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domenica 8 settembre 2013

don curzio - LE INSIDIE DEL NEO-COMUNISMO E DEL NEO-MODERNISMO

LE INSIDIE DEL NEO-COMUNISMO E DEL NEO-MODERNISMO
La collaborazione tra cattolici, comunisti e modernisti è impossibile
d. CURZIO NITOGLIA
30 maggio 2011
Monsignor Antonio De Castro Mayer, vescovo di Campos in Brasile, nel 1961 pubblicò una Lettera pastorale sulle “Insidie della setta comunista”. Essa è attuale ancor oggi e può essere applicata analogicamente alla setta modernista. È quello che cerchiamo di fare nel presente articolo.
Il trabocchetto comunista: lotta contro la miseria e l’ingiustizia
● Ciò che è accaduto a Cuba durante la rivoluzione castrista contro Batista, alla quale collaborarono anche numerosi cattolici, pur se con finalità diverse è un esempio tipico del risultato a cui porta la collaborazione con i comunisti. Questi, infatti, non disdegnano la collaborazione dei cattolici. Anzi, la sollecitano (v. Gramsci e Bloch), la provocano anche, mettendo in evidenza miseria e ingiustizie che possano suscitare l’indignazione e la reazione degli spiriti retti. E, purtroppo, spesso ottengono la collaborazione desiderata. Abituati ad agire in buona fede, i cattolici tendono molte volte a giudicare impossibile che, rispetto a considerazioni umanitarie, qualcuno possa nascondere un fine perverso. Finiscono così per impegnarsi, non per il movimento comunista, ma per la lotta a favore degli infelici, degli oppressi e dei sofferenti. E lavorano uniti, cattolici e comunisti, certi i primi che gli altri, come loro, desiderano sinceramente curare la società dalle piaghe che la infettano; più certi i secondi che l’agitazione umanitaria offrirà loro l’ambiente ideale per l’estensione del loro potere.
Richiamo modernista attuale: ritorno alla “Tradizione”
● Così il modernismo apparentemente moderatamente progressista (“ermeneutica della continuità”), che oramai ha occupato l’apice dell’ambiente cattolico e ecclesiale, chiede ai cattolici fedeli alla Tradizione di agire uniti per vincere il materialismo, l’ateismo e le spinte parossistiche del modernismo radicale (“ermeneutica della rottura”, 22 dicembre 2005). Alcuni cattolici fedeli in buona fede si lasciano convincere della continuità (che invece è verbale, ma non reale) e agendo assieme ai modernisti, realmente progressivi, anche se apparentemente moderati, finiscono per essere mangiati da loro, come “il pesce più piccolo è divorato da quello più grande”. Poiché l’agitazione filantropico-umanitaria, mascherata da conservatorismo religioso, offrirà ai modernisti, per i quali “il fine giustifica i mezzi” (Machiavelli), l’ambiente ideale per l’estensione del loro potere, mettendo a tacere la voce del “grillo parlante” rappresentato dal cattolico fedele.
Falsità dell’umanitarismo comunista e dell’immanentismo modernista
● I comunisti, infatti, non desiderano la riparazione dei mali, delle ingiustizie sociali. I1 regime che esaltano è la più terribile delle tirannie, elevata a sistema di governo. Desiderano produrre un ambiente di lotta, di esacerbazione contro l’ordine. I1 loro fine immediato consiste nel provocare l’inquietudine sociale, la disunione degli spiriti. Non li turba, in nessun modo, la violazione della legge morale. Per essi non esiste legge morale (1). È loro soprattutto utile suscitare e mantenere la lotta di classe, lotta di sterminio, senza nessun tentativo di armoniosa conciliazione, come vuole la Chiesa. Infatti, nella Storia del Partito Comunista dell’URSS, pubblicazione sovietica ufficiale, si legge: «Per non sbagliarsi in politica, è necessario essere un rivoluzionario e non un riformista. [...] è necessario condurre una politica proletaria intransigente di classe, e non una politica riformista di armonia tra gli interessi del proletariato e gli interessi della borghesia, e non una politica di conciliazione, di “integrazione” del capitalismo nel socialismo» (2). Nell’enciclica Divini Redemptoris, dal canto suo, Pio XI segnala che l’ideale a cui mirano gli sforzi dei marxisti consiste nell’esacerbare la lotta di classe (3).
● Così il modernismo apparentemente restauratore (“ermeneutica della continuità” a parole ma non a fatti) non vuole “instaurare tutto in Cristo” (S. Pio X), non vuole ritornare realmente alla Tradizione apostolica, ma cerca subdolamente di eliminare le ultime sacche di resistenza con la tattica degli “opposti estremismi”: modernismo radicale e tradizionalismo antimodernista, per giungere all’evoluzione costante e permanente del dogma tramite la coincidentia oppositorum.
La “setta segreta” comunista e modernista nasconde al grande pubblico le sue vere dottrine
● Oggi la propaganda dei comunisti non presenta al grande pubblico, in modo chiaro e palese, né la loro dottrina, né i loro obiettivi. Lo fece all’inizio, ma subito si accorse che così allontanava i popoli dal marxismo (4), tanto bestiale ne è l’essenza. Perciò la setta ha cambiato tattica e procura dì attirare le folle con vari inganni nascondendo i propri disegni dietro idee che in sé sono buone ed attraenti (5). Così i comunisti, senza punto recedere dai loro perversi princìpi, invitano i cattolici a collaborare con loro sul campo così detto umanitario e caritativo, proponendo talvolta anche cose del tutto conformi allo spirito cristiano e alla dottrina della Chiesa (6).
● Allo stesso modo la propaganda dell’ermeneutica della continuità si basa sul modernismo più puro e scientifico, qualificato da S. Pio X quale “clandestinum foedus” ossia setta segreta (Sacrorum Antistitum, 1° settembre 1910), non lavora palesemente al cambiamento della dottrina tradizionale, ma lo fa occultamente celandosi dietro le parole della “continuità con la Tradizione”, che sono difformi dalla realtà dei fatti per confondere le idee ai cattolici che realmente vogliono il ritorno alla Tradizione. Per fare un esempio: il “motu proprio” Summorum Pontificum cura del 7 luglio 2007, il quale ha dichiarato che la Messa tradizionale non era stata abrogata e non poteva esserlo, ha suscitato inizialmente molte speranze, che sono state deluse dal Decreto del 13 maggio 2011 sulla retta applicazione del “motu proprio” del 2007, in quanto ha dichiarato che possono celebrare liberamente la Messa tradizionale solo coloro che non sollevano obiezioni sull’ortodossia del Novus Ordo Missae, obiezioni che furono sollevate nel 1969 dai cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci nella “Lettera di presentazione” a Paolo VI del “Breve esame critico del Novus Ordo Missae”, le quali attendono ancora una risposta, come ricordava ancora qualche anno fa il cardinal Alfonso Maria Stickel.
Note
(1) PIO XI, Divini Redemptoris, 19-3-1937.
(2) G. Stalin, Storia del Partito Comunista dell’Urss, Edizioni Servire il popolo, Milano 1970, pp. 119-201.
(3) Cfr. Pio XI, Ibidem.
(4) Pio XI, Ibidem.
(5) Pio XI, Ibidem
(6) Pio XI, Ibidem.
Collaborare alle campagne della setta marxista e di quella modernista significa fare il loro gioco
● Da ciò si vede che ogni collaborazione data a una campagna nella quale si impegnano anche i comunisti - anche quando non si presentino come tali - è una collaborazione che si dà all’instaurazione del marxismo. L’esempio doloroso di Cuba ce lo insegna, e la semplice osservazione del modo di agire della setta ce ne convince. Bisogna distinguere, a questo proposito, tra mutua collaborazione e occasionale convergenza di sforzi. Vi è collaborazione quando cattolici e comunisti, lavorando per lo stesso obiettivo immediato, si aiutano gli uni gli altri, o, almeno, nascondono temporaneamente l’antagonismo di fondo e reciproco in cui si trovano. La collaborazione ridonda sempre a vantaggio dei marxisti. Può accadere, tuttavia, che i cattolici inizino una determinata campagna, e che, fortuitamente o insidiosamente, anche i comunisti si muovano nello stesso senso. Si avrà allora, come vedremo dopo, un’occasionale convergenza di sforzi, che potrà non dare vantaggio ai comunisti, solo se i cattolici rifiuteranno di concertare qualsiasi azione con loro, così come di concludere con il comunismo un armistizio, anche se temporaneo. I seguaci di Marx lavorano sempre e soltanto in favore della loro causa. Se vi è al mondo un movimento totalitario, nel quale non si disperde forza alcuna, nel quale tutto, assolutamente tutto, è calcolato in funzione del fine che si ha in vista, è quello dei comunisti. Così, ovunque vi sia un’azione loro, vi è un interesse del comunismo, ed è puerile pretendere di deviare la loro attività, dal momento che il comunista, finché rimane tale, non abbandona il suo posto di battaglia.
● Lo stesso vale per il modernismo vi è collaborazione quando cattolici e modernisti, lavorando per lo stesso obiettivo immediato (apparente ritorno alla Tradizione), si aiutano gli uni gli altri, o, almeno, nascondono temporaneamente l’antagonismo di fondo (“il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione”) e reciproco in cui si trovano. La collaborazione ridonda sempre a vantaggio dei modernisti. Invece Può accadere, tuttavia, che i cattolici inizino una determinata campagna (a favore della restaurazione della Messa tradizionale), e che, fortuitamente o insidiosamente, anche i modernisti si muovano nello stesso senso (‘indulto’ del 1984 e ‘motu proprio’ del 2007). Si avrà allora un’occasionale convergenza di sforzi, che potrà non dare vantaggio ai modernisti, solo se i cattolici rifiuteranno di concertare qualsiasi azione con loro, così come di concludere con il modernismo un armistizio, anche se temporaneo.
Pio XI condannò qualsiasi collaborazione con il marxismo (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937), lo stesso vale con il modernismo “cloaca che raccoglie tutte le eresie” (S. Pio X, Pascendi, 8 settembre 1907).
Anche quando si propongono programmi conformi alla dottrina cattolica tradizionale
● «Quand’anche [i comunisti] propongano cose del tutto conformi allo spirito cristiano e alla dottrina della Chiesa», anche in questi casi «non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con lui [il comunismo]» (7). La proibizione di Pio XI è categorica, e non ammette eccezioni: è necessario che non vi sia collaborazione reciproca in nulla - “nulla in re - con questa setta esecrabile. E la ragione è che quando i comunisti attirano con lusinghe i cattolici, a loro modo, cioè con «cose del tutto conformi allo spirito cristiano e alla dottrina della Chiesa», non fanno altro che preparare una trappola poiché, come dice il Papa, cercano di attirare le folle con vari inganni nascondendo i propri disegni dietro idee che in sono buone ed attraenti! (8). Da tutto questa insegnamento di Pio XI si deduce che i fedeli che si uniscono ai comunisti, per raggiungere obiettivi completamente conformi allo spirito cristiano e alla dottrina della Chiesa», cadono in una imboscata e collaborano all’instaurazione del comunismo nel mondo. È quello che hanno fatto Giovanni XXIII e De Gasperi coll’apertura della ‘Democrazia Cristiana’ a sinistra.
● Lo stesso dicasi per il modernismo quando i modernisti attirano con lusinghe i cattolici a loro modo, cioè con «cose del tutto conformi allo spirito cristiano [tradizionale] e alla dottrina della Chiesa», non fanno altro che preparare una trappola poiché, come dice il Papa, “cercano di attirare le folle con vari inganni nascondendo i propri disegni dietro idee che in sé sono buone ed attraenti. Perciò i fedeli che si uniscono ai modernisti, per raggiungere obiettivi completamenteconformi allo spirito cristiano e alla dottrina della Chiesa” cadono in un’imboscata e collaborano all’instaurazione del modernismo nel mondo. Così è stato per “il Concilio alla luce della Tradizione” nel 1979 e per l’Indulto del 1984 e lo stesso si sta verificando esplicitamente e apertamente a partire dal maggio 2011 sul “motu proprio” del 2007, che pur tra molte riserve poteva suscitare qualche speranza, ma non illusioni. Idem per l’ermeneutica della continuità, la quale presenta solo a parole il Vaticano II in continuità dottrinale con la Tradizione apostolica.
Note
(7) Pio XI, Ibidem.
(8) Pio XI, Ibidem.
Conclusione
Mons. Brunero Gherardini ha pubblicato un libro interessantissimo intitolato Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia (Torino, Lindau, 2011)[1].
● La “ragion d’essere” di questo libro è fondamentale e attualissima quanto alla crisi che attanaglia ancor oggi l’ambiente cattolico. L’Autore sin dall’inizio del presente volume si pone la domanda se vi sia continuità reale tra Vaticano II e Tradizione apostolica e risponde scrivendo che «una semplice asserzione affermativa [di continuità] non ha di per sé un valore apodittico Non basta affermare, occorre dimostrare e il Vaticano II proprio questo trascura» (Quaecumque…, p. 7)”. Poi l’Autore si chiede se le recenti «revisioni [dell’ermeneutica della continuità affermata, ma non dimostrata] portino il segno d’operazioni politiche [simili a quelle della setta comunista di cui scriveva nel 1961 mons. Antonio De Castro Mayer] prive del dovuto supporto dottrinale […], perché all’affermazione non corrisponde la riprova» (ib., p, 8). L’Autore si propone di risolvere il problema e asserisce che la via da seguire per rispondere al quesito è quella di constatare se i 16 Documenti conciliari siano teologicamente fedeli in verbis et in factis alla «divina Rivelazione, quale si attinge alla sua fonte scritta e a quella non scritta» (ib., p. 9). Egli cita i vari discorsi fatti da Ratzinger, teologo, vescovo, cardinale e Papa sulla continuità tra Vaticano II e Tradizione, che è il filo conduttore del suo pensiero teologico, secondo il quale “difendere oggi la vera Tradizione della Chiesa significa difendere il Concilio [Vaticano II]”[2] ed ancora: «la difesa della Tradizione è la difesa del Concilio»[3]. Il suo intento di sempre (del 1960 come del 2011) è quello di “promuovere il Vaticano II” (ib., p. 11). «Parole chiare – commenta Gherardini – per esprimere un pensiero altrettanto chiaro: se vuoi professare la secolare Fede della Chiesa, devi professare, oppure basta che tu professi, la Fede del Vaticano II» (ib., p. 19). Gherardini continua: «nessun Papa ha mai parlato tanto frequentemente e tanto insistentemente di Tradizione quanto il teologo, il vescovo, il cardinale, il papa Joseph Ratzinger» (ivi). Però la questione è di sapere cosa intende per “Tradizione” Ratzinger. Infatti anche Hegel parla sempre di Dio, ma il suo non è il Dio personale e trascendente, bensì il Pensiero Assoluto e immanente all’uomo. Si tratta forse della Tradizione apostolica, della Fede e la dottrina di sempre? (ib., p. 23). Nella sua disamina Gherardini dimostra chiaramente che Ratzinger ripudia sia il ‘radicalismo’ di chi vuol correre troppo e rischia di gettare la maschera che serve a far promuovere il Vaticano II, mostrando - invece di nascondere - che è in rottura con la Tradizione apostolica e quindi inaccettabile. Come pure rigetta il ‘cattolicesimo integrale’ definito «solo apparentemente cattolico, [che invece] nella realtà snatura sin nel profondo le posizioni rigorosamente cattoliche»[4].
● La conclusione cui giunge - quindi - Gheradini è che si parla di due concetti diversi di Tradizione: per Ratzinger la Tradizione è il Vaticano II e viceversa, lo afferma, non lo dimostra, è una petizione di principio, come un cane che si morde la coda. Per la dottrina cattolica la Tradizione è ciò che Gesù o lo Spirito Santo hanno insegnato agli Apostoli e questi ai primi Padri apostolici ed ecclesiastici che l’hanno trasmessa, sostanzialmente inalterata, sino a noi. Vediamola assieme:
● Mons. Brunero Gherardini tira le somme e scrive: «si tratta di due dottrine che, anche là dove danno l’impressione d’incontrarsi […] percorrono strade diverse ed esse stesse diventano due diverse dottrine. […]. C’è poi [nel Vaticano II] quel livello che presenta non poche innovazioni, dottrinali o no, che nessun gioco di prestigio è in grado di ricondurre alla Tradizione divina, divino-apostolica» (ib., pp. 188-189). Poi l’anziano teologo confessa: «Mi è difficile persino capire come mai non si veda che» si sovverte «il bianco in nero; e come mai l’evidenza delle strade storte e dei non pochi trabocchetti renda sempre più spedito e disinvolto il passo verso il pericolo mortale?» (ib., pp. 190-191). È evidente il riferimento ai “lettori del Vaticano II alla luce della Tradizione” in continuità e non in rottura con essa. Ciò che è evidente a chi non vuol negare l’evidenza, diventa opinabile e discutibile per chi vuol dialogare ad oltranza e leggere alla luce della Tradizione ciò che invece la sovverte. Ciò che non si vuol fare è «un cambiamento di rotta» reale e sostanziale e ci si vuole accontentare della sola «superficiale dichiarazione» dell’ermeneutica della continuità (ib., p. 191), che oramai è diventata un luogo comune tanto strillato quanto non provato. Quindi mons. Gherardini ci invita saggiamente a «non chiudere gli occhi per convincersi che la Tradizione è contenuta interamente nei documenti dell’ultimo Concilio» ma ad aprirli «per vedere dove in esso la continuità s’interrompe e in che direzione volgere i propri passi per il recupero del “quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est”» (ib., p. 192).
● Attenzione! Le insidie della setta segreta modernista sono veramente simili a quelle della setta comunista. Per evitarle occorre domandare a Dio di avere le idee ben chiare e la forza di volontà per non cedere di fronte al labor certaminis e all’orror difficultatis. Infatti dopo cinquanta anni di lotta contro un nemico abile, scaltro, nascosto e insidioso, si corre il tentativo di lasciarsi andare e cedere alla tentazione dell’entrismo: “haec omnia tibi dabo, si cadens adoraveris me”.
Ab insidiis diaboli, libera nos Domine! Purtroppo “lo stupido è il cavallo del diavolo”. Il guaio più grande è quando lo stupido si prende per una volpe e fa la fine del pollo. Il 1979 (“Concilio alla luce della Tradizione”, che invita al dialogo); il 1984 (“Indulto” doloso); il 2005 (“ermeneutica della continuità”, che ri-invita al dialogo), il 2007-2011 “motu proprio” che ritorna “Indulto doloso”, non gli insegnano nulla: egli continua a voler conciliare l’inconciliabile, a stringere la mano tesa, e come “l’asin bigio” di Carducci “tutto quel chiasso non degnò d’un guardo e a brucar serio e lento seguitò” (Dinanzi a San Guido).
Note
[1] 203 pagine, 18 euro, <www.lindau.it>, Corso Re Umberto, n° 37; 10128-Torino.
[2] J- Ratinger – V. Messori, Rapporto sulla Fede, Milano, San Paolo, 1985, p. 32.
[3] J- Ratinger – V. Messori, Rapporto sulla Fede, cit., p. 41.
[4] J- Ratinger, Les principes de la théologie catholique, Parigi, Téqui, 1985, p. 421.
d. CURZIO NITOGLIA
30 maggio 2011

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