto XV rappresentava una tendenza diversa. (…) [Il cardinale] Merry del Val [Segretario di Stato di S. Pio X] fu sostituito dal cardinale Gasparri. Una vera rivoluzione di palazzo! Gasparri rimise nelle loro cattedre molti dei giovani sacerdoti e teologi che, sospettati di simpatie moderniste, erano stati condannati».
Una simile impressione si desume da una lettera di Giovanni Genocchi a Paul Sabatier, uno dei leader del movimento in Francia: «Stiamo già sentendo alcuni effetti positivi del nuovo clima. Non c’è più il furore iconoclasta del vecchio Pontefice. Stiamo respirando più comodamente. (…) Diverse vittime della follia e del fanatismo sono già state reintegrate, ed altre sono in cammino».
Dal modernismo al progressismo
Così, mentre il fragore dei cannoni copriva la polemica teologica, la setta modernista cominciò a riorganizzarsi. I duri e puri, però, erano ormai fuori dalla Chiesa e, di conseguenza, non avevano più influenza fra i fedeli.
Ma questi erano solo l’avanguardia di un più vasto movimento che, restando nel gregge di Cristo, poté portare avanti il “lavoro silenzioso e segreto” proposto dal Tyrrell. Erano i cosiddetti “progressisti” o “modernizzanti”. Coincidendo genericamente con i modernisti, avevano tuttavia evitato con cura qualsiasi enunciato eterodosso, sfuggendo in questo modo alla condanna.
Spesso protetti dalle mura di note istituzioni religiose, i progressisti continuarono a lavorare, collocando le fondamenta delle correnti teologiche che tanto male hanno fatto alla Chiesa nel secolo XX. «Costretti ad una sorta di vita clandestina – spiega P. Albert Besnard – i modernisti continuarono ad operare in modo segreto ispirando successivamente la maggior parte delle contestazioni religiose che oggi vediamo nella Chiesa».
Ma questo è ormai tema per un altro articolo.
—————o0o—————
Nessun commento:
Posta un commento