Juan Donoso Cortés
Di Rino Cammilleri
INTRODUZIONE
Juan Donoso Cortés
(1809-1853) nasce, vive e muore nella prima metà del secolo XIX, un
secolo che si apre alle novità in ogni campo. L'epoca di Donoso è
caratterizzata dal macchinismo nel campo economico, dalla nascita del
proletariato in quello sociale, da un certo deismo nel religioso, dal
liberalismo nel politico e il romanticismo nel letterario (1).
I giornali cominciano ad
essere stampati per mezzo di macchine a vapore, il telegrafo e le
tariffe postali rivoluzionano le comunicazioni, si afferma l’uso
della carta-moneta e si fa strada l'inquietante fenomeno
dell'urbanesimo. Gli anni di Donoso Cortés sono affollati di nomi
che lasceranno il segno nel loro tempo (e alcuni di questi non solo
nel loro); nel 1809 nascono Proudhon e Darwin; nel 1813 Kierkegaard e
nel 1818 Marx. L'epoca conosce la maturità di Saint Simon, di Owen,
di Fourier, morto nel 1837, di Comte, morto nel 1857. Bentham muore
nel 1832, Hegel nel 1831 e Fichte nel 1814.
Definire Donoso Cortés
valendosi dei giudizi espressi dagli studiosi è impossibile.
Vediamone alcuni: "Donoso fu un grande iperbolico, le sue idee
filosofiche provengono come da un delirio della mente" (2),
oppure: "... non è analitico né sintetico... sospende,
meraviglia e trascina... Più che filosofo è uomo di discussione e
polemista, più che polemista, oratore. Non è scrittore corretto, ma
è scrittore meraviglioso" (3).
Ancora: "Cortés non
fu solo filosofo e scrittore, ma anche oratore e uomo politico,
impossibile pertanto scindere il suo pensiero dall’azione, alla
quale è profondamente mescolato" (4) e "Non piace ai
conservatori, che non intendono rinunciare a niente di quanto
posseggono o acquisiscono; scandalizza i demagoghi che intendono
soprattutto svegliare i risentimenti e speculano sulla miseria per
innalzarsi al potere" (5).
Alcuni vedono in lui
"l'ultimo grande esponente controrivoluzionario ottocentesco"
(6), o addirittura lo "araldo teorico di una dittatura
conservatrice" (7) e "filosofo di una dittatura radicale"
(8). Altri lo descrivono come un "retorico apocalittico,
creatore di luminose immagini, più che di una dottrina coerente"
(9), "una combinazione di specchi per aumentare l'illusione"
(10), i cui atteggiamenti di fondo erano "la fede senza ragioni,
il gusto per le situazioni estreme, il ridurre la politica di ogni
giorno a politica delle grandi occasioni" (11).
I paragoni e gli
accostamenti, poi, sono svariati: "... della razza di
Tertulliano, di Joseph De Maistre, e (perché non dirlo, sebbene il
paragone sia irriverente?) di Proudhon" (12), o "Juan
Donoso Cortés nella politica ha rappresentato quello che Calderon ha
significato per il teatro spagnolo" (13)
Non manca chi fa dei
paralleli con Sant'Agostino (14), o con Montesquieu (15). Il suo
atteggiamento è stato definito "scontroso e difensivo"
(16) e "troppo preoccupato di escludere anche l’ombra del
progresso e del movimento della storia nelle profonde mutazioni che
avvenivano sotto i suoi occhi" (17). Sul suo "pessimismo"
più o meno "virile" (18), sembrano essere d'accordo in
tanti: "I cattolici del secolo XIX… di fronte al movimento per
la libertà politica si divisero in correnti varie che possono venire
riportate a due principali, a quella del pessimismo e a quella
dell'ottimismo. Non c'è forse miglior modo di personificare
quest'antitesi che ricordare da una parte Donoso Cortés e dall'altra
Carlo di Montalembert" (19).
"Disperando di essere
compreso e ascoltato in tempo cedette sempre più alla tendenza al
pessimismo" (20)
C'è chi divide la sua
vita in due fasi (21), chi in tre (22), chi vi rinuncia (23).
I giudizi sembrano
tuttavia convergere per un aspetto particolare della evidentemente
complessa personalità donosiana: "E' uno dei più grandi
difensori della tradizione cristiana d'Europa" (24). "Insomma,
Donoso Cortés era discepolo di De Bonald, era tradizionalista, nel
senso più rigoroso della parola"' (25). E si potrebbe
continuare.
Il lungo elenco riportato
è però a mio avviso sufficiente a fornire gli elementi che
permettano di dare una definizione abbastanza esatta e rigorosa del
nostro Autore: Donoso Cortés era cattolico, era tradizionalista, era
controrivoluzionario. E’ alla luce di questa constatazione che il
presente lavoro cercherà di affrontarne lo studio.
Note dell’introduzione
- C. VALVERDE S. J.. Obras completas de Donoso Cortés. vol. I, Madrid 1970, Introduzione, pag. 2
- PEDRO ROMERO MEMDOZA. Siete ensayos sobre el romanticismo espanol, vol. II, Servicios Culturales de la exe.ma Diputación de Càceres, pag.89)
- MENENDEZ PELAYO. Historia de los heterodoxos espanoles. VI, Santander 1948, pag. 403
- MICHELE FEDERICO SCIACCA. Donoso Cortés nella interpretazione di Jules Chaix-Ruy, in IDEA, 4 novembre 1956
- JULES CHAIX-SUY. Donoso Cortés, teologo della storia e profeta, in HUMANITAS 7, Brescia 1955, pag. 643
- G. ALLEGRA, Introduzione a J. DONOSO CORTÉS, Saggio sul cattolicesimo, liberalismo e socialismo, Milano 1972, pag. 10
- K. SCHMITT Interpretacion europea de Donoso Cortés, Madrid 1963, pag. 121
- Ibidem, pag. 133
- ANGEL LÓPEZ-AMO, Pròlogo a K. SCHMITT, op. cit. pag. 14
- J. BALMES, Obras completas, tomo VII, Escritos Politicos 2°, a cura del P. CASANOVAS S.J. , Madrid 1950, pag. 119
- J. M. GARCIA ESCUDERO. La fama di Donoso, in INDICE, anno VIII, n.64, Madrid 30 giugno 1953
- MENENDEZ PELAYO. Op. cit., pag. 403
- P. SIENA, Donoso Cortés, Roma 1966, pag. 10.
- RAÙL SÀNCHEZ ABELENDA, La teoria del poder en el pensamiento de Juan Donoso Cortés, Buenos Aires 1969, pag. 137.
- JULES CHAIX-RUY. op. cit., pag. 648.
- G. DE ROSA, Introduzione a Il potere cristiano, a cura di Lucrezia Cipriani Panunzio, Brescia 1964, pag. 12.
- Ibidem, pag. 11, nota 3. De Rosa ne ammette anche un limitato parallelo con Kierkegaard, alle pagg. 21 e 23,
- E. PENETTA, Donoso Cortés, le sue dottrine e gli avvenimenti risorgimentali italiani, in RASSEGNA STORICA DEL RISORGIMENTO, 2-3, vol. XLI, 1954 pag. 548.
- A. DE GASPSRI, I cattolici dall'opposizione al governo, Bari 1955, pag. 516,
- JULES CHAIX-RUY, op. cit. pag. 652.
- M. PAGOAGA, El pensamiento social de Donoso Cortés, Madrid 1958, pag. 11.
- R.S. ABELENDA. Op. cit., pag. 59.
- E. SCHRAMM, Donoso Cortés, esemplo del pensamiento de la tradicion, Madrid 1961, pag. 16, note 2 e 3.
- Ibidem, pag. 43.
- MENENDEZ PELAYO, op. cit., pag. 409.
1. Juan Donoso Cortés.
L'Estremadura è una delle
regioni più povere della Spagna. Poco abitata, con estese
coltivazioni di grano. Agli inizi del secolo scorso uno dei villaggi
meno poveri era Don Benito, residenza di Don Pedro Donoso Cortés,
"hidalgo" e avvocato dei Consigli Reali.
Il padre era stato
"alcalde" di Don Benito. Discendeva da Hernan Cortés, il
"conquistador" del Messico. Nel 1809 la "francesada"
napoleonica costringeva Don Pedro e la moglie, Dona Maria Elena
Fernandez-Canedo, a rifugiarsi nel loro podere di Valdegamas,
distante una ventina di chilometri da Don Benito (1). La guerra
durava già da un anno e i francesi non si erano dimostrati troppo
teneri nei riguardi degli spagnoli. Don Juan Alvarez De Castro,
Vescovo di Coria, ottantacinque anni, era stato fucilato; il
monastero di San Juan de los Reyes era stato dato alle fiamme con
tutto il suo preziosissimo archivio; le trecento monache Uclés
violentate e arse vive; il numero di opere d'arte trafugate o
vandalicamente distrutte, infinito (2).
La guerra, però, sembrava
avesse voluto risparmiare dalle sue atrocità Valle de la Serena, a
sei o sette leghe da Don Benito (3). Fu là che si trasferirono i
Donoso, per attendere la nascita del loro secondogenito (il primo,
Juan, era morto appena nato).
E così, in questa terra
estremegna, "sorprendente e immensa, terribile e materna"
(4), nacque il 6 maggio 1809, Juan Francisco Manuel Maria de la
Salud, primo di nove fratelli.
Tutto ha di estremegno
questo fanciullo "dall’aria pensosa e riflessiva" (5).
Gli estremegni concepiscono la vita in maniera drammatica, come una
cosa terribilmente seria, hanno nel sangue il senso del destino (6) e
"tutto l'ardore dei patrii pascoli in estate" (7). "Le
pianure lo hanno abituato a guardare lontano, a scrutare dove possono
arrivare le strade che qui cominciano (…) Un cielo alto, limpido e
azzurro gli ha insegnato che ci sono idee eterne ed immutabili che
stanno a fondamento delle vicissitudini umane, e le notti maestose
(…) gli hanno mostrato intuitivamente che in tutte le cose c'è un
ordine armonico e permanente voluto da Dio" (8). Il padre è un
buon cattolico, ma "ilustrado", tipico rappresentante
dell'alta borghesia delle province rurali spagnole, borghesia nella
quale il giovane Donoso vedrà il migliore appoggio dello Stato, ma
che è molto più conservatrice di quella francese (9).
Juan si rivela subito
provvisto di una "vivacissima intelligenza, della quale diede
precoce testimonianza in alcuni geniali Apuntes
de Historia scritti a quattordici anni e
che rivelarono originalità di pensiero insieme ad una sbalorditiva
capacità di sintesi" (10). II suo primo maestro, il
progressista Beltran y Vara, sarà costretto a dire di lui al padre:
"Suo figlio sa già più di me" (11). Il suo amore per lo
studio si rivela prestissimo. Legge di tutto e specialmente i libri
francesi proibiti dalla Chiesa che il padre, membro di una Società
Economica progressista di Càceres e amico del poeta liberale
Quintana, gli permette di leggere. La madre è costretta a togliergli
la candela la notte, per impedirgli di affaticarsi eccessivamente. E
il bimbo obbedisce. Sarà timido e sentimentale sempre (12). A undici
anni viene inviato dal padre all'Università di Salamanca, il centro
culturale più progressista di Spagna, sede anche di una fiorente
Loggia massonica, dove resterà solo un anno. Nel 1821 si trasferisce
nel Collegio di San Pedro, a Càceres, che aveva categoria di
università provinciale (il Collegio era stato riaperto dopo il
"pronunciamiento" di Riego ed il ripristino della
Costituzione di Cadice del 1812 da parte del re Ferdinando VII). A
Càceres frequenta la casa dell’hidalgo" Don José Garcia
Carrasco, luogo di riunione di liberali e "afrancesados".
Qui conosce la figlia di Don José, Teresa, che un giorno diverrà
sua moglie.
Nella primavera del 1823
va a passare le vacanze a Cabeza del Buey, presso Badajos, ove s'era
ritirato in esilio volontario Manuel José Quintana (13).
Questi, cinque anni dopo,
in una lettera ad Agustin Duran, dirà di lui: "Un soggetto che
nei pochi anni che conta riunisce a un talento non comune una
istruzione e una forza di ragione e di discorso tuttavia più rare.
E' dialettico e controversista come Ella. (...) E’ figlio, infine,
delle mie orazioni; amico di tutta fiducia, è venuto per qualche
tempo a farmi compagnia nella solitudine in cui vivo" (14).
Terminati gli studi di
Filosofia a Caceres, Juan si reca a Siviglia per intraprendervi gli
studi di Diritto. Qui intrattiene vivacissime relazioni con un
circolo di amici appassionati di filosofia e letteratura (15), coi
quali fonderà una Società Letteraria. Fino al 1828 la sua penna,
sarà occupata a scrivere romantiche poesie d’amore e versi contro
i tiranni. E' di questo periodo l'incompiuta tragedia in versi
"Padilla". Tra un verso e l'altro, frattanto, legge Locke,
Condillac, Destutt-Tracy. A diciannove anni, finiti gli studi, parte
per Madrid dove, raccomandato da Quintana, spera di introdursi nei
circoli culturali della capitale; ma probabilmente perché a corto di
quattrini (come una sua lettera al padre sembra mostrare) (16), torna
a casa. Per qualche mese si occuperà solo di lavoro nello studio del
padre e di corrispondenza epistolare con amici ed ex-compagni di
studio, corrispondenza che è utilissima per poter inquadrare un
Donoso ventenne sinceramente liberale e romanticamente progressista.
Il razionalismo è per lui verità fuor di discussione; "(…)
quando non c'è indipendenza di ragione non c’è ragione" (17)
e "(…) credo ci sia più presunzione nel dire: - L’uomo non
può sapere di più - che nel dire: - L'uomo può sapere tutto –"
(18), scrive il 25 luglio 1829 all'amico Manuel Gallardo. Né
trascura l'appello ai giovani: "Sì; a voi, a me, a tutti i
giovani è riservato l'affascinante privilegio di levare la nostra
testa indipendente in mezzo ad uomini imbecilli o pusillanimi
oppressi dal peso di sistemi mostruosi che pervertono i loro cuori e
conducono con una luce funesta per immensi precipizi la dolente
Umanità" (19).
Se paragoniamo però il
giudizio sul razionalismo contenuto in queste lettere con quello che
darà nelle "Nozioni preliminari per servire d'introduzione agli
studi sopra la Storia", molti anni dopo, notiamo che con lo
stile, più maturo e pacato, anche la sostanza è diametralmente
opposta: "II razionalismo è una demenza monomaniaca. Coloro che
soffrono questa tremenda malattia falsamente si dicono razionalisti,
come quei sventurati che vedendosi nei palazzi innalzati a loro
vantaggio dalla carità cristiana, e detti manicomi, falsamente si
dicono imperatori.
Gli uni si appellano creatori, perché sono nella creazione, come gli
altri si gridano imperatori perché abitano in un palazzo. La
somiglianza che esiste fra i razionalisti e i pazzi si può dire
identica, se si osserva che gli uni come gli altri gridano avere la
sovranità di quella ragione che entrambi hanno perduto, (…) Io non
so se i miei lettori hanno osservato come tutti i pazzi sono
razionalisti. Tale osservazione è tanto certa, che i pazzi
nell'istante medesimo in cui cominciano a dubitare di ciò che dicono
e a porre in forse l'infallibilità della ragione, vale a dire da che
cominciano a cessare d'essere razionalisti, già possono uscire dal
manicomio, perché sono convalescenti o sani" (20), concluderà
con amara ironia.
Ma Donoso non ha ancora
incominciato la sua peregrinazione alla ricerca della verità (21).
2. Cattedratico di
"Humanidades".
Tornando quindi al 1829,
vediamo il giovane Juan già cattedratico di Estetica e Letteratura
("Humanidades") nel Collegio di Caceres. Il posto spettava
a Quintana, ma questi si era rifiutato di assumere l’insegnamento,
additando però Donoso come l'elemento più adatto a sostituirlo. In
effetti a quell'epoca la reazione ferdinandina rendeva la vita dura
ai liberali ed agli intellettuali "ilustrados", e Quintana
voleva appunto con quel gesto sottolineare la sua protesta. Tra
l'altro correva proprio l'anno del matrimonio di Ferdinando VII con
Maria Cristina di Napoli, quarta moglie. Questo toglieva ogni
speranza di successione a Don Carlos, fratello del re, speranza che
aveva nutrito lungo tempo, giacché i precedenti matrimoni del re
erano rimasti sterili. Le nozze con Maria Cristina rendevano
definitiva la spaccatura del Paese, diviso fra "carlisti" e
liberali.
Donoso accetta
malvolentieri, dato che l'incarico è poco più che onorifico: "(…)
questi maledetti uditori di Caceres stanno impegnandosi a che io sia
cattedratico di Umanità, e io nel non esserlo, perché non desidero
alcuna specie di obbligazione" (22), scriveva poco prima ad un
amico. Aveva anzi cercato di evitare, se possibile, 1' "onore",
adducendo come scusa la sua non perfetta conoscenza del latino,
lingua che poteva essere scritta degnamente solo da Virgilio o
Cicerone: "(...) io non mi vergogno di confessare che non posso
scriverla degnamente, e l'usanza di farlo è figlia dei secoli
barbari" (23); ma non c'era stato nulla da fare, anche per
l'insistenza del padre. Così, nell'ottobre, Donoso pronuncia il
discorso di apertura del nuovo anno accademico.
Il discorso è un
compendio dell'ideologia del primo Donoso Cortés (un'ideologia
ancora confusa e spesso contraddittoria); nel discorso si dichiara
discepolo del naturalismo di Rousseau, "il genio della
solitudine e della malinconia" (24); inneggia alla "baronessa
de Staél, superiore al suo secolo e al suo sesso" (25); si
scaglia contro "l’albero mostruoso del feudalesimo" (26);
si proclama figlio del suo secolo (27) e simpatizza con le
rivoluzioni, "la marcia costante dei secoli e la forza
irresistibile delle cose"(28). Naturalmente non trascura di
bruciare incenso sull'altare della Dea – Ragione: "Invano la
superficialità e il pedantismo leveranno la loro voce e, con la loro
voce, i loro sofismi; questi svaniranno come fumo davanti al
raziocinio del filosofo (…) Insensati! Quando abbandonerete per la
solidità della ragione la puerilità delle vostre declamazioni!"
(29).
Al di là però
dell'iperbolica romantica del "gran poeta en prosa", come
lo definisce Juan Valera (30), Donoso comincia a rivelare il rigore
logico che lo contraddistinguerà nelle sue opere migliori, quella
stessa forza che più di una volta in seguito lo porterà al di là
delle sue stesse conclusioni ed il gusto per la Storia che non lo
abbandonerà mai.
Può forse dare un tono
allegro al presente lavoro il raffigurarci questo imberbe professore,
serio e dignitoso, di fronte ad una platea composta di due soli
allievi, poi ridottisi a uno, Gabino Tejado, che allora aveva dieci
anni, pronunciare tutti i giorni una dissertazione di un'ora o mezza
(31), e pensare che si tratta dello stesso uomo i cui discorsi
avranno tra non molti anni risonanza europea, l'uomo di cui Balmes
dirà: "Quando il signor Donoso parla, tutte le conversazioni
cessano, ogni orecchio si applica, perché i suoi discorsi non
assomigliano a nulla d'altro che non a sé stessi" (32).
A Caceres può però
consolarsi nell'amicizia dei figli di Garcia Carrasco, tornati
dall'esilio grazie all'influenza che la regina Maria Cristina (che
non nascondeva le sue simpatie per i liberali, visto che i carlisti
insidiavano il trono della figlia) cominciava ad avere sul "torbido
istrione" (33) Ferdinando VII. Sono mesi di serenità per
Donoso. Scrive una "Silva Lirica" e legge Voltaire. Di
questo periodo dirà in seguito: "Ebbi un tempo il fanatismo
letterario, cioè il fanatismo per la bellezza delle frasi e delle
forme, (…) ma un tale fanatismo passò" (34).
E ben diverso sarà il suo
atteggiamento rispetto a quella letteratura che adesso sopra ogni
cosa ama: "(La dissoluzione) cominciò in Europa con la
restaurazione del paganesimo letterario, la quale cagionò una
appresso all'altra, le restaurazioni del paganesimo filosofico,
religioso, politico. Oggi il mondo è alla vigilia dell'ultima di
queste restaurazioni, la restaurazione del paganesimo socialista"
(35).
Il 20 gennaio 1830 sposa
Teresa Garcia Carrasco. Per cogliere il delicato affetto che legava
Donoso alla sua compagna sono illuminanti le sue stesse parole.
Quel giorno, diciotto anni
più tardi, il 16 aprile 1848, mentre leggeva il discorso intorno
alla Bibbia, in occasione del suo ricevimento all'Accademia della
lingua, era sicuramente l’immagine della sua Teresa che aveva
davanti agli occhi nel pronunciare quelle parole: "Quando Dio
innamorato dell'uomo, sua più perfetta creatura, volle fargli un
primo dono, nel suo amore infinito gli diede la donna, acciò essa
gli spargesse fiori nel cammino e luce nell'orizzonte" (36).
3. Il "golpe"
di La Granja.
Frattanto la situazione
politica precipita. La regina era incinta; se fosse nata una femmina,
il trono, per la Legge Salica di Filippo V, sarebbe spettato a Don
Carlos, "uomo nel quale l'istinto del reazionario era pari solo
al fanatismo religioso più spinto" (37).
Maria Cristina, dietro
consiglio di fidi "afrancesados", spinge il re (che
all'epoca molto probabilmente non doveva essere alieno da simpatie
massoniche) a pubblicare la Prammatica Sanzione che suo padre Carlo
IV aveva redatto con le Cortés del 1789, documento che abrogava la
Legge Salica. Per varare la manovra non viene consultato alcun
organismo; la prima notizia infatti che si ha della legge è la sua
apparizione ne “La Gaceta"; la giustificazione giuridica verrà
dopo, vista la resistenza che la Prammatica incontrerà (38).
I realisti non
riconoscevano il documento: infatti nel "Manifiesto" del
1814 avevano scritto che ci sono convenzioni tra Re e popolo che si
rinnovano con giuramento ad ogni consacrazione di Re; ogni atto
personale contrario è nullo di diritto (39). Nasce Isabella e la
situazione si aggrava. Questo era il clima all’apparire di Donoso
Cortés sulla scena politica.
Nel 1832 si trasferisce
coi cognati e la moglie a Madrid. Lo stesso anno il re si ammala e,
sentendo vicina la morte, preso da scrupoli di coscienza abroga
quella Prammatica della cui validità, forse, né lui né la moglie
sono mai stati completamente convinti. Ma un gruppo di liberali, tra
cui Donoso, con l'appoggio della regina e della di lei sorella,
l'Infanta Luisa Carlotta, riescono in una settimana a capovolgere la
situazione. Il re viene convinto a ristabilire la Prammatica e a
nominare il 1° ottobre 1832 un governo liberale presieduto da Cea
Bermudez. Il "golpe" passa alla storia col nome di "Sucesos
de La Granja", dal nome del luogo ove si svolsero i fatti (40).
Qualche mese prima Donoso
aveva mosso i primi timidi passi in direzione della Corte
indirizzando al re due suppliche in favore del cognato Juan José
Carrasco, deportato per attività antigovernative; le suppliche sono
rimarchevoli sotto un certo aspetto soprattutto per le idee che vi
sono contenute, idee che contrastano radicalmente con quelle del
Donoso delle lezioni al Collegio di Caceres. Vi si parla della
religione cristiana come vincolo di unità e felicità degli uomini e
dei popoli occidentali in particolare; della filosofia empirista,
causa prima del caos sociale e delle rivoluzioni, in quanto
inoculatrice del germe del dubbio: "La filosofia da sé sola
nulla può; dal suo divorzio con la religione sono nati tutti i mali
che gravano sull'Europa" (41), vi si dice infatti. E ancora:
"Una società non può esistere senza una base comune di
credenze, che sia come il vincolo che dia unità a tutti gli
interessi particolari; se questo principio d'unità sparisce, lo
spirito di individualismo si asside sul trono e la società perisce"
(42). Mostra inoltre, col metodo dell’inquadramento nella storia
che gli era caro, la "lotta del principio religioso, che
riunisce per conservare, e del principio filosofico, che
individualizza per distruggere"; la Riforma, dice, è stata il
primo risultato (43). C'è di più: sembra addirittura intuire
l’attacco che si prepara alla proprietà privata e quindi la
rivoluzione sociale che sta dietro ai moti liberali, quando osserva
che "le masse non fanno le rivoluzioni per principi, ma per
interesse" (44). E altrettanto sconcertante è il giudizio
negativo sulla Rivoluzione Francese, non più salutata con entusiasmo
romantico, ma vituperata come distruttrice del principio religioso e
corruttrice, quindi, dei costumi.
Un popolo che non crede in
nulla, fa presente al Sovrano, è sempre in lotta col Governo. Il
tutto è unito alla condanna del principio nella libertà assoluta di
stampa, discussione, ecc… . che sono le idee che caratterizzeranno
il Donoso Cortés di venti anni dopo. Pensare che il contenuto delle
suppliche sia stato dettato da sentimenti di adulazione verso il
Sovrano, come a volte fa colui al quale preme raggiungere un
determinato risultato, è forse eccessivo. Anche perché non sarebbe
da un uomo che qualche anno più tardi si ergerà, scoglio solitario,
contro il "senso della Storia". Si può forse spiegare
l'arcano richiamando quanto detto poco sopra, e cioè che la logica
di Donoso Cortés va spesso più in là del suo stesso portatore.
E' il 13 ottobre 1832 che
vediamo Donoso imporsi per la prima volta all'attenzione pubblica,
con una "Memoria sobre la Monarquia" indirizzata al re.
4. II primo incarico
pubblico.
Con la "Memoria sobre
la situacion de la Monarquia, dirigida a Fernando VII", il
giovane Donoso si schiera "coram populo" per i liberali. Il
libello, non esente da spirito di parte, è d'una lealtà assoluta e
incondizionata verso la volontà reale espressasi nella "Prammatica".
Lo scritto fa un'analisi spesso verbosa e non di rado arbitraria
della storia della Legge di Successione di Filippo V, per dimostrarne
la mancanza di fondamento giuridico. Lo scritto può essere
brevemente riassunto così: l’unica legge di successione valida in
Spagna è la determinazione delle Cortés del 1789; essa è scritta,
promulgata, osservata e sanzionata, è quindi nata dal costume e come
espressione delle necessità del Paese, come tale deve essere sempre
seguita e deve regolare per sempre la successione. In base a tale
ragionamento, essendo la Legge Salica importata dalla Francia, non ha
nessun valore in Spagna, perché non risponde alle esigenze del
costume spagnolo. Pare in realtà che il ventitreenne Donoso non
abbia avuto occasione di documentarsi a fondo sull'argomento, come
starebbe a dimostrare la mancanza nella "Memoria" di una
sola citazione che provi quel che riferisce. Del resto, poi, se la
legge di Filippo V era invalida, perché le Cortés del 1789 la
revocarono solennemente? Il problema è certo uno dei più
appassionanti e oscuri della storia moderna della Spagna (45).
Comunque il tono di Donoso
non è eccessivamente estremista, e questo forse per una duplice
serie di ragioni: da un lato il suo scopo è quello di far passare i
liberali, agli occhi del re, per gente d'ordine, difensori della
monarchia contro i cospiratori carlisti (trascurando il fatto che
nelle file del carlismo militavano quelli che si erano tenacemente
opposti ai napoleonici proprio in nome della Monarchia e della
tradizione cattolica spagnola, mentre i liberali erano stati ed erano
"afrancesados", come fa ben notare Giovanni Allegra) (46);
dall'altro c'è la rivoluzione di luglio in Francia, che gli ha
mostrato che le insurrezioni di massa finiscono con irruzioni nella
proprietà, perché "le masse non fanno le rivoluzioni per dei
principi, ma per interesse", cosa che non può non sgomentare un
uomo di principi, quale egli è. Se la monarchia, quindi, vuole
salvarsi, deve appoggiarsi alle classi medie.
Lo scritto rende il
miglior servizio al liberalismo spagnolo e richiama l'attenzione del
Sovrano sul giovane giurista; il re lo fa stampare nel novembre col
beneplacito reale. Donoso ottiene così (come fa osservare Suarez)
due grossi risultati: consolidare la situazione politica creatasi col
"golpe", convincendo il re dell'ortodossia dei liberali col
far leva sui suoi sentimenti di padre e di sposo. Di più: prepara il
re per la trasformazione radicale auspicata per la Spagna,
togliendogli ogni scrupolo sulla legittimità della Prammatica.
Infine, ed è questo l'altro grosso risultato, viene nominato dal re
ufficiale della Segreteria del Ministero di Grazia e Giustizia del
Dipartimento delle Indie nel febbraio 1833. Nello stesso mese Donoso
termina, il prologo al suo poema "El cerco de Zamora" (47),
che pubblicherà dopo poco. Sarà la sua ultima manifestazione
poetica.
5. Il punto di partenza
dottrinario.
II 29 settembre 1833 muore
Ferdinando VII, lasciando come Reggente fino ai diciotto anni di
Isabella la moglie Maria Cristina. Don Carlos rinnova le sue pretese
al trono, ma ottiene soltanto di far stringere vieppiù Maria
Cristina ai liberali. Invano Cristina aveva inaugurato la sua
reggenza dicendo tramite la penna di Cea Bemudez, nel manifesto del 4
ottobre, che la religione, la sua dottrina e i suoi ministri
sarebbero stati la prima cura del suo governo, senza ammettere
innovazioni pericolose" (48), per rassicurare i cattolicissimi
carlisti. Come fidarsi di queste parole mentre si vedeva gli esiliati
tornare a frotte? Così Don Carlos si fa proclamare "Carlo V, re
di Spagna" e scoppia la prima guerra carlista.
La situazione è
disastrosa; l'esercito carlista, comandato dal genio strategico di
Zumalacarregui, dà parecchio filo da torcere ai "cristini";
Don Miguel, il corrispondente di Don Carlos in Portogallo, lo
appoggia. Si forma la Quadruplice Alleanza tra Francia, Inghilterra,
Spagna di Maria Cristina e Portogallo di Maria da Gloria, Roma si
rifiuta di riconoscere Isabella e le potenze assolutistiche d'Europa
propendono per la causa di Don Carlos.
A complicare le cose il 15
luglio 1834, giorno della Vergine del Carmine, sotto il ministero di
Martinez de la Rosa, arriva il colera. Si sparge la voce che sono
stati i frati ad avvelenare le acque per diffondere l'epidemia
(Martinez de la Rosa dichiarerà solennemente prima di morire a J.
Fidal che la voce è stata sparsa ad arte dalla logge) (49).
II 17 luglio comincia
quella cosa orrenda che passa alla storia di Spagna sotto il nome di
"matanza de los frailes"; in molte città preti, frati e
suore vengono inseguiti, uccisi, orrendamente mutilati ed esposti
nelle taverne. I particolari dell'agghiacciante vicenda non meritano
di essere qui esposti. Il tutto con la complicità (e la stessa
partecipazione, a volte) della "milicia urbana"
governativa, che praticamente era l'unico potere effettivo in quei
giorni d'anarchia (50).
Il nostro Donoso, che nel
marzo 1834 era stato nominato segretario con esercizio di decreto al
Ministero di Stato, resta profondamente turbato dall'episodio. Sono
stati finora per lui mesi di intensa attività giornalistica su "La
Abeja", "El Correo Nacional", "El Pervenir",
"El Obsarvador", "El Piloto". Gli è già morta
l'unica figlia e l'anno seguente gli morirà la moglie; ma in questo
turbinio di accadimenti la sua azione è tesa a dare al liberalismo
un sistema organico, sicuro, un criterio perfetto che gli permetta di
pilotare la traballante barca della Monarchia spagnola verso acque
più sicure.
Scrive le "Consideraciones
sobre la diplomacia". In quest'opera Donoso Cortés si avvicina
a posizioni liberal-moderate; si avverte nettissima l'influenza della
lettura dei dottrinari francesi, Cousin, Guizot, Roger-Collard.
Dottrinaria è infatti l'idea base dello scritto, l'intelligenza come
ultima "ratio" dello Stato ed elemento di coesione della
società? La legittimità del potere è tale solo se rappresenta il
principio reggitore della nuova situazione sociale (51).
La posizione equidistante,
tipica del "juste-milieu" dottrinario è poi evidente nel
passo che si riferisce alla Costituzione di Cadice del 1812: "II
mio cuore non simpatizzerà mai con quelli che la disprezzano; ma la
mia coscienza non mi permette di bruciare incenso sui suoi altari"
(52). Per Donoso non esiste Costituzione buona o cattiva in sé,
perché una Costituzione non è altro che la forma che assume la
società in un determinato momento storico. Quella di Cadice del 1812
nasce per lui dal fatto che l'invasione napoleonica ha trasformato
ogni cittadino in un soldato, confondendo e mescolando le varie
classi davanti al pericolo comune. La diplomazia nell'opuscolo di
Donoso c'entra poco, in realtà. E' un pretesto per attaccare Don
Carlos, "il principe sleale (…), carico d'ignominia e curvo
sotto il peso delle maledizioni della sua patria" (53), e il
Congresso di Vienna, dove, dice Donoso, "tutti i tiranni
s'incontrarono" (54). Ma anche alla rivoluzione ha qualcosa da
dire. Essa, "il principio deleterio che si appoggia alle classi
proletarie" (55), è stata la causa della carneficina dei frati:
"E’ una lezione, e questa lezione è severa. Il suo ricordo
sarà indelebile e turberà per lunghi giorni il nostro riposo"
(56).
L'anarchia in cui versa il
paese è dovuta al "divorzio tra la libertà e l'ordine"
che "ha prodotto tutte le catastrofi delle società umane"
(57). La soluzione è la solita: appoggiarsi alle classi medie.
L'opera ha un discreto
successo, la stampa ne parla, anche se non sempre favorevolmente;
alcuni lo accusano di essere un plagiatore della mentalità francese.
Donoso risponde dichiarandosi (ancora una volta) nient'altro che
figlio del suo secolo (58).
Frattanto la situazione
politica risulta aggravata dalla scissione del partito liberale in
due fazioni; progressisti e moderati. Tra questi ultimi troviamo
grossi nomi, come Martinez de la Rosa, Isturiz, Alcalà Galiano,
Toreno. Donoso si schiera con i moderati. La rottura avviene sulla
questione dell' "Estatuto Real", la Costituzione promulgata
dal Ministero De la Rosa, giudicata troppo moderata dall'ala
progressista del partito (59). Donoso scrive un articolo su "El
Observador" il 1° gennaio 1835, in difesa del Ministero (60).
Ma la "matanza de los frailes" aveva troppo scosso gli
animi perché il governo potesse ancora resistere a lungo.
E infatti dopo pochi mesi
Toreno sostituisce Martinez de la Rosa. Sono giorni dolorosi per Juan
Donoso Cortés: il 3 giugno gli muore improvvisamente la moglie. "Por
lo demas, amigo mio, la felicidad se acabo ya para mi, y en mi
corazon solo habitara la tristeza” (61), scrive ad un amico.
Sotto il Ministero Toreno
(8 giugno-14 settembre) l'anarchia diviene totale. In tutte le
province sorgono giunte rivoluzionarie che irridono ad un governo
impotente. I mezzi apprestati da Toreno per calmare le acque non
fanno altro che aggiungere legna al fuoco.
II governo, infatti, non
trova nulla di meglio da fare che espellere nuovamente i Gesuiti (che
erano stati richiamati da Ferdinando VII), sopprimere i conventi e le
congregazioni religiose. Donoso chiede che vengano convocate le
Cortés, ma gli si oppone Isturiz e la cosa finisce lì. Donoso
allora, sdegnato, aderisce al nuovo Ministero di Juan Alvàrez
Mendizàbal, ultraliberale di origine ebraica, massone e anglofilo
(62). Il nuovo governo lo invia in Estremadura come Commissario
Regio, al fine di mantenere leali le province di Caceres e Badajoz.
Il buon esito dell'impresa gli vale la Croce di Cavaliere dell'Ordine
di Carlo III e la categoria di funzionario più anziano Capo Sezione,
nella Segreteria di Grazia e Giustizia.
Ma un "hidalgo",
forte dello spirito nobile dei suoi avi, quale era Donoso Cortés,
non poteva rimanere a lungo nel libro-paga di Mendizàbal.
Nell'inverno tra il 1835 e
il 1836 cadono implacabili sulla Chiesa di Spagna i decreti
governativi contro la manomorta ecclesiastica. Tutte le immagini
sacre vengono tolte dalle strade, si proibiscono la mensa dei poveri,
l'accattonaggio e le processioni. I beni ecclesiastici vengono
venduti all’incanto e trovano, naturalmente, folte schiere di
ricchi borghesi pronti ad acquistare vasti latifondi a prezzi
irrisori. Il provvedimento si risolve in un disastro, perché
l'economia non ne riceve alcun vantaggio, mentre ciò che si ottiene
è la proletarizzazione di un numero incredibile di contadini, la
rottura totale con la S. Sede e il rivoltarsi dell’animo
profondamente cattolico del popolo spagnolo (63). E' un colpo per la
coscienza di Donoso vedere quel che viene commesso in nome della
libertà e della ragione, "Le lacrime dei miei occhi
testimoniano che (la libertà) fu la prima illusione che illuminò
con magici colori l'orizzonte della vita, ma che passò, ahimè!,
come tutte le illusioni dell’infanzia, come passa il primo amore ed
il primo sogno di gloria" (64).
Il disinganno è evidente,
anche se non si rende conto che più o meno involontariamente la
manovra di Mendizabal ha legato al trono di Isabella tutti quei
possidenti che hanno acquistato in virtù dell'alienazione dei beni
ecclesiastici. E' così che Mendizabal realizza (anche se a caro
prezzo) l'auspicio di Donoso; appoggiare la Monarchia alle classi
medie. La nuova nomina a Segretario del Gabinetto e della Presidenza
del Consiglio gli dura quattro giorni: l’11 maggio 1836 cade
Mendizàbal grazie ad una cospirazione conservatrice capitanata dal
marchese di Miraflores (65). Il nuovo gabinetto è, questa volta, di
stampo moderato. Donoso perde ogni incarico, ma viene eletto deputato
per Badajoz. Ha ventisette anni.
6. Il sistema delle
"aristocrazie legittime"
Durante il periodo di
Mendizàbal, Donoso ha avuto modo di mettere per iscritto quello che
gli studiosi del pensiero donosiano chiamano "il sistema delle
aristocrazie legittime". Si
tratta de "La ley electoral considerada en su base y en su
relacion con el espiritu de nuestras instituciones".
L'antefatto, in poche parole, è questo:
Mendizàbal pensava di cambiare la struttura del parlamento con un
mutamento nella legge elettorale. Commissioni successive, all'uopo
incaricate, non trovarono l'accordo perché, paradossalmente, i
liberali volevano un suffragio di tipo indiretto e ristretto riguardo
al censo, giacché temevano che il popolo, scandalizzato per la
spoliazione della Chiesa, votasse contro di loro. I moderati dal
canto loro propendevano, per gli stessi motivi, per il suffragio
universale.
Per Donoso il sistema
elettivo indiretto "è una mostruosità inconcepibile"
(66): "Il sistema della elezione indiretta riposa sul principio
democratico della sovranità del popolo: i partigiani di questa
sovranità si dividono in partigiani logici e partigiani
inconseguenti. I primi proclamano il suffragio universale; i secondi
negano i diritti politici delle classi proletarie" (67). Lo
scritto ha un peso non indifferente sulla votazione che impedirà
alla legge di passare, ma anche se lascia un po’ a desiderare per
quanto riguarda l'esattezza storica (i fatti sono spesso forzati e
sfumati in grandi sintesi), già si cominciano a percepire qua e là
sprazzi di quelle che saranno in futuro le sue geniali intuizioni. La
Chiesa, dice, ha dominato incontrastata per secoli perché era
intelligente, ma poi si levò Lutero, che emancipò l'intelligenza
secolarizzandola (68). Infine gli eroi, i martiri della gloriosa
Rivoluzione Francese hanno condannato a morte l'usurpazione e le
istituzioni assurde (69), dando il potere alle "aristocrazie
legittime", cioè alla borghesia intelligente. Gli eccessi della
Rivoluzione sono da attribuire al proletariato, cui la borghesia
chiese aiuto per fronteggiare l'invasione straniera (70). Il dominio
del mondo, per Donoso, appartiene all'intelligenza, quindi il potere
legittimo attiene agli uomini, classi o popoli cui l'intelligenza
concede il dominio; questo fa sì che l’esercizio del potere sia
sottoposto a continua variazione. Il problema allora non è l'origine
del potere, bensì sapere a chi spetti l'esercizio legittimo della
sovranità. E' presto detto: alle "aristocrazie legittime, cioè
intelligenti", perché "solo l'intelligenza dà la
legittimità" (71). Questo tipo di governo "si differenzia
dal governo della democrazia perché questo è il governo della
forza, e da quello dell'aristocrazia, perché questa è tirannica e
esclusivista" (72). Il risultato è raggiunto; Donoso ha ora
creato un principio di legittimità che serve a meraviglia per
giustificare il regime nato dal "golpe", ed ha altresì
tagliato fuori la parte rivoluzionaria del liberalismo col negare al
popolo la sovranità; i deputati esercitano il loro potere non come
rappresentanti del popolo, ma in quanto scelti da esso come "i
migliori" (73).
Ma i tempi sono turbolenti
e nemmeno il presente Ministero resiste: tipica infatti dei governi
moderati spagnoli dell'epoca è la mancanza d'autorità. Nell'agosto
del 1836, a La Granja, una "sargentada" costringe la regina
a ristabilire la Costituzione del 1812 e a ridare il governo ai
progressisti, sotto pena di fucilarle davanti agli occhi il nuovo
marito Remando Munoz. Donoso viene intanto invitato a dare lezioni di
Diritto Politico nell'Ateneo di Madrid., alla cui restaurazione (dopo
la "decada" ferdinandina) aveva avuto parte. Dal 22
novembre 1836 al 21 febbraio 1837 da dieci lezioni. La "sargentada",
però, ha riportato la rivoluzione sui banchi del parlamento e Donoso
usa la cattedra come mezzo di velata propaganda antigovernativa. E'
così che perde il posto, ma continua la battaglia, e questa volta
apertamente, dalle colonne de "El Pervenir", giornale che
egli stesso aveva fondato con Bravo Murillo e di cui era direttore.
La violenza con cui Donoso attacca il ministero Calatrava è esiziale
per quest'ultimo, che cade l’8 agosto. Il giorno seguente appare su
"El Pervenir" questa nota: "Essendo state presentate a
S.M. le dimissioni del Ministero che ho combattuto fino ad ora,
queste saranno le ultime righe che scrive su 'El Pervenir’ Juan
Donoso Cortés" (74). Un giornalista commenta: “con questo
stesso garbo pulisce la spada nella 'muleta' e saluta il pubblico
Montes, dopo aver ucciso un toro di buona razza" (75).
Le "Lecciones de
Derecho Politico" sono l'espressione più completa
dell'ideologia di Donoso Cortés liberal-moderato e lo sforzo più
notevole fatto in Spagna nella prima metà del secolo per
giustificare teoricamente la Monarchia liberale rappresentativa come
forma politica. Menéndez Pelayo sottolinea che esse rappresentano
anche un tentativo di tradurre in spagnolo i termini e le espressioni
delle nuove dottrine europee, a cui lo spagnolo non si era ancora
adattato.
La società, dice Donoso,
non è creazione umana, ma conseguenza spontanea e diretta della
condizione intelligente dell'uomo. L’ordine e l'armonia tra le
relazioni degli individui sono dati dall’intelligenza, che Donoso
vede contrapposta alla volontà, principio di individualismo e
dissoluzione. La sovranità appartiene quindi all’intelligenza ed
il governo esiste per guidare l’azione comune e resistere alle
individualità (76). Naturalmente il governo deve osservare certi
limiti, giacché esiste una norma superiore ad esso: la giustizia. La
società insomma deve assorbire quella parte di individualità
necessaria alla sua esistenza; il singolo avrà il diritto di
ritenere la libertà restante. Essendo la sovranità prerogativa
della sola intelligenza, poi, risulta che la sovranità popolare è
tirannica e ingiusta. E vediamo perché. Se la sovranità è
collocata nell'intelligenza, allora la democrazia non ha senso,
perché solo gli intelligenti hanno diritto a partecipare alla cosa
pubblica. Se invece fosse localizzata nella volontà, allora tutti
dovrebbero aver parte nell'esercizio del potere sovrano, inclusi i
minori, gli ignoranti e i dementi. In questo caso, poi, la
maggioranza che approvasse una legge commetterebbe un attentato ai
danni della minoranza, la quale d'altro canto non può sottomettersi
a una legge che non è opera della sua volontà senza suicidarsi.
Infine la sovranità di diritto divino, non è altro che dispotismo
realizzato da un uomo solo, il Re. Donoso in realtà non dice niente
di particolarmente nuovo. Il suo non è altro che dottrinarismo; le
"Lecciones" sono infatti piene di citazioni di dottrinari
francesi. Ma già si avvertono fra le righe quelli che saranno i suoi
temi fissi: il concetto negativo della volontà, forza che porta la
libertà a straripare; il governo inteso come forza di resistenza,
che lo porterà ad indicare la dittatura come cauterio delle
catastrofi sociali; la ricerca d'una base inamovibile per l'ordine
sociale, che ora trova nell'intelligenza, poi sarà l'ordine divino;
il politico, infine, in funzione del sociale. Anzi, non mi pare
azzardato aggiungere che i primi segni di mutamento di rotta da parte
di Donoso si hanno proprio qui, nelle "Lecciones", a
giudicare, almeno, da certi passaggi, come quando dice, ad esempio,
che "la sovranità di diritto è una e indivisibile; se la
possiede l'uomo non la possiede Dio; se si localizza nella società
non esiste nel cielo. La sovranità popolare, quindi, è ateismo"
che "non può introdursi nella società senza ferirla di
paralisi e di morte" (77). Si osservi inoltre la differenza fra
i due passi seguenti. Entrambi si riferiscono alla Rivoluzione
Francese. II primo è della "Leccion IV", 20 dicembre 1836
"(…) la rivoluzione francese, che è, signori, una risoluzione
umanitaria" (78). Il secondo è della "leccion IX", 14
febbraio 1837: "(…) una tribù di barbari convertì il festino
della civiltà in un'orgia nefanda" (79). L’uomo forte che
salva le società in tempi eccezionali con rimedi eccezionali è già
presente nelle "Lecciones". Donoso cita anche De Bonald e
la corrente tradizionalista francese per confutare l’uno e l’altra,
ma la lettura di quelle opere deve aver lasciato il segno, se
pensiamo che nell'ultima lezione Donoso descrive la ragione umana,
che soccombe se la fede non la sostiene", con questi versi:
"………………….
Flor inodora,
Estatua muda que la vista
admira
Y que insensible el
corazon no adora" (81)
- CARLOS VALVERDE S.J.. op. cit. pag. 23.
- MENENDEZ PELAYO. op. cit., pag. 31,
- EUSEBIO GARCÌÀ LUENGO, Donoso Cortés en eu tierra, in INDICE n. 64, anno VIII, Madrid 30 giugno 1953, pag.
- Ibidem
- Ibidem, pag. 4.
- Ibidem
- MENENDEZ PELAYO. op. cit., pag. 403
- CARLOS VALVERDE S.J.. op. cit. 30-31.
- E. SCHRAMM, op. cit., pag. 16.
- PRIMO SIENA, op. cit., pag. 7,
- E. GARCÌA-LUENGO, op. cit. pag. 4.
- Ibidem.
- La Santa Alleanza aveva inviato nel 1823 i centomila " figli Ai S. Luigi francesi", al comando del duca d'Angouleme, in aiuto a Ferdinando VII praticamente prigioniero dei liberali. Della spedizione faceva parte anche Carlo Alberto di Savoia-Carignano., Riego veniva impiccato e ricominciava la reazione assolutista. Essa durava fino al 1833 e veniva detta dai liberali "decada ominosa",
- Cit. da C. VALVERDE, op, cit., pag. 25.
- XAVIER DE SILIO, Donoso Cortés en su tiempo y en el nuestro, in ARBOR nn.57-58, settembre-ottobre 1950, pag. 56.
- Lettera del 18 agosto 1828, in C. VALVERDE. Op. cit., pag. 169.
- Ibidem pag. 171,
- Ibidem, pag. 173,
- Lettera dell'agosto 1829, ibidem, pag. 176.
- Scritti vari di Donoso Cortés volgarizzati da G. B. M (Giulio Borgia Mandolini), Roma 1861, pagg, 294-295. Ricavo il nome da G. ALLEGRA, op. cit. (Nota Biografica), pag. 43 nota 11, L'opera, per comodità, verrà d'ora in poi indicata solo con G.B.M.
- F. SUAREZ, Introduccion a Donoso Cortés, Madrid1964, pag. 12.
- Lettera a Manuel Gallardo, agosto 1829, in C. VALVERDE op, cit., pag. 178
- Lettera a Don Jacinto Hurtado, Fiscale della "Audiencia" di Caceres, 18 agosto 1829, ibidem, pag. 180.
- Discordo d'apertura al Collegio di Caceres, ibidem, pag, 199
- Ibidem, pag. 204.
- Ibidem, pag. 186.
- Per una critica al Discorso dal punto di vista letterario, v. E. CALDERA, Primi manifesti del romanticismo spagnolo, Pisa 1962, pagg. 79-90. Ben coglie Caldera in Donoso il soggettivismo idealistico, negazione della possibilità d'una conoscenza oggettiva della natura, poiché ciò che solo si può conoscere sono le nostre sensazioni; la natura ci appare, cioè, triste o gioiosa a seconda del nostro stato d'animo. Donoso propone una letteratura di contenuto romantico in forma classica, bel contenuto in bella forma. Per quanto riguarda questo concetto nel campo della poesia, v. J. DONOSO CORTÉS, Carta a Ramon. in INDICE n. 64, anno VIII, Madrid 30 giugno 1953, pag. 4.
- C. VALVERDE. op, cit., pag. 191.
- Ibidem.
- JUAN VALERA. Donoso Cortés, Obras Completasi Madrid 1913, cit. da P. R. MENDOZA. op. cit., pag. 90.
- GABINO TEJADO. Noticia Biografica, in "Obras completas de Donoso Cortés, ediz. di Orti y Lara, Madrid 1901, cit. da C. VALVERDE, op. cit., Introduzione
- J. BALMES op. cit., pag. 119.
- R. DE LA CIERVA, Historia basica de la Espaga actual. Barcellona 1974, pag. 23.
- G. B. M. op. cit. pag. 62, Si tratta di una lettera scritta da Donoso a Montalembert da Berlino il 4 giugno 1849.
- Ibidem, pag. 61.
- Ibidem, pag. 24
- A. SAITTA, II cammino umano, vol. III, Firenze 1970, pag. 54.
- F. SUAREZ. op. cit., pag. 20.
- Ibidem, pag. 23
- Ibidem
- C. VALVERDE, op. cit., pag. 209.
- Ibidem, pag. 208.
- Ibidem,
- Ibidem, pag. 211,
- Infatti per fondare giuridicamente la Prammatica il Ministero del 1° ottobre 1832 incaricò una équipe di studiosi di ricercare negli archivi i testi che potessero legittimarla. La ricerca si concluse con un insuccesso e la Prammatica apparve ne "La Gaceta" priva dello studio preliminare.
- G. ALLEGRA, Nota Biografica, op. cit., pag. 35.
- Per farsi un’idea dei versi scritti da Donoso in quest'epoca, in cui è "un grande iperbolico(…), tutto in lui è colossale ", v. P. R. MENDOZA op. cit., pag. 89 ss.
- MENENDEZ PELAYO. Op. cit., pag. 218.
- Ibidem, pag, 221.
- Ibidem, pag. 220.
- Per uno studio dettagliato del periodo "dottrinario", di Donoso Cortés, v. LUIS DIEZ DEL CORRAL, El liberalismo doctrinario, Madrid 1956, pagg. 479 ss.
- C. VALVERDE, op. cit., pag. 248.
- Ibidem, pag. 228
- Ibidem, pag. 239
- Ibidem, pag. 227
- Ibidem
- Ibidem, pag. 280
- Ibidem, pag. 288
- Martinez de la Rosa aveva promulgato il 10 aprile 1834 ima sorta di Costituzione, l’Estatuto Real" “ Con esso ai stabilivano due Camere, lo "Estamento de Próceres" (alta) e l’Estamento de Procuradores" (bassa). I membri della prima erano tali di diritto perché tutti "grandi" di Spagna (una parte però era di nomina regia), La seconda era elettiva. Le Camere potevano deliberare solo sulle proposte reali, ma avevano il diritto di approvare previamente l’imposizione di tributi. Inoltre, se il Re non le avesse convocate entro un anno, potevano autoconvocarsi.
- Ibidem” op. cit. pag. 290.
- E. SCHRAMM, op. cit., pag. 53,
- R. DE LA CIERVA, op“ cit., pag. 51.
- Ibidem, pag. 52.
- C. VALVERDE, op. cit., pag. 301,
- Il marchese di Miraflores non era nuovo a questo genere di azioni. Era stato lui infatti a dirigere il "golpe" di La Granja. Con Mendizàbal l'anarchia era arrivata ad estremi intollerabili. Miraflores propose alla Reggente di uscire da Madrid per porsi alla testa delle truppe fedeli che combattevano il carlismo e con queste marciare su Madrid, schiacciando i rivoluzionari.
- Ibidem, pag. 313.
- Ibidem.
- Ibidem, pag. 306,
- Ibidem, pag, 307.
- Ibidem, pag. 310,
- Ibidem, pag, 311.
- Ibidem
- Ibidem, pag. 308.
- Ibidem, pag. 43.
- Ibidem.
- Ibidem, pag. 328
- Ibidem, pag. 345.
- Ibidem, pag. 368,
- Ibidem, pag. 423.
- Ibidem, pag. 390
- Ibidem, pag. 444.
1. L'abbandono
dell’eclettismo.
La Costituzione del 1812
non è certo la più adatta per governare uno Stato sprofondato
nell'anarchia. E di questo si accorge anche il Ministero Calatrava.
Il 24 ottobre 1836 vengono infatti convocate Cortés Costituenti per
procedere alla riforma costituzionale.
La Commissione
appositamente nominata formula un progetto teso a dare maggior potere
alla Corona.
Donoso si inserisce nella
discussione scrivendo "Principios constitucionales aplicados al
proyecto de Ley Fundamental presentado a las Cortés por la Comisión
nombrada al efecto". Qui l'evoluzione del pensiero donosiano è
ancora più marcata. Le "aristocrazie legittime" già
passano in secondo piano. "La teoria della divisione dei poteri
è una teoria assurda" (1), scrive Donoso, perché il potere,
per dirigere la società (che è una, identica, indivisibile e
perpetua), deve essere anch'esso uno, identico, indivisibile e
perpetuo. Ciò si può avere solo se il potere risiede nel Re e se la
Corona è ereditaria. Il fatto è che Donoso da un lato è riluttante
a rinnegare la bontà del sistema liberale, dall'altro
l'incomprimibile caos che vede nel Paese gli fa desiderare un
esecutivo forte che reprima il disordine, giunto ormai a livelli
intollerabili. II suo sforzo sarà sempre teso a cercare di "hermanar
el orden y la libertad", cioè conciliare due cose
apparentemente inconciliabili. Sarà questo tarlo quasi ossessionante
del suo pensiero a condurlo lungo quel lento e faticoso cammino,
fatto di ferrei concatenamenti di logica e folgoranti intuizioni. Già
negli articoli contro il governo Calatrava, scritti su "El
Pervenir", comincia a intravedere che esiste "un vincolo
comune tra tutte le rivoluzioni passate, presenti e future" (2),
e che "nessuna istituzione umana ha vita se non chiama in suo
appoggio, per mezzo della religione, i costumi" (3).
La curva che sempre più
allontana Donoso Cortés dal liberalismo passa per la polemica da lui
condotta nel luglio 1838, sulle colonne de "El Correo Nacional",
con Pellegrino Rossi, l'eclettico di tendenze storicistiche e
utilitaristiche amico di Guizot. Donoso in questa serie di cinque
articoli si schiera apertamente contro quelli che erano stati, anche
se por poco tempo, i suoi compagni di fede, i dottrinari francesi,
che adesso chiama "dottori di una scienza impotente" (4)
(la intelligenza da onnipotente è diventata "impotente").
"(…) la Francia
cerca già ciò che la filosofia eclettica non può darle: un dogma"
(5), scrive. Occorre però non fraintendere la posizione di Donoso;
egli rimane liberale e continua a stimare i dottrinari, ma li incita
a decidersi, perché l'eclettismo incolore è sempre peggiore che
qualsiasi atteggiamento estremo. A cosa porta la sovranità della
ragione? Non è ancora chiaro nella mente di Donoso, ma vede governi
salire e cadere. Costituzioni proclamate, abrogate e rifatte; ha
sempre pensato che sono le idee che devono governare i fatti, ma
saranno proprio i fatti a fargli mutare opinione (6).
Ormai l'arbitro della
politica spagnola è il generale Espartero, capo delle forze
cristine, l'uomo che fermerà il carlismo nel 1839. E' in quest'epoca
che Donoso Cortés inaugura la sua carriera di oratore, come deputato
al Parlamento per la provincia di Cadice. Il suo primo discorso è
accolto con ilarità, e per il tono teatrale ed enfatico, e per aver
tirato in ballo la Provvidenza Divina parlando di questioni
economiche (7). Il fatto è che Donoso non è più l'allegro liberale
di un tempo, il suo sforzo è ora teso alla ricerca di una nuova
forma di Monarchia, tale da poter salvare la Spagna dal disastro.
Pone il problema in un articolo che appare lo stesso anno sulla
"Revista de Madrid", intitolato "Espana desde 1834”.
Donoso cercherà di indagare nella storia di Spagna per trovare
l'anima, i principi, il "geist" della Monarchia spagnola,
al fine di vedere come dovrà essere impostata l'auspicata nuova
forma. Ma quantunque il suo vero problema sia ancora quello di
contenere e indirizzare le rivoluzioni, quel che conta, al fine di
cogliere l'evoluzione del suo pensiero, è l'abbandono da parte di
Donoso del razionalismo ("nella verità sta la forza", non
più dunque nell'intelligenza) e la ricerca di un principio fuori
degli individui che regga la società; "(…) i partiti non
possono esistere senza un'idea che li fecondi, come un tempio non può
esistere senza una divinità che vi abiti; ma le idee esistono senza
i partiti, come la divinità senza tempio. Insisto tanto
sull’importanza delle idee", aggiunge, perché "non sono
gli uomini, ma le idee che presiedono allo svolgimento degli
accadimenti umani"(8).
Tornare all'assolutismo è
impensabile; la Monarchia attuale dovrà essere diversa "non
solo nella forma, ma anche nell'essenza". Donoso qui mostra, tra
l’altro, la sua propensione (tipicamente moderna) a ricercare nel
passato il significato e il senso del presente: "(…) per
riconoscere il presente bisogna indovinare qualcosa del futuro e
conoscere un po’ il passato" (9), scrive infatti. "Con
questo metodo, nuovo disgraziatamente tra noi, ci sarà dato di
dissipare (…) le tenebre della Storia" (10). Immancabile il
richiamo alla Rivoluzione Francese, infine, che è un po’ il
termometro dell'evoluzione donosiana: la Rivoluzione Francese ha
detronizzato Dio e instaurato il culto della ragione, i "deliri
umani (…) mai andarono più oltre" (11).
Il problema posto da
Donoso nella "Espana desde 1834" è sviluppato nella serie
di articoli sul tema "De la Monarquia absoluta en Espana",
pubblicata sulla stessa ''Revista de Madrid'' (12). Adesso la
monarchia assoluta (che prima aborriva) e quella costituzionale (che
tanto lo entusiasmava) sono giudicate con maggiore serenità e
distacco; esse sono condizionate alle circostanze storiche e
acquistano valore a seconda di queste. Si è commesso l'errore, dice,
di fare "tabula rasa" del passato senza vedere cosa c’era
da salvare nella vecchia istituzione, quanto d'essenziale e non di
accidentale, di permanente e di dovuto al tempo. Il tema della
ragione oppressa dalla autorità religiosa è completamente sparito,
anzi, il primo fattore agglutinante della società è proprio quello
religioso, Quando i barbari distrussero il potere di Roma e ruppero i
vincoli che univano le province con la metropoli, solo le istituzioni
municipali sopravvissero, ma, non potendo più svilupparsi al riparo
dei Cesari, si svilupparono al riparo della Chiesa; non avendo
imperatori, furono protetti dai vescovi. La Chiesa era
"un'istituzione forte, sì, o poderosa, come in quei secoli di
barbarie e di rudezza conveniva, ma non dispotica e dittatoriale,
perché la sua natura e la sua indole resistono al dispotismo ed
escludono la dittatura" (13).
La Chiesa era democratica
per la sua indipendenza, per il suo modo di governare coi Concili,
per le modalità d’elezione dei suoi vescovi, per il suo fine che è
regolare i costumi del popolo. C'era insomma all'inizio una perfetta
compenetrazione fra Chiesa e popolo, fra il principio democratico e
quello religioso. Quando i Goti, che avevano introdotto nella
penisola la Monarchia, si convertirono, i tre grandi principi,
religioso, monarchico e democratico, si fusero. Nacque così
l'istituzione, dove i fattori religioso e democratico fungevano da
argine agli arbitrii. Ecco, Donoso ha trovato l'anima della storia di
Spagna. La serie di articoli si ferma a questo punto e lo sviluppo
della tematica non va oltre, non si sa bene il perché, ma Donoso ha
avuto il tempo di lanciare la sua prima grande difesa della religione
cristiana, intesa come uno dei maggiori fondamenti su cui poggia la
società, "Se tra i fanatici politici e i fanatici religiosi
fosse giocoforza scegliere, sceglierei sempre più quelli che
aspirano a conquistare il trono di Dio che quelli che smuovono i
troni del mondo, perché mentre nell’orgogliosa esaltazione dei
secondi c'è un non so che di materialista e di terreno che degrada,
nella rassegnata umiliazione dei primi c'è un non so che di ideale e
di spiritualista che eleva. I tribuni sogliono avere in un corpo
libero un'anima schiava, come i martiri in un corpo schiavo un’anima
libera. Io preferirò sempre alla bassezza del tribunato la sublimità
del martirio" (14).
Il distacco dal
liberalismo si compie. I fatti hanno sostituito ormai le astrazioni
nella sua analisi. I poteri che ebbero fine con la Rivoluzione
Francese non sono più usurpati.
2. Antirivoluzione e
Controrivoluzione.
L'attacco a fondo alla
ragione è lanciato da Donoso nel "Estado de las relaciones
diplomaticas entre Francia y Espana, explicado por el caracter de las
alianzas europeas", articolo apparso nella "Revista de
Madrid” nello stesso 1838, La ragione, scrive Donoso, si era
emancipata faticosamente dall'autorità religiosa solo per
sottomettersi a quella dei filosofi? No: il cammino della ragione
terminava nell'adorazione di sé stessa. E nella ricerca del perché
di tutte le cose, si chiese anche il perché delle istituzioni. Ma
poiché questo 'perché' era in una sfera a lei superiore, lo negò;
sdegnò le istituzioni esistenti come assurde, le condannò come
mostruose e le esecrò come oppressive ed arbitrarie. La ragione si
disse infallibile e non riconobbe esistenza a tutto quello che era al
di fuori della sua portata. Il risultato fu la Rivoluzione Francese.
Tutto l'articolo è infine pieno di profonde riflessioni sulla
politica internazionale, che mostrano con quale vivissima attenzione
Donoso seguiva gli avvenimenti europei. Della Russia, per esempio,
nota acutamente che "abbisogna del Mediterraneo, perché senza
il suo possesso l'industria delle sue province meridionali si
estingue, e perché, chiusi i Dardanelli, la Russia non è signora
del Mar Nero, bensì sua prigioniera. Abbisogna, infine, del Golfo
Persico, perché il Golfo Persico è la direzione dell'India"
(15). Interessanti sono altresì le parole che si riferiscono a
Metternich: "Il giorno in cui cessi di esistere l'uomo di Stato
che, come Atlante, sostiene l'Impero coi suoi omeri, o il giorno in
cui i russi si impossessino di Costantinopoli, l’Austria sarà
cancellata dal libro delle nazioni, o quanto meno da quello delle
grandi potenze" (16).
Il corrente 1838 è l'anno
in cui Donoso, alla ricerca di un'arma efficace contro le
rivoluzioni, incontra quasi per caso, come scogli su cui si infrange
il torrente della sua logica, brani di quella verità che egli,
"pellegrino dell'assoluto", va forse inconsapevolmente
cercando. Scrive fra il settembre e l'ottobre undici articoli ne "El
Correo Nacional" sul tema "Filosofia de la Historia, Juan
Bautista Vico", per "sollevare nella sua patria un santo
entusiasmo per gli studi gravi e severi" (17), forse intuendo
che tra le armi più potenti di cui si è servita l'opera erosiva
rivoluzionaria ci sono l'opuscolo e il libello. Fra l'ottobre e il
novembre scrive le "Consideraciones sobro el Cristianismo"
sulle stesse pagine. L'atteggiamento di Donoso nei confronti della
religione prende forma e dimensioni. La verità religiosa è "l'unica
che può servire da indistruttibile fondamento alle società umane"
(18). Il Cristianesimo è "la verità e tutta la verità"
(19) e "la più alta di tutte le filosofie" (20).
Comincia ad apparire il
teologo della storia: "(…) tutti i secoli che precedettero
quello in cui nacque Gesù esistettero per preparare la sua venuta
(...)" (21). L'influenza dei tradizionalisti francesi è
evidente. Ma c’è di più: Donoso rimane impressionato
dall'entrata, sulla scena contemporanea, del proletariato, il "quarto
stato", di cui presentisce la terribile forza, ancora latente
nei sobborghi parigini. Negli "Antecedentes para la inteligencia
de la Cuestion de Oriente", dieci articoli scritti su "El
Piloto" (agosto-settembre 1839), l'elogio a De Bonald è
esplicito (22).
Gli occhi di Donoso sono
puntati sulla Russia: "(…) la Russia è stata abbastanza
astuta da coprire la sua ambizione con l'apparenza della generosità
e della giustizia" (23), ma "la Russia, guerriera per
vincere, vince per proteggere il vinto. E nel momento in cui il vinto
prende il nome di suo alleato, si converte in sua vittima e in sua
preda. Le vittorie della Russia conducono alla protezione; la sua
protezione alla morte" (24).Tornerà ancora sulla Russia. Il
giudizio sul carlismo, poi, rispetto a quello dato in precedenza, è
addirittura benevolo: "Due principii contrarii lottano (…) per
l'imperio della società spagnola. L'uno si appoggia sulla
tradizione; l'altro s'appoggia sulle idee" (25). Ma il nemico
per Donoso Cortés è la Rivoluzione. L'esperienza e lo studio forse
non gli hanno fatto ancora ben capire cosa è, ma è già chiaro che
vuole la soppressione della Monarchia, della religione, della forza
pubblica, delle dogane, del governo e addirittura dello Stato, la
miseria dei ministri del culto e di coloro che ottengono incarichi
pubblici (26). Naturalmente l'atteggiamento di Donoso di fronte alla
Rivoluzione, come si vede, è ancora "borghese", ma se
antirivoluzionari si può anche nascere, controrivoluzionari si
diventa.
3. La campagna contro
Espartero.
Nemmeno il Ministero Pérez
de Castro dura a lungo. L'opposizione apre la crisi su un progetto di
legge teso ad escludere le Cortés dalla supervisione
sull'imposizione di nuovi tributi. La Regina scioglie le Cortés. E’
l'ora di Espartero, la cui popolarità è nel frattempo cresciuta a
dismisura. L'urto tra Espartero, attorno a cui si erano stretti gli
"exaltados", e la Regina, che propendeva per i moderati,
non poteva tardare. L'occasione viene data dal dissenso corso tra i
due sulla "Ley de Ayuntomientos" (27). La Regina e il
generale si incontrano a Barcellona, Espartero accetta la carica di
Presidente dal Consiglio, ma della legge non ne vuole sapere. Maria
Cristina allora firma la "Ley" all’insaputa del generale,
ma questi, venutone a conoscenza, si dimette (15 luglio 1839).
II 18 luglio scoppia una
rivolta a Barcellona e la Corte si trasferisce a Valencia. Il 24
agosto si forma un nuovo governo, ma cede subito il posto a un
Ministero moderato. Nel settembre, nuova rivolta a Madrid e in altre
province. La Regina, chiede ad Espartero di riportare l'ordine, ma
Espartero rifiuta. Un nuovo governo progressista dura qualche giorno.
Questa volta la Regina rinuncia addirittura alla Reggenza, in favore
di Espartero e il 17 ottobre parte per la Francia. A Marsigila trova
ad attenderla Donoso Cortés, che aveva preparato il suo arrivo.
Nell'ottobre 1840 Maria Cristina indirizza agli spagnoli un
Manifesto, sicuramente redatto da Donoso. Da Marsiglia, indi, si
trasferiscono a Parigi. Qui Donoso ha un primo contatto con
l'intellettualità francese.
Ma si apre uno spinoso
problema: la Regina, rinunciando alla Reggenza, aveva rinunciato
anche alla tutela delle figlie? I progressisti dicevano di sì. Maria
Cristina, allora, per amor di pace, accetta un Consiglio di Tutela,
di cui anche il nostro Donoso farà parte. Nel marzo 1841 gli viene
affidata la delicata missione di andare a Madrid per mettersi
d'accordo con Espartero sulla faccenda.
Intanto in Spagna le
rivolte contro il Reggente si moltiplicano, l'episodio più
spettacolare è l'assalto al Palazzo Reale per liberare la piccola
Isabella, che costa la vita al suo romantico promotore, il generale
Diego de Leon (28). Intorno alla giovane Isabella si intrecciano gli
intrighi e le cospirazioni, cui non sono estranei nemmeno l'Infante
Prancisco de Paula, fratello del defunto Re, e la moglie Luisa
Carlotta, sorella di Maria Cristina. La missione di Donoso fallisce.
Redige allora un Manifesto di protesta che la Regina Madre lancerà
nel luglio. Il 10 luglio 1841 le Cortés nominano tutore Don Agustin
Argùelles, uno dei costituzionalisti del 1812. A Donoso Cortés non
resta che tornare a Parigi in esilio volontario con altri moderati,
come Martinez de la Rosa, Cea Bermùdez, Toreno, Alcalà Galiano, i
generali O'Donnell e Narvàez. Con loro inizia a Parigi un'intensa
attività anti-Espartero (29). A cosa attribuire la fedeltà
incondizionata, quasi romantica, di Donoso Cortés per Maria
Cristina? In questa donna, che aveva ispirato il cavalleresco amore
di Isturiz, Donoso vede in realtà un'istituzione sacrosanta: la
Monarchia spagnola legittima.
A Parigi può finalmente
conoscere Gulzot e Roger-Collard; anzi, quest'ultimo lo ammetterà
all' "Institut", di cui era presidente.
E' opportuno intanto dare
un'occhiata agli articoli antiprogressisti che Donoso inviava ai
giornali spagnoli, per vedere a che punto è l'evoluzione del suo
pensiero. Si precisa la sua posizione nei confronti dell'assolutismo:
"(…) sono di quelli che credono che non ci sono diritti
assoluti sulla terra; che gli insensati che li reclamano per sé,
siano principi, siano assemblee deliberanti, siano popoli,
pronunciano una bestemmia contro Dio e commettono un delitto contro
gli uomini; che ogni diritto non limitato da un dovere si chiama
tirannia, come ogni dovere che non sia accompagnato da un diritto si
chiama schiavitù; che le parole 'dovere’ e 'diritto’ non sono
mai state separate tra loro senza che la loro separazione abbia
cessato di dare al mondo lo spettacolo delle baccanali imperiali o
delle baccanali rivoluzionarie, senza che la loro separazione abbia
cessato di dare al mondo lo spettacolo di un uomo in delirio o di un
popolo demente'' (30). Non ci stupisca lo stile: Donoso, come ben
nota Valverde, ''appartiene più alla razza degli oratori che a
quella dei giornalisti" (31).
A Parigi Donoso diventa il
teorico e l'anima dei gruppo moderato che nel 1843 avrà la meglio su
Espartero. Svolge le mansioni di segretario della Regina Madre. In
Spagna intanto si moltiplicavano le sollevazioni e le fucilazioni,
gli intrighi e le cospirazioni.
Barcellona viene duramente
bombardata da Espartero, finché costui, stufo di vedere governi
entrare e uscire, scioglie le Cortés e governa da vero e proprio
dittatore, mettendosi contro l'opinione pubblica. L'attività
parigina di Donoso si intensifica, ma, tra una cosa e l'altra, trova
il tempo di approfondire la lettura degli scrittori tradizionalisti,
Ora può osservare da vicino l'ambiente e rendersi conto appieno dei
‘fatti' su cui un De Maistre e un De Bonald hanno basato le loro
intuizioni. Alcune lettere scritte nel 1842 a "El Heraldo"
testimoniano l’impronta sempre più marcata che il tradizionalismo
francese va lasciando sul pensiero donosiano, La monarchia di luglio,
dice, nata dalla rivoluzione, non durerà a lungo, perché "l’idea
della Monarchia non appartiene alla famiglia delle idee
rivoluzionarie; un Trono è la loro contraddizione e non può essere
loro conseguenza" (32). Il razionalismo è poi del tutto
abbandonato: "Senza la fede non so ciò che è la verità, e non
comprendo che lo scetticismo" (33). Tributa infine un plauso
incondizionato agli uomini politici cattolici come O’Connell,
"questo ciclope irlandese che ha fatto l’Inghilterra sua
incudine. Nei tre regni uniti non àvvi chi con la testa gli giunga
alle ginocchia" (34), ma non come Lamartine, "specie di
conservatore radicale e di poeta prattico (sic)" (35), che si è
separato dai principi cattolici: "(…) M. de Lamartine, che non
è un gran filosofo, ignora di essere inconseguente con sé stesso
quando predica la pace ad ogni costo e chiede il progresso indefinito
della libertà e dell'industria" (36). Il liberalismo economico
conduce alla concorrenza più sfrenata, e questa alla discordia in
tutte le parti del corpo sociale; l'influenza tradizionalista è
sempre più evidente.
"Il cristianesimo"
è ora "meraviglioso in tutte le sue cose (…). La sua
spiegazione è sempre tanto trascendentale che confonde i filosofi, e
tanto semplice, che i bambini la comprendono; (…). Cosa singolare!
Le soluzioni che dà il cristianesimo a tutti i problemi sono allo
stesso tempo le più accettabili nella teoria e le più convenienti
nella pratica. L'uomo della filosofia è un uomo mutilato; quello del
cristianesimo, completo" (37). Un'ultima stoccata all'eclettismo
dottrinario; "Che altra cosa significa la coesistenza di tutti
gli elementi sociali senza la gerarchia, se non la guerra, senza la
vittoria?" (38).
Ma durante la sua
permanenza a Parigi Donoso non si occupa soltanto di letture e di
campagne antiprogressiste. Già sta febbrilmente preparando il
matrimonio di Isabella: sua è infatti l'idea di scegliere come sposo
il diciottenne conte di Trapani, fratello di Maria Cristina. L'idea è
da costei accettata con entusiasmo. Documenti conservati
nell'archivio familiare dei Donoso, a Don Benito (39), fanno fede
degli abboccamenti avuti sulla faccenda da Donoso con Guizot,
Lavergne (40) e Luigi Filippo.
4. I moderati al
governo.
Nell'agosto del 1843
Espartero finalmente cade. Il nuovo "uomo forte" è il
moderato generale Narvàez, che dichiara subito Espartero traditore,
esiliandolo. Ma anziché prenderne il posto come Reggente stima più
prudente far dichiarare dalle Cortés la maggiore età della
tredicenne Isabella. II 6 novembre Donoso Cortés, deputato per
Badajoz, pronuncia un discorso alle Cortés in difesa della proposta
di Narvàez.
Battute da Narvaez le
truppe fedeli a Espartero a Torrejon de Ardoz, Donoso può nutrire
speranze più concrete per quanto riguarda l’instaurazione di una
monarchia moderata, strutturata sui principi tradizionali e cattolici
della vecchia monarchia spagnola. A cosa porta il progressismo, dice,
tutti lo hanno visto.
E’ ora di cambiare.
"Cosa sia stato il regno di Dona Isabella II, durante la sua
minorità, tanto turbolento o più che gli anteriori, è cosa che non
offre alcun genere di dubbio. Una guerra civile di sette anni,
sedizioni continue, questioni politiche, questioni dinastiche,
scandali, ammutinamenti, devastazioni, incendi; di tutto abbiamo dato
esempio, signori, come se tutta la Storia avesse voluto riflettersi
qui con tutti i suoi scandali e tutti i suoi crimini" (41).
"Durante il governo del generale Espartero non si sa che Governo
ci sia stato in Spagna. Si chiamava Monarchia costituzionale, e non
si ebbe traccia di una Costituzione, né di una Monarchia. Si
chiamava Monarchia cattolica, e la potestà governativa era atea. Si
chiamava Monarchia rappresentativa, e il simbolo della potestà non
era uno scettro, ma una sciabola. Si chiamava Governo di discussione,
e non discusse che un partito" (42).
L'8 novembre le Cortés
dichiarano Isabella maggiorenne. Donoso diventa suo segretario
particolare. Ora però bisogna creare un'opinione pubblica favorevole
al ritorno di Maria Cristina. Donoso scrive l'incompiuta "Historia
de la Regencia de Maria Cristina", opera che "per lo studio
della crisi della Monarchia nel 1832 è, senza dubbio, il pezzo più
prezioso della storiografia; per la comprensione di quel che fu
1'origine della Monarchia liberale, il più importante; per
apprezzare l'evoluzione politica di Donoso, decisiva" (43).
Donoso Cortés ha ora
trentaquattro anni e non è ancora completamente uscito
dall'atmosfera liberale che avvolge gli uomini del XIX secolo, ma le
cose che lo tengono legato al liberalismo cominciano ad essere
veramente poche. E se ne rende conto? "Non nascondo che le
dottrine che professo in materie religiose, politiche e morali, a
forza di essere antiche, vanno diventando nuove e strane alle
orecchie delle genti" (44). Dove è finito colui che si
proclamava "figlio del suo secolo"?; "So che (la
presente generazione) ammette e proclama come cosa posta fuori di
ogni dubbio il principio della perfettibilità indefinita della
società e dell'uomo, quando io do per scontato che l'umanità è
identica a sé stessa in tutta la prolungazione dei tempi; (…) so
che il vapore, miracolo dell’industria, non sopprime le distanze,
né è l'agente più poderoso della contrattazione tra i popoli, ma
che estingue poco a poco il patriottismo nelle nazioni, so che quel
che guadagnano in cultura lo perdiamo in innocenza, e che col
raffinarsi dei diletti si alterano i costumi. So che ciò che serve
da regalo ai nostri sensi snerva i nostri sentimenti e infiacchisce
le nostre anime (…)" (45). Adesso "una rivoluzione non è
solamente un crimine, ma il maggiore di tutti i crimini, perché è
il crimine. Le rivoluzioni sono la stessa cosa nel politico che nel
morale il peccato" (45). Non cadiamo però nel facile errore di
credere che Donoso sia diventato fautore di un immobilismo
tecno-socio-politico assoluto. Queste sono, per ora almeno, soltanto
intuizioni che faranno parte di un discorso compiuto soltanto quando
il suo pensiero giungerà a maturità. E Don Carlos? L'apostrofe
delle ''Consideraciones sobre la diplomacia" si è dissolta come
neve al sole. Considera il pretendente al Trono di Spagna sempre in
errore, perché la Prammatica è valida e sacrosanta, ma ammette
adesso la sua buona fede (47).
Il 10 novembre Isabella
compie tredici anni e giura sulla Costituzione, ma sprovvedutamente
incarica il progressista Salustiano Olozaga di formare un governo.
Scoppia uno scandalo; si accusa Olozaga di avere estorto il consenso
alla Regina con la forza. Il governo Olózaga dura diciannove giorni,
dopodiché Olozaga viene esonerato (è Donoso a redigere il decreto)
e si forma il Ministero Gonzalez Bravo (48). Donoso è spedito come
inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso Maria
Cristina, con la missione speciale di convincerla a tornare in
patria. Questa però esigeva che si desse un titolo nobiliare al
marito Fernando Munoz, l’ex guardia del corpo che aveva sposato
morganaticamente. Donoso Cortés torna a Madrid e ottiene all’uopo
la creazione per il Munoz del ducato di Riansares. Il 28 febbraio
1844 la Regina Madre e il marito tornano in Spagna, E' naturalmente
Donoso a pronunciare il discorso di benvenuto. Coi moderati al potere
e Maria Cristina a Madrid le quotazioni di Donoso salgono alle
stelle; egli si avvia così a diventare la "eminenza grigia"
della politica spagnola.
Ma il pensiero di Donoso
non è rimasto fermo mentre il suo proprietario era assorbito dalle
questioni politiche contingenti. Un articolo pubblicato sulla
"Revista de Madrid" l'anno prima ci dice a che punto è
(49). Nell'articolo sono già delineati alcuni dei grandi temi di
quella che sarà l'opera capitale di Donoso Cortés, lo "Ensayo
sobre el catolicismo, el liberalismo y el socialismo". Donoso è
ormai rivolto decisamente in. favore del cattolicesimo, come civiltà
europea da contrapporre alle rivoluzioni. D'ora in poi penserà, alla
vera Spagna in termini di Monarchia, Cattolicesimo e Democrazia (50),
ed è già chiaro per lui che è dall'opinione che un popolo ha di
Dio che dipendono le sue idee sociali, politiche e culturali.
''L’Oriente fu idolatra dell'autorità, e l'idolatria della
autorità è il dispotismo; la Grecia fu idolatra della libertà, e
l'idolatria della libertà è lo sfrenarsi delle passioni popolari;
Roma patì successivamente l'infermità di queste due funeste
idolatrie, e fu schiava dei tumulti del Foro e della stravaganza dei
Cesari". Ma "una società cristiana, qualunque sia la forma
del suo governo, non è né idolatra della libertà fino a
confonderla con la licenza, né dell'autorità pubblica fino a
confonderla con lo Stato". Il Cristianesimo "ha distrutto
allo stesso tempo la schiavitù nella famiglia e nella società (…);
il cristiano è libero in presenza dell'altro uomo, libero in
presenza del principe, libero in presenza di Dio". "Cosa
singolare! L'Europa non è stata lacerata dal dispotismo e dalle
rivoluzioni, conseguenze queste inevitabili di quelle due grandi
idolatrie, fino a quando il protestantesimo non venne a distorcere il
corso della civiltà cattolica, e a restaurare nelle sue proprietà
essenziali la civiltà pagana" (51). Anche il giudizio su Lutero
è radicalmente mutato, dunque.
5. La Costituzione del
1845.
Ma gli intrighi e le
rivolte in Spagna continuano. Dal dicembre 1834 al dicembre 1844
vengono fucilate 214 persone, tre volte di più di quante non ne
avesse giustiziate lo stesso Ferdinando VII in diciassette anni di
regime assolutista (52). Per mettere fine ai disordini e all'anarchia
il 2 maggio 1844 Narvàez decide di assumere direttamente il potere.
Lo terrà fino al 1846, Sono due anni di relativo respiro. Narvàez
reprime i moti con durezza, tanto da meritarsi l'appellativo di
"espadón de Loja", crea la Guardia Civile, inizia una
riforma agraria e comincia a riallacciare i rapporti con la S. Sede.
Si convocano nuove Cortés e Donoso viene eletto per la quarta volta
deputato. Ma Narvàez non può governare con la Costituzione del
1837: è troppo progressista. Viene nominata allora una Commissione
per la riforma e Donoso ne è segretario. La nuova Costituzione sarà
praticamente creatura sua, come sua è la redazione del resoconto
della Commissione, che egli stesso leggerà alle Cortés nel novembre
l844. Le difficoltà cominciano fin dal primo momento perché il
partito moderato si spacca. (53). Joaquin Francisco Pacheco, amico di
gioventù di Donoso, e un gruppo di deputati si costituiscono in
partito indipendente ("puritanos"), perché non vogliono
che si tocchi la vecchia Costituzione. La nuova Carta, seppure tra
mille difficoltà, vede alfine la luce. E' molto più conservatrice
della precedente: il principio della sovranità nazionale è negato;
il Senato diventa di esclusiva nomina regia; spariscono la supremazia
del "Congreso" in materia finanziaria e le giurie per i
crimini di stampa; si nega alle Cortés il diritto di riunione
indipendentemente dalla convocazione della Corona; si dichiara infine
la religione cattolica, apostolica, romana, sola religione dello
Stato. "Con la ratifica della nuova Costituzione inizia il
periodo di maggiore influsso di Donoso, sia a Palazzo che al Governo"
(54).
Il 16 novembre Donoso
Cortés pronuncia alle Cortés un discorso in difesa dell’emendamento
che renderà i senatori di nomina regia. Qui troviamo una
riaffermazione dei principi e un chiarimento: "Il cattolicesimo,
la monarchia, la democrazia, ecco al completo la verità spagnola".
"Quando io parlo della Monarchia democratica (…), non parlo
della Monarchia delle turbe. La Monarchia democratica è quella in
cui prevalgono gli interessi comuni sugli interessi privilegiati, gli
interessi generali sugli interessi aristocratici" (55). Ma
l'evoluzione di Donoso è proprio così fluente, lineare, priva di
soluzioni di continuità? No, il pensiero di Donoso subisce le sue
scosse di assestamento. Osserviamolo il 15 gennaio 1845, mentre
difende in Parlamento un emendamento alla legge di dotazione del
culto e del clero: '' (…) le rivoluzioni sono come l'uomo, un
miscuglio di bene e di male, di grandezza e di piccolezza, di
debolezza e di potenza, di luce e di tenebre'' (56). E’ un passo
indietro verso l'eclettismo? Verso un "juste-milieu" tra le
due interpretazioni estreme delle rivoluzioni? O non è piuttosto una
confusa percezione dell'intervento della Provvidenza, che permette le
rivoluzioni nella Storia per il raggiungimento dei suoi fini? La
successiva teorizzazione di quel che si può riassumere nel vinetiano
"libera Chiesa in libero Stato" è una professione di fede
moderata o un espediente per cercare di favorire il più possibile la
Chiesa? Forse ha ragione Suarez nell'affermare che "lo que
Donoso persigue en estos anos es un régtmen, una Monarquia
constitucional, en la que el Rey reine y gobierne y tenga la
dirección del Estado y la autoridad plena en el gobierao" (57),
e frasi come questa; "La discussione nei governi di discussione
è sempre buona" (58), sembrano dar piena ragione a Suarez.
Ma, comunque stiano le
cose, è certo che Donoso presentisce fin da ora di essere alle
soglie di una svolta, che sta per cominciare il suo secondo periodo,
quello in cui "comincia a sospettare che le verità di cui è
depositario vanno unite a gravissimi errori".
"Questo secondo
periodo viene nelle società come viene nell'uomo: con l'età e con i
disinganni; viene dopo la rivoluzione, viene dopo atroci catastrofi"
(59).
E’ nello stesso discorso
che Donoso Cortés dà un saggio della sua grande capacità di
penetrare nelle ragioni della Storia (60). "In ogni epoca
sociale c’è una specie di ricchezza che ha una virtù specifica:
la virtù di comunicare ai suoi possessori la maggiore importanza
nello Stato. Questa virtù specifica di comunicare ai suoi possessori
l'importanza nello Stato la ebbe nei secoli medi la terra, e questa è
l'origine, o la principale origine almeno, della grande importanza
che raggiunsero i baroni feudali. Ma nacque il commercio, nacque
l'industria, e allora si verificarono le rivoluzioni coetanee, una
come principio e l'altra come conseguenza, l'una rivoluzione sociale
e l'altra rivoluzione politica" (61).
6. La questione dei
"matrimoni spagnoli",
Facciamo un piccolo passo
indietro e torniamo un momento al 1843, anno in cui un altro spinoso
problema sorge all'orizzonte di quel tormentato paese; la questione
dei "matrimoni spagnoli" (62). Bisogna trovare un marito
per la giovane Isabella II; le Cancellerie europee si scatenano. La
complicata faccenda può essere seguita agevolmente mediante alcune
note scritte da Donoso fin dal dicembre 1843 e pubblicate per la
prima volta da Valverde.
La questione del
matrimonio di Isabella, dice Donoso, "era stata trattata
amichevolmente nel castello di Eu tra il re dei francesi, la regina
d'Inghilterra e i due Ministri di Stato di queste Maestà. Si accordò
in quell'occasione che S. M. il re Luigi Filippo avrebbe abbandonato
ogni pretesa che avesse come oggetto di dare per marito alla regina
Isabella uno dei suoi figli, e che la regina Vittoria avrebbe
abbandonato la candidatura di un Coburgo e, per ultimo, che il marito
della regina Isabella, sarebbe stato un discendente di Filippo V''
(63). Subito dopo in Spagna, come abbiamo visto, scoppiava lo
scandalo Olozaga. Per sciogliere l'intricata questione i gabinetti
inglese e francese trovavano conveniente il ritorno di Maria Cristina
in patria. Ma il gabinetto inglese preferiva che la Regina Madre
tornasse in Spagna dopo le nozze della figlia, o, viceversa, tornare
subito, ma spostare indefinitamente il matrimonio; era opportuno che
il Parlamento britannico rimanesse all'oscuro di tutta la faccenda,
visto che apparentemente non corrispondeva agli interessi
dell'Inghilterra (64). Era comunque in generale d'accordo sull'idea
di Donoso, cioè sulla candidatura del conte di Trapani.
Il 21 dicembre Donoso ha
un colloquio con Luigi Filippo. Questi gli fa presente, tra l'altro,
di non essere intervenuto contro Don Carlos perché era dell'opinione
che gli interventi stranieri rendono più popolare la fazione contro
cui si interviene e danno luogo a reazioni spaventose. Confessa
altresì che se Don Carlos avesse vinto, egli lo avrebbe riconosciuto
e appoggiato. Sul viaggio di Maria Cristina è irremovibile: non
bisogna compromettere i rapporti con l'Inghilterra. Donoso fa
presente che un ritardo della Regina Kadre può debilitare la
posizione dei moderati a Madrid. Il re se ne esce con uno sconsolato:
"E in vista di questo che dobbiamo fare, Donoso?" (65).
Donoso avrebbe la soluzione? Maria Cristina risponda alle Cortés che
non tornerà fin quando le nozze non siano state concertate tra
Napoli e Madrid. Ella tornerà prima dell'approvazione del matrimonio
da parte delle Cortés. Il re accetta.
Il 23 marzo 1844 Maria
Cristina arriva a Madrid. I febbrili preparativi delle nozze sono
descritti da Donoso nel suo "Diario de 1844" (66). La cosa
va per le lunghe, tanto che nel luglio 1845 Donoso deve tornare a
Parigi, a riprendere i colloqui con Guizot e Luigi Filippo. Qui
Bulwer, ambasciatore britannico a Madrid (67), gli rivela le trame
della politica inglese: la Gran Bretagna, non si sarebbe opposta alla
candidatura di un Borbone (al momento il conte di Trapani) se questo
però fosse risultato gradito agli spagnoli, in caso contrario
l'Inghilterra avrebbe agito secondo il suo interesse. Ma: "(…)
mi disse Bulwer che era convinto che il desiderio del suo governo
fosse che egli, sotto la propria responsabilità e senza istruzioni,
facesse tutto il possibile per far fallire il matrimonio, ma mi
assicurò che non sarebbe caduto nella rete che gli tendevano e che
non avrebbe mai oltrepassato le istruzioni del suo governo"
(68). In Spagna, intanto, il conte di Trapani diventava
impopolarissimo, specialmente tra i liberali (69), e principalmente
per due ragioni; la prima era che il Trapani era stato educato dai
Gesuiti ed era figlio del re di Napoli, simpatizzante per Don Carlos;
la seconda (e non inferiore per importanza) era che il Trapani era il
candidato di Maria Cristina, come lo stesso Donoso avrà a confessare
(70). Ora la coscienza di Donoso si trova di fronte ad un dilemma:
votare per Trapani è ormai un cattivo affare per le ripercussioni
internazionali che avrebbe; votargli contro sarebbe un affronto a
Maria Cristina, e questo per Donoso Cortés è impensabile. Decide
così di "astenersi da ogni azione e di ritirarsi nelle sue
tende", come scriverà a Lavergne (71). La posizione neutrale
gli costa il raffreddamento delle relazioni con la Corte, come
dimostra l'accettazione delle sue dimissioni dall'incarico di
segretario particolare della Regina (72).
Ma l'astuta Maria
Cristina, per non privarsi di un uomo come Donoso Cortés, lo fa
nominare gentiluomo di camera della figlia (ottobre 1845).
Per risollevare l'ormai
compromessa popolarità della Regina Madre di fronte all'opinione
pubblica, Donoso scrive un articolo, "Sobre la candidatura de
Trapani", in cui si assume la responsabilità della scelta del
conte, prende partito per il liberale Don Francisco de Asis e spiega
i motivi che l'hanno indotto a mutare opinione (73). Maria Cristina
decide alfine per Francisco de Asis e per far sposare l'altra figlia
al duca di Montpensier, quinto figlio di Luigi Filippo, preferendolo
a Leopoldo di Sassonia-Coburgo, candidato inglese, secondo le
indicazioni di Donoso. Questi pensava di scongiurare così il
pericolo rivoluzionario, che sempre vedeva venire da parte inglese:
"(…) l’Inghilterra proteggerà qui sempre, più o meno, gli
interessi rivoluzionari" (74). Il 17 settembre 1846 Donoso
difende la doppia decisione in Parlamento. L’opposizione era
infatti convinta che così facendo il Paese si sarebbe inimicato la
Gran Bretagna, la quale d’altro canto strepitava, invocando il
trattato di Utrecht (75). Donoso si assume il compito di dimostrare
che il trattato non è stato violato. Il 16 ottobre 1846 si celebrano
con gran pompa le doppie nozze e il 25 viene concessa a Donoso la
nobiltà di Castiglia, coi titoli di Visconte del Valle e Marchese di
Valdegamas, implicanti il grandato di Spagna, per se e per i suoi
discendenti: Donoso si è riconciliato con la Corte, La vicenda delle
nozze costa il posto a Narvaez. Il 31 dicembre il governo passa a
Isturiz e nel febbraio 1847 al marchese di Casa-Rujo.
Dopo il rituale discorso
di apertura della Regina, le Cortés rispondono con un altro
discorso, altrettanto rituale. E’ nel proporre un emendamento a
quest'ultimo che il 4 marzo 1847 Donoso Cortès pronuncia un discorso
sulle relazioni della Spagna con le altre potenze.
E’ il primo dei grandi
discorsi di Donoso. I facili ricorsi oratori, i richiami
storico-filosofici sono abbandonati; il politico intelligente cede il
posto all'oratore di primo piano. Lo stesso uditorio sembra
presentire che questa volta Donoso Cortés magnetizzerà la platea, a
giudicare dal movimento di profonda attenzione che segue il levarsi
dell’oratore estremegno. La situazione internazionale è descritta
con lucida freddezza. Lo sguardo di Donoso si appunta
sull’Inghilterra, sulla Russia e sugli Stati Uniti, le uniche tre
potenze che, a suo avviso, hanno una politica estera non vincolata:
"L'Inghilterra ha un principio unico, determinante di tutte le
sue alleanze: questo principio è conservare i suoi attuali mercati e
aprirsi mercati nuovi. La Russia ha un principio unico determinante
di tutte le sue alleanze: (…) assicurare le sue antiche conquiste e
prepararsi a conquiste nuove; (…) gli Stati Uniti (ne) hanno due
(…): uno, consacrare, far sì che entri, che formi parte del
diritto delle genti il principio della libertà dei mari; l'altro,
introdurre in questo diritto delle genti anche il principio che
l’America appartiene a sé stessa e che l’Europa non ha diritto
di intervenire negli affari di quella" (76). "L’Inghilterra,
signori, non aspira al possesso materiale del globo; l'Inghilterra si
accontenta di considerare il globo come se fosse un immenso campo di
battaglia, e occupare le posizioni più vantaggiose, le posizioni
strategiche" (77). Un avvertimento alla Spagna: "La
dominazione esclusiva dell'Inghilterra in Portogallo è il nostro
obbrobrio, (...) perché la potenza che sia signora del Portogallo è
tutrice della Spagna” (78). E uno all'Europa: "(…) un
Impero, il più colossale di quanti esistano sulla terra, si dirige,
in ogni direzione, alla conquista del globo; mezzo asiatico, mezzo
europeo aspira alla conquista dell’Asia, aspira alla conquista
dell'Europa; l'Impero russo, signori, offre questo fenomeno
singolare, questo fenomeno allarmante; questo è l'unico Impero nel
quale si è visto lo spettacolo di un governo con tutte le
raffinatezze della civiltà, comandare sessanta milioni di barbari.
Or bene, signori; sa il Congresso, sa l'Europa, a cosa aspirano
sessanta milioni di barbari diretti da una sola intelligenza? Errano
grandemente, lo dico con dolore, quelli che hanno una fede profonda
nella pace" (79).
7. Il sopraggiungere
della crisi.
Già nella primavera del
1847 i rapporti tra gli sposi reali sono tesissimi, Isabella continua
il processo suicida del prestigio monarchico cominciato dal padre e
continuato dalla madre.
E' una bella ragazza (o
almeno lo era prima dell'abbandono fisico e morale e dei diciannove
amanti), ma con una sfrenata sessualità che deriva da un fisico
esuberante. Ha però un innato senso del suo ruolo che se non la
salverà dall'aberrazione, contribuirà più volte a salvarla dal
ridicolo (80). A niente vale l'opera del suo confessore, Sant'Antonio
Maria Claret (81), né l'effeminato Francisco de Asta è per lei il
marito più adatto. La stampa intanto discute e il popolo mormora
sull'aperta inclinazione della Regina per Serrano, il "general
bonito". Alcune parole, forse involontarie, di Maria Cristina
offendono il real consorte e subito la coppia regnante si separa, con
grave scandalo per la nazione. Don Francisco de Asis pretende, come
prezzo della riconciliazione, l'allontanamento di Serrano e di Maria
Cristina. Ancora una volta la Regina Madre deve prendere la via di
Parigi, seguita dal fedelissimo Donoso.
Ed ecco com'è la
situazione spagnola agli occhi di Donoso Cortés: i regnanti sono
divisi e senza più prestigio; il potere è in mano a José
Salamanca, "avventuriero, arrivista e amorale"; Espartero
torna come senatore del regno, grazie all'opera dei progressisti;
Cabrera e Montemolin sono amnistiati, e questo costituisce una nuova
fonte d'apprensione per la pace interna; i ministri cadono ad ogni
pie sospinto; la vita privata della Regina è oggetto di pubblico
ludibrio, il Re tacciato di carlista e cospiratore; Luigi Filippo
comincia ad accarezzare l’idea di una abdicazione di Isabella in
favore della sorella, cosa che tiene la Gran Bretagna sul chi vive;
il caos più assurdo, insomma. Donoso Cortés sta cominciando a
pensare seriamente a un colpo di mano che spazzi via il marciume e
ristabilisca l'ordine. L’uomo che ci vuole è Narvàez; non gli è
simpatico, ma non vede altra alternativa. "Su di noi stanno per
venire catastrofi inevitabili e spaventose; prevedo uno scardinamento
sociale, vedo venire la questione della forza, ed Ella è la persona
in cui io pongo ogni mia fiducia" (83). Così gli scriverà l’8
agosto 1847.
E' un periodo critico,
questo, della vita di Donoso: scrive molto meno ora sui giornali, ma
medita di più. Ha visto assassinii, fucilazioni, spoliazioni, ha
vissuto in posizioni non di secondo piano la lotta politica, ha visto
le turbe inferocite ed ha capito come sia facile per le masse
lasciarsi ipnotizzare dai demagoghi, ha visto infine l'incapacità
dei sistemi liberali per quanto riguarda l’organizzazione di una
cosa pubblica la cui esistenza non sia messa a repentaglio dal minimo
soffio di vento.
Il 1847 ci mostra un
Donoso stanco della lotta, scettico sulla possibilità di erigere la
Monarchia sui principi liberali (84), ma la cui mente, sempre sincera
con sé stessa e scevra di ogni compromesso, ricerca la verità ad
ogni costo.
- C. VALVERDE, op, cit., pag. 452.
- Articolo del 21 maggio l837 ibidem, pag. 482,
- Articolo del 13 giugno l837 ibidem, pag. 490,
- Ibidem, pag. 498,
- Ibidem, pag, 499,
- Ibidem, pag, 44,
- Ibidem, pagg, 49-51.
- Ibidem, pagg, 524-525.
- Ibidem, pag, 523,
- Ibidem, pag, 547.
- Ibidem, pag, 519,
- In effetti, Donoso scrisse solo tre articoli, il primo era "De la Monarquia absoluta considerada en su origen", e gli altri due sul tema "De la Monarquia absoluta desde la irrupcion de los Arabes hasta la conquista de Granada por los Reyes Católicos".
- Ibidem, pag, 543.
- Ibidem,
- Ibidem, pag, 598.
- Ibidem, pag, 601,
- Ibidem, pag, 652,
- Ibidem, pag. 653
- Ibidem, page 654
- Ibidem.
- Ibidem, pag. 655.
- Ibidem, pag, 693.
- Ibidem, pag. 700
- Ibidem, pag. 695
- "Proyeoto de ley sobre estados exoepcionales presentado a las ultimas Cortés por el Ministerio de diciembre", articolo pubblicato sulla "Revista de Madrid", ibidem, pag, 711. Qui Donoso ammette la liceità dell'attribuzione dei pieni poteri all'esecutivo in casi eccezionali. Il "Ministerio de diciembre" è quello di Evaristo Pérez de Castro, coalizione moderato-progressista. Il progetto di legge era stato presentato perché malgrado il Convegno di Vergara (31 agosto 1839), che aveva posto fine alla guerra civile, in Catalogna e Aragona continuava la "guerrilla" tra i carlisti comandati da Cabrera (succeduto a Zumalacarregui, caduto a Bilbao nel 1835, e di pari abilità strategica) e i cristini di Espartero. Alla base delle guerre carliste non c'era una pura e semplice questione dinastica, bensì un vero e proprio scontro di ideologie. Per quanto riguarda l'anima tradizionalista del carlismo, Schramm informa che "propugnar la tradicion (…), en Espana, en la primera mitad del siglo XIX: (è)
I. Tomar partido por la
Monarquìa, mas a mi entender, no por la Monarquia absoluta en el
sentido europeo del termino, toda vez que, en el fondo, esta forma de
Monarquia absoluta jamas existio en Espana.
II. Oponerse a la
soberanìa popular y a todas las construcciones resultantes de la
misma, tales como, ‘verbi gratia', el concepto revolucionario de
libertad.
III. Oponerse a la
revolución, por cuanto es un producto de està soberania popular y,
a la vez, anticristiana y
anticlerical,
IV. Defensa
de la religion heredada y de las relaciones historicas entre el
Estado y la Iglesia, asi como afirmación del influjo del
cristianismo sobre la cultura,
V.
Defensa en general del peculiar estilo de vida espanoly que estaba
mucho menos secularizado que las formas de vida de los demas paises
de la Europa occidental. En relacion con
esto, defensa también de una determinada concepcion del orden.
VI. Defensa
de los antiguos derechos forales de las regiones y de los fueros
municipales, como matiz auticentrista de este pensamiento
tradicionalista.", in E. SCHRAMM. op, cit. pagg. 14-15
- "De la intervención de los representantes del pueblo en lu inposicion de las contribuciones", articolo pubblicato ne "El Piloto" (novembre 1839), in C. VALVERDE, op. cit., pag. 741,
- La Regina voleva varare una legge che ponesse in sua mano la nomina degli "alcaldes". Questo, naturalmente, non garbava ai progressisti,
- R. DE LA CIERVA, Op. cit., pag. 58,
- Questo gruppo aveva addirittura fondato, per combattere Espartero, una società segreta con i suoi gradi e le sue iniziazioni, secondo la moda del tempo; la “Orden Militar Espanola") in C .VALVERDE, op. cit., pag. 47, nota
- Ibidem, pag. 818
(31) Ibidem,
pag. 821, nota
- Lettera del 24 luglio 1842, ibidem, pag. 871
- Lettera del 31 luglio 1842, in G.B.M., op. cit. pag. 491.
- Ibidem, pag. 489
- Ibidem, pag. 487.
- Lettera del 31 agosto 1842, in G. VALVEKDE op. cit., pag. 890.
- Lettera del 10 settembre 1842, ibidem, pagg.903-904.
- Lettera del 20 ottobre 1842, ibidem, pag. 927.
- Pubblicati per la prima volta ibidem, pagg.30 ss.
- Gilhaud de Lavergne era capo di gabinetto nel Ministero degli Interni e uomo di fiducia di Guizot.
- C. VALVERDE, Obras Completas de Donoso Cortés, Madrid 1970, vol. II, pag. 13
- Ibidem.
- F. SUAREZ. op. cit., pagg. 89-90.
- C. VALVERDE, op, cit., vol. I, pagg. 935-936.
- Ibidem, pag. 936.
- Ibidem, pag. 935.
- Ibidem, pag. 972.
- Gonzalez Bravo era stato poco scrupoloso giornalista de "El Guirigay" e adesso era capo del partito detto "La Giovine Spagna” Sebbene da giovane avesse scritto ingiuriosi apprezzamenti sul conto della Regina Madre, era ora moderato.II suo governo durò finché qualcuno non lasciò negli appartamenti di Maria Cristina, tornata da Parigi, una raccolta completa de "El Guirigay"; ibidem, vol, II, pag, 31, nota.
- L'articolo si intitola "Curso de Historia de la Civilizacion de Espana, por Don Fermin Gonzalo Moron". Morón insegnava Storia all'Ateneo di Madrid e stava pubblicando sei volumi sul tema accennato nel titolo dell'articolo. Donoso passava a farne una rassegna critica.
- La parola 'Democrazia' non ci tragga in inganno. Più avanti sarà chiarito in quale senso Donoso Cortés usa il termine.
- Ibidem, vol. II, pag. 25.
- R. DE LA. ClERVA, op. cit., pag. 62.
- Con Narvaez al potere i liberali non si erano nemmeno presentati alle elezioni.
- G. ALLEGRA, Nota Biografica, op, cit., pagg.38-39.
- C. VALVERDE, op. cit. vol. II, pag. 88,
- Ibidem, pagg. 95-96,
- F. SUAREZ, op. cit., pag. 105,
- C. VALVERDE, op. cit., vol. II, pag. 104.
- Ibidem, pag. 102.
- Proprio in quegli anni Marx incontrava il proletariato e Kierkegaard spezzava una lancia in favore dell'individuo.
- Ibidem, pag. 99.
- Palmerston avanzava la candidatura di un Coburgo e Luigi Filippo quella del figlio. II re dei francesi e Guizot, d'accordo con Narvaez, trovarono la soluzione: Isabella avrebbe sposato il cugino, l'Infante Don Francisco de Asis, duca di Cadice, e l'Infanta Maria Luisa, sorella di Isabella, il duca di Montpensier, figlio di Luigi Filippo. Guizot contava sulla probabile sterilità del matrimonio di Isabella II (cosa che avrebbe portato un Orléans sul trono di Spagna), Le duplici nozze furono celebrate 1'11 ottobre 1846 e l'Inghilterra fu messa di fronte al fatto compiuto.
- Nel castello di Eu si ebbero due incontri, rispettivamente nel 1843 e nel 1845. Presenziavano, in qualità di Ministri degli Esteri d'Inghilterra e Francia , Aberdeen e Guizot. Ibidem, pag.33.
- Con Palmerston sui banchi dell'opposizione, Luigi Filippo aveva definito la posizione del gabinetto inglese "un miracolo".
- Ibidem, pag. 37.
- Pubblicato per la prima volta ibidem, pagg.41 ss, Un'altra candidatura (forse la più logica) era quella del conte de Montemolin, figlio di Don Carlos. Le nozze con il Montemolin, caldeggiate da Balmes, avrebbero portato alla riunificazione del paese. Ma l'Inghilterra vi si opponeva fieramente e del resto Don Carlos difficilmente avrebbe consentito che il figlio fosse re consorte e non titolare. La candidatura fu comunque respinta, cosa che diede il destro a Montemolin di far scoppiare la seconda guerra carlista (1846-1849).
- Bulwer risulterà in seguito implicato in complotti rivoluzionari a danno di Narvaez, tanto che nel 1848 quest’ultimo gli ritirerà il passaporto e lo rispedirà in Inghilterra.
- "Diario de 1845-1846", pubblicato per la prima volta da C. VALVERDE, op, cit., vol. II, pag. 124.
- Grazie anche alle macchinazioni di Bulwer, che, a quanto pare, aveva, deciso di seguire alla lettera le istruzioni del suo governo.
- P. SUÀREZ, op, cit., pag. 107,
- Lettera del 24 gennaio, in C. VALVERDE, op, cit., vol. II, pag. 133.
- F. SUAREZ. Op, cit,, pag, 108.
- C. VALVERDE, op. cit,, vol. II, pag. 134.
- Lettera al duca di Riànsares, 15 agosto 1646, ibidem, pag. 140,
- Col trattato di Utrecht (11 aprile 1713), Filippo V di Borbone fu riconosciuto Re di Spagna e delle sue Indie, ma dovette rinunciare alle sue eventuali pretese sulla Francia e a buona parte dei domini spagnoli in Europa. I principi francesi, dal canto loro, dovettero rinunciare a riunire in ima sola corona Francia e Spagna,
- Ibidem, pag. 164.
- Ibidem, pag. 170.
- Ibidem, pag. 171.
- Ibidem, pag. 180,
- R, DE LA CIERVA, op. cit., pag. 60
- Ibidem, pag. 61.
- Ibidem, pag. 63.
- C. VALVERDE. op, cit., vol. II, pag. 194.
- F. SUAREZ. op, cit., 116.
1. La conversione.
Il titolo del paragrafo
non deve trarre in inganno: la conversione ‘anima et corpore’ di
Donoso Cortés ai principi cattolici non è cosa repentina, bensì
frutto di una lunga e sofferta evoluzione, di un doloroso cammino
alla ricerca della verità prematuramente iniziato e fatto di
illusioni e delusioni, di studio e di riflessione, di osservazione e
di meditazione. La rivoluzione del 1848 avrà indubbiamente
un'influenza considerevole sul mutamento di rotta di Donoso (1), ma
"peccherebbe di superficialità chi, nel caso di Donoso,
ammettesse una conversione prodotta dal panico o una brusca virata"
(2). II cattolico sa che una conversione non è un fatto naturale,
bensì soprannaturale; gli accadimenti contingenti hanno naturalmente
la loro importanza, ma solo in quanto predispongono l'animo al
cambiamento.
Il 21 luglio 1849 così
Donoso Cortés scriverà al marchese Blanche-Raffin, il traduttore
del "Discurso sobre la dictadura': "Nell’intimo della mia
anima io sono sempre stato credente; ma la mia fede era sterile,
perché né governava i miei pensieri, né ispirava i miei discorsi,
né guidava le mie azioni. Credo, tuttavia, che se al tempo in cui
ero maggiormente lontano da Dio mi avessero detto: - Abiura il
cattolicesimo, o soffrirai grandi tormenti -, mi sarei rassegnato ai
tormenti, per non rinnegare il cattolicesimo. Tra questo stato
d’animo e la mia condotta c'era, senza alcun dubbio, una mostruosa
contraddizione". "Due cose mi hanno salvato: il sentimento
squisito che ebbi sempre della bellezza morale e una sensibilità di
cuore che rasenta quasi la debolezza; il primo doveva farmi, ammirare
il cattolicesimo, la seconda doveva farmelo amare con il tempo"
(3). Due fatti soprattutto colpiscono Donoso: la morte del fratello
Pedro e l’incontro a Parigi con un misterioso personaggio di cui
mai Donoso vorrà fare il nome. Nella primavera del 1847, come
abbiamo visto, Donoso Cortés era a Parigi, ancora una volta al
seguito di Maria Cristina. Qui al principio di giugno riceveva la
notizia della grave malattia del fratello (4). Donoso si precipitava
immediatamente al suo capezzale, ma Pedro moriva lo stesso mese.
Seguiamo ancora la lettera a Blanche-Raffin: "Ma Dio mi aveva
preparato un altro strumento di conversione più efficace e potente.
Ebbi un fratello che vidi vivere e morire, e che visse da angelo e
morì come morirebbero gli angeli se fossero mortali. Da allora
giurai di amare e adorare, e amo e adoro… - stavo per dire ciò che
non posso dire, lo stavo per dire con tenerezza infinita - il Dio di
mio fratello", "II mistero della mia conversione (perché
ogni conversione è un mistero) è un mistero di tenerezza. Non lo
amavo, e Dio ha voluto che lo amassi, ed io lo amo! E poiché lo amo,
sono convertito" (5). L'altro fatto che commuove profondamente
Donoso è l'amicizia con l'uomo che la maggior parte dei biografi di
Donoso identificano con Santiago de Masarnau (6). Il nome di costui
verrà rivelato solo una volta da Donoso, due mesi prima della sua
morte, a Bois-le-Comte, in casa di M.me Swetchine (7). Una frase,
soprattutto, di Masarnau impressiona Donoso. Avendogli questi chiesto
come mai la sua onestà gli sembrasse inferiore a quella del
musicista, questo ultimo rispose: "E’ vero! E a che cosa si
deve? Al fatto che io sono rimasto cristiano, mentre voi non lo siete
già più" (8).
Il significato della frase
gli verrà spiegato dal fratello, uomo profondamente cattolico, in
punto di morte. Così narra Donoso l'episodio a Raffin: "Durante
il mio soggiorno a Parigi fui molto intimo di M….(9), e quell'uomo
mi soggiogò con il solo spettacolo della sua vita, che avevo sempre
cavanti agli occhi. Io avevo conosciuto uomini onorati e buoni, (…);
e tuttavia, tra la bontà e l'onorabilità degli uni e la bontà e
l'onorabilità dell'altro, trovavo una distanza immensa; e la
differenza non stava nel differente grado di onorabilità, ma nel
genere completamente diverso di onorabilità. Pensandoci su, finii
per convincermi che la differenza consisteva nel fatto che la prima
era onorabilità naturale, e l'altra soprannaturale e cristiana"
(10).
"E' veramente
singolare che una modesta figura come quella del musicista (...)
abbia potuto esercitare un simile influsso su una personalità forte
come quella di Donoeo Cortés; (…). Perché d'altronde tanta
riservatezza di Donoso, al punto da autorizzare supposizioni che,
tutto sommato, restano arbitrarie?" (11). Non lo sappiamo, ma
del resto "ogni conversione è un mistero''.
La morte del fratello e
l'incontro con Masarnau sono indubbiamente fatti decisivi per quanto
riguarda la conversione di Donoso. Occorre però aggiungere che
questi fatti trovano un terreno reso già fertile dalla tenera e
filiale devozione che sempre aveva conservato nei confronti della
Vergine (12) e da una non comune morigeratezza di costumi, integrità
morale che aveva mantenuto anche dopo l'abbandono delle convinzioni
religiose, dovuto alla lettura delle opere francesi. Così
ne parla lo stesso Donoso a Bois-le-Comte: ''(…la lecture des
ouvrages francaises qui avait suivi celle des auteurs latins, m’avait
fait perdre les convinctions chrétiennes. Cependant, j'avais veillé
sur moi avec severitè, j'avais conservé dea moeurs pures"
(13).
Da questo momento in poi
Donoso Cortés lavorerà indefessamente per estrarre la verità
politica e sociale dai principi del Cattolicesimo. I sei anni di vita
che gli restano sono quelli del Donoso Cortés dello "Ensayo",
dei discorsi di risonanza europea, l'uomo cui Napoleone III,
Metternich, il Re di Prussia, il Papa chiederanno consiglio, l’uomo
che susciterà l'ammirazione di Ranke, di Schelling e dello stesso
Bismarck.
2. Il ‘48.
Il 4 ottobre 1847 Narvaez
entra sciabola alla mano nella sala del Coniglio dei Ministri,
rilevando d'imperio questi ultimi dalle loro funzioni. E’ un caso,
unico nella storia, di colpo di Stato compiuto da un uomo solo (14),
anche se, va detto, il "cervello" era stato Donoso Cortés.
Si apre il "grande Ministero Narvaez", caratterizzato da un
periodo di relativa tranquillità (15). E' l’ora dei moderati,
l’élite tecnico-politica, nuova formula del dispotismo illuminato
classico.
Un mese prima Donoso aveva
avuto un ultimo sussulto di "liberalume", per dirla alla
Taparelli. Si tratta di quattro articoli pubblicati su "El Paro"
e riguardanti le riforme che Pio IX aveva cominciato a concedere
negli Stati Pontifici (16). E’ un tentativo di difesa abbastanza
impacciato, rivelatore di un Donoso che ormai non ha quasi più nulla
da spartire con il liberalismo. La speranza, mai sopita, di
"realizzare l’indissolubile consorzio della libertà e
dell'ordine" (17) gli fa vedere in Pio IX colui che porterà a
compimento la grandiosa opera. Molto più interessante è invece per
noi l'identificazione, negli articoli di Donoso, della civiltà
occidentale con la Chiesa Cattolica, che d'ora in poi sarà il perno
dell'interpretazione donosiana della Storia: ''La storia dell'Europa
è la storia della civiltà? la storia della civiltà è la storia
del cristianesimo? la storia del cristianesimo è la storia della
Chiesa Cattolica, la storia della Chiesa Cattolica è la storia del
Pontificato'' (18). Il disprezzo per il razionalismo (19), che,
ponendo in dubbio le verità rivelate, ha inabissato l'uomo nello
scetticismo, padre di ogni errore, è ora a chiare lettere espresso.
Donoso scopre adesso il concetto cattolico di libertà; Dio, dice, ha
posto un limite alla Sua stessa potestà: la libertà dell'uomo (20).
"Il cattolicesimo ha spazzato dal mondo tutte le schiavitù, e
ha dato al mondo tutte le libertà; la libertà domestica, la libertà
religiosa, la libertà politica e la libertà umana" (21). La
libertà cattolica è poi contrapposta alla libertà demagogica, "che
venne al mondo in un giorno nefasto; che nacque dal deprecabile
congiungimento e dalla perversa giustapposizione del filosofismo e
della rivoluzione; (…) il cui giorno natalizio fu celebrato con
lugubri e sanguinose ecatombi" (22). Di fronte a tutto questo si
erge la Chiesa: "La democrazia vittoriosa l'accusò di essere
assolutista, ella che aveva lanciato i suoi anatemi invincibili
contro tutti i tiranni. La democrazia vittoriosa l'accusò di essere
retrograda; ella che aveva allattato la libertà col suo fecondissimo
petto" (23). Nel suo 'excursus’ storico Donoso cita anche
molte opere di scrittori protestanti e 'liberipensatori’, come
Voltaire, Seckenberg, Leibniz, Von Toux, Robertson, Sismondi, Von
Muller, Ancillon, Coquerel, Voigt (24). Ciò dimostra l'interesse col
quale seguiva le questioni religiose, specialmente quelle che
ponevano in relazione il politico ed il teologico (il titolo del
primo capitolo dell’Ensayo sarà, appunto: "Come ogni grande
questione politica dipende da una fondamentale questione teologica"
(25). Ma quando si accorge che l’Inghilterra (per lui eterna
promotrice e tutrice di tutte le rivoluzioni) cerca di riallacciare i
rapporti con la S. Sede (26), gli sorge il dubbio che il Papa corra
il rischio di confondere le libertà cattoliche con la libertà
rivoluzionaria. Sente quindi il dovere di mettere in guardia il
Pontefice: "Per il popolo inglese ci sono due grandi razze nel
mondo, (…): la razza umana o la razza inglese, abbietta la prima,
nobilissima la seconda. Dio pose la razza umana nel possesso di tutti
i continenti e di tutti i mari, e poi creò la razza inglese per
porla nel possesso della razza umana''. "Il popolo inglese è il
simbolo dell'egoismo umano, posto in adorazione di se stesso ed
elevato per mezzo dell’estasi alla sua ultima potenza, (…)
dategli una formula o una interpretazione, anche se farisaica, che lo
ponga in pace colla sua coscienza, e lo vedrete intentare le
usurpazioni più obbrobriose e commettere i crimini più orrendi''
(27).
Il "cruciale"
1848 (28) ha le sue ripercussioni anche in Spagna, anche se i moti
sono facilmente repressi da Narvàez. Chi soffiava sul fuoco a
Madrid, Siviglia, Barcellona e Valencia, era, manco a dirlo,
l’Inghilterra, secondo quanto da tempo andava inutilmente
predicando Donoso, tant'è vero che il governo è costretto ad
espellere Bulwer, scoperto a finanziare i rivoluzionari (29). I tre
avvenimenti che più impressionano Donoso Cortés sono l’avvento
della repubblica in Francia, la fuga del Papa a Gaeta e la caduta di
Metternich, lo "Atlante'' che reggeva l'Austria "co' suoi
omeri''. Scrive gli "Estudios sobre la Historia", opera 'ad
usum Delphini' per Isabella II. C’è da dubitare col Suarez (30)
che la Regina avesse il tempo di studiare la Storia, è quindi più
probabile che Donoso li abbia scritti per non venire meno al suo
ruolo di Cassandra (30) della politica spagnola.
Negli incompleti
"Estudios" vediamo accentuarsi in Donoso la concezione
provvidenzialistica della Storia: "Il caso, Signora, non esiste,
né ad oscuri cospiratori è dato cambiare il sembiante del mondo e
trasformare in un giorno le società umane" (32). E qui Donoso
Cortés taglia ogni ponte con le correnti di pensiero della sua
epoca: "Il Cattolicesimo che oggi da non so quali settarii
oscuri e feroci è schernito e vilipeso a nome degli affamati, è
appunto la religione di coloro che soffrono la fame. Il
Cattolicesimo, oggi combattuto a nome dei proletarii, è la religione
dei poverelli e dei bisognosi. Il Cattolicesimo combattuto a none
della libertà, dell'eguaglianza e della fraternità, è appunto la
religione della libertà, della eguaglianza e della fratellanza
umana" (33). L'influenza di S. Agostino e dei tradizionalisti
francesi è evidentissima poi nelle considerazioni sull'origine della
società e del linguaggio. La società, dice Donoso, è nell'ordine
morale ciò che lo spazio è nell'ordine fisico. Essa è il luogo in
cui fu posto l'uomo come essere intelligente e libero, è l'atmosfera
propria della libertà e dell'intelligenza umana (34). Il supporre
l'uomo intento a creare il linguaggio è cosa tanto assurda quanto il
supporlo occupato ad inventare la società. Il razionalismo cade in
un circolo vizioso, la creazione dell'uomo per mezzo dell'uomo (35).
Avendo quindi la società origine con l'uomo in Dio, non è dato
all'uomo di mutarne i fondamenti. L'ironia di Donoso si appunta su
"quella teorica, famosa in altri tempi, secondo la quale la
società sarebbe il risultamento di un contratto fatto al cospetto di
Dio e fra le selve, da selvaggi sapientissimi nelle cose divine ed
umane, fondatori di tutte le istituzioni religiose, politiche e
sociali" (36); "questi medesimi selvaggi andavano
pensierosi per i boschi pensando in quale maniera tradurre (…) in
frase un gesto. Solamente ad un filosofo è concesso essere più
ridicolo e assurdo di quei selvaggi" (37). Il titolo del
capitolo VIII, infine, parla da solo: "Errore fondamentale della
teoria della perfettibilità e del progresso indefinito" (38).
Dove andrà a parare l'umanità con queste idee? Ecco: "(…) il
Dio cattolico che in questa grande tragedia mondiale rappresenta la
parte del tiranno, sarà fatto prigioniero, e l'antico dragone, oggi
incatenato, salirà al potere illuminando l'orizzonte con il
cangiante splendore delle sue squamme; il primo è il male vincitore
del bene ne’ tempi del Paradiso terrestre; l'altro è il bene che
prevarrà sul male ne' tempi socialisti" (39).
Nel gennaio del 1848
Donoso aveva pubblicato in due volumi una collezione scelta delle sue
opere. Il successo raccolto gli vale l'elezione a presidente della
sezione di Scienze Morali e Politiche nell'Ateneo di Madrid.
L'Accademia della Lingua gli offre un seggio. II 16 aprile ha luogo
la solenne cerimonia, presente Nàrvaez e tutta l'élite
intellettuale ed aristocratica di Madrid. Per l'occasione Donoso
legge il suo "Discurso sobre la Biblia", una delle cose più
abbaglianti dell'oratoria spagnola dell'epoca. "La grandiosità
delle sintesi, l'emozione lirica, l'espressività del linguaggio,
fanno di esso uno dei modelli classici dalla fastosa oratoria del
secolo XIX" (40). Come mai Donoso sceglie per argomento "La
Biblia como fuente de inspiracion"? Facilmente si intuisce: in
Dio e nella sua parola è la soluzione di tutto. Ma più importante è
per noi la ''Advertencia" ai due volumi di ''Obras escogidas",
pubblicati nel gennaio: "Deciso, d’altra parte, a seguire
d'ora in poi nuovi sentieri negli studi sociali e politici, (l'A.) ha
creduto che questa raccolta potesse servire a segnare
contemporaneamente la fine di un’epoca importantissima della sua
vita e l'inizio di un'altra che non lo sarà meno" (41).
3. Il "Discurso
sobre la dictadura".
Il 15 novembre 1848
Pellegrino Rossi veniva assassinato a Roma e il 24 il Papa fuggiva a
Gaeta. Il 30 novembre Donoso Cortés scriveva un articolo sui fatti
di Roma ne ''El Heraldo''. Già nel 1831 Victor Hugo aveva sentito
"il roco suono della rivoluzione", tuttavia lontano, nel
fondo della terra, mentre estende, ''sotto ogni regno d'Europa, le
sue gallerie sotterranee dal tunnel centrale della miniera che è
Parigi" (42). Ora la rivoluzione era esplosa e Donoso ne vedeva
i tentacoli estendersi su tutto il vecchio continente; si scaglia
contro di essa con tutta l'irruenza di cui un estremegno è capace:
"La demagogia è una negazione assoluta, la negazione del
governo nell'ordine politico, la negazione della famiglia nell'ordine
domestico, la negazione dalla proprietà dell'ordine economico, la
negazione di Dio nell'ordine religioso, la negazione del bene
nell'ordine morale. La demagogia non è un male, è il male per
eccellenza; non è un errore, è l’errore assoluto; non è un
crimine qualsiasi, è il crimine nella sua accezione più lata e
terrificante. Nemica inconciliabile del genere umano, ed essendo
venuta alle mani con esso nella più grande battaglia che abbiano
visto gli uomini e che abbiano presenziato i secoli, la fine della
sua lotta gigantesca sarà la sua fine o la fine dei tempi". "Il
mondo vola; (…) Dio gli ha dato le ali con le quali vola, ed esso
non sa dove va. Dove andava il popolo quando elevò a Parigi le sue
barricate di febbraio? Andava alle riforme, e si incontrò con la
repubblica. Dove andava quando elevò le sue barricate di giugno?
Andava al socialismo, e si incontrò con la dittatura" (43). "Al
punto in cui sono arrivate le cose, una soluzione radicale è
urgentissima, (,,,) o una reazione o la morte'' (44). E' giunto per
Donoso il momento di mostrare apertamente l'inclinazione per Narvaez,
l'unico che può salvare la Spagna dalla rivoluzione.
Le Cortés avevano dato a
Narvaez poteri straordinari, onde consentirgli di meglio fronteggiare
la situazione. Il 4 gennaio 1849, in un momento in cui il capo del
governo era maggiormente attaccato dall'opposizione (45), si levava
Donoso Cortés a pronunciare quel "Discurso sobre la dictadura",
che sarà pietra di scandalo per intere generazioni di studiosi del
pensiero donosiano.
Non ci fermeremo a
confutare la tesi di Karl Schmitt sul 'decisionismo' di Donoso, tesi
che vorrebbe vedere nel marchese di Valdegamas un "teorico della
dittatura" (46) o addirittura un precursore dello hitlerismo,
come da altri è stato avanzato. La tesi di Schmitt è stata già
demolita da Diego Sevilla Andrés (47), Eugenio Vegas (48), Angel
López-Amo (49) e altri. Quanto all’hitlerismo, le stesse parole
del discorso di Donoso mostrano che il tradizionalismo cattolico poco
ha a che vedere col nazional-socialismo. Il fatto è che anche coloro
i quali avevano plaudito al "Discurso" credevano d'aver
trovato in Donoso Cortés l'ideologo del conservatorismo fine a sé
stesso, il difensore degli interessi costituiti. La restaurazione si
era risolta in un espediente meramente repressivo: aveva rimesso i Re
sui Troni ma aveva lasciato fermentare le conquiste della
rivoluzione, sedimentatesi durante l'epopea napoleonica. La
Rivoluzione era infatti esplosa alla prima occasione con rinnovata
violenza (49 bis). Costoro, comunque, ebbero a rimanere notevolmente
delusi quando il Donoso Cortés che aveva procurato e sostenuto il
potere a Narvaez, glielo tolse bruscamente due anni dopo; e questo
perché nemmeno Narvàez doveva aver capito che il cattolico marchese
di Valdeganas intendeva dare a Cesare quel che era di Cesare, ma non
di più. Ma veniamo al discorso.
Fin dalle prime parole
Donoso Cortés sposta di peso il problema sui suoi giusti binari:
"Signori, qual è il principio del signor Cortina? (…): in
politica interna la legalità, tutto per la legalità, la legalità
sempre, in tutte le circostanze ed in tutti i casi. Io, signori, che
considero le leggi fatte per la società e non viceversa, vi dico: la
società, tutto per la società, la società sempre, in tutte le
circostanze, in ogni caso. Quando la legalità basta per salvare la
società, sia la legalità, quando non basta, sia la dittatura"
(50). "Dico, signori, che la dittatura, in certe circostanze, in
circostanze come la presente, è un governo legittimo, buono, utile
come qualsiasi altro" (51). Come si vede la filosofia di Donoso
è semplice: a mali estremi, estremi rimedi. E per Donoso il male
estremo è la Rivoluzione, repentinamente emersa dalla miniera
parigina: "Signori, la rivoluzione di febbraio venne come la
morte: improvvisamente" (52).
Quando Donoso parla di
rivoluzione non intende riferirsi alla spontanea "jacquerie"
di cui patisce ingiustizia, rivolta tesa più che altro a
ripristinare l'armonia e l’equilibrio turbati da, tiranniche
potestà. "Le rivoluzioni sono malattie dei popoli ricchi, dei
popoli liberi" (53). "No, signori, il germe della
rivoluzione non è nella schiavitù, non è nella miseria, ma nei
desideri della folla, sovraeccitati dai tribuni che la sfruttano e ne
traggono vantaggi personali" (54). Sono i demagoghi, aggiunge,
che instillano in orecchie ignare l’antica tentazione, adattandola
a tutte le situazioni: - Eritis sicut Dii, sarete come Dei -. Donoso
mostra apertamente l’abisso che si è aperto tra le sue posizioni
attuali e quelle dei liberali: "La base di tutti i vostri
errori, signori dell’opposizione, consiste nell'ignorare qual è la
direzione della civiltà e del mondo. Voi credete che la civiltà ed
il mondo avanzino, quando invece sia l'una che l’altro retrocedono.
Il mondo cammina con passi rapidissimi alla costituzione di un
dispotismo, il più gigantesco ed assoluto che sia mai esistito a
memoria d’uomo". "Per annunciare tali cosa non mi è
necessario esser profeta; mi basta considerare il pauroso insieme
degli avvenimenti umani dal loro unico, vero punto di vista,
dall’altezza cattolica" (55).
Su quali elementi basa
Donoso questa sua previsione? Dalla constatazione del fatto che
"quando il termometro religioso è basso, la temperatura
politica, la forza politica, la tirannia, salgono" (56). I
cristiani dei tempi apostolici, dice Donoso, non avevano nemmeno
tribunali, le loro vertenze erano risolte da arbitri. Ma scende la
temperatura religiosa e appare la Monarchia feudale, la più debole
fra tutte le monarchie (la religione è un po’ affievolita, è
vero, ma è pur sempre nella regione del suo apogeo). Viene la
Riforma luterana che abbassa vieppiù il termometro religioso, e
appare la Monarchia assoluta. Con la Monarchia assoluta, gli eserciti
permanenti. Cos'è un soldato, continua Donoso, se non uno schiavo in
uniforme? (57). Scende ancora la temperatura religiosa ad ai governi
assoluti non basta più un milione di braccia, vogliono adesso un
milione di occhi. Nasce la polizia. La religione è quasi a zero;
spunta la centralizzazione amministrativa (un milione di orecchi).
Non basta: ai governi assoluti occorre poter essere dappertutto nello
stesso momento. Questa facoltà, conclude, è messa loro a
disposizione dal telegrafo. "La via è preparata per un tiranno
gigantesco, colossale, universale, immenso; tutto è preparato per
lui. Guardate, signori, già non vi sono resistenze fisiche, perché
con le navi a con le ferrovie non esistono più frontiere, e con il
telegrafo si sono annullate le distanze, e non vi sono resistenze
morali, perché tutti gli animi sono divisi e tutti i patriottismi
sono morti" (58).
Credere Donoso nemico
acerrimo d'ogni conquista tecnologica, sarebbe fargli ingiustizia.
Egli aveva in realtà intuito la confusione che derivava
dall'associare il progresso della tecnica con quello della libertà e
della perfezione dorale dell'umanità, confusione che conduceva ad un
concetto uniforme di progresso. Non era stato il primo. Fin dal 1835
Tocqueville aveva previsto l’avvento del "perfetto formicaio",
figlio della centralizzazione amministrativa, la 'révolution
Francaise' che "recommencers, toujours et c'est toujours la
meme". La diagnosi di Donoso Cortés non ha (né poteva avere)
la precisione scientifica d'un Ernst Troeltsch o d'un Max Weber, ma
basta a darci l'esatta dimensione delle capacità, intuitive
dell’oratore estremegno. Si salverà la società? Il mondo
invertirà la sua marcia verso la catastrofe? E' possibile, dice
Donoso, ma poco probabile: "Ho visto e conosciuto uomini che si
erano allontanati dalla fede e che vi sono tornati; ma,
sventuratamente, non ho mai visto un popolo tornare alla fede dopo
averla perduta" (59).
Riassumendo, la dittatura,
in casi estremi e per brevi periodi, può essere necessaria (forse il
miracolo stesso non è un potere straordinario, esercitato in
situazioni straordinarie?); ma il problema non è questo: "Signori,
se qui si trattasse di scegliere tra la libertà, da un lato, e la
dittatura dall'altro, non vi sarebbe alcun dissenso; chi, potendo
abbracciare la libertà, si inginocchierebbe dinanzi alla dittatura?"
(60). "Ma la questione è diversa, si tratta di scegliere tra la
dittatura dell'insurrezione e quella del governo; in questo caso
scelgo la dittatura del governo, come la meno pesante e ingiuriosa"
(61). La libertà è morta, conclude Donoso, ora bisogna scegliere
tra la dittatura della Rivoluzione e quella dell’ultimo rimasuglio
di governo legittimo che sia rimasto in piedi. Donoso non ha
esitazioni: la sua opzione è per la seconda soluzione.
4. La corrispondenza
con Montalembert.
Il discorso sulla
dittatura ha una larghissima risonanza in Europa, E' tradotto in
varie lingue, i giornali ne parlano diffusamente.
Già dal 6 novembre 1848
Donoso Cortés era stato nominato ambasciatore di Spagna a Berlino,
ed è da Berlino che si intreccia una fitta corrispondenza con
Montalembert, corrispondenza della quale Donoso approfitta per
chiarire la sua posizione. "Il destino delle società umane è
un mistero profondo, che ha ricevuto due spiegazioni contrarie, l'una
del cattolicismo, l'altra del filosofiamo. Ciascuna di queste
spiegazioni, forma una civiltà completa, ma tra queste due civiltà
àvvi un abisso insormontabile, un antagonismo assoluto, ed i
tentativi fatti per un amichevole accomodamento tra loro sono stati,
sono e saranno perpetuamente vani" (62). La civiltà cattolica,
dice Donoso, insegna che la natura dell'uomo è inferma e caduca,
quindi lo umano intendimento non può scoprire la verità se questa
non gli viene rivelata. La civiltà filosofica insegna invece
l'inverso, l'uomo è essenzialmente buono per natura, il suo
intendimento può vedere la verità, scoprirla o inventarla. Essendo
poi sana la sua volontà, cerca ed opera il bene naturalmente. La
soluzione di ogni problema sociale sta nella eliminazione di ogni
vincolo che impedisca all'uomo la libera estrinsecazione delle sue
potenzialità, l'umanità sarà perfetta quando negherà Dio che è
la sua catena soprannaturale; quando negherà il governo che è la
sua catena politica; quando negherà la proprietà nel sociale e la
famiglia, vincolo domestico (63).
Donoso, avvezzo ad andare
al fondo di ogni questione ha colto il nocciolo del problema: la
pietra di paragone tra il cattolicesimo e le dottrine mondane è il
Peccato Originale, dall'uno affermato, dalle altre negato. Ecco
quindi l'errore fondamentale del luteranesimo e del rousseauianismo:
dire che l'uomo è essenzialmente buono o affermare che è
essenzialmente cattivo è, tutto sommato, lo stesso, perché ciò
equivale a dire che non è libero. Ed ecco la frase che per più di
un secolo è valsa a Donoso la qualificazione di 'pessimista': "(…)
il trionfo col volgere degli anni, sarà irremissibilmente della
civiltà filosofica" (64). Se Donoso Cortés fosse vissuto ai
nostri giorni, il suo punto di vista sarebbe stato più ottimista? Ne
dubito. Comunque, stando così le cose, a che pro combattere? Donoso
così risponde: "Né mi si dica che se la vittoria è certa, la
lotta è superflua, perché in primo luogo essa può ritardare la
catastrofe, in secondo luogo essa è per i cattolici non solamente
utile, ma doverosa" (65). "In quanto alla maniera di
combattere, ne rinvengo una sola che possa oggi dare vantaggioso
risultamento: il combattimento per mezzo della stampa periodica (…).
I combattimenti dalla tribuna a poco giovano" (66). Queste
ultime frasi sono meglio chiarite in una lettera del 4 agosto a
Monsignor Gaume, vicario generale della diocesi di Montauban: "Mai
ebbi fede né fiducia nell'azione politica dei buoni cattolici. Tutti
i loro sforzi diretti a riformare la società per mezzo di assemblee
e di governi saranno perpetuamente inutili (…). Sarebbe invece
necessario invertire il procedimento, cominciando a riformare la
società, e poi, valendosi della società già riformata, riformare
le sue istituzioni" (67). Ecco le armi che Donoso, nemico d'ogni
sovvertimento violento, propone (o sarebbe meglio direi ripropone?):
l'apostolato e la predicazione.
La corrispondenza con
Montalembert viene pubblicata in Spagna su "El Pais" e "El
Heraldo". Per rispondere all'accusa di manicheismo, contro di
lui formulata dai redattori dei due giornali, Donoso scrive il 16
luglio alle due redazioni, professandosi cattolico: "Io sono
cattolico puro; credo e professo ciò che crede e professa la Chiesa
Cattolica, Apostolica, Romana" (68). "Ecco tutta la mia
dottrina: il trionfo naturale dal male sul bene, e il trionfo
soprannaturale di Dio sul male" (69). Come si ricorderà, Donoso
aveva affermato nel discorso sulla dittatura di non aver mai visto un
intero popolo ritornare alla fede; per lui la vittoria della civiltà
filosofica è inevitabile, a meno di un miracolo.
All'accusa di negare ogni
validità alla ragione umana risponde che se per ragione si intende
la facoltà che Dio ha dato all’uomo di comprendere ciò che egli
rivela e di trarne conseguenze vantaggiose per la vita e per la
società, allora Donoso rispetta e venera la ragione umana come una
delle opere più stupende di Dio, ma se per ragione si intende la
facoltà di inventare la verità e di comprenderne quei presupposti
fondamentali da cui tutte le altre verità nascono, senza l'aiuto
della rivelazione divina, questa ragione Donoso Cortés arditamente
nega. Fra le idee fondamentali di tutte le scienze e la ragione,
aggiunge, esiste la medesima relazione che fra gli oggetti esterni e
la pupilla dell'occhio; è una relazione di coesistenza, non di
causalità (62). Infine Donoso spiega perché la battaglia delle idee
attraverso la stampa gli sembri l'unico tipo di lotta efficace: "Fra
tutte le potestà nate dal nuovo ordinamento delle società europee,
niuna è tanto grande, tanto colossale, quanto quella conceduta ad
ognuno di parlare al popolo. Le società moderne hanno dato a tutti
potere tessere periodisti; e a coloro che lo sono, hanno dato quel
tremendo ufficio di insegnare alle genti, che Gesù Cristo diede solo
agli Apostoli (…). L’arme che voi maneggiate può dare vita o
morte". La parola è più terribile della spada, più rapida del
fulmine, più distruggitrice della guerra (71).
5. Ambasciatore a
Berlino
A Berlino Donoso resterà
poco tempo; il clima gli è dannoso alla salute, non conosce poi il
tedesco, difficoltà questa che lo infastidisce non poco. Ma la sua
permanenza in Prussia lascerà il segno: il Re arriverà a citare
passi dei suoi discorsi e lo stesso Bismarck lo menzionerà nelle
"Memorie". Fin dalla prima udienza con Federico Guglielmo
IV (che aveva una teoria semplicistica delle rivoluzioni, qualificava
cioè semplicemente le città come rivoluzionarie e le campagne
fedeli al trono) gli fa notare che il governo deve salvarsi da solo,
e non aspettarsi tutto dai contadini. Nei dispacci che manda
giornalmente a Madrid, Donoso si rivela perfettamente all'altezza del
suo compito, diplomatico consumato e provvisto di acutissimo spirito
di osservazione. Quel che si svolge sotto i suoi occhi è la lotta
tra Austria e Prussia per il predominio sugli stati tedeschi, ma
Donoso intravede anche le idee liberaleggianti che dall'Assemblea di
Francoforte stanno invadendo la Prussia assolutista. La presenza di
studenti ricchi tra i rivoluzionari glie ne fa intuire la causa: "(…)
le dottrine filosofiche della scuola hegeliana, causa principalissima
del giro radicale e disorganizzatore che di qua del Reno vanno
prendendo le rivoluzioni" (72). Presentisce il pericolo che può
rappresentare per l'equilibrio continentale la presenza di una grande
potenza al centro dell'Europa: "L'Europa non può considerare la
costituzione di una confederazione come equivalente all'unità della
Germania, perché in realtà non equivale ad essa, poiché implica
soltanto un ingrandimento della Prussia" (73).
Ma l'analisi di Donoso si
spinge più oltre. In due soli mesi di permanenza a Berlino si rende
conto della esatta dimensione di quel che sta accadendo: "Lo
scettro della dittatura europea mi sembra sia caduto dalle mani delle
razze latine e che sia passato alle razze alemanne e slave", "La
Francia stessa sembra camminare velocemente, se già non è arrivata,
al termine di una prodigiosa decadenza. Da oggi in poi l'Europa dovrà
ricevere tutto, il bene come il male, dalle razze che si muovono e si
agitano da questa parte del Reno" (74). L'Assemblea di
Francoforte vuole l'unità ad ogni costo, scrive, ma "la sua
idea è ridurre la Monarchia a una sola testa, per poterla tagliare
quanto prima" (75), l'esercito vede nell'unità solo il
germanismo imperiale e tutti sono presi dalla stessa vertigine. "Gli
uomini qui non sembrano agenti liberi, padroni di sé stessi, ma
strumenti di un potere misterioso che esercita su tutti una
operazione magnetica". Donde proviene questo potere misterioso?
"(…) da quello che i tedeschi nel loro misticismo demagogico
chiamano l'IDEA" (76). Federico Guglielmo IV, dice Donoso, è
"completamente inaccessibile ad ogni genere di consigli. E come
potrebbe prestare orecchio attento agli avvisi degli uomini colui che
vive persuaso che li riceve da Dio direttamente? Il suo Consiglio dei
Ministri è in cielo e lo stesso Dio lo presiede. Se ha ministri
quaggiù è per forma: ma li disprezza tutti d'un sovrano disprezzo.
In qual modo possa combinarsi un tal re con un Governo
costituzionale, ce lo diranno fin troppo presto i fatti e la storia"
(77). L'altero Sovrano ha rifiutato la Corona Imperiale che
l'Assemblea gli offriva, ma "se si è opposto con ferrea
risoluzione al decreto dell'Assemblea che poneva ai suoi piedi una
corona, per riceverla poi con altro nome e in modo differente, è
solo perché non poteva rassegnarsi a ricevere come dono quel che
considerava come una proprietà, a ricevere dagli uomini quel che
inviava Dio, a oscurare col decreto di un'Assemblea il decreto del
cielo" (78). Ai poveri "principi tedeschi, collocati tra la
rivoluzione che li schiaccia e la Prussia che li opprime con la sua
onerosa protezione, non è rimasta altra scelta che quella del tipo
di morte", cioè "se preferiscono morire di mano reale o di
mano villana; hanno scelto la prima e si sono rassegnati alla morte"
(78). II confronto tra democrazia e autoritarismo prima o poi verrà,
è inevitabile, e sarà dappertutto. Si tratterà del cataclisma più
grande che sia venuto sulle genti e che abbiano visto le nazioni,
L'Europa uscirà da questo cataclisma, come annunciò Napoleone,
repubblicana o cosacca" (80).
Ricca di interesse è
altresì la corrispondenza che Donoso da Berlino teneva con l'amico
conte di Raczynski (1788-1874), ambasciatore di Prussia a Madrid. Le
lettere rivelano un Donoso stanco e sfiduciato: ''(…) gli affari
pubblici mi ispirano tal ripugnanza che sono risolto a ritirarmi tra
un po’ in un angolo qualsiasi, per vivere con la mia famiglia, con
i miei amici e i miei libri" (81). Confessa all'amico che il
venire a Berlino gli è sembrato un modo onorevole di ritirarsi per
un po’ dalla Spagna, dove prevede di lì a poco l'arrivo della
rivoluzione, cui non vuole dover assistere da testimone impotente:
"Mai mi sono lasciato ingannare dalle apparenze di tranquillità
e di calma in Spagna. Una nazione corrotta fino alle midolla delle
ossa, tanto in alto, quanto in basso, deve fatalmente soccombere, il
giorno più impensato, in una maniera o in un'altra. Generalmente si
crede che il socialismo non sia penetrato in Spagna: errore, errore
profondo. Il giorno in cui si saranno rotte le dighe, vedrete qui più
socialisti che a Parigi (…). Il carattere storico degli spagnoli è
l'esagerazione in tutto; (…) abbiamo esagerato nella perseveranza,
fino a lottare per sette secoli contro gli Arabi; abbiamo esagerato
nel sentimento religioso fino a creare la Inquisizione; ci manca solo
di esagerare nel socialismo, e certamente lo faremo. Allora vedrete
ciò che sono gli spagnoli innamorati di un’idea buona o cattiva
che sia" (82). Narvàez non è uomo di principi, "può
essere un grande governante come è un grande guerriero: ma lo
perderanno le cattive compagnie" (83). "Voi sapete che tra
Narvàez e me non può esistere né amicizia, né simpatia; per i
nostri caratteri, per i nostri gusti, per la nostra maniera di vedere
e di apprezzare tutte le cose, siamo ai poli opposti" (84). Ma
Narvaez è l'unico che abbia il polso e la volontà necessari per
arginare la piena, per questo Donoso continuerà ad appoggiarlo. Chi
avrebbe mai detto che sarebbe stato lo stesso Donoso, un anno più
tardi, a provocarne le dimissioni? Occorrono uomini di principi, dice
Donoso, che conducano la battaglia sul piano su cui deve essere
condotta, cioè quello delle idee. Né lo illudono gli iniziali
successi di Narvaez; la rivoluzione può essere dapprima
materialmente vinta ovunque (87), ma inevitabilmente prima o poi
rialzerà la testa per imporsi definitivamente (88).
Donoso Cortés è stanco,
molto stanco. E malato. Non sa più se le sue nere profezie siano
dovute a sicure diagnosi o alla depressione. "(…) comincio a
credere che sono affetto da una vera e propria infermità morale, il
cui effetto è vedere gli affari pubblici con i colori più oscuri"
(89). Donoso è un uomo solo, un uomo che attraversa un periodo di
profonda crisi spirituale, un uomo che vive e pensa contro corrente,
i cui principali nemici sono i suoi stessi compagni di partito: ''(…)
senza i moderati la rivoluzione non vivrebbe in nessun posto. I
moderati sono stati causa dell'universal ruina e perdizione! Dio
perdoni loro il male che hanno fatto!" (90). Il pensatore
estremegno ha colto lo spirito che anima il borghese liberale: l’odio
verso la monarchia e l’aristocrazia lo porta a sinistra; il timore
per i suoi beni minacciati dalla democrazia radicale e dal
socialismo, lo spinge a destra; perennemente costretto ad oscillare
tra i due estremi, sperando di ingannarli entrambi, vive solo il
tempo necessario a rispondere alla domanda - Cristo o Barabba? -
tramite una mozione postergatrice o la creazione di una commissione
di studio (91). L'essenza del moderatismo è negoziare nella speranza
di convertire lo scontro decisivo in dibattito parlamentare, o
spostarlo indefinitamente per mezzo della discussione (92). Donoso
Cortés non ha altro che disprezzo per i liberali, laddove si
confronta con il socialismo ateo-anarchista, che è munito, a
differenza dei primi, della forza della logica.
6. Il "Discurso
sobre la situación general de Europa".
Nel novembre del 1849
Donoso Cortés è a Parigi, di ritorno da Berlino e di passaggio
verso Madrid. E’ qui che Montalembert gli presenta Louis Veuillot,
il direttore dell’Univers. Tra i due si instaura una mutua
ammirazione che diverrà amicizia più che fraterna. Non ci sarà in
seguito pensiero o progetto che i due non si confideranno: Donoso
sarà la mente, Veuillot il braccio. Alla fine del mese è a Madrid.
Qui Nàrvaez, dopo un intervallo di ventisei ore dovuto a intrighi di
palazzo, aveva consolidato il suo potere e governava con autorità.
Attualmente chiedeva alle Cortés una delega generale sulla
riscossione delle imposte, onde evitare la discussione di ogni
singola partita. A dire la verità non aveva nemmeno atteso l'assenso
delle Cortés per farlo. Il conseguente prolisso dibattito è
riassunto da Donoso Cortés, che il 30 gennaio 1850 pronuncia alle
Cortés il secondo dei suoi tre magistrali discorsi: il "Discurso
sobre la situacion general de Europa".
L'abilità di Donoso
consiste, al solito, nel porre la questione nei suoi veri termini: il
problema che stanno discutendo le Cortés è di natura economica, ma
le questioni economiche non sono per loro natura, le più importanti.
"Ciò non significa (prevedo le opposizioni e le prevengo), non
significa che io creda che i governi debbano trascurare la questione
economica e che i popoli debbano essere male amministrati. Signori,
sono forse tanto sprovvisto di senno e di cuore da farmi trascinare
da un simile errore? Non intendo dire questo, però affermo che ogni
questione deve essere collocata al suo posto, ed il posto delle
questioni economiche è il terzo o il quarto, non il primo; questo
dico" (93). Si è affermato, continua Donoso, che il porre tali
questioni in primo piano sia il mezzo migliore per combattere il
socialismo. Ma cos'è il socialismo se non una setta economica,
figlia dell'economia politica? se non una vipera che appena nasce
divora la madre? La Spagna ha vinto due o tre insurrezioni e crede di
poter stare tranquilla, di potere occuparsi di amministrazione. In
realtà dopo la rivoluzione di febbraio non c'è più un solo paese,
una sola istituzione che sia rimasta salda sulle sue fondamenta. "E
non mi si dica, signori, che la rivoluzione è stata vinta in Spagna,
in Italia, in Francia, in Ungheria; no, signori, non è vero. La
verità è che tutte le forze sociali, concentrate ed elevate al
massimo grado, sono bastate appena, e sono riuscite solamente a
trattenere momentaneamente il mostro" (94).
Donoso come al solito vede
più in là degli altri, ed ha capito che il '46 è stato solo
l'inizio, perché le radici della rivoluzione, i cui maestri e
pontefici stanno in Germania (95), sono molto più profonde, vanno
molto più in là della mera questione economica. Stando così le
cose le riforme non sono altro che un palliativo (96). Pio IX ha
fatto stracciare le vesti a tutti i conservatori d'Europa a furia di
concedere riforme. Risultato? E' finito a Gaeta. La Francia ha
moltiplicato le riforme ed è finita sulle barricate di febbraio. Il
fatto è che i popoli sono diventati ingovernabili. Perché?
"Signori, la vera causa del male grave e profondo che corrode
l'Europa è che è veduta meno la idea dell'autorità divina e umana"
(97). "(…) mi si potrà chiedere: cosa hanno a che vedere le
questioni politiche con le questioni religiose?" (98). La
spiegazione è questa: la civiltà ha due fasi, dice Donoso, quella
cattolica e affermativa, perché riposa su affermazioni, e quella
rivoluzionaria e negativa, fondata sulle negazioni. Le affermazioni
della prima sono le seguenti: esiste un Dio; questo Dio governa, le
cose divine e umane. Le affermazioni corrispondenti nell'ordine
politico, sono: esiste un re; il re regna e governa i suoi sudditi.
La prima negazione è quella deista: Dio esiste, regna, ma non si
occupa delle cose umane; corrispondentemente il re esiste, regna, ma
non governa. La seconda negazione è quella panteista: Dio esiste, ma
non è persona, quindi non regna né governa; Dio è tutto ciò che
vive, che si muove. Dio è l'umanità. Sul piano politico questa
negazione si traduce nella repubblica rivoluzionaria, dove il
suffragio universale è il mezzo di espressione dell'umanità
divinizzata. Viene infine l'ateismo che dice: Dio non esiste, quindi
il governo non ha senso.
Gli anelli della catena,
seppur sfumati in grandi sintesi, ci sono tutti, Donoso descrive
così, concisamente, il lungo processo di secolarizzazione della
ragione umana. Egli sa benissimo che ogni istituzione politica trova
la sua giustificazione in un'idea filosofica che la precede e di cui
è conseguenza diretta, La prima mente che ha posto in dubbio la
verità rivelata di cui è depositaria la Chiesa Cattolica non ha
fatto altro che gettare un sasso in uno stagno e formare il primo
cerchio nell'acqua. Le repressioni sono inutili, la battaglia va
condotta sul piano delle idee: quando Donoso parlava, Marx aveva già
pubblicato "La Sacra Famiglia", "Miseria della
filosofia" e il "Manifesto".
Il punto d'osservazione di
Berlino gli era stato utilissimo per analizzare lo stato dell'Europa.
Per Donoso è solo questione di tempo. Quando cadrà l'Europa? Quando
si saranno realizzate tre condizioni: che la rivoluzione distrugga
gli eserciti permanenti; che il socialismo, spogliando i proprietari,
uccida il patriottismo, perché un proprietario spogliato, dice
Donoso, non può essere un patriota; che si compia infine l'unione di
tutti i popoli slavi sotto l'influenza e il protettorato della
Russia. "Ebbene, Quando in Europa non ci saranno più eserciti
permanenti, distrutti dalla rivoluzione, quando in Europa non ci sarà
più patriottismo, spento dalle rivoluzioni socialiste, quando
nell'oriente d’Europa si sarà formata la grande confederazione dei
popoli slavi, quando in occidente non ci saranno più che due grandi
eserciti, l'esercito degli spogliati e quello degli spogliatori,
allora, signori, suonerà all'orologio dei tempi l'ora della Russia.
Allora la Russia potrà passeggiare tranquilla, e con le armi al
braccio, per la nostra patria" (99). Ma la Russia berrà il
veleno di cui è intrisa l'Europa e allora ci sarà il completo
dissolvimento. Chi può fermare la Russia, per Donoso Cortés? Strano
a dirsi: l'Inghilterra. Questa nazione così conservatrice e
attaccata alle sue tradizioni è la meno esposta alla rivoluzione.
"Io credo più facile una rivoluzione a Pietroburgo che a
Londra" (100). Ma anche l'Inghilterra non è che un espediente
per guadagnare tempo, perché sebbene sia monarchica e conservatrice,
le manca di essere cattolica.
Il rimedio radicale contro
la Rivoluzione è il Cattolicesimo, "perché questo è l’unica
dottrina che sia la contraddizione assoluta di quell'altra"
(101).
Ogni vera civiltà
proviene da cristianesimo, tant'è vero che tutta la civiltà si è
concentrata nella zona cristiana. Al di fuori di essa vi potranno
essere tutt’al più popoli colti, ma non civilizzati: la cultura
non è che la vernice della civiltà. Le Cortés, conclude Donoso,
vogliono fare grandi riforme economiche? Nei governi costituzionali,
che sono i più costosi di tutti i regimi, non c'è altra soluzione
che sciogliere gli eserciti permanenti. Ma questo vorrebbe dire
spalancare le porte alla Rivoluzione. Perché la Rivoluzione è
antimilitarista? Perché la divisa rappresenta un principio ideale,
qualcosa per cui valga la pena di sopportare sacrifici, di dare anche
la vita; la divisa presuppone una gerarchia, l'obbedienza cieca e il
rispetto dell’autorità. Il Cattolicesimo, questa è per Donoso
Cortés la soluzione di tutto.
Anche questa volta le
parole di Donoso varcano le frontiere della Spagna. Il 20 febbraio
“l’Univers” pubblica il discorso. Due mesi dopo, trasformato in
opuscolo, gira per Parigi in 14.000 esemplari. I giornali cattolici
francesi e belgi lo pubblicano per intero, se ne fanno versioni in
italiano e in tedesco. Federico Guglielmo IV ne cita passi a
Meyendorff, nell'udienza del 14 marzo (102); Ranke, Schelling, Luigi
Napoleone, lo Zar, lo leggono.
7. La crisi spirituale.
Donoso è tornato a casa,
a Don Benito, E' stanco e sfiduciato. Sin dalle prime parole del
discorso sulla Europa aveva esternato la sua intenzione di ritirarsi
dalla scena politica. Legge libri di mistica e la vita di San
Vincenzo De Paul. Del ritiro a Don Benito approfitta per rispondere
ad alcune critiche che gli sono state avanzate.
In una lettera al duca di
Valmy (103) spiega l'esatta portata della sua difesa di Pio IX. Il
Papa, dice, ha fatto come il Divin Maestro, ha aperto le braccia ai
liberali come Gesù le aveva aperte a giudei e gentili. E come il
Cristo è stato crocifisso. Ma secondo Donoso sarà un errore
ripetere l’esperienza, perché, prolungando troppo la ricerca della
pecorella smarrita, si corre il rischio di non trovare più al
ritorno le altre novantanove. E quella del clero francese, che
preferisce resistere alla Chiesa pur di non dispiacere ai detentori
del potere, cos'è se non viltà? "Nostro Signore ha minacciato
di disconoscere in cielo colui che si vergogna di confessarlo in
terra" (104).
Dall'accusa di fatalismo
(105), così si discolpa: ''(…) protesto contro l'idea di essere
fra coloro che vedono l'avvenire. Io non ho avuto la temerità
d'annunziare l'ultima catastrofe del mondo; non ho fatto altro che
gridare ad alta voce ciò che tutti dicono piano piano. Ho detto che
le cose del mondo sono oggi assai male incamminate, e che proseguendo
nella medesima direzione cadremo irreparabilmente in un cataclisma.
L’uomo può salvarsi, chi ne dubita? a condizione per altro che
egli voglia. Ma sembra che egli non voglia, e non volendo, Dio non lo
salverà a suo dispetto" (106).
E’ in questo periodo che
Donoso Cortés comincia la stesura dello "Ensayo" (106
bis). Lo finirà in pochi mesi per permettere a Louis Veuillot di
pubblicarlo sulla "Bibliotheque Nouvelle", la collana che
il direttore ‘dell’Univers' era in procinto di pubblicare. Forse
è l’esiguità del tempo a sua disposizione la causa delle
deficienze che l’opera presenterà. L’Ensayo, comunque, vede la
luce nell'agosto, uscendo contemporaneamente a Madrid e a Parigi.
Ma Donoso Cortés ha per
ora altro a cui pensare; sta attraversando una profonda crisi mistica
che può decidere del resto della sua vita. E’ per questo che si è
ritirato per un certo tempo dalla scena politica. Sente da un lato
l'attrattiva che su di lui esercita la vita contemplativa, vorrebbe
ritirarsi a parlare da solo col suo Dio. Dall'altro, l'irresistibile
richiamo della vita attiva, la politica, per cui è nato, è una
fonte di tentazione per lui non indifferente. Donoso, cattolico
all'estremo limite della coerenza, si ferma alla gloria di Dio, prima
di tutto. Il prossimo passo sarà nella direzione in cui Dio lo
chiama.
Scrive a diversi
ecclesiastici una lettera, uguale per tutti. Fra questi vi è forse
il frate Javier Serra, dei Missionari Apostolici dell'Ordine di San
Francesco (107).
"Muy senor mio y de
mi mayor estimacion y aprecio: hace mucho tiempo que estoy en una
mortal incertidumbre por no conocer la voluntad de Dios hacia mi y
por ignorar cual es mi vocacion verdadera, De aqui resultan para mì,
en un mismo dia y en una miama bora, mil resoluciones contrarias,
para concluir por no llevar ninguna a cabo. Con un pie estoy en el
mundo, con otro en la soledad; con uno en la politica, con otro en la
religion, viniendo a ser mi alma un mar de confusiones. Después de
haberme confesado y comulgado, he resuelto consultar con algunas
personas està situacion y hacer lo que la mayoria me aconseje,
siendo todas las consultadas personas de piedad y espirituales; una
de ellas es usted, y a usted me dirijo para que me dé su parecer en
este grave negocio.
La consulta por ahora se
reduce a saber si debo continuar como hasta aqui, tomando parte en
las discusiones del Parlamento, o si debo abandonarlas y con ellas la
politica activa, para ocuparme en escribir con objeto de aprovechar a
los demàs, y en orar y hacer obras para aprovecharme a mì mismo. El
prò y el contra estan para mi en un equilibrio perfecto; por una
parte digo: No debo retirarme del todo de la politica activa y de la
vida parlamentaria, porque al fin algun bien se puede hacer, y un
discurso puede ser en el dìa de hoy una poderosa palanca; por otra
parte digo: No, eso no me conviene, para mi es imposible limitarme a
pronunciar uno o muchos discursos, para hacerlo tengo que tomar
parte, aunque no lo quiera, en las intriguas politicas, y, aunque no
quiera, caigo en poder de todas las malas pasiones que llenan
aquella atmosfera; estando allì, es difìcil cerrar el corazon a la
vanagloria, y algunas veces a la venganza. Por otra parte, los
discursos producen aplauso, pero no buenos votos, y su efecto, si
alguno producen, pasa rapidamente; mejor es retirarme para hablar con
Dios a solas. Pero después me digo: No es la pereza la que me
aconseja esto? Pues qué? no
es posible servir a Dios en la politica como fuera de ella? Quien
me dice que no me mueve un deseo inquieto de variar, seguido quiza
muy pronto de un arrepentimiento? Y luego se me occurre otra cosa, y
me digo: La vanidad y el deseo de figurar son los moviles que me
impiden retirarme de la politica parlamentaria ( los motivos que mi
razón me sugiere para permanecer en ella no son el bien publico y el
provecho de la religión, son el deseo de figurar en el mondo, de
pasar por orador y por sabio y de ocupar con mi persona a las gentes.
Como usted
ve" (108).
(Il manoscritto termina
così).
Non sappiamo quale sia
stata la risposta, ma queste parole sono sufficienti per farci
conoscere più da vicino l'uomo Donoso, un uomo a quanto pare
provvisto di salda integrità morale e di un'assoluta buona fede.
Sarà la situazione del
governo a forzargli la mano e a fargli salire ancora una volta la
tribuna. Il 25 dicembre 1850
così scriveva a Louis Veuillot: "Mon cher ami: Il se passe des
choses en Espagne qui m'obligent a vous écrire. Le Ministére actuel
nous méne a l'abìme" (109). Il
governo è corrotto dalla testa ai piedi e più corrotto di tutti è
il suo capo, Narvàez. Donoso gli ha dato tutto il suo appoggio,
credendo volesse davvero restaurare l'ordine morale e religioso.
Invece si è lasciato divorare dal marciume ed è divenuto esso
stesso propagatore di corruzione. Egli
non ha ascoltato gli avvertimenti di Donoso; il suo unico interesse
era diventare arbitro della situazione per meglio diffondere la
cancrena, "Tout l'or de l'Espagne ne lui suffit pas; il, ou pour
mieux dire son Chef, mange le patrimoine de la Reine, en échange de
ses complaissances, pour des faiblesses, qui ne sont pas
malhereusement un sécret pour l'Europe" (110).
I ministri sfoggiano
ricchezze inusitate, la stampa è imbavagliata, le Cortés sono piene
di ‘clientes’ di Narvàez. "Moi-meme
qui l’ai toujours soutenu, je ne suis deputé que parce qu'il lui
aurait fallu pour m'empecher de devenir deputé, mettre en prison
tous les électeurs de mon district, puisque je suis tou jours élu
par unanimité" (111). Narvaez, "le
grand corrupteur", è arrivato al punto di acquistare giornali
stranieri; molto probabilmente, aggiunge Donoso, la "Revue des
Deux Mondes" è sua. Prega quindi l'amico Veuillot di aprire una
campagna di stampa contro Nàrvàez con le notizie che Donoso man
mano gli invierà (111 bis). Ma la situazione non ammette ritardi: è
stato Donoso, sia pur indirettamente, a crearla, sarà lui a
risolverla.
Cinque giorni dopo Donoso
Cortés pronuncia al Parlamento spagnolo l'ultimo e più incisivo dei
suoi discorsi, il "Discurso sobre la Situacion de Espana".
8. Il "Discurso
sobre la Situacion de Espana".
Nel 1850 il governo
Narvaez si era consolidato grazie al prestigio del suo capo, alle
riforme agrarie e al soddisfacente stato delle sue relazioni
internazionali (112). Nell'ottobre le elezioni davano un nettissimo
trionfo ai moderati, tanto che il nuovo Parlamento veniva detto
"Congreso de familia" e i pochi deputati progressisti
eletti, "deputati consentiti". Ma all’attenzione del
nuovo Ministero si presenta un non indifferente deficit di 600
milioni. Il ministro della "Hacienda", Bravo Murillo (113),
vuole economie sui bilanci della Guerra, Marina e Governo. Inutile
dirsi che i titolari dei rispettivi portafogli siano di tutt'altro
parere. E' la crisi.
Dall'imbarazzo si esce
però subito: la Regina mantiene Narvaez al suo posto e toglie
l'incarico a Bravo Murillo con quanti erano d'accordo con lui. I
bilanci vengono presentati alle Cortés così come sono, ma Narvaez
ci rimette in popolarità.
Il 30 dicembre si alza a
parlare Donoso Cortés. Il discorso continua idealmente e conclude
quello precedente sull'Europa. Il Ministero si era dedicato
esclusivamente alla politica degli interessi materiali e Donoso lo
aveva attaccato. Ora il Ministero, lungi dal cambiare sistema, dalla
politica degli interessi materiali è passato a quella dei delitti
materiali : “(…) il Ministero ha portato il suo sistema a tal
punto di esagerazione, ed io credo questo punto di esagerazione così
funesto, che mi veggo nella necessità di scegliere tra la mia
coscienza e la mia amicizia, tra le mie proprie dottrine ed il
Ministero (…). Io non posso accusare i Ministeri passati, poiché
potrebbero rispondermi: - Noi siamo stati sotto la pressione
rivoluzionaria. - Io non posso accusare l'anarchia, perché la
rivoluzione mi risponderebbe: - Rovesciando io faccio il mio dovere,
- Ma io posso accusare ed io accuso il Ministero presente, perché
egli solo di tutti quelli che sono esistiti dopo il 1834, egli solo è
padrone assoluto e sovrano delle sue azioni. Io non posso accusare il
Ministero d'aver creata la situazione attuale. Come potrei? Questa
situazione esisteva, anche pria che egli esistesse, ma io l’accuso
perché egli la conserva, l'accuso perché l’aggrava" (114).
Il discorso è tutto una
critica serrata al liberalismo, ideologia incolore e debole proprio a
causa dell'empirismo e del pragmatismo su cui si appoggia. Donoso
scavalca la questione contingente dei bilanci e delle imposte. Non è
per questo che è venuto alle Cortés, ma per attaccare direttamente
la corruzione, i favoritismi, la ambizioni.
Tutti in Spagna, dice,
sembrano presi dalla brama di salire in alto, ma non per accettare le
responsabilità che le alte cariche comportano, bensì per godere
degli agi che le migliori posizioni implicano. I più formidabili
propagatori di corruzione sono sempre stati gli agenti del governo,
specialmente nelle province, dove si sono dedicati al commercio delle
coscienze. E quando i governi si sono dimostrati deboli, costoro sono
sempre stati i primi a passare dalla parte dell'insurrezione. Chi non
ha visto i 'pronunciamientos’ susseguirsi ininterrotti in Spagna?
Chi non ha visto la processione dei generali che andavano a bruciare
incenso sugli altari delle Giunte Rivoluzionarie?
La dinastia absburgica ha
dominato in Spagna occupandosi solo di questioni politiche e
religiose, trascurando i problemi amministrativi; ed è morta per
fame. La dinastia borbonica ha fatto il contrario, e sta morendo per
mano delle rivoluzioni. Che dire dell'attuale Ministero che fa
economie sulle spese del culto da un lato e dall'altro dilapida
patrimoni per costruire teatri? L'unica causa dell'arbitrarietà
ministeriale, afferma Donoso, è proprio il perno del sistema
parlamentare: il principio della responsabilità ministeriale. E'
un'affermazione gratuita? No, la mentalità di Donoso Cortés è
rigorosamente logica e non fa altro che andar deducendo conseguenze.
Se si dichiarano i
ministri responsabili di tutto quel che accade nel paese, questo vuol
dire che li si investe o li si deve investire di un potere assoluto.
E un potere perché sia assoluto non deve incontrare resistenze.
Esistevano un tempo, continua Donoso, le corporazioni e tutta una
serie di corpi intermedi provvisti di un minimo di autonomia, che
frapponevano una diga ad ogni eventuale dispotismo. Tutto questo è
stato dissolto. I ministri hanno in mano un gigantesco strumento di
corruzione; la nomina dei pubblici impiegati. La vita locale, la vita
municipale, la vita provinciale non esistono più, quindi, di
conseguenza: centralizzazione, centralizzazione a morte,
centralizzazione assoluta. Tutti gli affari devono affluire al
Ministero, tutto l'oro deve finire nelle sue Casse. Non si può
quindi accusare il Ministero di arbitrarietà invocando nello stesso
tempo il principio della responsabilità ministeriale, sotto pena di
essere inconseguenti. Nel caso invece si potesse, allora sarà lo
stesso Donoso a rivolgersi al Ministero, chiedendogli conto di tutto
(115).
E' in questo stesso
discorso che Donoso Cortés rompe totalmente col suo partito,
spingendo agli estremi la sua critica al liberalismo. Tocca infatti
il 'punctum dolens' dell'ideologia liberale, facendo notare come il
liberalismo economico conduca inesorabilmente all’antagonismo di
classe. "II socialismo deve la sua esistenza a un problema
insolubile, umanamente parlando. Egli si affatica di sapere qual sia
il mezzo di regolare nella società la distribuzione più equa delle
ricchezze; è questo il problema che nessun sistema d'economia
politica ha risolto. Il sistema degli economisti politici (sic) va a
terminare col monopolio per mezzo di restrizioni; il sistema degli
economisti liberali va a riuscire al monopolio stesso per la via
della libertà, e della libera concorrenza, che produce fatalmente e
inevitabilmente questo monopolio. In fine anche il sistema dei
comunisti termina col monopolio mediante la confisca universale e col
mettere tutta la ricchezza pubblica nelle mani dello Stato. Questo
problema intanto è stato risolto dal Cattolicismo" (116). Come
ha risolto il problema il Cattolicesimo? Colle istituzioni caritative
che ha disseminato nel mondo, diffondendo tra i ricchi lo spirito di
carità, infondendo il suo spirito nelle corporazioni di arti e
mestieri, raccomandando il giusto prezzo e combattendo l'avidità, lo
sfruttamento e l'usura. "Nella grande classe dei bisognosi vi ha
una zona superiore, una zona media, una zona infima (…).
L'aristocrazia della miseria è composta di agricoltori, la classe
media di artigiani, la plebe di mendicanti. Ebbene, la Chiesa (…)
agli agricoltori ha dato terre e li ha fatti proprietari, per gli
artigiani ha ricoperta la Europa di monumenti, per i mendicanti ha
avuto pane, e non ha lasciato persona morire di fame. (…) Coloro
che erano agricoltori tenevano le terre per un fitto minimo, ed erano
in realtà proprietari (…). E’ venuta la rivoluzione ed ha
rovesciato ogni cosa. Spogliata la Chiesa, il fitto della terra
aumenta; (…) così il moto ascensivo impresso dal Cattolicismo alle
classi povere fu cambiato dalla rivoluzione in una direzione
contraria in un moto d'abbassamento. Gli agricoltori aggravati
dall'enorme fitto che sono costretti a pagare discendono dalla classe
media negli operai; gli operai a loro volta risospinti dalla numerosa
concorrenza degli agricoltori che vengono ad aggiungersi ad essi
vanno incessantemente ad ingrossare la plebe dei mendicanti, i
mendicanti da ultimo finiscono i loro giorni nella miseria e nella
fame". Nessuna illusione: i poveri nel mondo ci sono sempre
stati e purtroppo sempre ci saranno, come rispose Gesù all’ipocrisia
di Giuda. Si può solo, e si deve, sollevarne il più possibile la
condizione; ma non con la violenza, che genera solo violenza. Le
classi devono essere armonizzate; quel che non ai era mai visto nella
storia è la lotta implacabile fra i due gruppi. "Oggi giorno le
cose presso di noi sono arrivate a tal punto, che la società, unita
per l'innalzamento in un legame santo e beato, trovasi divisa in due
classi, che possono chiamarsi l'una dei vinti e l'altra dei
vincitori. Quella che è stata favorita, dalla sorte ha per divisa -
tutto pe’ ricchi? -. Come volete, o signori, che questa tesi non
generi la sua antitesi, e che la classe dei vinti non gridi a suo
tempo in tuono di guerra - tutto pe’ poveri?". Questo è il
gran risultato del liberalismo e delle dottrine che l'hanno preceduto
e causato. Chi si opponeva a tutto questo? La Chiesa Cattolica. Ecco
perché è sempre stata il bersaglio preferito, il vero bersaglio
delle forze occulte della Rivoluzione (117).
Il pensiero di Donoso è
nel pieno della maturità. Tutto il processo storico padre del
presente è ora chiaro davanti ai suoi occhi. L'oratore estremegno si
rende conto che la sua non è una voce isolata, frutto di chissà
quale onirica mania di persecuzione: "Io non rappresento
solamente i due o trecento elettori del mio distretto né la nazione
solamente (…). Io rappresento la tradizione, per la quale le
nazioni sono quello che sono in tutta la durata de' secoli. Se la mia
voce, o signori, ha qualche autorità, non è già perché essa è
mia, ma perché è la voce dei padri vostri" (118).
Il voto delle Cortés fu
favorevole al governo perché, come avrà a dire in seguito lo stesso
Donoso, se gli applausi possono essere anonimi, il voto non lo è
(119). E di applausi e felicitazioni Donoao ne ebbe (119 bis), perché
l'effetto del discorso fu folgorante. All'uscire dall'aula Martinez
de la Rosa ebbe a dire a Narvaez: - La vittoria è rimasta a noi -.
Al che il generale replicò: - Ma sarete voi a sfruttarla, perché io
questa notte stessa presento le mie dimissioni alla Regina - (120).
Dieci giorni dopo la Regina accettava le dimissioni e il 10 gennaio
1851 Narvàez lasciava la Spagna per Parigi. Un attacco da Donoso
Cortés non se lo aspettava di certo.
Dove era finito l'uomo
delle "aristocracias legitimas, es decir inteligantes",
l'ideologo delle classi medie? Eccolo in una lettera a Mons. Gaume:
"Fate bene ad indirizzarvi al popolo (parlando) con preferenza
sulle classi medie. Incancrenite queste fin nel midollo delle ossa,
non le sveglieranno certamente gli opuscoli, ma le catastrofi"
(121).
- Così scriverà il 26 maggio 1846 a Montalembert: "la mia conversione ai buoni principi si deve, in primo luogo, alla misericordia divina, e poi allo studio profondo delle rivoluzioni ". In C. VALVERDE, op. cit., il, pagg, 327-328.
- K. SCHMITT. Op. cit., pag. 38
- J. DONOSO CORTÉS, II potere cristiano, op. cit., pag. 70
- Pare che Pedro Donoso Cortés fosse carlista,
- II potere cristiano, op. cit., pagg.71-72.
- C. VALVERDE” op. cit,. I, pag. 53. Santiago de Masarnau (1805-1882) era un musicista madrileno esiliato in Francia con la famiglia nel 1823 e stabilitesi a Corte al suo ritorno, avvenuto nel 1829. Fece frequenti viaggi all’estero. Personalità di rilievo nel mondo della musica, fu fondatore a Madrid di un Collegio equiparato alla Università. Forse Donoso lo aveva conosciuto tra il '40 e il '43 nel circolo di Ozanam.
- Bois-le-Comte, informa lo Schramm, scrisse una lettera sull'accaduto a M.me Cravens, ma prima di inviarla la sottopose a Donoso. Questi la approvò pregandolo soltanto, però, di mutare il nome 'Masarnau' in 'Don Manuel', Cit. da P, SUÀREZ. op. cit., pagg, 117-118
- C. VALVERDE. op. cit., I, pag. 54
- Erroneamente ne II potere eristiano, op, cit., si ritiene che 'M...' stia per 'Montalembert
- Ibidem, pagg. 70-71
- G. ALLEGRA, Nota Biografica all'op, cit., pagg. 39-40
- F. SUAREZ, op“ cit., pag. 122, Donoso era stato consacrato dalla madre all’atto della nascita, alla Vergine, che nel convento di Valle de la Serena si invocava sotto il nome di Nuestra Senora de la Salud.
- Ibidem
- R. DE LA CIERVA. op, cit., pag. 63
- Narvaez si permetterà persino il lusso di inviare una spedizione in Portogallo e un'altra in soccorso al Papa. In quest'ultimo caso, però, sarà napoleone III a ricevere gli allori, mentre le truppe spagnole, comandate dal generale Fernàndez de Cordoba, dovranno accontentarsi di azioni di fiancheggiamento e copertura. La spedizione sarà provocata da Donoso Cortés, dietro richiesta del Nunzio Apostolico, a lui personalmente rivolta.
- La politica di Pio IX aveva suscitato anche in Spagna una vasta reazione intellettuale. Le uniche due voci che si erano levate a difendere il Papa appartenevano a Jaime Balmes e Donoso Cortés
- C. VALVERDE. op. cit., II, pag, 195
- Ibidem, pag, 198,
- Ibidem, pag. 199
- Ibidem, pag, 203
- Ibidem, pag, 204
- Ibidem, pag, 215
- Ibidem, pag, 213
- Ibidem, pagg. 206-209
- G. ALLEGRA. Op. cit. pag. 47
- Nel luglio 1847 le truppe austriache avevano occupato la pontificia Ferrara. Nel settembre la Gran Bretagna, scavalcando le leggi che proibivano ogni relazione con la s. Sede, inviava Lord Minto a Hosaa, per indurre il Papa a scrollarsi di dosso l'influenza austriaca
- C. VALVERDE. op. cit., II, pag. 222
- A. SAITTA. Op. cit. pag. 194
- Palmerston, per tutta risposta, espulse Isturie, ambasciatore spagnolo a Londra, e cominciò a ‘far la corte' a Montemolin.
- P. SUÀREZ. op. cit. pag. 134
- K. SCHMITT, op. cit., pag. 30
- C. VALVERDE. op. cit., II, pag., 227.
- G. B. M, op. cit., pag. 279
- Ibidem, pag. 285.
- Ibidem, pag. 286
- II paradosso è tipicamente demaistriauo. Joseph De Maistre così vedeva il passaggio dallo stato di natura allo stato di società” "Allora l’immortale anonimo autore della prima mozione, ergendosi là sulla sua altura, propose a tutti gli uomini gli articoli fondamentali dell’associazione, che furono approvati, quasi senza opposizione, nel seguente ordine!
Art. 1. II giorno
dell’equinozio d’autunno dell’anno in corso, a mezzanotte in
punto, ora solare, cessa lo stato di natura ed ha inizio la società”
Art. 2. L’assemblea
riconosce che una sola è la specie umana; che tuttavia vi sono molte
nazioni in cui si divide l’uman genere.
Art. 3” II numero delle
nazioni è uguale a quello dei bacini e degli altipiani naturali
formati dai fiumi e dalle montagne,
Art. 4“ La sovranità è
divisibile, senza residui, per il numero delle nazioni.
Art. 5, La sovranità è
inalienabile, e ogni nazione la cede, per proprio comodo, a uno o più
delegati.
Art. 6, Tutti i membri di
una nazione riuniti in comitato generale ai impongono i divieti che
ritengono opportuni, pena le punizioni ritenute del caso, e, se si
disubbidiscono, possono perseguirsi e condannarsi a qualunque pena,
anche alla morte". In J.
DE MAISTRE. Cinque paradossi, Brescia,
1954, trad. di Aurelio Saffi, pagg. 16-17
- G.B.M., op. cit., pag. 290.
- C. VALVERDE. op. cit., II, pag, 272.
- G. B. M. Op. cit., pag. 292,
- C. VALVERDE. op, cit., II, pag. 278, nota.
- G. ALLEGRA, Nota Biografica all’op, cit., pag.40.
- Cit. da C. VALVERBE. op. cit., II, pag. 301, nota.
- Ibidem, pag. 302, Si riferisce alle spietate repressioni del generale Cavaignac
- Ibidem, pag. 234.
- "II portavoce dell'opposizione, Cortina, aveva formulato essenzialmente due obiezioni:
a) i pieni poteri erano
contrari al principio della legalità,
b) essi rappresentavano
un'inammissibile limitazione della libertà”
- Karl Schmitt, nato a Plettenberg in Westfalia nel 1888, insegnò in varie università tedesche. Sostenitore della Repubblica di Weimar, entrò nel 1933 nel partito nazional-socialista. Nel 1936 si ritirò dalla vita politica. Fu tra quelli che più studiarono il pensiero di Donoso Cortés. Per una più estesa trattazione del concetto di 'decisionismo', v. il suo La Dittatura, Bari 1975.
- DIEGO SEYILLA Andres , Donoso Cortés y la dictaciutra, in ARBOR 85, gennaio 1953
- EUGENIO VEGAS. Autoridad y libertad segùn Donoso Cortés, ibidem.
- ANGEL LOPEZ AMO. Pròlogo a K. SCHMITT, op, cit.
(49 - bis) Così
descriveva la Restaurazione Monaldo Leopardi nei suoi 'Dialoghetti
sulle materie correnti nell'anno 1831:
"EUROPA: Capisco bene
figliuola mia che voi non siete fatta per ragionare; ma vedo che
avete una compagna, si potrebbe parlare con quella?
FRANCIA! Come vi piace,
mammà, ma quella mia compagna è zoppa, e impedita di lingua; ha le
mani legate, non ha un vestito da mettersi addosso, non può guardare
né addietro, né avanti, insomma viene con me per esser il balocco
dei Francesi,
"EUROPA: Come si
chiama questa sventurata?
FRANCIA : Ristaurazione,"
In MONALDO LEOPARDI. Autobiografia e Dialoghetti, a cura di
Alessandra Briganti, Bologna 1972
- DONOSO CORTÉS. Il potere cristiano op. cit., pag. 35
- Ibidem, pag. 36
- Ibidem, pag. 39.
- Ibidem, pag, 42,
- Ibidem, pagg, 42-43
- Ibidem, pag. 49
- Ibidem.
- Ibidem, pag. 51
- Ibidem, pagg.53-54.
- Ibidem, pag, 55.
- Ibidem, pag, 57.
- Ibidem, pag. 58
- lettera del 26 maggio 1849, in G. B. M. op. cit. pag. 55.
- Ibidem.
- Ibidem.
- Ibidem, pag. 56
- Ibidem, pag. 57.
- C. VALVERDE. op. cit., IX, pag. 346.
- G. B. M,. op. cit., pag. 69.
- Ibidem, pag, 76.
- Ibidem, pag. 80.
- Ibidem, pag. 83
- Dispaccio del 7 marzo 1849, in C. VALVERDE, op, cit., II, pag. 352
- Lettera a Raczynski da Dresda, 3 settembre 1849, ibidem, pag. 937, Donoso si era spostato a Dresda per sfuggire all'epidemia di colera che imperversava a Berlino. II malsano clima tedesco fu forse causa della grave affezione cardiaca che doveva portarlo, di lì a pochi anni, alla tomba.
- Dispaccio del 22 aprile 1849, ibidem, pag, 386
- Lettera a Raczynski del 1° marzo 1849, ibidem pag. 919
- Dispaccio del 12 aprile 1849, ibidem, pag. 392
- Ibidem, pag. 377
- Dispaccio del 23 maggio 1849, ibidem, pagg. 404-405.
- Ibidem, pag. 404.
- Dispaccio del 1° maggio 1849, ibidem, pag. 393
- Lettera del 30 marzo 1849, ibidem, pag. 923
- Lettera del 23 agosto 1849, in J. DONOSO CORTÉS. Il potere cristiano, op, cit. pagg, 77-78.
- Ibidem, pag, 77
- Lettera del 17 settembre l849 ibidem pag. 73
- Lettera del 22 agosto 1849, in C. VALVERDE op. cit, II, pag. 933.
- Ibidem, pag. 934.
- E’ quel che in effetti accadde.
- Ibidem, pag. 933
- Lettera del 17 settembre 1849, ibidem, pag.937.
- Lettera del 13 agosto 1649, ibidem, pag. 932
- K. SCHMITT, op. cit., pagg. 84-85
- Ibidem” pag. 87
- J. DONOSO CORTÉS, II potere cristiano. Op. cit. pag. 85
- Ibidem, pag. 87
- Ibidem
- Il cardinale Giacomo Antonelli, Segretario di Stato dal 1849 al 1876, soleva dire: "Se per la speranza di salvarci incominciamo a cedere questo e poi quello, ci sarà chiesto sempre di più… e con tutto questo non ci salveremo". In A. FLICHE e V. MARTIN, Storia della Chiesa, vol. III, di Roger Aubert, a cura di G. Martina S.J., Torino 1964, pag. 138, nota,
- J. DONOSO CORTÉS, II potere cristiano. Op. cit. pag. 89
- Ibidem, pag, 90
- Ibidem, pagg. 96-97
- Ibidem, pag, 97.
- Ibidem, pag, 98
- K. MUTH, Donoso Corte a en Berlin, in K. SCHMTT, op, cit., pag, 108
- Francois Christophe Edmonde de Valmy, conservatore e nemico di Guizot. Aveva scritto "De la force et du droit de la force" e "Réponse a des questions que chacun se fait". Inviò a Donoso la prima opera
- J. DONOSO CORTÉS, II potere cristiano. Op. cit. pag. 106
- Su l’ "Ami de la Réligion", organo dei cattolici filo-liberali francesi, facenti capo al Vescovo di Orléans, Félix Dupanloup, era apparso un aricolo, "Del fatalismo fra i cristiani", contro Donoso Cortés e Veuillot, Donoso scrisse al direttore dell’Univers" 1’11 aprile 1850, chiarendo.
- G.B.M., op, cit., pag. 332.
(106/bis) - Il 3 marzo
1850 Donoso comunicava a Veuillot la sua intenzione di porsi al
lavoro dopo la Settimana Santa. La stesura fu completata in agosto.
In C. VAI.VERDE, op. cit., II, pag. 472.
- La minuta della lettera giace nell'archivio familiare dei Donoso, incompleta senza data. Ho stimato opportuno riportarla qui per intero, così com'è nell'edizione del Valverde.
- Ibidem, pagg. 477-478
- Ibidem, pag. 475,
- Ibidem.
- Ibidem, pag. 476.
(111/bis) Così
commentava Veuillot in alcune osservazioni preliminari al discorso
sulla Spagna, pubblicato il 12 gennaio 1851 sullo "Univers":"(..”)
e se non si sa cosa costano gli elogi di cui la stampa conservatrice
in Spagna e altrove circonda il Maresciallo Narvaez, si saprà almeno
ciò ch'essi valgono. II Maresciallo Narvàez avrebbe potuto salvare
la Spagna ma è desso che or la mena all'abisso. Ecco quello che può
la spada. Avviso a coloro che ripongono ogni loro confidenza nei
Cesari! "; in Saggio sul Cattolicismo, liberalismo, socialismo
di D. Cortés (sic), marchese di Valdegamas, pubblicato in Parigi nel
1851, prima traduzione italiana, Fuligno, tipografia Tomassini, 1852,
pag. 385. (D'ora in poi per comodità indicheremo l’opera
semplicemente con FULIGNO).
(112) - Era stato Narvàez
ad avviare le trattative con la S. Sede, trattative che culminarono
nella firma di un Concordato il 17 ottobre 1851. Grazie all'immediata
repressione dei moti in Spagna e all'intervento in difesa del Papa,
Nàrvàez si era anche guadagnato le simpatie delle potenze
assolutiste.
(113) - Juan Bravo Murillo
era il corrispondente di Narvaez sul piano civile. Vero e proprio
tecnocrate, il suo motto era: "La politica deve essere
sacrificata all'amministrazione"? cfr. R. DELA CIERVA, op. cit.,
pag. 66.
(114) FULIGNO, op, cit.
pag. 387.
(115) F. SUAREZ, op.
cit., pagg. 175-176
- FULIGNO, op. cit., pagg. 390 ss. Quando Donoso parla di "fitto minimo”, si riferisce al tributo della decima ed agli antichi diritti feudali detenuti dai contadini sulla terra. Per la migliore comprensione delle sintesi donosiane, che a prima vista possono sembrare superficiali e affrettate, occorre tenere presente che Donoso si riferisce costantemente ai princìpi, trascurando gli abusi di fatto che non di rado scaturivano dalla concreta applicazione degli istituti di cui fa menzione. Di fronte al coro delle proteste dei contemporanei, egli stesso sarà in seguito costretto a chiarire questo punto.
- M. FAGOAGA. op. cit., pag. 35”
(118) - FULIGNO. op. cit.,
pag. 411.
(119) - Così scrive
Donoso a Veuillot il 31 dicembre 1850: "La Camera, da parte sua,
applaudì unanime e varie volte quel che dicevo; ma quando arrivò il
momento di votare, Solo ventidue deputati votarono con me. In verità
gli applausi sono collettivi e, per questo, anonimi, e il voto è
personale e pubblico." "Soy vuestro en Nuestro Senor
Jesucristo, Valdegamas"; in O, VAI.VERDE. op. cit., II, pag.
498,
(119/bis) La Regina lo
propose per la carica di Consigliere Reale, ma Donoso coerentemente
rifiutò, adducendo il suo disaccordo col governo.
(120) F. SUAREZ. op.
cit.. pag. 179.
(121) - Lettera del 31
agosto 1850, in C. VALVERDE,
op. cit. II,
pag. 476
1. Il "profetismo"
di Donoso.
Donoso Cortés ha
quarantun anni ed è nel pieno della maturità. Il suo pensiero ha
percepito qualcosa che prima della conversione non aveva intravisto:
la connessione del soprannaturale e dell'umano. Donoso ha colto
l’esistenza di una realtà più profonda di quella che cade sotto
il dominio dei sensi. Il "profetismo" di Donoso, la sua
lungimiranza, la sicurezza con cui afferma o nega, traggono origine
da questa intuizione. Il suo sforzo è sempre stato diretto a
ricercare il senso nel quale la Storia scorre. La costante ricerca di
formule generali mostra la sua ansia di spiegare quel che accade in
ogni momento, mediante il rinvenimento delle radici da cui il fatto
contingente nasce.
Gli accadimenti umani sono
risultato di un processo unico e generale - la marcia della Storia -
che ha un'origine precisa e cammina in una certa direzione. Altri
all'epoca avevano fatto lo stesso, quantunque ciascuno avesse risolto
il problema a suo modo: Hegel, Saint Simon, Comte e più tardi Marx
(1). Nessuno di loro sfugge alla tentazione della "profezia".
Del resto è anche logico
che, posseduti due elementi del "senso della Storia"
(origine e direzione), si cerchi di dedurre il terzo, cioè il punto
di arrivo. Donoso sa che le dottrine a lui contemporanee prendono
l’avvio da un punto di partenza erroneo: la negazione del Peccato
Originale, l’unico principio quindi in cui la società ha fede è
la propria capacità di progresso. Gli stessi cattolici si sono
trasformati in gretti conservatori, nel senso che l'unica cosa che
riescono a realizzare è una passiva resistenza in nome di princìpi
che non hanno più chiari. Il loro Dio si è trasformato in uno
scipito filantropo intento più che altro alla contemplazione di sé
medesimo. Per una compiuta formulazione della dottrina sociale
cattolica bisognerà attendere Leone XIII.
E’ in questa luce che a
mio avviso vanno valutate le previsioni di Donoso Cortés. E in
questa luce cessano di essere "divinazioni" più o meno
fondate, più o meno astratte e velleitarie (2), come vorrebbe
Gabriele De Rosa nella peraltro preziosa antologia di scritti e
discorsi donosiani, della cui Introduzione il De Rosa è autore. Non
possiamo negare d'altro canto che gran parte delle sue "profezie"
si siano avverate, come quelle del Tocqueville, del quale tuttavia
nessuno si scandalizza. Quello che tramuta, in realtà, le diagnosi e
le conseguenti previsioni di Donoso in "profezie", è il
tono retorico, mirabolante, a volte apocalittico degli scritti e dei
discorsi dell'estremegno, cui non sono estranei la naturale
impetuosità del carattere e il gusto dell'epoca. Non dimentichiamo
che Donoso Cortés è uno spagnolo che si rivolge prevalentemente a
spagnoli, non correremo così il rischio di trascurare lo studio di
quel che dice, guardando troppo a come lo dice.
Sul "profetismo"
di Donoso molto si è scritto con opposte interpretazioni (i
cristiani sono pietre di scandalo e segno di contraddizione), ma la
disputa sull'argomento è cosa che esula dal presente lavoro, il
quale si propone soltanto di esporre il pensiero di Donoso Cortés
lungo l'arco della sua vita. La polemica, come si sarà senz'altro
notato, è appassionante e rischia di 'prendere la mano' anche allo
studioso più imparziale. Ne ho voluto dare un breve accenno solo per
amor di completezza.
2. L' "Ensayo
sobre el Catolicismo, el Liberalismo, y el Socialismo".
Pubblicato nel giugno
1851, il "Saggio sul Cattolicesimo, il Liberalismo e il
Socialismo” è l'opera maggiore di Donoso Cortés.
Già da tempo accarezzava
l'idea di scrivere qualcosa che fosse un po’ il compendio del suo
pensiero, come era venuto maturandosi nel corso degli anni. Nel
novembre 1849, di ritorno da Berlino, ne aveva parlato a Veuillot.
Questi aveva accettato l'idea con entusiasmo, anzi, voleva l'opera al
più presto per la sua "Bibliothéque Nouvelle". Fu per
l'esiguità del tempo a sua disposizione e per le esigenze della
collana che Donoso non poté scrivere i due o tre volumi che aveva in
mente, ma dovette limitarsi ad un solo saggio, diviso in tre parti.
Si può dire che Donoso Cortés cominciò a studiare a fondo il
socialismo (delle tre l’ideologia che conosceva meno) solo nel
1850. Del resto a quel tempo, del socialismo, solo la fase utopica
poteva dirsi conclusa. Di comunismo vero e proprio, poi, non se ne
poteva ancora parlare: "Il Capitale” sarebbe uscito quasi
vent'anni dopo e il pubblico conosceva di Marx tutt’al più il
"Manifesto" o la polemica con Proudhon. Forse è per questo
che la critica di Donoso si accentrò, nel "Saggio”, su
quest’ultimo in particolare modo; in Proudhon Donoso vedeva infatti
la punta estrema della Rivoluzione.
Conscio della sua
imperfetta preparazione teologica, inviava a Veuillot, nell'agosto
1850, affinché la sottoponesse ad un teologo, l'opera
frettolosamente redatta. Il manoscritto venne affidato a Melchior Du
Lac, dei benedettini di Solesmes. Seguendo puntualmente le
indicazioni del Du Lac, Donoso corresse i passi erronei e rinviò il
tutto a Veuillot nel marzo 1851. Tre mesi dopo l'opera usciva a
Madrid e a Parigi.
Nel "Saggio” Donoso
vede con nitidezza che comunismo e socialismo nascono dagli stessi
errori da cui ha tratto origine il liberalismo, con la differenza che
le prime due dottrine portano questi errori alle estreme conseguenze.
II socialismo è ateo perché non capisce cosa sia questo Dio dei
liberali che non si preoccupa di quel che ha creato: è più logico
dire che non esiste. Negato Dio, la diretta conseguenza è la
negazione di ogni autorità. Il liberalismo si limita a trasformare
le forme politiche, mentre intento del socialismo è la
trasformazione radicale della società, passando da un'anarchia
individualista a un panteismo religioso, politico e sociale. L'ultimo
passo lo compie il comunismo richiedendo un dispotismo totale, cosa
che sarà realizzata tramite la confisca di tutte le libertà a
vantaggio dello Stato. La causa di tutto è da ricercarsi
nell'abbandono dei principi cristiani da parte dell'umanità.
L'idea fondamentale
dell'opera è in ultima analisi questa: esiste un ordine universale e
necessario; il fondamento e la ragione di questo ordine è Dio
medesimo, causa prima e fine ultimo di tutte le cose. Come Dio è uno
e vario, così la creazione, fatta ad immagine di Lui, è una e
varia; questo concetto è condensato nella parola 'universo'. Come
nella Trinità il Figlio procede dal Padre e lo Spirito Santo da
ambedue, così Eva procede da Adamo e Abele è da loro generato (3).
La cellula della società è quindi la famiglia, che il cristianesimo
ha affrancato dalla tirannia pagana, permeandola d'amore. "Quando
la civiltà cattolica declina e entra in fase di decadenza, comincia
subito a decadere la famiglia, la cui solidità si intacca, si
disgregano i suoi elementi, tutti i suoi legami si allentano".
"II padre e la madre, fra i quali Iddio non ha posto altra
barriera all’infuori dell'amore, pongono fra di loro la barriera di
un rigido cerimoniale, mentre una familiarità sacrilega elimina la
distanza che Dio ha stabilito tra i genitori e i figli, abbattendo la
barriera della riverenza” Allora la famiglia, svilita e profanata,
si disperde, e finisce col "dissolversi nella vita dei clubs e
delle bische" (4). Il socialismo, col suo esasperato
egualitarismo, dissolve la famiglia; la soppressione di questa porta,
di lì a poco, a quella della proprietà, e quando non c'è proprietà
solo lo Stato è padrone di tutto. I gruppi di famiglie, continua
Donoso, si raggruppano secondo la loro origine in municipi, e questi
in nazioni; la nazione è simboleggiata dal Trono e personificata nel
Re; i Re sono fratelli nel seno della Chiesa, madre di tutti. Ma se
gli uomini sono tutti eguali - dice il socialismo - è assurdo
dividerli in gruppi, siano essi famiglie, municipi o nazioni. Visto
poi che se l'uomo è transitorio la terra non lo è, è assurdo che
questa cada in possesso dell'uomo individualmente preso. Lo Stato,
essendo perpetuo per natura, ha tutti i titoli per essere
proprietario.
La Chiesa ha liberato il
mondo dalla tirannia pagana e prodotto la fioritura delle arti e
delle scienze.
Questo è stato ottenuto
specialmente con la predicazione dell'umiltà, la sola virtù che
tiene a freno l'orgoglio cieco e distruttore, rendendo gli uomini
onesti. II cristianesimo, "al contrario delle rivoluzioni, che
cominciano con lo scrivere le tavole dei diritti, ha scritto per
tutti il codice dei doveri" (5). Da un'obbedienza forzata resa
al tiranno, l'uomo è passato ad un'obbedienza accettata, resa al
sovrano legittimo, perché la Chiesa ha insegnato che l'autorità
legittima viene da Dio; se così non fosse, perché mai l’uomo
dovrebbe obbedire ad un altro uomo? (6). "Due cose sono
assolutamente impossibili in una società veramente cattolica: il
dispotismo e le rivoluzioni" (7). L'ordine cattolico è stato
conservato grazie all'intransigenza dottrinale della Chiesa, che così
ha tenuto a bada le forze del caos (8). Ma venne Lutero a introdurre
il libero esame, padre di ogni scetticismo, e la teoria dell'assoluta
corruzione dell'uomo. Nel clima propizio del Rinascimento, la
Rivoluzione anticattolica si dette le fondamenta. Abbandonato
l'equilibrio cattolico, il mondo ha proceduto così, per così dire,
a zig-zag, passando da uno squilibrio allo squilibrio opposto, fino
alle ultime manifestazioni della Rivoluzione: il liberalismo e il
socialismo. La Rivoluzione non può essere divina perché è il
Disordine: essa è quindi satanica (9).
Spiega Valverde: "Per
questa visione profonda e metafisica si può dire (di Donoso) che il
suo pensiero controrivoluzionario non si diriga tanto contro le
rivoluzioni, quanto contro la Rivoluzione. Cioè, ciò che è
veramente pericoloso non sono i movimenti superficiali e passeggeri
della società. Per Donoso, la Rivoluzione è lo spirito del male
latente in tutti questi, anche dopo che alla superficie è tornata la
calma" (10).
Il punto di divergenza tra
il Cattolicesimo e tutte le altre dottrine è il Peccato Originale.
Soltanto ammettendone l'esistenza trova un senso il concetto di
libero arbitrio: l'uomo è imperfetto, quindi può fare il male, o
meglio, può scegliere tra bene e male. Ammettere con Lutero che
l'uomo è completamente corrotto equivale a dire che non è libero,
perché la possibilità di fare il bene gli è preclusa; si rende
quindi necessario il dispotismo. Ammettendo con Rousseau che l'uomo è
buono per natura si è costretti parimenti a negare la sua libertà,
dando per altro ragione ai socialisti, i quali affermano che il male
risiede nella società. Da qui deriva la necessità delle
rivoluzioni, affrancatrici dell'uomo da ogni vincolo sociale teso a
limitarne il libero sviluppo delle potenzialità (10 bis).
Il liberalismo, posto tra
affermazioni cattoliche e negazioni socialiste, è costretto ad ogni
sorta di equilibrismi per sopravvivere (11). Cos'è, dice Donoso,
questo deismo liberale secondo cui Dio è "sovranità
costituente" ma non "attuale" ? Chi sono poi questi
sapientissimi filosofi che, grazie alla loro intelligenza, hanno
diritto al dominio e sono depositari del potere? L’arma maggiore
del liberalismo è la discussione. Ebbene, la discussione è assurda.
Perché? Perché se si ammette che l'umano intendimento è fallibile,
ogni discussione conduce all'errore. Se si ammette invece che esso è
infallibile, ne deriva necessariamente che la verità risiede in
tutti gli uomini; la discussione quindi non ha senso (11 bis). In
realtà lo spirito di transazione e compromesso, tipico del
liberalismo, è solo un mezzo per difendere acquisiti interessi di
classe (12). "Dietro i sofismi vengono le rivoluzioni, dopo i
sofisti è il turno del boia" (12 bis). Ecco come Donoso vede i
sofisti:
"Voi che aspirate a
soggiogare le genti, a dominare il mondo, a esercitare un dominio
sulla ragione umana, non dichiaratevi depositari di verità
chiarissime ed evidenti, e soprattutto non riferite - nel caso che ne
abbiate - le vostre prove, perché il mondo non vi riconoscerà mai
come padroni, piuttosto si ribellerà al giogo brutale della vostra
evidenza. Annunciate invece di essere in possesso di un argomento che
annulla qualsiasi verità matematica; dimostrate che due più due non
fa quattro ma cinque; che Dio non esiste o che l'uomo è Dio; che il
mondo fino ad ora è stato schiavo di vergognose superstizioni; che
la saggezza dei secoli non è che pura ignoranza; che ogni
rivelazione è menzogna; dimostrate che qualsiasi forma di governo è
una tirannia e qualsiasi forma di obbedienza è schiavitù; (…) che
il mondo che abitiamo è un inferno presente e un paradiso futuro;
dimostrate che la libertà, l'uguaglianza, la fraternità sono dogmi
incompatibili con la superstizione cristiana; che il furto è un
diritto e che la proprietà è un furto; (…). Se al buonsenso, di
cui avete dato saggia prova, promettendo la dimostrazione di tutte
queste cose, aggiungerete il buonsenso di non dimostrarle affatto, o
se offrirete, quale unica dimostrazione delle vostre bestemmie e
delle vostre affermazioni, le vostre stesse bestemmie e le vostre
stesse affermazioni, allora il genere umano vi innalzerà alle
stelle" (13).
La Chiesa Cattolica,
continua Donoso, ha costruito un ordine mirabile, lasciando intatte
le forme, ma mutando l'essenza del mondo. La varietà rimase, ma la
essenza fu una, tant'è vero che la civiltà si chiamò cristiana
(14). La struttura della Chiesa è una e varia, in quanto monarchica,
aristocratica e democratica allo stesso tempo. Queste diverse forme
negli altri ordinamenti sarebbero fra loro incompatibili (15). La
Chiesa è stata accusata di negare ogni valore alla ragione umana;
basta leggere S. Tommaso per rendersi conto dell'assurdità di ogni
accusa. In realtà chi si condanna all'assurdo è chi pretende di
spiegare verità poste fuori dell'ordine naturale senza l'ausilio
della fede. Così, da un lato, i razionalisti; peggio, dall'altro, il
"manicheismo proudhoniano": "(…) quando il cittadino
Proudhon chiama bene il male e male il bene, non dice una cosa
assurda; l'assurdo richiede maggiore ingegno; dice soltanto una
buffonata" (16).
Il liberalismo è
"impotente per il bene perché manca di affermazioni dogmatiche,
e per il male perché ha orrore di ogni negazione intrepida e
assoluta"; vedrà "la propria nave infrangersi sugli scogli
socialisti", perché il socialismo "è di gran lunga più
coerente del liberalismo, anzitutto perché affronta decisamente
tutti i grandi problemi e tutte le questioni fondamentali e poi
perché propone sempre una soluzione perentoria e decisiva. Il
socialismo è forte perché è una teologia" e "prevarrà
sul liberalismo". "I capiscuola del socialismo sono
sostanzialmente d'accordo con quanto noi stiamo sostenendo: per
averne la prova basti pensare che riservano tutto il loro odio per il
cattolicesimo, mentre si limitano a guardare con disprezzo i
liberali" (17).
Il cattolico ripudia la
discussione perché Eva si perdette per aver accettato il 'dialogo’
col Serpente, e Cristo rifiutò nel deserto il 'libero dibattito' con
Satana (18); il socialista agisce molto e discute poco.
Il liberalismo, scegliendo
per sé una regione crepuscolare, posta tra la luce e le tenebre, "si
è assunto il compito di governare senza Dio e senza popolo. Impresa
bizzarra e impossibile! I suoi giorni sono contati, perché da un
lato dell'orizzonte si affaccia Dio e dall'altro si leva il popolo,
nessuno più lo troverà nel giorno tremendo della battaglia che
opporrà le falangi del cattolicesimo a quelle del socialismo"
(19).
Il Cattolicesimo ovvia al
problema del male attraverso l'ascesi cristiana; essere buono per
l'uomo è indubbiamente più difficile che essere cattivo, perché
deve lottare contro sé stesso; ma una volta compiuta la riforma
interiore, il problema della forma del governo o della struttura
della società è di facile soluzione. II socialismo nega la
necessità della lotta fra lo spirito e la carne, in quanto, essendo
l'uomo buono per natura, sono buone anche le sue passioni. Proclamata
la pacificazione fra spirito e carne, immediata conseguenza è la
pacificazione universale; da qui il panteismo socialista e
l'aspirazione al dispotismo ideale (20).
Ogni sistema penale perde
così senso: compito del socialista è abbatterne le strutture per
realizzare il paradiso in terra. Alla scuola socialista Donoso pone,
però, un dilemma: se il male è l'essenza della società, è
necessario distruggere la società di sana pianta. Se è invece
accidentale, da dove proviene? (21). Il dogma dell'immacolata
concezione dell'uomo rifiuta poi l'accettazione della realtà
dolorosa in cui si vive. L'uomo, "per poco che rifletta, sente
che passato, presente e futuro sono tutto, ma che il tutto è nulla:
il passato è passato, il presente sta passando, il futuro non è"
(22). Si viene a negare così la possibilità del riscatto della
natura umana attraverso il dolore.
"Il violento nella
sofferenza si sente più incline alla compassione, l'altero si sente
più umile, il dissoluto più casto, il feroce più buono, il debole
più forte. Dalla fucina del dolore tutti escono migliori, spesso con
virtù altissime mai sospettate: gli empi possono uscirne religiosi,
gli avari generosi, chi non ha mai pianto impara il segreto delle
lacrime, chi è insensibile diventa misericordioso".
La via del piacere è
invece in discesa: "L’eroismo diventa viltà; l'abitudine a
cedere fa perdere lo stesso ricordo dello sforzo, e la frequenza
delle cadute finisce col cancellare la facoltà di risollevarsi. Il
piacere fa perdere la vitalità e l'energia alle potenze dell'anima,
e l'agilità e la forza ai muscoli del corpo" (23).
L'accettazione volontaria del dolore trasforma l'uomo in eroe, l'eroe
in santo.
Negando infine il dolore
come mezzo di espiazione, si deve negare ogni struttura penale
repressiva, detentiva o corporale e la pena di morte a maggior
ragione; così, per essere conseguenti, si deve negare ogni valore al
Sacrificio della Croce. Che senso ha, allora, affermare che "Cristo
è il primo socialista'' ? (24). Ancora: il trittico libertà,
eguaglianza, fraternità, avulso dal dogma cattolico che lo spiega,
richiede un atto di fede inconcepibile in chi nel valore della fede
non crede. Né 1'osservazione della Storia è di giovamento alcuno se
pensiamo alla millenaria divisione del genere umano in caste, alla
schiavitù, alle stragi, al fatto che i popoli "civili"
chiamavano "barbari" tutti gli altri. Se la ragione in
questo caso non spiega, se la fede è superstizione, donde traggono i
filosofi tale affermazione di principi? (25). Per combattere il
Cattolicesimo, sintesi che tutto abbraccia e tutto spiega, è
necessaria un'opposta grande sintesi che abbia la stessa ampiezza
(26). Non si può negare un solo dogma cattolico senza essere
costretti a negare tutti gli altri e, viceversa, l'affermazione di
uno di essi trae seco 1'affermazione dei rimanenti (27). L'uomo,
conclude Donoso, pur avendo portato il disordine in ogni cosa, non
può concepire il disordine, tant'è vero che ogni corrente
rivoluzionaria si autoproclama instauratrice di un ordine nuovo (28).
Questo il "Saggio",
nelle sue linee essenziali; gli ultimi capitoli sono intrisi d'un
misticismo che richiama alla memoria il primo Chateaubriand. Se la
opera è piena di citazioni proudhoniane è perché Proudhon, per
Donoso, è la personificazione, "la conseguenza di tutte le idee
strane, di tutti i principi contraddittori, di tutte le premesse
assurde che il razionalismo moderno va escogitando da tre secoli a
questa parte" (29).
Il "Saggio",
sebbene sia l'opera maggiore di Donoso Cortés, nulla aggiunge al suo
pensiero, così come lo abbiamo visto maturarsi negli ultimi anni
della sua vita. Dal punto di vista del contenuto polemico, va detto
che Donoso dimostra maggior vigore nelle brevi frecciate delle
lettere o delle opere minori; nel "Saggio" rimane quel che
è, un "gran poeta en prosa" (30). Bellissime sono le
pagine in cui più ferve la spiritualità, ma per il resto il filo
rischia di perdersi nella polemica con Proudlhon. Dal punto di vista
teologico l'opera rimane nell'ambito della stretta ortodossia, anche
se l'occhio pignolo vi può trovare non poche ambiguità. Del
resto il Du Lac l'aveva avvertito: "(…) l'auteur, il est vrai,
prend les mots 'vision', 'science', 'foi', dans un sens plus general
que le sens ordinaire et consacré; mais la masse des lecteure n'est
pas avertie; la pensée da M. Donoso Cortés ne sera pas comprise? on
l'accusera (…) de supprimer toute distinction entre la foi et la
raison, entre l'ordre naturel et l'ordre surnaturel" (31). E
così infatti avverrà puntualmente.
L'indiscutibile valore del
"Saggio" consiste nell’avere attaccato il liberalismo fin
nelle sue estreme conseguenze, cosa che nessun contemporaneo aveva
fatto; questo rendeva l’opera "più che un esemplare di
letteratura reazionaria, una testimonianza inattesa in una stagione
particolarmente ostile" (32).
3. Ambasciatore a
Parigi.
Nel febbraio 1851 Donoso
Cortés viene inviato come plenipotenziario a Parigi, la cancelleria
più importante d’Europa, da Bravo Murillo, succeduto a Narvaez. La
sua fama di oratore lo precede e quando nel giugno esce il "Saggio”,
la sensazione è grandissima:
"L'Univers”, Le
Messager de l’Assemblèe', "La Gazette de France",
"L'Assesmblèe Nationale" riportano interi brani
dell’opera, con parole di elogio. A Parigi il suo nome è sulla
bocca di tutti, gli basta presentarsi semplicemente come Donoso
Cortés per vedersi spalancare le porte dei salotti più eleganti del
mondo (33). Ma questo accade ad un uomo che, se un tempo fu forse
ambizioso, oggi chiede per la sua persona solo il silenzio; le sue
idee siano gridate ad alta voce e dappertutto: è in ballo l’onore
di Dio, ma il marchese di Valdegamas cerca rifugio nell'umiltà.
Prima che uscisse il
"Saggio", così aveva scritto a Veuillot: "Lei mi
chiede dei dati per una notizia biografica, ed io la supplico di
dispensarmi dalla obbedienza in questa occasione. Il pubblico la
esige: ragione di più per negargliela. Oggi è di moda mettersi in
evidenza, la qual cosa a me sembra oltremodo ridicola, tanto più
quando in vetrina debba mettersi una persona, meschina come me"
(34). Ma non tutta la stampa ha elogi per Donoso. La "Revue des
deux mondes", per esempio, lo attacca in modo piuttosto
violento.
Così si lamenta Donoso
con Gabino TeJado: "Dio santo? Ma chi mai odiano costoro? Essi
odiano un uomo che mai ha fatto male ad alcuno neppure ai suoi
nemici; un uomo che non ha voluto essere Ministro per non fare ad
alcuno neppure quel male che in quelli che governano è molte fiate
doveroso ed obbligatorio; un uomo che né essendo all'opposizione, né
essendo ministeriale, non profferì mai alcuna offesa personale, Dio
li perdoni! Se mi assaliscono non mi difenderò. La mia vita è
troppo povera perché io debba difenderla" (35). "(…)
prego i miei amici a rispettare la mia volontà su questo punto e a
non reclamare per sé un diritto che io medesimo abbandono, cioè
quello di difendere il mio nome e la mia persona, mentre per l’uno
dimando dimenticanza, per l'altra, oblio e riposo" (36). Ma la
divulgazione del "Saggio" procede sempre più e dopo gli
elogi è il turno delle polemiche, cosa del resto che Donoso Cortés
aveva lucidamente previsto (37). "Vedo che è successo col mio
libro quel che io predissi" (38), scrive il 15 giugno a Gabino
Tejado. Era possibile d'altro canto farsi illusioni? (38 bis). "Il
caso si riduce a quanto segue: voi incontrate uno per la via e gli
dite: - Siete bruttissimo -. Ora vi chiedo: costui vi ringrazierà e
dirà che siete bello voi? Pazzia sarebbe il pensarlo. Ebbene, fate
voi conto. Io dico ai liberali: - Siete bruttissimi -. Come diavolo
credete che lo sopportino e che mi dicano grazie per giunta? Questo
naturalmente, come vedete, non prova altro che io ho posto il dito
dove dovevo porlo, Pur tuttavia devo confessare che il mio libro è
uscito alla luce anzitempo, è uscito prima, e doveva uscire dopo 'il
diluvio'. Nel 'diluvio' affogheranno tutti meno io, cioè le dottrine
di tutti meno le mie. La mia grand'epoca non è arrivata, ma sta
arrivando. Vedrete allora che naufragio, e come tutti i naufraghi
cercheranno rifugio nel porto. Anche se potrebbe ben succedere (cose
come queste si sono viste) che neanche così lo cercheranno,
preferendo il mare salato. Ognuno ha i suoi gusti, e i gusti non si
discutono" (39). Se in Francia l'ammirazione ha superato la
critica, questo è da attribuirsi al fatto che i francesi, più di
ogni altro, sanno cos'è un 'diluvio' (40).
La situazione però, va
detto, è paradossale: un antiliberale ed antirepubblicano convinto,
inviato da una Regina liberale ad una Repubblica, riceve ovazioni
calorose dal popolo più rivoluzionario del mondo. Ma la
contraddizione è solo apparente; il destino di Donoso Cortés è
quello di ricevere tanti applausi, ma nessun voto a favore. "Sono
stanchissimo e stufatissimo di tutto; siccome, d'altro canto ho la
sicurezza che tutto andrà al diavolo, non sarebbe strano che me ne
stessi in casa mia per vedere dall’interno della nostra provincia
come si fracassa la nave; lottare, e lottare senza speranza, è duro"
(41).
La stanchezza di Donoso
non è dovuta soltanto alla lotta impari che è costretto a
sostenere; in fondo è "hombre de lucha", uomo di lotta,
come lo definisce Suarez (42). II fatto è che la piega ascetica che
ha preso la sua vita fin dalla conversione, spirituale e
intellettuale, al cattolicesimo, mal si concilia con la professione
di ambasciatore nella Parigi dei salotti e dei ricevimenti, in un
ambiente mondano che, tra una rivoluzione e l'altra, trovava sempre
il tempo per applaudire al Vaudeville M.me Doche ne "La signora
delle camelie".
Un giorno, incontrando
sulle scale della Cancelleria l'ambasciatore austriaco conte Hùbner,
così avrà a dire col suo accento spagnolo e lanciando un sospiro:
"Quando morrò, San Pietro mi chiederà” - Donoso Cortés,
marchese di Valdegamas, cosa hai fatto? Ed io risponderò: " Ho
fatto visite" (43).
4. Una lettera a Maria
Cristina.
II 26 novembre 1851 Donoso
Cortés scrive a Maria Cristina su un tema molto delicato. l'ingiusta
distribuzione delle ricchezze, causa di prim'ordine negli
sconvolgimenti cui il secolo assiste. "Oggi si tratta solo di
distribuire convenientemente la ricchezza, che è molto mal
distribuita. Questa, Signora, è l'unica questione che oggi si agita
nel mondo. Se i governanti non la risolvono, ci penserà il
socialismo e la risolverà mettendo a sacco le nazioni (43 bis). In
verità la lettera è rivolta a Isabella, perché prende spunto dai
festeggiamenti che in Spagna si preparano per l'imminente nascita
dell'erede al trono (44).
Come mai, allora,
l'erronea intestazione? La cosa sembra doversi attribuire a Gabino
Tejado, che già più di una volta, nel riordinare le carte di Donoso
per pubblicarle, aveva tentato di ricostruirne il pensiero, 'cucendo'
assieme brani di scritti diversi.
La lettera, sia pure con
delicatezza e discrezione, è una vera e propria accusa alle classi
abbienti, che nel loro egoismo brutale accumulano ricchezze e gettano
nella disperazione i diseredati, rendendoli facile preda dei
demagoghi. "Questa malattia, che è contagiosa, epidemica,
unica, si compendia nella sollevazione universale di coloro che
soffrono la fame contro i ricchi. Se si arriverà ad un conflitto,
V.M. non potrà aver dubbi sull'esito, ove consideri da una parte il
numero degli affamati, e dall'altra quello degli abbienti. Poveri e
ricchi sono sempre esistiti nel mondo; ma finora non v'era mai stata
una simile guerra, universale e simultanea dei poveri contro i
ricchi" (45). Se i poveri hanno perso la pazienza, è perché i
ricchi hanno perso la carità. L'esempio deve venire dal Trono e
l'occasione può essere la nascita dell'erede: "Io chiedo che
non ci siano feste; o, se debbono esserci, siano poche ed
esclusivamente per i poveri; che invece di grandi e costosi
ricevimenti per i ricchi, si facciano grandi elemosine, più grandi
di quelle che furono elargite nei tempi passati, e più generose di
quelle che si è stabilito di dare per seguire la tradizione, in
favore dei bisognosi" (46).
E' una soluzione
paternalistica? Un ripiego per rifare una 'verginità sociale' alla
Monarchia? No: "la Monarchia non si salverà con l'essere
splendida e generosa coi poveri in una occasione solenne; i ricchi
non perderanno di colpo il loro egoismo perché la Regina da loro
l'esempio di una grandiosa munificenza in un giorno memorabile, tutta
l'importanza di questo magnifico esempio è che esso divenga un punto
di partenza per una nuova epoca sociale e per un nuovo sistema di
governo" (47). Lo spirito cattolico è stato allontanato dalla
legislazione politica e economica. Tutte le grandi istituzioni del
Cattolicesimo sono lentamente venute meno, una dopo l'altra;
l’esempio del trono sia l'avvio alla completa restaurazione di
esse. La società perisce perché ha tolto alla Chiesa il diritto di
insegnare alle genti, per darlo a "un branco di oscuri
giornalisti e di ignorantissimi ciarlatani". Il ministero della
parola, il più augusto e invincibile tra tutti, che ha conquistato
la terra, è divenuto fonte di distruzione (48). La rivoluzione è
stata fatta dai ricchi, per i ricchi, e contro i Re e i poveri. I
poveri sono stati relegati, per mezzo del censo, in una specie di
limbo sociale; del pari, per mezzo delle prerogative parlamentari,
sono state usurpate le prerogative della Corona. Forti di questa
inespugnabile posizione, i borghesi hanno spogliato la Chiesa e si
sono divisi il bottino, "vale a dire che, dopo aver reclamato il
potere esclusivamente per sé in qualità di ricchi, hanno fatto in
qualità di legislatori una legge che raddoppi la loro ricchezza"
(49).
L'abile lettera è una
velata accusa a Maria Cristina. Non è forse per sua mano che la
rivoluzione è penetrata in Spagna? La febbre degli interessi
materiali si è impadronita anche della Corte, ogni giorno sull'orlo
dello scandalo per via di certe speculazioni cui non sono estranee
madre e figlia. Se si vuol fermare il socialismo è necessario
rinnovarsi di sana pianta. Si ritiene che in Spagna non vi siano
socialisti. Questo è errato: "Perché in Spagna non vi fossero
socialisti sarebbe necessario che le medesime cause non producessero
gli stessi effetti e che il socialismo non fosse una malattia
contagiosa; sarebbe necessario, soprattutto, che la Spagna non fosse
una società cattolica, perché il socialismo è un male che
aggredisce inesorabilmente, e per un alto disegno di Dio, ogni
società che essendo stata cattolica ha cessato di esserlo"
(50). Che un Ministero permanga o cada, che comandi il partito
puritano o il conservatore, che il nome di qualcuno risplenda o si
eclissi, che un generale
sguaini la spada o la
rinfoderi, che in questa lotta di Ministeri la fortuna sia per gli
uni o per gli altri, tutto ciò non serve che a far cadere l'edificio
con maggior fracasso e ignominia: Dio ha fatto le nazioni curabili,
ma non sono gli intrighi, bensì i princìpi, quelli che hanno la
divina virtù di curare le nazioni inferme (51).
Donoso non si aspetta
alcun risultato concreto da questa lettera; da come si sono messe le
cose, un rinnovamento per la Spagna dovrebbe voler dire un cambio di
dinastia. Scrive più che altro per mettere in pace la sua coscienza
e riparare, per quel che è ormai possibile, alla parte di colpa che
hanno avuto i suoi anni giovanili. Niente più sofismi e slanci
retorici nelle sue parole, bensì un tono pacato ma fermo; anni di
lotta e di delusioni gli hanno insegnato a pronunciare in modo
delicato verità ostiche anche ai re.
5. Donoso Cortés e
Luigi Napoleone.
Il 27 marzo 1851 Donoso
presenta le sue credenziali al presidente Luigi Napoleone. E’ la
prima volta che si vedono faccia a faccia; la stima nasce reciproca:
Donoso vede in Napoleone un uomo che sa governare una democrazia con
piglio autocratico, il secondo crede di avere innanzi chi fornisce le
basi teoriche ai colpi di mano cesaristi (52).
A Donoso bastano pochi
mesi di permanenza a Parigi per rendersi conto dello stato della
Francia. Ci potranno essere in futuro restaurazioni effimere, dice,
forse anche l'Impero, ma sarà solo l'ombra di un Impero, perché il
paese non si libererà mai della forma repubblicana (53). "In
quanto ai Borbone, verranno da soli e nell'ora fissata dalla
Provvidenza" (54). Prima o poi succederà qualcosa di grosso, in
un senso o nell'altro, ed entro l'anno (55) (…) gli operai mancano
di lavoro e dimandano stretto conto a questa società colpevole, che
avendo pervertito tutte le loro idee senza migliorarne la condizione
materiale, dopo averli lasciati senza Dio, li lascia senza pane"
(56). I partiti in cui è divisa l'Assemblea vanno infiacchendosi,
dietro di essi spunta l'ombra delle moltitudini affamate che ancora
non conoscono 1'enorme potere di cui dispongono: la teoria del
suffragio universale. Giorno verrà, predice Donoso, in cui vorranno
ubbidire solo alla propria volontà e faranno "ciò che hanno
sempre fatto tutte le volte che hanno invaso i campi della storia,
vale a dire crearsi da sé medesimi tiranni effimeri, porre sugli
altari idoli che vi restano solo un'ora, idoli che escono dal nulla,
per addivenire tutto, e che ben tosto ritornano nel nulla" (57).
Il colpo di stato del 2
dicembre è da Donoso previsto e approvato fin dal primo momento
(59). Così scrive a Raczynski il 9 maggio: "Siate certo di un
colpo di Stato (…), poi vedrete l'Assemblea abbracciare gli stivali
del vincitore" (59).
La stima di Luigi
Napoleone per Donoso Cortés aumenta sempre più. "Grazie a
Dio", avrà a dirgli, "incontro un uomo, e costui
straniero, che è più informato dei francesi sullo stato della
Francia. Sono d'accordo con voi in tutto e per tutto" (60). Come
previsto (e consigliato) da Donoso, l'Assemblea viene sciolta e il
suffragio universale ripristinato. Per prevedere l'avvento
dell'Impero ci vuol poco: basta conoscere un po’ la personalità di
Luigi Napoleone. Donoso conosce il fatalismo superstizioso del
presidente e sa che il 2 dicembre è l'anniversario della battaglia
di Austerlitz e dell'incoronazione di Napoleone I. Ma non si fa
eccessive illusioni sul 'come' sarà l'Impero: "Luigi Napoleone,
essendo dittatore, non restaurerebbe la monarchia, ma l'Impero, il
che è molto differente, poiché la monarchia è la rivoluzione
vinta, l'Impero è stato e sarà la rivoluzione coronata" (62).
La situazione internazionale, peraltro, dopo la morte di
Schwarzenberg, non è molto felice per la Francia (63); Luigi
Napoleone "è deciso tuttavia, e ad ogni costo, a essere
imperatore". "Tale accadimento sarà, ben ricevuto in
Francia, quantunque mal visto dall'Europa, (…) (Egli) è, tuttavia,
spinto dal suo destino, che è attraversarle (le frontiere) un
giorno, chiamare la rivoluzione e soccombere miseramente in un'altra
Waterloo, o, per meglio esprimere il mio pensiero, in una nuova
battaglia di Novara" (64). Come si arriverà all'Impero in
Francia? Donoso lo sa: con un plebiscito (65), perché i popoli sono
"perpetui sprezzatori di ciò che parte, e perpetui adoratori di
ciò che viene" (66). L'Impero viene puntualmente proclamato
alla data prevista da Donoso; se qualche illusione (derivata dal
favore con cui Napoleone guardava il Cattolicesimo) gli è rimasta,
vola subito via; mai si è visto un potere più dispotico, "il
novello Imperatore non incontra resistenza in alcuna parte"
(67). La guerra adesso è solo questione di tempo e l'Imperatore si
alleerà con la Rivoluzione, ma non perché sia egli stesso
rivoluzionario: il suo unico intento è vendicarsi di Waterloo. "Io
non mi propongo, egli dice, fare una guerra territoriale, sebbene
voglio fare una guerra rivoluzionaria; in tal caso oltre tutti i miei
ho anche la metà per lo meno, dei vostri" (68). Questa volta
però l’Inghilterra non sarà contro il napoleonide, perché per
essa l’unica cosa che conta è dividere il continente! "Sebbene
oggi non sembri possibile la alleanza tra Francia e Inghilterra, può
essere un fatto domani." (69)
Il 30 gennaio 1853 Donoso
Cortés fa da testimone alle nozze di Napoleone III con Eugenia
Montijo, contessa di Teba. Alle grandi regalie concesse per
l'occasione da questa ai poveri di Parigi, forse non è estraneo
l'ambasciatore spagnolo.
L'ultimo dispaccio da
Parigi è datato 25 aprile 1853, ma alla firma si legge; "Por
indisposición de Su Excelencia, el primer secretario, Cayo Quinones
De Leon" (70).
Il 3 maggio Donoso Cortés
muore.
6. La polemica con la
stampa.
Il 13 dicembre 1852 cade
il governo di Bravo Murillo e gli succede il liberale Federico
Roncali, conte de Alcoy. Ma sotto il vecchio governo, quantunque
moderato, i rapporti fra Donoso e l'ex Ministro degli Esteri
Miraflores non erano stati i migliori. Già nel 1851 Donoso, che nel
frattempo era stato insignito di un'alta onorificenza e fatto
senatore, così si lamentava con Raczynski: ''(…) nessun governo è
stato meglio informato del mio degli accadinenti che io prevedevo
qui, dell'ordine in cui dovevano succedersi, della logica e delle
necessità che li generavano. Tutto tempo perso! " (71). Altra
fonte di amarezza continua a costituire per lui la situazione
spagnola, che non è delle più felici, A chi gli propone di
prenderne personalmente le redini, così risponde: "Non è
possibile che si arrivi ad offrirmi il potere; mi è stato offerto
già più di una volta; la difficoltà, o per meglio dire,
l’impossibilità sta nel fatto che io accetti, che ci sia
disposizione a seguire il mio sistema e che io stesso trovi una spada
che mi presti il suo aiuto" (72). "Sono abbastanza rigido,
abbastanza assoluto e dogmatico per convenire a qualcuno e perché
qualcuno convenga a me. Conosco molto bene la necessità imperiosa
che tutti sentono di transigere, di trovare accomodamenti, di cedere
per vincere gli ostacoli, ma io disprezzo tutto questo come gli altri
disprezzano la virtù" (73).
Ma i dispiaceri non sono
finiti. Nell’aprile del 1852 "El Heraldo" lo attacca,
riesumando i suoi scritti di gioventù. Donoso, che odia le polemiche
pubbliche, scrive al direttore del giornale il 15 aprile (74). "(…)
fra le dottrine che Ella professa, e che predicava anch'io nella mia
giovinezza e quelle che professo oggi, àvvi contraddizione radicale
e invincibile ripugnanza" (75). All'accusa di assolutismo
risponde che egli non può essere assolutista, perché l'assolutismo
è tutt’al più opposto alla Rivoluzione nella forma, ma le è
uguale nell'essenza. "Solamente il cattolicesimo è la dottrina
contraria a quella che io combatto. Date alla dottrina cattolica la
forma che più v'aggrada, e qualunque sia questa forma che le darete,
tutto sarà cambiato d'un tratto, e vedrete rinnovato l'aspetto della
terra" (76).
Con il Cattolicesimo la
ragione cessa di essere 'razionalismo' per tornare a risplendere come
faro luminoso; la libertà cessa d'essere transazione, perché la
libertà cattolica non si conserva con la guerra, non nasce da
contratto, non si acquista con la forza, non ha eserciti permanenti
composti di guardie nazionali, né gira per le nazioni trascinata dal
carro trionfale delle rivoluzioni. La libertà cattolica è "come
la salute dell’organismo in generale, che vale di più che un
organo sano" (77).
I più stupendi monumenti
dell'ingegno umano, dice Donoso, sono opera del Cattolicesimo: la
"Summa" di S. Tommaso, "La Divina Commedia” di
Dante, il Codice di Alfonso il Savio e la Cattedrale di Colonia. Il
razionalismo ha invece lasciato due Pantheon a imperitura memoria di
tutte le sue discussioni; in uno giacciono sepolte tutte le
filosofie, nell'altro tutte le costituzioni (78). "E' cosa degna
di osservazione che tutti i popoli i quali anziché ricevere la
verità hanno voluto inventarla, vale a dire che tutti i popoli i
quali hanno lasciato di essere veramente cattolici per essere
puramente discussori, sono alla fine caduti sotto il giogo di orrende
dittature, e di fatti brutali. L'Inghilterra è un’eccezione,
sebbene imperfetta, di questa regola generale, per la sola ragione
che ivi il torrente della discussione è stato sempre rattenuto dalla
forte diga delle tradizioni storiche. Per lo contrario in nessun
popolo veramente cattolico ha durato lungamente né la dittatura d'un
fatto brutale, né il fatto brutale d'una dittatura" (79).
Il 15 novembre 1652 Donoso
Cortés è costretto a rintuzzare altri attacchi, provenienti questa
volta dalla "Revue des deux Mondes" (80). Premette subito
di non amare le polemiche perché queste si tramutano facilmente in
dispute e le dispute vanno a scapito della carità, accendendo le
passioni.
Dio, dice Donoso, volle la
creazione una e varia. Nella società l'unità si manifesta nel
Potere e la varietà nelle gerarchie. Questa felice combinazione è
stata ottenuta solo nel Medio Evo. Le diete, le corporazioni, tutto
il sistema dei corpi intermedi insomma, frapponeva una serie di
schermi fra l'individuo e il Potere. Questa formula, ottenuta dopo
secoli di sforzi, fu resa possibile dal Cattolicesimo. L'ordine della
Monarchia cristiana è stato infranto dall’assolutismo, che ha
spazzato via le gerarchie e le resistenze naturali.
II parlamentarismo divide
il Potere, ponendone poi le porzioni in concorrenza tra loro. esso
nega del Potere la perpetuità, perché gli pone a fondamento un
contratto e un contratto può disfarsi in qualsiasi momento; nega
altresì del Potere ogni limitazione, spazzando via le gerarchie
sociali tramite la centralizzazione; tra Potere e popolo rimane solo
il corpo elettorale, abrogato, livellato e confuso che si forma e si
disfa a segnale convenuto dall'alto,
I cattolici liberali come
l'interlocutore di Donoso vogliono provocare l'incontro fra
Cattolicesimo e libertà, come se la civiltà contemporanea fosse
sinonimo di libertà. "Gendarmi e rivoluzioni: ecco tutto ciò
che vi ha dato, tutto ciò che vi prepara l'epoca che dite vostra, e
quella civiltà che ammirate" (81).
Il parlamentarismo,
continua Donoso, trae origine dallo spirito rivoluzionario e mira a
distruggere il Potere: per essere sicuro di ucciderlo, comincia col
dividerlo. "No, il parlamentarismo non è ispirato dalla
libertà. Se da essa traesse ispirazione cercherebbe la limitazione
del Potere, ma non la sua divisione" (82). "E' scritto che
ogni impero diviso deve perire. Il parlamentarisno che divide e
conturba gli animi, che disperde tutte le gerarchie, che divide il
Potere in tre poteri, la società in cento partiti, che rappresenta
la divisione in tutte le sue parti, nelle regioni alte, medie, basse,
nel Potere, nella società, nell'uomo, non poteva sottrarsi, non si è
mai sottratto e mai si sottrarrà all'impero di questa legge
inesorabilmente sovrana" (83).
I tribuni si chiedono come
trarre la libertà dalla eguaglianza e il governo forte dalla
divisione dei poteri. Cominciano allora le grandi discussioni, le
crisi ministeriali, le divisioni nelle maggioranze, i Ministeri vanno
e vengono e tutto si trasforma in un turbine rapido e vorticoso. A
questo punto i rappresentanti del popolo, se non cadono trucidati da
mano adirata, vengono strappati via dalla tribuna dalla mediocrità
invidiosa (84). Il parlamentarismo "muore lasciando la società
in mano della rivoluzione, o in mano della dittatura, che ne prendono
l'eredità, e per la forza del diritto o per il diritto della forza;
per il diritto della forza perché sono le più forti; per la forza
del diritto, perché sono sue figlie" (85). Cosa rimane? Un
potere armato della forza sociale in presenza di individui dispersi,
o una moltitudine furiosa in presenza di un potere diviso (86). "Dio
ha sempre dato l'imperio alle razze guerriere ed ha condannato alla
servitù le ciarliere" (86/bis).
Ma cosa intende
esattamente Donoso Cortés per ‘parlamentarismo’ ? Ecco: "Il
parlamentarismo è lo spirito rivoluzionario nel Parlamento. Le mie
parole non condannano il Parlamento, che è il vaso, ma lo spirito
rivoluzionario che ne è il liquore. Accetto il vaso, ma prima
disperdete il liquore che in esso è contenuto, e quando dico
disperdete il liquore che vi si contiene, voglio dire: datemi un
Parlamento che non sia Potere, ma resistenza al Potere, di sua natura
limitato, perpetuo e uno; datemi un Parlamento che non sopprima le
gerarchie perché esse sono per la società ciò che l'unità è per
il Potere, cioè condizione necessaria di sua esistenza" (87).
Altro errore, aggiunge
Donoso, è credere che egli consigli il dominio universale ed
assoluto della Chiesa. Oggi solo la Chiesa offre lo spettacolo di una
società ordinata, libera, tranquilla in mezzo ai tumulti; in essa il
suddito obbedisce pacificamente alla legittima autorità, che a sua
volta comanda con giustizia e moderazione; solo in essa si trovano
cittadini che sanno vivere da santi e morire da martiri. Ecco perché
Donoso ha additato la Chiesa alla società civile: "Cerchi
l'ordine? Dimandalo a chi è bene ordinato. Cerchi la libertà?
Apprendila alla scuola di ehi è libero" (88). "Qui non
trattasi, come ben si vede, se debbasi supremazia al Sacerdozio o
all'Impero. Trattasi solamente di verificare se conviene o no alla
società civile di prendere dalla Chiesa i grandi principii della
sociale economia, e se alla società convenga, o no, essere
cristiana" (89). Come la sottomissione ai Comandamenti non trae
seco, né in nodo implicito né in modo esplicito, l'istituzione di
un governo teocratico, cosi il riconoscimento delle verità
fondamentali di cui la Chiesa è depositaria, non reca come
conseguenza il dominio di quest’ultima sulle cose temporali.
7. Donoso Cortés e
Metternich (89/bis),
Nell'aprile del 1851 il
principe di Metternich, saputo che era ambasciatore a Parigi "il
celebre Donoso Cortés" (90) e desiderando conoscerlo, invitava
quest'ultimo a Bruxelles, ove viveva in esilio, tramite il barone
Meyendorff. Lo stesso mese Donoso, ottenuto il permesso dal suo
governo, andava a trovarlo.
Metternich, caduto il 13
maggio 1848, si era ritirato per due anni e mezzo in una specie di
esilio volontario in Inghilterra e in Belgio. L’orgoglio gli
impediva di tornare a Corte, ma anche una lucida coscienza del fatto
che la sua indesiderata presenza sarebbe stata fonte di difficoltà
per il giovane imperatore austriaco. Nella villa di Brighton prima e
nella casa di Bruxelles poi, era divenuto l'oracolo di quanti
vedevano la civiltà cristiana cadere per mano dei nazionalismi e
delle rivoluzioni.
Ma non c'erano solo
reazionari tra coloro che desideravano vedere quel monumento di
Storia vivente; andavano a trovarlo anche uomini come Robert Owen,
che Metternich descrisse come "il vecchio e sciocco socialista
che durante vent'anni mi perseguitò con la sua simpatia unilaterale"
(91), Luigi Blanc, che mai volle ricevere, e non pochi discepoli di
Saint Simon. Il più assiduo era il suo coetaneo duca di Wellington.
Thiers e Disraeli andavano spesso a trovarlo. Veuillot era stato
ricevuto freddamente: aveva offerto la direzione del partito europeo
del Cattolicismo Secolare Militante al nemico di tutti gli 'ismi'.
Dare una costituzione a
uno Stato, soleva dire, equivale a cambiare la realtà naturale con
un documento falso.
Quel vecchio ottuagenario
che ora vestiva come un impiegato, aveva conosciuto Napoleone; era un
nobile del Sacro Romano Impero che aveva assistito all'incoronazione
di due imperatori con la corona di Carlo Magno; l'uomo che preferiva
il francese al tedesco, che univa in sé un Conte romano, un Principe
austriaco, un Pari d'Ungheria e Boemia, un Duca di Spagna, aveva
portato il Toson d'Oro nell’età di Verdi e Wagner e raccontava
aneddoti di Mozart; l'uomo che aveva offeso Balzac dicendogli di non
aver mai letto niente di lui; l'uomo che ora viveva una vita
spirituale profonda, laddove prima aveva considerato la religione
nulla di più che una forma di disciplina, era ora di fronte al
marchese di Valdegamas, vedendovi, chissà, il filosofo della sua
politica. Dopo trentanove anni di permanenza al potere, poteva ben
dire a Donoso: "Io sono (…) un libro voluminoso nel quale sono
scritti tutti i grandi fatti di questo secolo; quando ella vuole, mi
pongo al suo servigio perché mi possa leggere dalla prima fino
all'ultima pagina" (92). Donoso Cortés era uomo di principii
non di sistemi; per questo incontrava la simpatia di Mettemich. "Un
sistema", gli diceva il vecchio principe, "è come un
cannone posto in una stretta feritoia; per liberarsene basta porsi di
fianco e evitare la linea retta; mentre i princìpi sono come un
cannone rotante posto all'aria aperta, il quale vomita fuoco contro
l'errore in tutte le direzioni" (93).
L'affinità fra i due
esisteva, ma non era completa. Metternich era pur sempre stato al
servizio di una potenza regalista e la grandezza dell'Austria gli era
sempre stata più a cuore che non l'integrale restaurazione della
cattolicità, per la quale Donoso Cortés, invece, si batteva a
tutt'uomo.
Nemico acerrimo di tutti
gli 'ismi' come Napoleoone lo era stato di ogni 'ideologia',
Mettemich era arrivato al punto di far notare a Donoso come il
suffisso, applicato alla parola 'cattolico', ne alterasse a suo
avviso il significato. Parole di per sé innocue o cariche di
significato positivo, diceva infatti, come 'Dio', 'ragione',
'filosofia', 'società', 'sentimento', 'comune', etc“, diventavano
'deismo', 'razionalismo', 'filosofismo', 'socialismo',
'sentimentalismo', 'comunismo', ecc. Pazientemente Donoso Cortés
aveva fatto rilevare che nel caso del 'Cattolicismo' non ne era
derivato alcun danno (94).
Sul resto però i due
erano pienamente d'accordo: la società era per entrambi un valore
assoluto e Metternich amava definire sé stesso "uomo di
princìpi".
"Ce
qu'on appelle le système Metternich n’était pas un système, mais
l’application des lois qui régissent le monde" (95).
Metternich sapeva che i nazionalismi non
erano un fine, ma un mezzo di cui si serviva la Rivoluzione e Donoso
completava il quadro informandolo che il serpente rivoluzionario
aveva trovato altro fuoco su cui soffiare: la questione territoriale
(96). Lo svincolarsi dalle dottrine assorbite durante la prima
educazione, se a Donoso Cortés era costato un lungo travaglio, a
Metternich era stato relativamente facile (97); dopo essere stato per
quasi quarant’anni la bestia nera dei rivoluzionari, il permanere
accanto ad una Monarchia che sembrava aver perso ogni vigore di
lotta, era in ogni caso per lui impossibile (98), specialmente una
volta prevalsa la politica delle concessioni, ma non amministrative,
cui sarebbe stato favorevole, bensì politiche (99).
"J'ai
toujours regardé le dispotisme quel qu'il fut, comme un système de
faiblesse. Là où il se montre, il est un mal qui se trouve en
lui-meme sa punition; mais il est funeste surtout quand il se masque
du nom de progrès" (100). Erano
esattamente le idee di Donoso. Ancora:
"La toute-puissance de l'état, de ce corps ideal, resulte des
doctrines du constitutionnalisme moderne comme l’effet de la cause;
or, sa conséquence est la restriction aussi grande que possible de
la liberté individuelle sacrifiée a l'idée de la plénitude d’une
idèe matérializée" (101).
Il "Saggio” piacque
moltissimo a Metternich. Fu grazie al suo interessamento che si ebbe
la prima versione in tedesco dell'opera.
1) – F. SUAREZ. Op.
cit.. pagg. 182-183
2) - J. DONOSO CORTÉS, Il
potere cristiano. pag. 10,
3) – G. ALLEGRA, op,
cit., pag. 72.
4) - Ibidem, pag. 74.
5) - "Sobre la
HiStoria de la civilizacion de Espana de Fermin Gonzalo Morón",
in C. VALVERDE ,op. cit., II, pag. 24.
6) " G. ALLEGRA, op.
cit., pag, 70. Così Clemente Solaro della Margarita nel suo
"Memorandum storico-politico": "Un principe che sappia
ciò che deve a Dio, non lederà mai i diritti, non trascurerà mai
la felicità dei sudditi", pag. 761 cit. da F. LEONI. Storia
della Controrivoluzione in Italia (1789-l859). Napoli 1975 pag. 252.
7) - G. ALLEGRA, op, cit.,
pag. 70.
8) - Ibidem, pag. 86
9) - Lo stesso concetto
era in De Maistre. "Quando si parla di carattere satanico della
Rivoluzione Francese. De Maistre allude alla concentrazione di forze
eversive nel moto rivoluzionario: forse che erano manovrate da una
‘intelligenza’ superiore, con il fine di intaccare l'edificio
della cattolicità e l'ordine casato sulle leggi naturali" ( in
F. LEONI. Il pensiero controrivoluzionario nella storia d'Italia,
Roma 1972, pag. 23.
10) - C. VALVERDE. op,
cit., II, pag. 142. Il maiuscolo è mio.
10/bis) - G. ALLEGRA, op,
cit., pagg. 257-258.
11) - Ibidem,
pag. 231.
11/bis) –
Ibidem pag. 83,
12) - "La corruzione
è come il dio del liberalismo; sta in ogni luogo"; ibidem, pag.
242.
12/bis)
- Ibidem, pag. 51. Così scriveva il
Capece Minutolo; "Uno dei peggiori malanni, di cui siamo
debitori alla maledetta rivoluzione figlia primogenita del progresso
dei lumi, si è il pesantissimo, molesto e spesso tirannico
magistrato della polizia"; in S. VITALE, Il Principe di Canosa e
l’epistola contro Pietro Colletta, Napoli 1969, pag. 210,
13) – G. ALLEGRA, op.
cit., pagg. 107-108,
14) - Ibidem,
pag. 136.
15) - Ibidem,
pag. 94.
16) - Ibidem,
pagg. 170-171. Proudhon aveva scritto "Système des
contradictions économiques ou Philosophie de la Misère” e
"Confessions d'un révolutiomiaire"
17) - Ibidem, pag. 234. Le
mistiche fumosità del socialismo alla Saint Simon saranno spazzate
via da Marx.
18) - Ibidem,
pag. 235,
19) - Ibidem,
pagg. 237-238.
20) - Ibidem,
pag. 261.
21) - Ibidem,
pagg. 266-267.
22) - Ibidem,
pag. 297.
23) - Ibidem,
pagg. 300-301.
24) - Per un maggior
approfondimento, v. G. VANNONI Religione cristiana e pena di morte “
in RASSEGNA DI ASCETICA E MISTICA, XV, ottobre - dicembre 1975.
Firenze, pagg. 349 ss.
25) - G. ALLEGRI op. cit.,
pagg. 333-334,
26) - Ibidem,
pag. 362,
27) - Ibidem,
pag. 385
28) - Donoso non conosceva
l'interpretazione marxista della realtà come movimento dialettico.
29) - Ibidem, pag. 347 In
realtà Proudhon mai negò l'esistenza di un Dio, ma, nemico della
Chiesa, contro cui aveva lanciato lo slogan "Dio è il male”,
voleva un culto soggettivo e personale. Quando poi, nel "Essai
sur la propriéte”, aveva affenaato: "la propriéte c’est le
vol", non aveva inteso chiedere della proprietà l’abolizione
totale, bensì sottolineare l'assurdità di quella che non presuppone
un beneficio sociale. Marx definì il suo atteggiamento
"piccolo-borghese" .
30) - J. VALERA. Obras
Completas, Madrid 1913“
31) - C. VALVERDE, Op.
cit., II, pag. 502, nota.
32) - G. ALLEGRA.
Introduzione all’op. cit., pag. 24.
33) - Lettera del 27
marzo 1851 a Gabino Tejado, in C. VALVERDE, op. cit., II, pag. 708.
34) - Lettera del 3 marzo
1851, in J. DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano op. cit., pag. 109.
35) - Lettera a Gabino
Tejado del 19 aprile 1851, in G.B.M., op. cit., pag. 312.
36) - Lettera a Gabino
Tejado del 10 giugno l8?1, ibidem, pagg. 328-329. Sabino Tejado era
stato quell'unico allievo di Donoso nel Collegio di Cacerea. Ora è
direttore de "El Orden" e difensore di Donoso nei riguardi
della stampa liberale spagnola.
37) - Così scriveva il 1°
maggio a Sabino Tejado: Il mio libro sarà qui e là universalmente
impugnato; così deve essere, e così voglio io che sia. Se vado
contro tutti perché tutti non devono andare contro di me? "”
in C. VALVERDE“ op. cit”, II, pag. 712.
38) - Ibidem, pag. 715.
36/bis) - Così commenta
Suarez: "Donoso ebbe nettissima coscienza dell’importanza del
Saggio'; sapeva anche di porsi contro il pensiero del suo tempo,
contro tutte le teorie e i sistemi francamente ottimisti, elaborati
fin dallo inizio del secolo. Egli lavorò con piena deliberazione
come un dovere ed una necessità, pur sapendo che non sarebbe stato
compreso, né, probabilmente, ascoltato" ; in F. SUAREZ, op.
cit., pag. 199.
39) - C. VALVERDE, op,
cit., pag. 715, II.
40) - Lettera del 22
giugno, ibidem, pag.. 716
41) - Lettera del 20
luglio, ibidem, pag. 717
42) - F.
SUAREZ, op. cit., pag. 199.
43) - Conte
HUBNER, Neuf ans de souvenirs d'un Ambassadeur d'Autriche" a
Paris (1851-1859), t. 2, Paris 1904, pag. 129; cit. da C. VALVERDE,
op. cit., I, Introduzione, pag. 71.
43/ bis) – J. Donoso
Cortés. Il potere cristiano. Op.
cit. pag. 114
44) - Il 20 dicembre
Isabella II ebbe una figlia
45) - Ibidem,
pagg. 111-112,
46) - Ibidem,
pag. 113.
47) - Ibidem, pag. 115.
48) - Così scriveva
Donoso nella minuta del discorso sulla Spagna; "Al dì d'oggi,
signori, uno spagnolo che non sia milionario non può scrivere un
periodico né pubblicare un libro; non ha danari per il primo, né
leggitori per il secondo”. Da ciò nasce che oggidì per
manifestare pubblicamente i propri pensieri, gli spagnoli debbono
trasformarli da individuali in collettivi. Solamente i partiti hanno
libertà, non gli individui”. "Or bene, signori, che cosa
avviene? (…) Avviene che ciascuno legge quel periodico che tiene
per le opinioni di lui, cioè ogni spagnolo parla a seco medesimo
(…). Volete sapere che cosa è un periodico? E' la voce d'un
partito che sempre grida a sé stesso; santo, santo, santo"; in
G.B.M.. op. cit., pag. 159
49) – J. DONOSO CORTÉS.
Il potere cristiano, op, cit. pag. 117, Così nella minuta del
discorso sulla Spagna: "Il personaggio più corrotto e più e
corrompitore di questa società, è la classe media, che noi,
signori, rappresentiamo. Questa classe ha lodi per tutti i forti"?
in G.B.M., op. cit., pag. 150.
50) - J, DONOSO CORTÉS.
Il potere cristiano, op. cit., pag. 117
51) -
Ibidem, pag. 118.
52) -
G. ALLEGRA. Nota Biografica, op. cit.,
pag. 42
53) - Dispaccio dal 1°
aprile l851, in G.B.M., op. cit., pagg. 349-350.
54) - Dispaccio del 10
gennaio 1852, in C. VALVERDE. op. cit., II, pag. 957. Nel 1873
l’assemblea Nazionale offriva la corona di Francia al conte di
Chambord (Enrico V di Borbone). Fu il rifiuto di quest'ultimo di
sostituire la bandiera gigliata col tricolore rivoluzionario a
compromettere la restaurazione.
55) - G. B.
M,, op, cit., pag. 353.
56) -
Ibidem, pag. 352.
57) -
Ibidem, pag. 350,
58) - Lettera al visconte
De La Tour, del 12 gennaio 1852, in C. VALVERDE, op. cit,, II, pag,
730.
59) - Ibidem, pag. 941.
60) - Così riferisce lo
stesso Donoso di un colloquio avuto con Luigi Napoleone nel dispaccio
dell’11 ottobre 1851, ibidem, pag. 823. Scrive Donoso il 18
novembre a Raczynski, riferendosi a Napoleone: "(...) tra i
soggetti che lo attorniano c'è qualcuno - non potete indovinare chi
è - che ha guadagnato influenza all’Eliseo, e i cui consigli hanno
grande autorità"; ibidem, pag. 950.
61) - Dispaccio del 10
dicembre 1851 ” ibidem, pag. 954.
62) - Ibidem, pag, 380.
63) - Felix von
Schwarzenberg (1800-1852) era presidente del consiglio austriaco;
grazie all’alleanza con la Russia teneva in scacco l’Inghilterra
e guardava con simpatia a Luigi Napoleone. Ma dopo la sua morte,
avvenuta il 5 aprile 1892, i suoi successori non seppero conservare
l'amicizia con Nicola I. Il napoleonide, dal canto suo, cominciò a
svolgere una politica personale e autonoma.
64) - Lettera a Racnynski
del 24 maggio 1852, ibidem, pag. 965.
65) - Dispaccio del 24
aprile 1852, in G.B.M,. op. cit,, pag. 469.
66) - Dispaccio del 30
agosto 1852, ibidem, pag. 477
67) - Dispaccio del 13
dicembre 1852, ibidem, pag.480. Tra l'altro, la misura demagogiaa
posta in essere da Napoleone all'indomani della sua incoronazione,
cioè la confisca dei beni della casa ai Orléans e la loro
elargizione ai poveri, rischiò di incrinare i rapporti con la
Spagna. Il duca di Montpensier, infatti, marito dell'Infanta Luisa
Fernanda, era un Orléans. Donoso ebbe i suoi grattacapi per
sistemare la faccenda.
68) - Ibidem, pag. 482
69) - Dispaccio del 10
aprile 1852, in C.VALVERDE, op. cit., II, pag. 964. Accadrà
effettivamente nella guerra di Crimea. Riguardo alla Gran Bretagna,
così scriveva Donoso a Raczynaki il 24 febbraio 1852: ''Tuttavia,
nella sfera delle mie funzioni, non cesso di operare senza inquitare
questa formidabile potenza, ma di questo non posso parlare” ;
ibidem, pagg. 960-961,
70) - Ibidem, pag. 914,
nota
71) - Lettera del 24
dicembre 1851, ibidem, pag. 954.
72) - Lettera del 18
novembre 1851, ibidem, pag. 950.
73) - Lettera del 10
dicembre 18511 ibidem, pagg. 953-954.
74) - All'amico
Raczynski, cui il ritegno di Donoso sembrava eccessivo, così
scriveva già l’11 ottobre 1851: ''(…) vi sento dirmi: non avete
amor proprio? Ne ho sì, signore; ma come se non lo avessi, perché
mi sforzo di dominarlo con lo aiuto della fede; il cristiano, così
come colui che non lo è, ha amor proprio, ma con questa sola
differenza; che l'uno lo tiene sotto i piedi, l'altro in testa.
Questo non vuol dire che riesca sempre a vincerlo, cosa dalla quale
sono distante, però lotto per dominarlo, e riuscirò a vincerlo se
sono vero cristiano"; ibidem, pagg. 945-946.
La misura dell'amicizia
che legava Donoso a Raczynski; "Senza di voi avrei attaccato la
Prussia in Parlamento, perché non sono amico della Prussia, né
della sua politica, né del suo ingrandimento e neppure della sua
esistenza; la credo abbandonata a Satana da quando nacque e sono
persuaso che per una fatalità della sua storia è data a lui per
sempre"; ibidem, pag. 965.
75) - G. B.
M., op, cit., pag. 333.
76) -
Ibidem, pag. 334.
77) -
Ibidem, pag. 336,
78) -
Ibidem, pag. 338,
79) -
Ibidem, pagg. 341-342.
80) - Il 1° novembre
1852 sulla "Revue des deux mondes" era apparso un articolo
di Albert De Broglie, dal titolo "Le moyen-Age e l'Église
Catholique", nel quale si accusava implicitamente Donoso di
essere fautore del ritorno al Medio Evo. Donoso rispose, come suo
costume, non al giornale, ma al direttore, ritenendo di non poter
tacere senza correre il rischio di avallare opinioni erronee.
81) -
Ibidem, pag. 223,
82) -
Ibidem, pag. 224,
83) -
Ibidem, pag. 228
84) -
Ibidem, pag. 230
85) - Ibidem, pag. 231
86) - Fa eco il Canosa;
("donchisciotte e rodomonte a un tempo della Restaurazione"
e "sanguinario forcaiolo", secondo le definizioni che il
Saitta dà nel terzo volume de 'Il cammino umano', Firenze 1934, alle
pagg. 12 e 47): "Che bella era mai Napoli sotto la tirannide e
il regno della benefica superstizione. Non si pagava nulla sulle
terre; pochissimo pagavano i Baroni; le gabelle erano mitissime.
Ciascuno poteva fare ciò che voleva. I passaporti non erano che una
pura e vera formalità. Tutte le più esatte regole usavansi
nell'inquirire dalla giustizia criminale; ed uomini dottissimi e
venerandi mi rammento esser quelli che giudicavano e presiedevano
alla custodia della sicurezza e della proprietà dei cittadini.
Si volle stare meglio;
cioè la filosofica canaglia, la quale sotto il salvacondotto della
libertà ed eguaglianza voleva occupare il posto dei Re e dei Signori
(servendosi delle braccia della sconsigliata gioventù e della
canaglia rapace) guastò tutto, tutto il bene disparve con il senso
comune; né età al mondo più infelice e miserabile vide mai la
terra, che quella succeduta alla maledetta filosofica rivoluzione”
; in S. VITALE, Op. cit., pag. 209.
86 /
bis) - G. B. M.. op,
cit. pag. 227.
87) -
Ibidem, pagg. 231-232.
88) -
Ibidem, pag. 208.
89) - Ibidem” pag. 209
89 / bis) - In questo
paragrafo si è seguito in gran parte l’intelligente studio di BELA
MENCZER, Metternich y Donoso Cortés, pensamiento cristiano y
conservador en la revolucion europea, in ARBOR 41, maggio 1949.
90) - Così scrisse nel
suo diario l’ungherese contessa Melania Zichi-Ferraris, moglie di
Metternich; In BELA MENCZER, op. cit., pag. 65
91) - Ibidem, pag. 64.
92) - Lettera a Sabino
Tejado del 1° maggio 1851, in G. B. M.. op.
cit. pag. 319
93) - Lettera a Sabino
Tejado del 1° maggio 1851 in F. SUAREZ, op. cit., pagg. 223-224
94) - Lettera del 18
maggio 1852, in P. SIENA.. op.
cit. pag. 103
95)
METTERNICH. Mémoires. vol. VII, pag. 630,
cit. da BELA MENCZER. op. cit. pag. 73.
96) - P. SIENA, op.
cit., pag. 104.
97) - Metternich aveva
avuto come precettore il francese Simon, intimo di Robespierre e
presidente del comitato decemvirale che aveva abolito la Monarchia in
Francia.
98) - Lettera a Gabino
Tejado del 1° maggio 1851, in G. B. M. op. cit., pag. 316.
99) - Ibidem
pag. 317.
100) -
METTERNICH, Mémoires, vol. VII, pag. 626, cit. da BELA MENCZER. op,
cit., pag. 72,
101) -
METTERNICH, Mémoires. vol. VIII,
pag. 555, ibidem, pag. 72.
1. La polemica con
Gaduel.
Come Donoso aveva
previsto, il "Saggio" ricevette attacchi, accuse e
critiche, sia tramite articoli sui giornali, sia per mezzo di
voluminose confutazioni: nel 1851 era uscito a Valladolid un opuscolo
di Nicomedes Martin Mateos, "Ventisei lettere al Sig. Marchese
di Valdegamas in risposta ai ventisei capitoli del suo Saggio sul
Cattolicesimo, il Liberalismo e il Socialismo"; tra il '52 e il
'53 erano usciti addirittura tre volumi, "Il socialismo e la
teocrazia, ossia osservazioni sulle principali controversie politiche
e filosofico - sociali dirette all'Ecc.mo Sig. D. Juan Donoso Cortés,
marchese di Valdegamas, in confutazione delle più rimarchevoli idee
dei suoi scritti e delle basi di quei sistemi", di José Frexas.
Ma l'attacco inaspettato e
più doloroso gli viene nel febbraio 1852 dall'abate Gaduel, Vicario
Generale della Diocesi di Orléans. Su "L'Ami de la Religion"
appare una serie di articoli contro i 'considerevoli errori'
teologici contenuti nel "Saggio".
L'opera di Donoso è in
realtà un pretesto: chi si vuoi colpire è Veuillot; è il
cattolicesimo gallicano e liberale contro il cattolicesimo romano e
monarchico; è Dupanloup, Vescovo di Orléans, contro "L'Univers".
Donoso non risponde. Dare spettacolo ad un pubblico eterogeneo
entrando in polemica con un sacerdote, e per di più su questioni
teologiche, è cosa che lo disgusta oltremodo. Sa anche che non è
lui che si vuole colpire, e chiedere ad uno spagnolo, anche se
profondamente cristiano, di fungere da pubblico zimbello, è
pretendere troppo. Per un anno intero riesce a dominare l'amor
proprio. Si limita solo a scrivere una lettera al direttore
dell’Univers, lettera in cui si professa sottomesso in tutto e per
tutto alla Chiesa: "(…) dichiaro che da ora e per sempre
condanno tutto quello che abbia condannato, condanni, e possa in
seguito condannare in altri o in me, la Santa Chiesa Cattolica, nella
quale cerco di essere figlio sottomesso e rispettoso" (1). Il 1°
febbraio 1853 scrive una lettera privata, Cortése e posata, a
Gaduel, nella quale fa notare, tra l'altro, che la traduzione
francese del "Saggio" contiene non pochi errori, come per
esempio 'indéfini' al posto di 'infinide' (2).
Gaduel gli risponde
facendogli capire che non bastano le ritrattazioni generiche,
trattandosi di errori particolarmente segnalati. La lettera però
viene apertamente pubblicata su "L'Ami de la Religion" e la
pazienza di Donoso Cortés giunge al limite. La
Cortésia non è sinonimo di debolezza ed egli è anche in grado di
essere energico se le circostanze lo richiedono: "(…) si je
n'ai aucun gout pour les journalistes qui se font Eveques ou Pretres,
je n’en ai pas davantage pour lea Eveques ou les Abbés qui se font
journalistes, et mauvais journalistes, comme il y en a trop, par
malheur de notre temps" (3). La
posizione in cui Donoso si viene a trovare non è delle più
gradevoli: scendere in polemica gli è vietato dalla carità, il
tacere, d'altro canto, sarà sicuramente interpretato come ammissione
indiretta o "superbia intellettuale" (4).
La polemica intanto si
protrae, essendosi schierati con "L'Univers" dom Guéranger
e i suoi confratelli di Solesmes, e i redattori dell'italiana
"Armonia”. Donoso Cortés opta per una terza soluzione:
scrivere al Pontefice per sottoporgli il "Saggio". "(…)
mi è sembrato non solo conveniente, ma anche necessario sottoporre
la questione alla decisione suprema di Vostra Santità, unica
autorità sulla terra le cui sentenze sono oracoli ed i cui oracoli
sono infallibili" (5). Che motivo c'era, dice Donoso, di
abbassare il tutto al livello di squallida polemica giornalistica? I
prelati, poi, che si pongono su questo piano non rendono il migliore
servizio all'onore e al prestigio della Chiesa: "(…) le loro
pastorali sono scritte in stile di libelli; e qualche volta di
libelli diffamatori; invece di ordinare disputano, invece di
insegnare controvertono e ispirano la passione laddove dovrebbero
alle passioni imporre il silenzio" (6). Perché "L'Ami de
la Religion" aveva rifiutato di pubblicare, dietro richiesta
dell’Univers, l'articolo dell ' "Armonia" da cui
risultava che il "Saggio" era stato pubblicato a Foligno
con la debita approvazione ecclesiastica? Donoso indica inoltre al
Pontefice quali sono, a suo avviso, i veri termini ed i reali
protagonisti della disputa, biasimando il cammino intrapreso da parte
del clero francese.
In Francia il laicismo
aveva guadagnato molto terreno, il gallicanismo aveva profonde radici
e resti di giansenismo rimanevano abbarbicati in molte coscienze.
Molti cattolici rivendicavano un cristianesimo di carattere più
marcatamente sociale e un Montalembert aveva fatto suo l’assioma
"libera Chiesa in libero Stato". L'ambiguità del termine
'libertà' aveva portato Lamennais alla rottura con Roma e già si
parlava di cattolicesimo democratico (7).
Donoso Cortés, manco a
dirsi, prende le difese di Veuillot e dell' "Univers". Pio
IX risponde a Donoso il 24 febbraio con una breve ma affettuosa
lettera: alcuni giorni dopo fa sapere a Veuillot che il suo giudizio
corrisponde a quello che uscirà il 16 aprile su "La Civiltà
Cattolica". L'8 aprile 1853 l'Arcivescovo di Parigi toglie le
limitazioni imposte all' "Univers" (7/bis).
Il 16 aprile esce anonima
(ma è da attribuirsi a Taparelli D'Azeglio), sulla "Civiltà
Cattolica", una recensione del "Saggio". Il giudizio è
tutto sommato favorevole a Donoso Cortés, anche se si riconoscono le
innegabili pecche dell'opera. E' eccessivo però, dice il Taparelli,
stimare l'autore 'tendente al luteranismo o al calvinismo'. "II
valoroso scrittore, senza spaventarsi della difficoltà
dell'argomento, lo contempla quasi dall'alto, ne misura l'ampiezza,
lo percorre con piè risoluto e franco, spargendo d'intorno a sé
torrenti di luce che rendono accessibili anche ad intelletti volgari
le questioni più riposte ed astruse" (8). Le inesattezze ci
sono, come negarlo? Ma l'eccessiva pignoleria rischia di toccare i
confini dell'ingiustizia, se applicata ad un'opera per tante ragioni
pregevolissima.
"Ora in tutto questo
discorso inteso a dovere, e non ricercato con occhio livido, non
vediamo che una dottrina molto ortodossa" (9).
Il Taparelli osserva
inoltre che se lo stesso sistema fosse usato contro il critico del
"Saggio", questi non si troverebbe a buon partito, gliene
porta peraltro un esempio molto garbato per dimostrargli che le cose
che sfuggono ad un teologo, possono ben compatirsi in un laico:
"Quale può essere in tutto ciò il torto del valente scrittore?
Già lo dicemmo; quell'unico torto, se torto egli può dirsi, d'avere
usate locuzioni e maniere talvolta aliene dalle usate oggidì
nell'insegnamento delle scuole, e con le quali più che con le
antiche è famigliare il dotto professore orleanese" (10).
2. La preparazione del
"Sillabo".
Il Pontificato di Pio IX
fu il più lungo della storia, essendo durato trentadue anni. Eletto
la sera del 16 giugno 1846 dopo un brevissimo conclave, il "Papa
liberale" veniva ad aggiungersi alla confusa situazione nella
quale versava la Chiesa (11).
Fin dal 1752 Federico II
di Prussia poteva dire: "Il Papa è un vecchio idolo trascurato
nella sua nicchia; attualmente egli è il primo elemosiniere dei re;
i suoi fulmini si sono spenti. La sua politica è nota: invece di
interdire i popoli e deporre i sovrani, come un tempo, egli è ben
contento quando nessuno depone lui ma lo lascia dire la messa
tranquillamente a San Pietro" (12). Nel secolo XIX il processo
di secolarizzazione della società dai "pamphlet" era sceso
sulle piazze. La separazione tra Chiesa e Stato, la libertà di
coscienza, parola e stampa, la divisione dei cattolici in liberali e
intransigenti, destavano non poche preoccupazioni nell'ambito delle
gerarchie ecclesiastiche. Le pesanti bordate che le eresie, il
razionalismo e i principi del '89 non avevano mai cessato di sparare
sulla Chiesa non costituivano la sola fonte di apprensione.
Proprio durante il
Pontificato di Pio IX andava prendendo consistenza un altro germe di
discordia; il dubbio sull'opportunità del Potere Temporale. Ma, a
parte la sua formazione culturale, tutto il liberalismo di Pio IX si
riduceva ad una grande bontà d'animo che lo portava a ritenere
preferibile disarmare lo spirito rivoluzionario con la dolcezza,
piuttosto che tentare di domarlo con la forza (13). La piazza,
alternando sapientemente acclamazioni ed improperi, gli strappava una
concessione dopo l'altra (14). Lo "spirito dei tempi" si
impadroniva immediatamente delle sue riforme, pompando l'effimero
mito neoguelfo. L'allacciarsi dei rapporti della S. Sede con
l'Inghilterra e gli Stati Uniti, il compromissorio Concordato con la
Russia, il silenzio del Papa nei riguardi della questione del
"Sonderbund" (15), costituivano altrettanti motivi di
scandalo per i reazionari.
Il mutamento di rotta
nella politica di Pio IX può essere fatto "ad abundantiam"
coincidere con il dramma della Repubblica Romana. Nel concistoro del
20 aprile 1849 il Papa si esprimeva in termini severi nei confronti
del Gioberti e il 30 maggio la Congregazione dell'Indice, riunita
dietro sua richiesta, condannava "II gesuita moderno", due
opuscoli del Rosmini e uno del P. Ventura (16). L'anno dopo Pio IX
invitava il clero a sostituire redingote e tricorno con la veste
talare lunga, onde aumentare il distacco da "gli uomini del
secolo, infestati dai principi rivoluzionari" (17). L'8 aprile
1850 usciva a Napoli il primo fascicolo de "La Civiltà
Cattolica", fondata dal P. Carlo Curci ed appoggiata dal Papa,
alla redazione collaboravano nomi come il P. Taparelli D'Azeglio, il
P. Francesco Pellico e il P. Bresciani. Le precedenti condanne della
Massoneria e quella contenuta nell'allocuzione del 10 maggio 1850,
contro la legge aull’insegnamento belga, completavano il quadro.
Il "Neue Kurs"
del Servo di Dio Pio IX era sintetizzato in una sua frase: "I
popoli sono incontentabili, ho fatto un'esperienza troppo dolorosa"
(18). Sotto questo aspetto ben calzava alla Segreteria di Stato il
Card. Antonelli, l’uomo, dirà Ghisalberti, di cui gran parte del
Sacro Collegio invocava l'allontanamento, pregando nello stesso tempo
Iddio che non venisse esaudita la propria invocazione (19).
La "Civiltà
Cattolica" costituiva la punta avanzata della controffensiva
romana; "la sua azione si svolse sostanzialmente su quattro
linee convergenti: critica inflessibile al liberalismo e al laicismo,
difesa del Potere Temporale e processo al Risorgimento, propaganda
per il tomismo e contro il rosminianesimo, sviluppo e divulgazione di
una dottrina sociale cristiana" (20).
Ma la spina nel cuore di
Pio IX era la divisione dei cattolici. In Italia Rosmini, Capponi,
Manzoni, Tommaseo; in Francia le leggi Falloux avevano posto
"L'Univers" e gli ultramontani contro "Le
Correspondant" e i gallicani, Lacordaire inneggiava alla
democrazia e Ozanam lanciava il suo "Passone aux barbares!".
Mons. Parisis ebbe a dire: "Da molto tempo deploro le illusioni
e le rovine di questa scuola di accomodamenti composta di uomini
generalmente onorati, credenti e praticanti, ma paurosi, che nostro
Signore avrebbe chiamati 'modicae fidei', i quali, vedendo la potenza
e l'estensione del razionalismo, tremano per la Chiesa di Dio e si
convincono che per prudenza occorra fare a questo nemico, che
pretendono nuovo, delle concessioni mai fatte in alcun tempo dalla
Chiesa" (21). Lo stesso Pio IX dirà in seguito: "II
liberalismo cattolico è (tenere) un piede nella verità e uno
nell'errore, un piede nella Chiesa e uno nel secolo, un piede con me
e uno con i miei nemici" (22). D'altro canto l'iniziativa non
poteva essere lasciata a quel fenomeno nuovo, e direi sconcertante,
di un'azione cattolica laica che appassionatamente difendeva la
Chiesa con armi inusitate, come la tribuna e la stampa.
L'idea di un "Sillabo"
era venuta dalla pastorale di mons. Gerbet, Vescovo di Perpignano,
"Istruzione sugli errori del tempo presente", contenente
una lista di 85 proposizioni erronee. In seguito ad un suggerimento
del Sinodo di Spoleto del 1849, Pio IX incaricò nel 1852 il Card.
Fornari (23) di consultare segretamente a questo proposito un certo
numero di Vescovi e di laici. Una delle lettere del Fornari giunse a
Donoso Cortés.
3, Una lettera al Card.
Fornari
Nei punti nevralgici della
Storia sempre sorgono grandi "novatori" che aprono le nuove
direzioni ai tempi, di fronte ad essi si ergono grandi pensatori
reazionari, come Von Haller, De Bonald, De Maistre. L'ultimo di
questi Padri Laici della Chiesa di Roma, come lo definisce Barbey
D'Aurevilly (24), l'ultimo grande esponente controrivoluzionario del
secolo XIX è senz'altro Donoso Cortés. La Chiesa non poteva
esimersi dall'ascoltarlo. La risposta di Donoso Cortés al Card.
Fornari (19 giugno 1852) è senz'altro la migliore sintesi del suo
pensiero, la migliore cosa che abbia mai scritto, sia per la forma
che per la precisione. Essendo lo scritto risultato di un incarico, i
quadri grandiosi, le brillanti metafore, le immagini, le divagazioni
devono essere forzatamente lasciate da parte, per far posto ai
concetti essenziali. Lo scritto, depauperato della retorica, guadagna
in chiarezza ed in forza logica. Donoso ha avuto il tempo di
rimuginare i concetti del "Saggio", il suo pensiero è ora
al culmine della maturità.
Alla radice di ogni errore
contemporaneo c'è una eresia; tutte queste eresie si risolvono in
altre eresie già condannate a suo tempo dalla Chiesa. Essa ha
condannato negli errori passati quelli presenti e futuri. Nel
"Saggio" Donoso aveva indicato come da ogni errore
teologico scaturisca un errore politico e sociale. Nel secolo XIX gli
errori teorici sono diventati conseguenze pratiche che investono la
società nella vita di ogni giorno. "(…) ai nostri giorni
l'errore non sta solo nei libri ma anche fuori di essi: sta nei
libri, nelle istituzioni, nelle leggi, nei giornali, nei discorsi,
nelle conversazioni, nella aule, nei circoli, nei focolari, nel
foro, in ciò che si dice e in ciò che si tace" (25).
Supposta la negazione del
Peccato Originale, si viene a negare l'infermità della volontà
umana, il mondo inteso come valle di lacrime, la necessità del
dolore liberamente accettato come mezzo di santificazione, che l'uomo
abbia bisogno di santificarsi. Si afferma così che la vita non è
valle di lacrime ma può essere radicalmente trasformata dall'uomo,
che l'uomo può assurgere alle più alte perfezioni munito del dogma
del progresso indefinito, che quel che la ragione non coglie non
esiste, che è peccato quel che la ragione dice essere peccato, che
la volontà e le passioni sono buone, che si deve ricercare solo il
piacere perché il tempo è posseduto dall'uomo per essere goduto. Se
l'uomo non è caduto la Redenzione è stata inutile, anzi, non c'è
mai stata, né ha senso l'azione santificante dello Spirito, negato
il Padre, negato il Figlio, negato lo Spirito Santo, il Cattolicesimo
diventa un'assurdità, laddove per il cattolico il soprannaturale è
l'atmosfera del naturale, "vale a dire, ciò che, senza farsi
sentire, circonda e a un tempo stesso sorregge il peccatore"
(26).
Negata la base del
Cattolicesimo, la stessa Chiesa diventa un'associazione filantropica,
più ingombrante che utile. "I progressi della verità dipendono
dai progressi della ragione, questi dal suo esercizio, che consiste
nella discussione, dunque la discussione è la vera legge
fondamentale delle società moderne e l'unico crogiolo in cui si
separano, dopo fuse, le verità dagli errori. Da questo principio
hanno la loro origine la libertà della stampa, l’inviolabilità
della tribuna, e la sovranità reale delle assemblee deliberanti. Se
la volontà dell'uomo non è inferma, le basta il fascino del bene
per seguirlo senza l'ausilio soprannaturale della grazia. Se l'uomo
non ha bisogno di questo aiuto, non ha nemmeno bisogno che i
sacramenti e le orazioni glielo procurino; se l'orazione non è
necessaria, è oziosa; se è oziosa è tale pure la vita
contemplativa; se la vita contemplativa è oziosa e inutile, allora
lo sono anche la maggior parte delle comunità religiose. Questo
serve a spiegare perché, dove sono penetrate queste idee, sono state
soppresse quelle comunità. Se l'uomo non ha bisogno di sacramenti,
non ha bisogno nemmeno di chi glieli amministri; e se non ha bisogno
di Dio, non ha bisogno nemmeno dei suoi mediatori. Da qui il
disprezzo e la proscrizione del sacerdozio ove queste idee hanno
messo radici. Il disprezzo del sacerdozio si risolve ovunque nel
disprezzo della Chiesa, e questo nel disprezzo di Dio" (27).
Scartato tutto ciò che è
soprannaturale, l'uomo si volge esclusivamente agli interessi
materiali. Ed è logico: negata la possibilità di un'altra vita,
l'uomo ricerca la felicità in questa vita. Spuntano così i grandi
sistemi utilitaristici, le grandi espansioni commerciali, la febbre
dell'industria, l'arroganza dei ricchi e la rivolta degli sfruttati.
Tolto il soffio vitale e mediatore del cattolicesimo, si cerca una
sorta di equilibrio con la distribuzione artificiale dei pubblici
poteri, il che equivale a voler riprodurre i fenomeni della vita, di
per sé naturali, con mezzi meccanici. Si accusa la Chiesa di essere
nemica dell'espansione della ricchezza e del progresso. In realtà
quel che si propone la Chiesa non è di fare gli uomini ricchi, ma
santi.
Certe scuole affermano che
il Cattolicesimo è favorevole al governo delle moltitudini, altre
dicono che appoggia la tirannide opprimendo la libertà. In realtà
il Cattolicesimo ha santificato l'obbedienza e insegnato che nessun
uomo ha diritti sull'altro uomo, perché l'autorità viene da Dio:
comandare significa servire e richiede sacrificio, nessuno può
essere grande se non si fa piccolo ai propri occhi. Questi principi
formano il Diritto Pubblico della Cristianità e costituiscono
l'affermazione dell'unica libertà possibile. Tra gli interessi
materiali, morali e religiosi deve esserci equilibrio e ciascuno di
essi deve avere il suo posto, questo la Chiesa insegna. Quando
prevalgono i primi ai mettono in moto le grandi concupiscenze. Alcuni
si rendono conto della necessità sociale del Cattolicesimo ma
ricusano il suo giogo (soave per l'umiltà, opprimente per
l'orgoglio) (28), e cercano la transazione, accettando solo ciò che
fa loro più comodo e respingendo il resto: "Costoro sono tanto
più pericolosi in quanto assumono un certo sembiante d'imparzialità,
proprio per ingannare e sedurre le genti; con ciò si fanno giudici
del campo, obbligano a comparire dinanzi a loro l'errore e la verità,
e con falsa moderazione cercano tra i due non so quale impossibile
mezzo termine". "Colui che si pone in questo vuoto è tanto
lontano dalla verità quanto colui che è nell'errore" (29).
Ed ora Donoso coglie la
doppia anima del socialismo: alcuni degli errori descritti portano
alla libertà assoluta, quindi all'anarchia; altri richiedono per la
loro realizzazione un dispotismo di proporzioni immani. I primi
negano non solo il Dio Provvidenza, ma anche il Dio Creatore: la
logica esige quindi la negazione di ogni autorità, sia politica, sia
religiosa, sia domestica. Il comunismo deriva dalle eresie panteiste;
Dio è tutto, quindi moltitudine e democrazia; gli individui sono
atomi divini del tutto, che perpetuamente li genera e li riassorbe.
Se Dio è tutto, ciò che non è Dio è nulla; da qui il disprezzo
per il singolo e per la libertà individuale; da qui la necessità di
confondere le famiglie, le classi, i popoli, le nazioni. Sarà il Dio
unico, universale, vincitore di tutto ciò che è vario e
particolare: "Questo è il vero tutto, il vero Dio armato di un
solo attributo, l'onnipotenza, e vincitore delle tre grandi debolezze
del Dio cattolico: la bontà, l'amore e la misericordia. Chi non
riconoscerà in questo Dio Lucifero, il Dio dell'orgoglio?".
"(…) il grande impero anticristiano sarà un colossale impero
demagogico, retto da un popolano di satanica grandezza, che sarà
l'uomo del peccato" (30).
Tutto il ragionamento di
Donoso può farsi, identico, per quanto riguarda la struttura della
Chiesa. Negando il primato di Pietro si fanno dipendere le sorti
della Chiesa da una irrequieta aristocrazia. Concesso al Pontefice
l'onore di una vana presidenza, lo si relega in Vaticano come il Dio
deista nel cielo. Coloro che non accettano l'impero della ragione, di
per sé aristocratica, preferendo quello della volontà, finiscono
nel presbiterianismo, che è la repubblica nella Chiesa; gli
innamorati della libertà individuale cadono nel libero esame ed i
sedotti dall'errore panteista daranno la sovranità alla comunità
dei fedeli, tramutando il Pontefice da mandatario di Dio, a
mandatario della Comunità.
La teoria dell'uguaglianza
tra Chiesa e Stato finisce col proclamare di natura laicale ciò che
è di natura mista, e di natura mista ciò che è di natura
ecclesiastica; tutti i punti possono perciò essere oggetto di
discussione e tutto ciò che è discutibile si risolve in
transazioni; la vigilanza, l'ispezione e la censura esercitate dallo
Stato nei confronti della Chiesa, divengono così misure di diritto
comune.
La teoria dell’inferiorità
della Chiesa rispetto allo Stato si risolve nella proclamazione delle
Chiese Nazionali; lo Stato può revocare i Concordati, requisire i
beni ecclesiastici e governare direttamente la Chiesa. La teoria
della separazione assoluta tra Chiesa e Stato finisce, a lungo
andare, con lo scristianizzare la società. In ultimo, l'affermazione
che la Chiesa non serve a nulla porta alle peggiori persecuzioni.
Per finire, conclude
Donoso, la libertà di insegnamento, là dove è negata, è sempre
meglio che niente. Ma il principio è in sé stesso inaccettabile per
la Chiesa Cattolica: "Infatti, proclamare che l'insegnamento
deve essere libero significa proclamare l'inesistenza di una verità
già conosciuta che deve essere insegnata, che la verità non è
stata ancora trovata e che la si può trovare attraverso un'ampia
discussione di tutte le opinioni" (31).
4. La morte.
Fin da quando aveva deciso
di vivere da cattolico la sua vita privata aveva preso una decisa
piega ascetica: Divorava opere di mistica, le vite dei Santi e l’
"Imitazione". Confessava a Veuillot di sentirsi portato
alla vita contemplativa, gli sarebbe piaciuto entrare nei Gesuiti.
Annotava puntualmente i giorni di digiuno e di astinenza, si
confessava ogni otto giorni e si comunicava due volte alla settimana.
Cercava di pregare il più possibile, il tempo che le sue occupazioni
di ambasciatore gli consentivano.
Sosteneva finanziariamente
la vedova del fratello e si informava meticolosamente della vita
spirituale della sua famiglia. Soccorreva in modo sistematico le
"Hermanitas de los pobres" e assisteva puntualmente a tutte
le loro comunioni generali. Iscritto alla S. Vincenzo de' Paoli e a
numerose altre congregazioni, si dedicava a tutt'uomo ai poveri,
giungendo a mendicare per essi presso le conoscenze facoltose.
Trovava sempre il tempo per visitare i suburbi parigini ed aiutare
economicamente le famiglie bisognose; fu padrino di un'infinità di
bambini nati nella miseria. Non essendo ricco, finì per indebitarsi
(32). Riusciva però a mantenere gli impegni presi coi poveri cui si
era obbligato a passare una pensione annua. A Veuillot che gli
chiedeva del denaro per soccorrere una famiglia in gravi ristrettezze
consegnò senza esitare quel che restava del suo stipendio di
ambasciatore. "Mentre mi parlava si stava vestendo, ed ebbi
occasione di vedere che aveva la camicia logora: glielo dissi, ma mi
rispose che non ne aveva altra migliore" (33).
Con l'inseparabile
Veuillot percorse a piedi e sotto la pioggia parecchi chilometri, in
un pellegrinaggio ad Argenteuil, ove intendeva impetrare per il
fratello Paco, sofferente di convulsioni nervose.
Galindo Herrero informa
dettagliatamente dei mezzi apprestati da Donoso nello sforzo di
vincere sé stesso: Juan Donoso Cortés, Grande di Spagna, Gran Croce
di Carlo III, Gran Croce di Isabella la Cattolica, Ufficiale della
Legion d'Onore, confidente e consigliere di re, deputato, oratore e
scrittore famoso, senatore del Regno di Spagna, ambasciatore
plenipotenziario e testimone di nozze imperiali, portava il cilicio,
una camicia di cuoio intrecciato con punte metalliche (34).
Nell'aprile del 1853 una
violenta crisi cardiaca lo colse costringendolo a letto, Napoleone
III inviava il suo aiutante di campo ad assisterlo. Si chiudeva così
una vita vissuta nella più completa solitudine. "(…) la
miglior corona di quella vita, troncata prima di arrivare al
tramonto, la migliore opera e il miglior esempio di Donoso, fu la sua
morte da santo" (35).
"Anacoreta perduto
nelle aride steppe della diplomazia, apostolo predicatore di selvaggi
da salotto, asceta sotto l’abito ricamato di ambasciatore, Donoao
Cortés, dopo aver dato durante la sua vita il raro esempio di una
conversione politica sincera, offriva, morendo, lo spettacolo
edificante di una fine veramente cristiana" (36).
"Sono tranquillo
perché so in quali braccia mi trovo" (36), diceva mostrando il
Crocifisso. Nella Legazione Spagnola, in Rue de Coureelles, nei
deserti stanzoni pieni di solito del fumo degli innumerevoli sigari
che fumava, assistito dal conte Hubner e da una suora, si spegneva
all'età di quarantaquattro anni Juan Donoso Cortés, marchese di
Valdegamas, controrivoluzionario.
CONCLUSIONE
II pensiero di Donoso
Cortés è sempre stato oggetto di un curioso fenomeno: lasciato
sopire e addirittura dimenticato nelle oasi della storia, viene
"riscoperto" nei periodi di crisi. E' una specie di "eterno
ritorno" di Donoso Cortés, un destino che egli stesso aveva
peraltro previsto.
Nell'ultima parte del
secolo scorso lo spirito borghese "fin de siecle" viveva
tranquillo nell'apparente "calma conservatrice", dando per
morta l'anima della rivoluzione. Sarà la bufera del '15-'18 a far
riesumare il marchese di Valdegamas (37), come autore di una analisi
critica del secolo XIX che prevedeva conseguenze manifestatesi poi in
grande stile; il crollo del liberalismo e la Rivoluzione Sovietica
faranno volgere gli occhi degli studiosi all'uomo che "dalle
altezze cattoliche" lanciava vaticinii sull'Europa. Col tempo il
velo dell'oblio è tornato a scendere su Donoso Cortés.
II fatto è che egli non
fa mai uomo di parte, bensì di princìpi. Pronto a difendere la
verità in cui credeva contro tutto e tutti, financo contro i suoi
stessi amici (i quali più volte gli avevano fatto notare che
esagerava), il suo ruolo era quello di "voce-che-grida-nel-deserto"
invitando gli uomini alla penitenza, di cui peraltro era il primo a
dare l'esempio.
Da questo punto di vista
non erra chi lo accosta ai profeti dell'Antico Testamento. Ma profeta
di cosa? Di sciagure? Di più; di "catastrofi" (38). In
effetti in mezzo alle dottrine ottimistiche che si presentavano al
vaglio della Storia nel corso del secolo passato, bianche nella veste
della candidatura a "sistema universale”, stonava non poco il
pensiero di Donoso Cortés, che si presentava parato a lutto
rinfacciando agli uomini del suo tempo di tollerare ogni tirannia che
si presentasse in nome del filantropismo, di sopportare la guerra
solo se fatta "contro la guerra", e la schiavitù in nome
della libertà (39).
I suoi pronostici? Non
occorre essere d'accordo sulla teoria: basta aprire un libro di
storia per vedere cosa è successo in pratica. Quel che aveva
previsto si è generalmente avverato. Se sia stato un esaltato
visionario o un versato nell'arte divinatoria, non è cosa che
riguardi il presente studio. Siamo certi d'altro canto che nella sua
veste di lucido scrutatore politico seppe essere freddo e ragionatore
(40).
I suoi avversari
conservatori molto spesso non compresero il nocciolo del suo
pensiero; le critiche rivoltegli infatti si limitavano a questo o a
quel punto. E dire che le pagine più violente e cariche di
disprezzo, di Donoso, sono proprio a loro rivolte, alla borghesia
liberale che esige libertà, eguaglianza e fraternità da un lato,
per negare dall'altro il suffragio universale, a chi ha distrutto
l'ordine divino per accomodarsi in posizioni di potere, dall'alto
delle quali far prevalere la sua ricchezza e opprimere le classi
inferiori. E gli attacchi più violenti gli vennero dai cattolici
liberali, anche se sarebbe stato più logico se fossero venuti dai
socialisti (Proudhon con fiero sarcasmo lo sfidava a riaccendere i
fuochi dell'Inquisizione) (41). Il perché è evidente. Essi erano
gli unici ad offrire un’interpretazione completa del "senso
della Storia” e un modello di società che aveva dalla sua la forza
della logica. Donoso contrapponeva un'interpretazione altrettanto
completa ed altrettanto logica, cambiate le premesse.
Il pomo della discordia
era il punto di partenza, e questo Donoso Cortés lo aveva capito.
1) - Lettera del 28
gennaio l853” in C. VALVERDE op. cit., II pag. 971.
2) - Ibidem, pag. 972.
3) - Lettera a Gaduel del
3 febbraio l853, ibidem, pag. 973.
4) - G. DE ROSA,
Introduzione a J. DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano, op. cit., pag.
14, nota 6; v. anche ibidem e passim le lettere di Gaduel,
5) - C. VALVERDE, op.
cit., II, pag. 973
6) - Ibidem, pag. 979.
7) - Interessante per il
punto di vista teorico, L ' Ecclesiologie au XIX° siecle. Paris,
I960.
7 / bis) - L'Arcivescovo
di Parigi, Mons. Sibour, aveva interdetto ai primi del 1859 lo
"Univers". Il Papa intervenne a favore del giornale e dello
ultramontanismo in genere, nell'aprile, con l'enciclica "Inter
multiplices”.
8) - LA CIVILTÀ
CATTOLICA. 16 aprile l853, anno IV, serie II, vol. 2, pag. 172
9) - Ibidem, pag. 185.
10) - Ibidem, pag. 187 v.
tuttavia G. DE ROSA, Introduzione a J. DONOSO CORTÉS, II potere
cristiana, op” cit., pag. 16, nota 7.
11) - Metternich ebbe a
dire: "Tutto avevamo previsto, ma non certo un Papa liberale”
; in A. FLICHTE e V. MARTIN. Storia della Chiesa di Roger Aubart, a
cura di G. Martina S. J., volume XXI, Torino 1964, pag. 33.
12) - FEDERICO IX di
PRUSSIA. Testamento Politico; in P. GAXOTTE, Federico II Re di
Prussia. Novara 1972, pag. 309.
13) - A. FLICHE e V.
MARTIN. op, cit., pag. 29.
14) - Così scriveva nel
1847 Alberto De Broglie al padre; ibidem, pag. 32.
15) - Nel settembre 1847
l’espulsione dei Gesuiti dalla Svizzera aveva acceso la miccia
della guerra civile tra i sette cantoni cattolici costituitisi in
Confederazione separata e la Dieta Federale, in maggioranza radicale.
Pare però che il Papa fosse stato tenuto allo oscuro della vera
situazione in Svizzera.
16) - Ibidem, pag. 64.
17) - S. NEGRO, Seconda
Roma, Milano 1943, pag. 150; cit. ibidem, pag. 67
18) - M. MINGHETTI. Miei
ricordi. III, Torino 1890, pag. 184 cit. ibidem, pag. 136,
19) -
Ibidem, pag. 140,
20) -
Ibidem, pag. 349.
21) - DOM
DELATTE, Dom Guéranger. Paris , 1909-1910, II, pagg. 146-147 cit.
ibidem, pag. 360,
22) - Ibidem, pag. 400,
23) - Il Card. Fornari,
ex Nunzio in Belgio, era stato dal 1843 al 1850 Nunzio a Parigi, dove
aveva sostenuto la corrente ultramontana. Qui aveva conosciuto
Donoso, Nel maggio 1852 Fornari, prefetto della Sacra Congregazione
degli Studi, gli scrisse una lettera a nome del S. Padre, Alla
lettera era allegato un "Syllabus eorun quae in colligendis
notabilisque erroribus ab oculos haberi possunt" di 28 punti.
Donoso era pregato di rispondere almeno con brevi indicazioni su ogni
punto.
24) - G. ALLEGRA
Introduzione all'op. cit., pag. 7,
25) - J. DONOSO CORTÉS.
Il potere cristiano, op. Cit.,
pag. 122.
26) -
Ibidem, pag. 124
27) -
Ibidem, pag. 127
28) -
Ibidem, pag.131,
29) - Ibidem
30) - Ibidem
pag. 135
31) - Ibidem, pag. 144
32) - Come nelle parole
di Antonio Capece Minutolo: "Sono plebeo per genio perché sono
cattolico romano per convincimento" ; in S. VITALE, op. cit.,
pag. 91
33) - Cit. da C.
VALVERDE, op. cit., I, Introduzione, pag. 76
34) - S. GALINDO HERRERO.
Donoso Cortés en la ultima etapa de su vida, in ARBOR 89, Maggio
1953, pag. 9.
35) -
MENENDEZ PELAYO op, cit., pag. 411.
36) - Conte
HUBNER Neuf ans de couvenire…etc, op. cit., pag. 212( in C.
VALVERDE op, cit., I, Introduzione, pag. 78.
37) - F.
XAVIER DE SILIO. op, cit., pag. 61.
38) - Tornano alla mente
le parole che Goethe scriveva all'indomani della Rivoluzione
Francese; "Per disgrazia, nella gran parte dei casi, si dovrebbe
ammutolire, per non essere considerato pazzo, come Cassandra, quando
uno dice quel che si avvicina” ; cit. da K. SCHMITT. op. cit., pag.
30,
39) - Ibidem,
pag. 126.
40) -
EUGENIO D’ORS. Pensar por ensayos, in
CLAVILENO, anno IV, gennaio-febbraio 1953, n, 19, pag. 5,
41) - K. SCHMITT. op.
cit., pag. 69, Per un parallelo Donoso Cortès-Proudhon, v. KARL
LOWITH, Da Hegel a Nietzsche, Torino, 1949, pagg. 404 ss.
LA SINTESI DONOSIANA
A fondamento del pensiero
donosiano sta un'intuizione: alla radice di ogni mutamento profondo
sul piano politico e sociale c'è una distorsione della teologia
cattolica.
Sulla base di un
intelligente schema tracciato da Valverde nella più volte citata
edizione di Obras completas de Donoso Cortés", ho ritenuto
opportuno riassumere le grandi linee del pensiero donosiano in una
breve sintesi, integrata da riflessioni del pensatore estremegno.
1. CRISTIANESIMO:
Esiste un Dio che ha
creato e ordinato il Cosmo. Questo Dio è persona e governa le cose
divine ed umane.
- MONARCHIA CRISTIANA;
Esiste un Re che regna e
governa una società strutturata secondo il modello divino.
2. DEISMO:
Esiste un Dio Creatore ma
non Provvidenza. Il Peccato Originale non c'è mai stato: l'uomo è
buono per natura e la sua ragione è onnipotente.
- MONARCHIA
COSTITUZIONALE:
Esiste un Re che regna ma
non governa. Il governo spetta ai filosofi, quindi divisione dei
poteri, parlamentarismo, discussione, stampa e tribuna libere.
3. ATEISMO
Un Dio che non governa non
è Dio. Dio non esiste. Essendo l'uomo buono per natura, anche la sua
volontà, oltre che la ragione, è indirizzata al bene. Gli appetiti
umani sono buoni in sé stessi.
a) - SISTEMA REPUBBLICANO
Un Re non ha senso perché
tutte le volontà, sono capaci di direzione, quindi suffragio
universale.
b) SISTEMA SOCIALISTA
Gli uomini sono buoni,
quindi non c'è necessità di un governo, tuttal più di
un'organizzazione che soddisfi in modo razionale gli appetiti degli
individui; le istituzioni che limitano la libertà devono sparire.
4. PANTEISMO:
Dio è tutto.
- COMUNISMO:
La società è tutto, è
divina; l’individuo non è niente. (1)
(1) - Cfr. P. LETURIA S.
J. L'ateismo comunista previsto e confutato negli ultimi scritti di
Donoso Cortés, in LA CIVILTÀ CATTOLICA, IV, 1937.
La sempre crescente
importanza dei movimenti unitari che andavano accendendo gli animi
specialmente in Italia e in Germania, non sfuggì a Donoeo Cortés.
Capiva che i nobili ideali di indipendenza di certe élites
intellettuali si erano trasformati in valide armi per la Rivoluzione”
"'Tutte le idee", diceva, "le più abbiette come le
più nobili, producono oggi gli stessi risultati. Basta guardare a
Parigi e poi a Venezia per vedere gli esiti cui hanno portato l'idea
demagogica da un lato, e, dall'altro, quella magnifica
dell'indipendenza italiana" (2).
"Il delirio per
l’unità ai è impadronito di tutti in tutte le cose: unità dei
codici, unità di mode, unità di civilizzazione, unità
amministrativa, unità commerciale, industriale, letteraria e
linguistica".
"Fugge il figlio
impaziente dal focolare paterno per lanciarsi nella società, che è
unità superiore alla famiglia. Lascia il suo villaggio il contadino,
e se ne va alla città per barattare l'unità del consiglio comunale
con quella della nazione".
La centralizzazione non è
altro che questo movimento che va cercando l'unità nel campo delle
leggi",
"Nostro Signore Gesù
Cristo venne al mondo per
(2) - Cit. da G. ALLEGRA,
II pensiero politico di Donoso Cortés, Rivoluzione, Tradizione e
Reazione, in LA DESTRA, luglio-agosto 1973, pag. 54.
costituire, in Sé e per
Sé, l'unità del genere umano. Di tutti i peccati possibili, non ve
ne é alcuno che uguagli quello che consiste nel rigettare da parte
dell’uomo quella di Dio o nel voler fare con altri fini, e in modo
differente, quel che Dio fa",
"La Babele
democratica avrà la stessa sorte della Babele dei libri santi; quel
che accadde allora accadrà certamente adesso. Si ripeterà il dramma
delle pianure di Sennaar: prima che la torre sia finita. Dio
castigherà le nazioni e disperderà i popoli" (3).
(3) – C. VALVERDE. op,
cit,, II, pagg, 980-981. La mentalità controrivoluzionaria passante
attraverso le "Amicizie” dell’inizio del secolo XIX” le
opere di un De Bonald e di un De Maistre, gli scritti e l’attività
di un Canosa, di un Solaro della Margarita, di un Monaldo Leopardi,
giornali come "L'Univers" in Francia e "L'Amico
d'Italia" di Cesare Taparelli D'Aaeglio o la "Voce della
ragione" in Italia, gli articoli di un Luigi Taparelli
D'Azeglio, mentalità che ebbe l'ultima grande affermazione in Donoso
Cortés, confluì nella pubblicistica intransigente della seconda
metà del secolo, scadendo però di tono; il tradizionalismo
cattolico perderà quel largo respiro di cui aveva saputo dar prova
un Donoso Cortés e scenderà sul piano del libello. V. a questo
proposito P.G. CAMAIANI, Il Diavolo, Roma e la Rivoluzione, in
RIVISTA DI STORIA E LETTERATURA RELIGIOSA, anno VIII, n. 3, Firenze
1972? V. anche P. STELLA. Per una storia del profetismo cattolico
apocalittico ottocentesco, ibidem, ma anno IV, 1968.
Il triplice assioma
rivoluzionario è ancora una volta oggetto degli strali donosiani: le
concrete libertà di un tempo vengono sostituite da una formula
astratta ? la soppressione delle gerarchie costituisce la società in
classi, presso le quali l'economia è legge di guerra perpetua.
"Libertà,
eguaglianza, fraternità; formula contraddittoria. Lasciate all’uomo
il libero dispiegarsi della sua attività individuale, e vedrete come
appunto muore l'eguaglianza per mano delle gerarchie, e la fraternità
per mano della concorrenza. Proclamate l’eguaglianza e vedrete la
libertà fuggire nello stesso istante e la fraternità esalare
l'ultimo respiro” .
"Cosa strana! I figli
di Adamo, lungi dal trattarsi cotte fratelli, sono nemici; e quando
Dio disfa la posterità di Adamo, cessano di essere nemici per essere
fratelli" (4).
(4) C. VALVERDE, op.
cit., II, pagg. 983-984.
CRONOLOGIA
1809, 6 maggio
Nasce a Valle de la Serena
da Pedro Donoso Cortés e Maria Élena Fernandez-Canedo
1820
Studia a Salamanca,
1821
Si trasferisce a Càceres,
ove studia Filosofia.
1823
Intraprende a Siviglia gli
studi di Diritto. Legge le opere francesi e scrive versi.
1828
Breve permanenza a Madrid
1829, ottobre
Insegna Estetica e
letteratura a Caceres.
1830, 20 gennaio
Sposa Teresa Garcia
Carrasco.
1832
Si trasferisce a Madrid
1832, settembre
Partecipa al colpo di
Stato di La Granja.
1832, 13 ottobre
"Memoria sobre la
situacion actual de la Monarquia", indirizzata al re.
1833, febbraio
E’ nominato ufficiale
della Segreteria di Grazia e Giustizia del Dipartimento delle Indie
1834, 8 marzo
E' segretario con
esercizio di decreto nel Ministero di Stato,
1834, settembre
- "Consideraciones
sobre la diplomacia” ”
1835, 3 giugno
Muore la moglie. E’
inviato come Commissario Regio in Estremadura e insignito della Croce
di Cavaliere dell'Ordine di Carlo III, "la ley electoral
considerada en su base y en su relación con el espiritu de nuestras
instituciones".
1836, maggio
E' Segretario del
Gabinetto e della Presidenza del Consiglio.
1836, novembre
"Lecciones de Derecho
Politico" all'Ateneo di Madrid,
1837, maggio giugno
"Principios
constitucionales applicados al proyecto de Ley Fundamental presentado
a las Cortés por la Comisión nombrada al efecto".
1837, giugno
Attività giornalistica
contro il governo Calatrava”
1838, luglio
Intensa attività
giornalistica condotta sulle colonne dei maggiori quotidiani
madrileni:
"Polemica con el
Doctor Rossi", (5 articoli).
"De la
Monarquia absoluta en Espana", (3 articoli).
"Estado
de las relaciones diplomaticas entre Francia y Espana explicado por
el caracter de las alianzas europeas",
- settembre ottobre
"Filosofia de la
Historia: Juan Bautista Vico", (11 articoli)
1838 ottobre novembre
Consideraciones sobre el
Cristianismo, (3 articoli).
1839 agosto settembre
"Antecedentes para la
inteligencia de la Cuestión de Oriente", (10 articoli
pubblicati su 'El Piloto).
1839, ottobre
E’ a Parigi al seguito
di Maria Cristina.
1840
Redige il Manifesto che la
Regina Madre lancerà alla Spagna
1841
Missione presso Esporterò
riguardo alla questione della tutela delle figlio di Maria Cristina.
1841
Redige il Manifesto di
protesta che la Regina Madre indirizza alle Cortés a Parigi conduce
un’intensa attività contro Espartero.
1842
Lettere al quotidiano 'El
Heraldo’”
1843, 6 novembre
Tornato in Spagna
pronuncia alle Cortés un discorso favorevole alla proclamazione
della maggiore età di Isabella II. Viene inviato a Parigi con la
speciale missione di
provocare il ritorno di
Maria Cristina.
1843
Colloqui con Luigi Filippo
e Guizot sulla questione del matrimonio di Isabella
1844
Pubblica un articolo sulla
‘Revista de Madrid’ : "Curso de historia de la civilización
de Espana, por Don Fernin Gonzalo Moron", Scrive "Historia
de la Regencia de Maria Cristina"
1844 30 marzo
E’ segretario
particolare di Isabella II, Viene nominato segreta-rio della
Commissione incaricata della revisione della Costituzione.
1845 15 gennaio
Discorso alle Cortés in
difesa di un emendamento alla legge sulla dotazione del culto e del
clero.
1845 17 settembre
Discorso sulle nozze
reali.
1846, 25 ottobre
Riceve i titoli di
Visconte del Valle e Marchese di Valdegamas,
1847, 4 marzo
Discorso sulle relazioni
internazionali della Spaglia. Ancora a Parigi al seguito di Maria
Cristina. Conosce il musicista Masarnau,
1847 giugno
Torna in Spagna per la
morte del fratello Pedro
1847 settembre
"Las reformas de Pio
IX” (4 articoli su 'El Faro'),
1848
"Estudios sobre la
Historia'. E' eletto Presidente della Sezione di Scienze Morali e
Politiche nell’Ateneo di Madrid.
1848 16 aprile
Entra all'Accademia della
Lingua, pronuncia il "Discurso sobre la Biblia".
- 4 gennaio
"Discurso sobre la
dictadura"”
1850, 30 gennaio
Ambasciatore a Berlino “
1850, 30 gennaio
"Diacurso sobre la
situacion general de Europa",
1850 30 dicembre
"Discurso sobre la
situacion de Espana',
- 28 febbraio
Ambasciatore a Parigi
1851 aprile
Visita a Metternich,
esiliato a Bruxelles
1851 giugno
"Ensayo sobre el
catolicismo, el liberalismo y el socialismo"”
- 26 novembre
Lettera a Maria Cristina.
1852, febbraio
Polemica con Gaduel
1852, aprile
Polemica con la stampa
1852, 19 giugno
Lettera al Card. Fornari.
- 30 gennaio
Testimone alle nozze di
Napoleone III con Eugenia de Montijo,
1853 3 maggio
Morte
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