Il Quindicinale
antimodernista “sì sì no no” sta riportando tre articoli sull’infallibilità e la
questione della pastoralità del Concilio Vaticano II del teologo brasiliano
Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, stretto
collaboratore di Sua Eccellenza mons. Antonio de Castro Mayer Vescovo di
Campos e Direttore della rivista teologica mensile “Catolicismo” di San Paolo
del Brasile nella quale sono apparsi. Adesso li riassumo e li porgo al lettore
in maniera semplificata perché ognuno, anche i non esperti in teologia, possa
farsi un’idea chiara su questi temi. Chi volesse poi studiare gli articoli
stessi li potrà consultare su questo stesso sito tra breve. Il Da Silveira è
anche l’autore di numerosi saggi teologici sul “Novus Ordo Missae” di Paolo VI
(apparsi su “Catolicismo” tra il 1970-1971), essi furono presentati a Paolo VI
da mons. De Castro Mayer (ma attendono ancora risposta come il “Breve Esame
Critico del NOM” presentato a papa Montini dai cardinali Ottaviani e Bacci), poi
furono pubblicati in francese riuniti in un libro divenuto celeberrimo sotto il
titolo “La Nouvelle Messe de Paul VI: qu’en penser?”, Chiré, 1975. *
Il magistero straordinario conciliare non è sempre
infallibile
Il Concilio è magistero
straordinario ‘quanto al modo’, nel senso che non è
abitualmente o permanentemente riunito, ma straordinariamente o
solennemente; tuttavia il suo insegnamento è infallibile soltanto se
definisce una verità di fede come da credersi obbligatoriamente. Quindi il
magistero sia ordinario che straordinario è infallibile solo se ha la
‘volontà di definire e obbligare a credere’. Il teologo tedesco Albert Lang spiega bene che «non riveste
neppure importanza essenziale il fatto che i vescovi esercitino il loro
magistero ‘in modo ordinario e universale’ [cioè sparsi nel mondo ciascuno nella
propria Diocesi], oppure esercitino il loro magistero ‘in modo solenne’
[straordinario] riuniti in un Concilio ecumenico convocato dal Papa. In entrambi
i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa
(prima condizione), annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio
(seconda condizione)» (Compendio di Apologetica, tr. it. Torino,
Marietti, 1960, p. 461). In breve per esercitare l’infallibilità
l’essenziale è obbligare i fedeli a credere come divinamente rivelato ciò
che si definisce, sia in ‘maniera ordinaria’ sia in ‘maniera solenne o
straordinaria’ (il modo è elemento accidentale dell’infallibilità). La
forma esterna solenne o straordinaria ‘quanto al modo’ di pronunciarsi non è per
sé indice di infallibilità; l’essenziale è imporre ‘quanto alla sostanza’, in
‘maniera ordinaria o straordinaria’, la dottrina annunziata definitivamente e
obbligatoriamente per la salvezza. Onde non tutto ciò che è magistero
straordinario quanto alla forma esterna e ‘non comune’ o ‘non ordinaria’ di
pronunciarsi con formule solenni è infallibile.
Le quattro condizioni
dell’infallibilità
La costituzione ‘Pastor
Aeternus’ del Concilio Vaticano I
stabilisce le condizioni necessarie per la infallibilità delle definizioni
pontificie straordinarie o ordinarie. Insegna che il Papa è infallibile «quando
parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di
tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una
dottrina riguardante la fede ed i costumi, che deve tenersi da tutta la
Chiesa»[i]. I teologi sono unanimi nel vedervi la soluzione
del problema delle condizioni della infallibilità pontificia[ii]. Pertanto; le condizioni necessarie perché si
abbia un pronunciamento del magistero pontificio straordinario o ordinario
infallibile sono quattro: 1°) che il Papa parli come Dottore e Pastore
universale; 2°) che usi della pienezza della sua autorità apostolica; 3°) che
manifesti la volontà di definire e di obbligare a credere; 4°) che tratti
di fede o di morale.
La ‘voluntas definiendi’ nel Papa e nel
Concilio
a) Il
Papa
Il punto cruciale del problema è
nella terza condizione, e cioè che vi sia intenzione di definire ed obbligare a credere.
Come si manifesta questa intenzione? Fondamentale è che sia chiaro, in un
modo o nell’altro, che il Papa vuole definire (in maniera ‘ordinaria’ o
‘straordinaria’) una verità da credere obbligatoriamente in quanto divinamente
rivelata.
b) Il Concilio
Ecumenico
Il Concilio Vaticano I non ha dichiarato in
che condizioni un Concilio ecumenico è infallibile. Ma, per analogia con il
magistero pontificio, si può affermare che le condizioni sono le stesse. Come il
Papa, il Concilio ha la facoltà di essere infallibile, ma può usarne o
no, a sua volontà. Molti cattolici male informati potrebbero a questo punto
obiettarci di avere sempre sentito dire che ogni Concilio ecumenico è
necessariamente infallibile. Questo non è però quanto dicono i teologi:
“a posse ad esse non valet illatio”, ossia “il passaggio da poter
essere infallibilmente assistito ed esserlo de facto non è valido”.
San Roberto Bellarmino spiega che
solo dalle parole del Concilio si può sapere se i suoi decreti sono proposti
come infallibili. E conclude che, quando le espressioni al riguardo non
sono chiare, non è certo che tale dottrina sia di fede[iii]. E, se non è certo, non è da credere,
perché, secondo il Codice di Diritto
Canonico, «nessuna verità deve essere considerata come dichiarata o
definita come da credere, a meno che questo consti in modo manifesto»[iv].
La costanza dell’insegnamento lo rende
infallibile
Tuttavia, il magistero ordinario
può, in altro modo oltre la voluntas definiendi in ‘maniera non solenne o
normale’, comportare l’infallibilità. Padre J. A. Aldama dice: «Benché il magistero
ordinario del Pontefice Romano non sia di per sé infallibile, se però [pur senza
la voluntas definiendi esplicitata] insegna costantemente e per un
lungo periodo di tempo una certa dottrina a tutta la Chiesa, si deve
assolutamente ammettere la sua infallibilità; in caso contrario, la Chiesa
indurrebbe in errore»[v]. In questo caso ci troviamo di fronte alla
infallibilità del magistero ordinario per la continuità di uno stesso
insegnamento. Il fondamento dottrinale di questo titolo di infallibilità è
quello indicato dal padre Aldama: se in una lunga e ininterrotta serie di
documenti ordinari su uno stesso punto i Papi e la Chiesa universale potessero
ingannarsi, le porte dell'inferno avrebbero prevalso contro la Sposa di
Cristo. Essa si sarebbe trasformata in maestra di errori, alla cui influenza
pericolosa e perfino nefasta i fedeli non avrebbero modo di sfuggire.
Evidentemente il fattore tempo non è l'unico di cui si debba tenere conto. Ve ne
sono numerosi altri. Secondo la classica formula di san Vincenzo di Lerino, dobbiamo credere
a quanto è stato insegnato ‘sempre, ovunque e da tutti’, «quod semper, quod
ubique, quod ab omnibus». Infatti l'assistenza dello Spirito Santo sarebbe
manchevole se una dottrina insegnata “sempre, ovunque e da tutti” potesse essere
falsa. Tuttavia è necessario non intendere l'adagio in senso
esclusivo, cioè come se l’infallibilità per la continuità di uno stesso
insegnamento esistesse soltanto quando si verificassero queste tre
condizioni[vi]. Vi può essere anche solo con la voluntas
definiendi in maniera ordinaria.
Vaticano II e infallibilità
Il Concilio Vaticano II ha usato la
prerogativa della infallibilità? La risposta è semplice e
categorica: no. In nessuna occasione i Padri conciliari hanno avuto la
voluntas definiendi et obligandi, cioè in nessuna occasione hanno
osservato la terza condizione di infallibilità sopra indicata. Solo dove ha
ripetuto ciò che la Chiesa aveva insegnato costantemente e infallibilmente il
Vaticano II è stato infallibile de facto. Già nella fase preparatoria del
Concilio Giovanni XXIII aveva
dichiarato che esso non avrebbe definito verità da credere, ma doveva avere
soltanto un carattere pastorale. Si veda inoltre in proposito la
“Dichiarazione del 6 marzo 1964 della
Commissione Dottrinale”[vii]. Questa dichiarazione ha un’enorme importanza,
non solo per essere stata ripetuta posteriormente dalla stessa commissione[viii], e applicata ufficialmente a più di uno
schema[ix], ma soprattutto perché Paolo VI l'ha indicata come norma di
interpretazione di tutto il Concilio[x].
Vi è la possibilità eccezionale di errore in atti del
magistero
Possiamo dire che il semplice
fatto secondo cui i documenti del magistero si dividano in infallibili e in ‘non
infallibili’, lascia aperta, in tesi, la possibilità di errore in qualcuno di
quelli ‘non infallibili’, i quali per definizione possono
eccezionalmente “fallire” essendo ‘non-infallibili’. Questa conclusione si
impone in base al principio metafisico enunciato da san Tommaso d'Aquino: «quod possibile
est non esse, quandoque non est», ossia «ciò che può non essere
[infallibile], talora non è [infallibile]»[xi]. Se, in via di principio, in un
documento pontificio vi può essere errore per il fatto di non osservare
le quattro condizioni dell’infallibilità, lo stesso si deve dire a proposito dei
documenti conciliari, quando non osservino le stesse condizioni. In altri
termini, quando un Concilio non intende definire con la voluntas obligandi
verità di fede come divinamente rivelate, a rigore può cadere in errore.
Questa conclusione deriva dalla simmetria esistente tra la infallibilità
pontificia e quella della Chiesa messa in evidenza dallo stesso Concilio
Vaticano I [xii].
La sospensione dell’assenso ad un atto magisteriale
difforme dalla Tradizione apostolica è lecita
●Quando vi sia «un’opposizione
precisa tra un testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione
apostolica»[xiii], allora sarà lecito al fedele dotto e che abbia
studiato accuratamente la questione, sospendere o negare il suo assenso
al documento papale. La stessa dottrina si trova in teologi molto autorevoli. Ne
citiamo alcuni. Padre Diekamp:
«Questi atti non infallibili del magistero del Romano Pontefice non obbligano a
credere e non postulano una sottomissione assoluta e definitiva. Tuttavia
bisogna aderire con un assenso religioso e interno a tali decisioni, dal momento
che costituiscono atti del supremo magistero della Chiesa, e che si fondano su
solide ragioni naturali e soprannaturali. L'obbligo di aderire ad esse può
cominciare a cessare solo nel caso, che si dà soltanto rarissimamente, in
cui un uomo idoneo a giudicare l'argomento in questione, dopo una diligente e
ripetuta analisi di tutte le ragioni, giunga alla convinzione che nella
decisione si è introdotto l'errore» [xiv].
Padre Merkelbach: «Finché la Chiesa non
insegna con autorità infallibile, la dottrina proposta non è di per sé
irreformabile; perciò, se per accidens ossia eccezionalmente, in
un’ipotesi per altro rarissima, dopo un esame assai accurato a qualcuno
sembra che esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà
lecito senza temerarietà, ‘sospendere l'assenso interno’» [xv]. Il consiglio dato con frequenza al fedele in
tali casi è di «sospendere il giudizio» sull'argomento. Se questa
«sospensione del giudizio» comporta un’astensione, da parte del fedele, da
qualsiasi presa di posizione di fronte all'insegnamento pontificio in questione,
essa rappresenta soltanto una delle posizioni lecite nell’ipotesi considerata.
Infatti, la «sospensione dell’assenso interno», di cui parlano i teologi,
ha maggiore ampiezza della semplice «sospensione del giudizio» del
linguaggio corrente. A seconda del caso, il diritto di «sospendere l'assenso
interno›› comporterà, oltre al non giudicare, quello di temere che vi sia
errore nel documento del magistero, o quello di dubitare dell’insegnamento
in esso contenuto, o anche quello di respingerlo.
●Da tutto quanto esposto si deduce
che, in via di principio, 1'esistenza di errori in documenti ‘non
infallibili’ del magistero non ripugna, anche pontificio e conciliare.
Indubbiamente tali errori non possono essere durevolmente proposti nella Santa
Chiesa, al punto da mettere le anime nel dilemma di accettare l’insegnamento
falso oppure di rompere con la Chiesa. Tuttavia è possibile, in via di
principio, che per qualche tempo, soprattutto in periodi di crisi e di
grandi eresie, si trovi qualche errore in documenti del magistero. Come è
evidente, facciamo queste osservazioni senza alcun obbiettivo demolitore.
Non miriamo a fondare le «contestazioni» ereticali con cui i progressisti o i
conciliaristi gallicani cercano, in ogni momento, di scuotere il principio di
autorità papale nella Chiesa. Quello a cui di fatto miriamo, mettendo in risalto
la possibilità di errore in documenti non infallibili, è offrire un aiuto per
illuminare i problemi di coscienza e gli studi di molti antiprogressisti di
fronte alle novità introdotte dal Vaticano II e dal post-concilio, perché essi,
per il fatto di ignorare tale possibilità, si trovano spesso in condizione di
perplessità per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e le riforme da esso
scaturite.
“Resistenza pubblica” all’autorità ecclesiastica che
erra
San
Tommaso d’Aquino, in
diverse sue opere, insegna che in casi estremi è lecito resistere pubblicamente
a una decisione pontificia, come san Paolo ha resistito in faccia a san Pietro:
«essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere
ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così san
Paolo, che era soggetto a san Pietro, lo riprese pubblicamente, in ragione di un
pericolo imminente di scandalo in materia di fede»[xvi].
Il magistero ordinario può essere infallibile, ma non lo è
sempre di per sé
Attenzione! anche il magistero
ordinario papale può essere infallibile quando il Papa insegna in maniera
ordinaria o non solenne ‘quanto al modo’, ma obbligante ‘quanto alla
sostanza’ a credere una verità come rivelata da Dio e sempre ritenuta dalla
Chiesa (per es. Giovanni Paolo II sulla impossibilità del sacerdozio femminile).
Alle stesse condizioni è infallibile il magistero ordinario universale,
che è l’insegnamento moralmente unanime dei vescovi sparsi nel mondo - ciascuno
nella propria Diocesi - e uniti al Papa (per es. Pio XII chiede ai vescovi di
tutto il mondo se reputano divinamente rivelata l’Assunzione di Maria SS. in
cielo). Attenzione, però! se il magistero ordinario può definire
infallibilmente una verità da credere obbligatoriamente come di fede, non
significa che sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia
una definizione dommatica; lo è solo se vuole proporre una verità come di
fede rivelata e obbligare a crederla per la salvezza eterna. «Generalmente basta
la funzione del magistero ordinario a costituire una verità di fede
divino-cattolica, vedi Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792: “Sono da
credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola
di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa, sia con
giudizio solenne sia col magistero ordinario, come divinamente
rivelate”» (P. Parente,
Dizionario di teologia dommatica, Roma , Studium, 4a ed., 1957, voce
“Definizione dommatica”). Pio IX
nella Lettera “Tuas libenter” del 21 dicembre 1863 insegna: «se si
trattasse della sottomissione dovuta alla fede divina, non la si potrebbe
restringere ai soli punti definiti con decreti emanati dai
Concili Ecumenici, o dai Romani Pontefici; ma bisognerebbe ancora
estenderla a tutto ciò che è trasmesso, come divinamente rivelato, dal
magistero ordinario universale di tutta la Chiesa sparsa nell’universo».
D. Curzio Nitoglia
12 ottobre 2010
[ii] Cfr. F. Diekamp, Theologiae Dogmaticae
Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 71; L. Billot, Tractatus de Ecclesia
Christi, Giachetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 639 ss.; L. Choupin, Valeur des décisions
doctrianales et dísciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, p.
6; J. M. Hervé, Manuale
Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi, 1952, vol. I, pp. 473 ss.;
C. Journet, op. cit., vol. I, p. 569; P. Nau, El magisterio pontificio
ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; I. Salaverri., op. cit., p. 697; S. Cartechini., op. cit., p.
40.
[iii] Cfr. R. Bellarmino, De Conciliis, 2,
12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano, 1858, vol.
II.
[iv] Codex Iurís Canonici (1917), can.
1323, § 2. Nello stesso senso, cfr. S.
Cartechini, op. cit., p. 26.
[v] J. A.
De Aldama, Mariologia, in Sacrae Theologiae Summa, BAC,
Madrid, 1961, vol. III, p. 418.
[vi] Cfr. F.
Diekamp, op. cit. p. 68.
[vii] Cfr. L'Osservatore Romano, edizione in
francese, 18-12-1964, p. 10.
[ix] Cfr. L'Osservatore Romano, edizione in
francese, 26-11-1965, p. 3.
[x]
Cfr. Paolo VI, Discorso del
12-l-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol VI, Roma, 1967, p.
700
[xi]
Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3.
[xiii]
P. Nau, Une source doctrinale: les encycliques, Les Editions du Cèdre,
Parigi, 1952, pp. 83-84.
[xiv]
F. Diekamp, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi Tours-Roma,
1933, vol. I, p. 72.
[xv]
B.
H. Merkelbach, Summa Theologiae
Moralis, Desclée, Parigi, 1931, vol. I, p. 601.
[xvi]
Summa Theologiae, II-II, q. 33,
a. 4, ad 2.
ALLEGATO:
Schema Magistero ed
Infallibilità:
1) papale: del
solo Pontefice romano;
a) straordinario: pronunciamento
solenne o ‘non-comune’ sia quanto al modo (proclamazione in pompa magna)
sia quanto alla sostanza (definizione di un dogma di fede
divino-cattolica; p. es. l’Immacolata o l’Assunta solennemente proclamate da Pio
IX e XII come verità divinamente rivelate e proposte a credere obbligatoriamente
in ordine alla salvezza eterna). È infallibile di per se stesso (DB, 1839).
b) ordinario: comune o ‘non-solenne’
quanto al modo di insegnare. Quanto alla sostanza della verità
proposta è infallibile solo se il Papa vuole definire e obbligare a credere
come divinamente rivelato ciò che insegna, in maniera ordinaria,
‘non-solenne’ o comune; oppure se enuncia una verità di fede o di morale
costantemente e universalmente tenuta nella Chiesa (p. es. Paolo VI sulla
contraccezione e Giovanni Paolo II sull’inammissibilità del sacerdozio
femminile).
***
2) universale:
dei vescovi assieme al Papa;
c) straordinario: Papa e vescovi
uniti fisicamente nello stesso luogo (in Concilio Ecumenico a Firenze,
Trento o Roma), insegnano solennemente o in maniera ‘non-comune’
quanto al modo (essendo uniti eccezionalmente nello stesso luogo e
non sparsi abitualmente nel mondo). È infallibile, quanto alla
sostanza della verità insegnata, se vuole definire e obbligare a
credere come divinamente rivelata una dottrina per la salvezza eterna.
d) ordinario: insegnamento comune,
‘non-solenne’ dei vescovi abitualmente sparsi fisicamente nel
mondo nelle loro rispettive Diocesi, ma uniti intenzionalmente al Papa
nel proporre un insegnamento. È infallibile se tale insegnamento è impartito,
quanto alla sostanza della verità proposta, come definitivo e
obbligatorio a credersi per la salvezza dell’anima.
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