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domenica 10 marzo 2013

LA FALSA TOLLERANZA UMANISTICA


Atteggiamento di sopportazione passiva da parte di chi detiene o sostiene il potere politico nei confronti di quanti professano e coltivano opinioni o fedi diverse da quelle della maggioranza e di per sé osteggiate.

IL PROBLEMA DELLA LIBERTÁ RELIGIOSA.
La lotta per l'affermazione della libertà religiosa nacque nell'Europa moderna a seguito della frattura del corpo unitario della cristianità in diverse confessioni religiose, ciascuna delle quali ravvisava nelle altre il crimine di eresia, a cui veniva data la tradizionale risposta persecutoria. La teoria della libertà religiosa non nacque perciò all'interno delle grandi confessioni protestanti né della Chiesa cattolica, dove per secoli dominò la dottrina tomista della tolleranza come "male minore", da abbracciare solo laddove i cattolici fossero una minoranza. Essa si affermò in seno a correnti minoritarie nate nell'alveo della Riforma protestante che, in polemica con le tendenze istituzionali e repressive proprie di luteranesimo e calvinismo, opponevano a esse l'ideale di una religione purificata, ugualitaria, tollerante e indifferente alle forme istituzionali (vedi anabattismo). A tale reazione mistico-spiritualista si aggiunse l'approfondimento della riflessione sulla tolleranza svolta dall'umanesimo critico e universalista di Erasmo da Rotterdam (1469-1536) e dei suoi seguaci, tra cui T. Moro (1478-1535), che nell'Utopia ne sostenne la necessità ai fini della pacifica convivenza. La ricerca di una "vera religione", irenica e adogmatica, propria dell'umanesimo riformatore, fu condotta in ambito ereticale alle estreme conseguenze nello sforzo di eliminare il nucleo di intolleranza racchiuso in ciascuna confessione, onde mitigarne i metodi disciplinari. Nacquero così le prime teorizzazioni della libertà religiosa, con S. Castellione, che scrisse il De haereticis an sint persequendi (1554) all'indomani della morte al rogo di Michele Serveto per contestare i fondamenti della condanna; seguirono gli Stratagemata Satanae (1565) di J. Aconcio, dedicati a Elisabetta d'Inghilterra, per unire il fronte protestante sui dogmi essenziali (giustificazione per fede, divinità di Cristo) e sostituire la via della persuasione a quella della persecuzione religiosa. I punti salienti della dottrina della tolleranza, sviluppati nello stesso periodo anche dagli antitrinitari o sociniani e da B. Ochino (1487-1564), stavano nella dimostrazione dell'incertezza nell'interpretazione della Scrittura, nella preminenza accordata al momento etico su quello dottrinale, nella semplificazione su basi razionalistiche delle verità di fede, distinte tra fondamentali e non (arrivando a rigettare dogmi quali la Trinità e la predestinazione), nel rifiuto della coercizione che genera ipocriti e non veri credenti, e infine nel riconoscimento del diritto di esistenza della coscienza a prescindere dalla sua condizione di errore. Castellione, rovesciando il principio corrente che vedeva l'eresia come un peccato sociale che era illecito mantenere, affermò che ciò che conta è la fedeltà a una convinzione, non il suo oggetto. La relativizzazione della coscienza e della stessa verità a cui giunse la critica all'intolleranza ebbe una portata teorica rivoluzionaria, raccolta in eredità dal libertinismo nella sua lotta al fanatismo: Michel de Montaigne (1533-1592) scrisse che tanto morire quanto uccidere per un'idea significa pagare un prezzo troppo alto per una congettura, mentre P. Bayle (1647-1706) riconobbe ironicamente ai persecutori il diritto di bruciare gli eretici, se lo facevano secondo la loro coscienza.

POTERE POLITICO E TOLLERANZA. Nell'Europa confessionale rari furono gli esempi di stati tolleranti, se si escludono la Transilvania (legge sulla libertà religiosa del 1560), la Polonia fino alla Controriforma e la Francia in modo contraddittorio, fino alla revoca dell'editto di Nantes (15981685). Nel mondo anglosassone del XVII secolo, in presenza di una pluralità di sette in cui si articolava il fenomeno del dissenso religioso (Dissenters) contro la Chiesa di stato che imponeva ai dissenzienti l'espatrio, ossia l'emigrazione in America, si pervenne alle più importanti acquisizioni pratiche della tolleranza: la Costituzione democratica della Pennsylvania (1682), stabilita dal quacchero W. Penn e il Toleration Act di Guglielmo III d'Orange in Inghilterra (1689). I presupposti intellettuali di tale stagione si ritrovano negli scritti di J. Locke, dal Saggio sull'intelletto umano (1667) alla prima Lettera sulla tolleranza (1689), che formulò i criteri rimasti fondamentali in fatto di libertà di culto e di pensiero all'interno della tradizione liberale occidentale. La tolleranza era rivendicata come obbligo religioso da parte delle Chiese cristiane, nel quadro della riduzione della fede all'etica evangelica delineata dallo stesso Locke con La ragionevolezza del cristianesimo (1695); insieme era vista come obbligo politico da parte dello stato, le cui competenze dovevano fermarsi alla tutela dei beni civili e non riguardare l'anima. Le opinioni speculative dovevano avere libertà illimitata purché non ledessero gli interessi della convivenza (erano perciò esclusi dal riconoscimento i cattolici e gli atei, ritenuti socialmente inaffidabili), mentre le censure religiose non dovevano avere conseguenze sui diritti civili. Il pensiero lockiano e il filone del deismo, che si era fatto erede di quei pensatori razionalisti (Bodin, Grozio, Bayle, Spinoza) che nel XVII secolo avevano appoggiato l'idea di tolleranza a quella di religione naturale comune a tutti gli uomini, confluirono nella grande battaglia contro il fanatismo politico, ideologico e religioso promossa dall'illuminismo, il cui manifesto fu il Trattato sulla tolleranza di Voltaire (1763), a cui si aggiunse Nathan il Saggio di G.E. Lessing (1779). Allontanandosi dalla sua origine religiosa per assumere un colore umanitario e cosmopolitico, l'ideale illuminista di tolleranza plasmò le Dichiarazioni dei diritti americana (1776) e francese (1798), e fu assorbito anche da una monarchia di antico regime come l'Austria con l'Editto di Tolleranza (1781) di Giuseppe II. In età contemporanea il contenuto dell'ideale di tolleranza si secolarizzò venendo assorbito dalla cultura politica delle correnti liberale e liberaldemocratica tra i secoli XIX e XX, che ne fecero uno dei loro cardini ideologici sotto la veste della libertà di coscienza e di espressione. Dopo la Seconda guerra mondiale la tolleranza come rispetto per le idee e i comportamenti altrui costituì il principio universalmente riconosciuto della pacifica convivenza tra i popoli e il fondamento civile della società democratica occidentale, la cui regolazione interna, secondo i suoi teorici (K.O. Apel, J. Habermas), si regge sul dialogo e sul libero confronto delle idee quale unica via legittima per l'espressione razionale dei bisogni e per il loro riconoscimento. Ma gli episodi di fanatismo religioso, fino all'umiliazione e all'eliminazione fisica di chi coltiva fedi diverse, si vennero via via intensificando negli anni ottanta e novanta sia in Asia (Iran, India) sia in Europa (Iugoslavia) sia altrove.

M. Pellegrini

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