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sabato 13 aprile 2013

don curzio - Il “sedevacantismo mitigato” accessibile a tutti



1) Sedevacantismo mitigato

1°) Secondo p. Guérard des Lauriers, siccome il nuovo rito delle consacrazioni episcopali è dubbio, qualora fosse stato eletto Papa un soggetto consacrato con il nuovo rito, non sarebbe stato validamente vescovo e quindi non potrebbe essere neppure Papa (ossia vescovo di Roma) neanche materialmente. Padre Guérard parlava, in tale evenienza, di “pure comparse di papi” (Il problema dell’Autorità e dell’episcopato nella Chiesa, Verrua Savoia, CLS, 2005, p. 37).

2°) Con l’elezione al Soglio Pontificio di Benedetto XVI (2005), ci siamo venuti a trovare esattamente in questa situazione: J. Ratzinger infatti è stato consacrato vescovo con il nuovo pontificale e quindi – per p. Guérard – non sarebbe stato vescovo né tanto meno Papa, neanche materialmente. Dunque a partire dal 2005 la Chiesa si troverebbe, stando a ciò che p. Guérard aveva scritto nel 1978-1987, in uno stato di vacanza totale (materiale e formale) di Autorità.

3°) Ma ciò ripugna, stando a quanto aveva scritto lui stesso: «Chi dichiara attualmente che mons. Wojtyla non è per nulla Papa [neanche materialmente], deve o convocare il conclave, o mostrare le credenziali che lo costituiscono direttamente e immediatamente legato di N.S.G.C.» (Il problema dell’Autorità…, p. 37).

4°) La Tesi di Cassiciacum (“papa solo materialiter”) è finita, storicamente parlando, con l’elezione di Benedetto XVI che, secondo la “Tesi”, non sarebbe vescovo e neppure Papa (neanche materialmente). Ora l’ipotesi di Benedetto XVI non realmente Papa, neppure in potenza, sarebbe inammissibile per p. Guérard, che ha fondato tutta la sua “Tesi” sulla distinzione tra Papa in atto e “papa” solo in potenza, negando decisamente la vacanza totale (ossia anche materiale) della Sede Apostolica.

5°) Coloro che seguono la tesi della Sede totalmente (in potenza e in atto) vacante, si basano sul fatto che un eretico non può essere capo della Chiesa, in quanto non è membro di essa. Ma questa è solo un’opinione poco probabile, non ritenuta solida neppure dai teologi che hanno studiato il problema del Papa eventualmente eretico; essi - infatti - unanimemente asseriscono (come sentenza più probabile o addirittura certa) che il Papa non può cadere in eresia. Tuttavia, ribattono i sedevacantisti totali, un soggetto può essere eretico prima di essere eletto Papa e allora, la sua elezione sarebbe invalida, rifacendosi alla Bolla di Paolo IV Cum ex Apostolatu.

6°) Mi sembra che si possa rispondere in tre maniere a tale istanza:

a) secondo san Tommaso d’Aquino “la simonia viene considerata eresia (simonia haeresis dicitur)” (S. Th., II-II, q. 100, a. 1, ad 1um), ma nello stesso tempo l’Angelico insegna che “il Papa può incorrere nel peccato di simonia” (ad 7um) e non dice che non è Papa in atto o neppure in potenza. Ad esempio, è storicamente certo che Alessandro VI prima di divenire Papa comprò simoniacamente il Papato, ma de facto è annoverato universalmente nel catalogo ufficiale dei Papi.

b) Inoltre san Pio X in una ‘Costituzione pontificia’ per la Chiesa universale (e quindi infallibilmente assistita) “Sede Apostolica Vacante” del 25 dicembre 1904, insegna che anche se l’eletto ha comprato il papato simoniacamente è comunque validamente Papa. Tale questione è quindi non solo regolata de facto, ma anche de jure e per di più infallibilmente.

c) È dottrina comune della Chiesa che ove ci sia elezione canonica e l’eletto l’abbia accettata, immediatamente diviene Papa con giurisdizione universale in atto su tutta la Chiesa. Ora “i Papi del concilio” sono stati eletti canonicamente ed hanno accettato l’elezione la cui canonicità non è stata messa in dubbio da nessuno avente autorità.

7°) L’Autorità è l’essenza della società e quindi della Chiesa, che è una società perfetta d’ordine spirituale; onde il Papa non è accidentale ma essenziale e necessario alla sussistenza di essa. Senza un Papa che regni in atto non sussiste il Corpo mistico, che sarebbe simile ad un corpo senza forma o anima, ossia morto.

8°) Il caso di “sede vacante” o interregno tra un Papa morto e uno che deve ancora essere eletto è essenzialmente diverso da quello di “vacanza totale o solo attuale di Autorità nella Chiesa” (Papa, vescovi e cardinali). Infatti, quando un Papa muore i cardinali, collegialmente sotto il cardinal decano, suppliscono il Papa defunto, governano la Chiesa con autorità e assicurano la sua unità e permanenza nell’esistenza, l’Autorità essendo il principio di unità e di essere della società, che non sarebbe più una né esisterebbe senza Autorità. Mentre nella sede vacante totale o formale di Autorità nel Papa, vescovi e cardinali, manca proprio il principio (Autorità) di unità e di vita della Chiesa, che verrebbe quindi a morire, ma ciò è contro la fede cattolica. Tanto per fare un esempio, ciò è paragonabile all’anestesia che mantiene in vita, pur con una “morte chimicamente indotta” e una vita potenziale, il paziente che deve essere operato, ma una volta terminata l’operazione, il paziente è riportato, in atto, in piena vita dall’anestesista. Mentre se l’anima lascia il corpo non c’è più nulla da fare, è cessata ogni potenzialità di vivere: la morte non è chimicamente indotta, ma reale e irreversibile. Ora con Benedetto XVI, l’anima o principio vitale di unità ed esistenza della Chiesa (Autorità), avrebbe lasciato (secondo la “Tesi”) anche materialmente o potenzialmente il corpo della Chiesa. Quindi Essa non sarebbe più neppure in potenza, ma sarebbe finita totalmente in atto e in potenza, cioè morta realmente (cervello, cuore e respirazione piatti).

9°) La conclusione mi pare essere la seguente: Benedetto XVI de facto governa praticamente, inoltre è Papa de jure o gli spetta il Titolo di Papa; ma l’esercizio di tale Autorità è difettoso (applicazione del Vaticano II e delle riforme da esso scaturite).

Altrimenti si dovrebbe asserire che la Chiesa, non avendo più Autorità sia nel Papa che nei vescovi e cardinali (in atto e in potenza) è morta da cinquanta anni. Dopo il Vaticano II e il NOM (eventi apocalittici e tragici che non hanno pari nella storia della Chiesa), la “Tesi” del “materialiter” di p. Guérard poteva conciliare la crisi di Autorità con l’indefettibilità della Chiesa e salvare la sua sussistenza (come una sorta di anestesia), ma essa ha cessato di esistere nel 2005 con l’elezione al Soglio Pontificio di un soggetto che non essendo neppure vescovo (stando a quanto aveva scritto p. Guérard stesso) non può a fortori essere Papa o vescovo di Roma, nemmeno in potenza (analogamente al caso di morte reale e totale). Alcuni pretendono correggere p. Guérard nella spiegazione della “Tesi” del Guérard stesso, e quindi saperne più di lui sulla sua “Tesi”. “Buttiamola sul ridere”. Io non ho tempo da perdere con costoro, per me è un “caso chiuso”. Se vogliono riaprirlo scrivano alla Merlìn.

2°) “Papa dubbio, Papa nullo”?

●Risposta: S. Roberto Bellarmino ne ha trattato nel De conciliis , libro II, capitolo 19, ad 3um. Il caso è il seguente: si tratta di un Papa la cui elezione è discutibile, ossia non è certo (o vi è un dubbio) se sia stato eletto canonicamente. In tal caso bisogna rifare l’elezione canonica per sapere con certezza se sia stato eletto o meno. Una volta che l’elezione canonica è certa o non contestata dai cardinali elettori, se l’eletto accetta diventa Papa. Ora nessun cardinale (neppure mons. Lefebvre e de Castro Mayer) ha messo in dubbio l’elezione canonica (per scrutinio) dei “Papi conciliari”. Quindi è certo che essi sono Papi, anche se esercitano la loro funzione in maniera deficiente.

2°) Un Papa che erra nell’esercizio del potere (sino all’eresia) è vero Papa?

●Risposta: quella del Papa eretico è solo un’ipotesi, un’opinione probabile e non una certezza. I Dottori della Chiesa, soprattutto nella controriforma, ne hanno discusso senza arrivare ad un accordo unanime e mai ad una certezza, ognuno ha espresso la sua ipotesi probabile, non una tesi certa.

a) La prima ipotesi (s. Roberto Bellarmino, De Romano pontifice, libro II, capitolo 30; Francisco Suarez, De fide, disputa X, sezione VI, n° 11, p. 319; cardinal Louis Billot, De Ecclesia Christi, tomo I, pp. 609-610) sostiene che un Papa non può cadere in eresia dopo la sua elezione. Ma analizza anche l’altra ipotesi (ritenuta meno probabile) di un Papa che può cadere in eresia. Come vede questa prima ipotesi non è ritenuta certa dal Bellarmino né dal Billot, ma solo più probabile delle altre. Anzi il Billot (ibidem, pp. 610-612) insegna che la Chiesa docente ha lasciato la libertà di ritenere possibile che il Papa cada in eresia, anche se a lui sembra meno probabile. Anche il Bellarmino ammette che tale ipotesi, pur essendo meno probabile, è possibile (ibidem, libro II, capitolo 30, p. 418).

b) La seconda ipotesi (che il Bellarmino qualifica come possibile ma molto improbabile, ivi) sostiene che il Papa può cadere in eresia anche notoria e mantenere il pontificato; essa è sostenuta solo da un canonista francese D. Bouix (+ 1870) nel Tractatus de Papa, tomo II, pp. 670-671, su 130 autori (“una rondine non fa primavera”).

c) La terza ipotesi sostiene che il Papa può cadere in eresia e perde il pontificato solo dopo che i cardinali o i vescovi abbiano dichiarato la sua eresia (Cajetanus, De auctoritate Papae et concilii, capitolo XX-XXI). Il Papa eretico non è deposto ipso facto ma deve essere deposto (deponendus) da Cristo dopo che i cardinali hanno dichiarato la sua eresia ostinata e manifesta.

d) La quarta ipotesi sostiene che il Papa può cader in eresia manifesta e perde ipso facto il pontificato (depositus). Essa è sostenuta dal Bellarmino (ut supra, p. 420) e dal Billot (idem, pp. 608-609) come meno probabile della prima, ma più probabile della terza.

Come vede si tratta solo di ipotesi più o meno probabili, mai di certezze teologiche, men che mai “specificazioni di un atto di fede”.

3°) Un vero Papa dovrebbe esercitare la sua autorità solo rettamente, senza alcun errore?

● Risposta:

a) Alcuni teologi parlano di “rispettoso silenzio esterno”, ossia interiormente si dissente ma esteriormente non si contesta l’errore (Diekamp, Pesch, Merkelbach, Hurter, Cartechini).

b) Altri, invece ammettono anche la resistenza pubblica, come san Paolo resistette a s. Pietro pubblicamente, nel caso di occasione di pericolo imminente per la fede (san Tommaso d’Aquino) o di aggressione contro le anime che hanno diritto alla legittima difesa (san Roberto Bellarmino) o di scandalo pubblico (Cornelius a Lapide) nel dominio dottrinale. (Oltre i tre citati, cfr. Vitoria, Suarez, Wernz-Vidal, Peinador, Camillo Mazzella, Orazio Mazzella, Prummer, Iragui, Tanquerey, Palmieri). Questa ipotesi mi sembra la più probabile. Ma la Chiesa non si è pronunciata, onde non la si può imporre come obbligante.

c) Occorre evitare lo scoglio di coloro che pretendono rendere certa o di fede un’opinione teologica di una scuola ([1]), che è del tutto minoritaria: è possibile che documenti del magistero siano erronei, ma non si deve sospendere l’assenso interno (Choupin, Pègues, Salaverri).

Infatti le due scuole più comuni ammettono tale possibilità. Quella più severa nega la liceità della resistenza pubblica, ma ammette la liceità della dissidenza interna; mentre quella meno comune, ammette la possibilità di errori, ma non la sospensione dell’assenso (il che mi sembra un contro[buon]senso).

d) L’impossibilità di errore, quando il Papa o il concilio non voglia obbligare o essere infallibile, è sostenuto da alcuni teologi approvati (Franzelin, Billot) come pura opinione teologica ed è minoritaria. Vi sono, poi, dei gruppuscoli estremisti che ne fanno un dogma o una “specificazione di un atto di fede”, il quale è solo il loro e non della Chiesa; non è neppure teologicamente certo anzi è solo l’opinione - meno probabile e meno comune - di un gran teologo (Guèrard des Lauriers). Caso analogo al canonista succitato D. Bouix (“una rondine non fa primavera”).

Onde i documenti del magistero pontificio o anche conciliare, se non sono vincolanti, possono contenere degli errori. Ora il Vaticano II non ha voluto vincolare. Quindi può contenere errori. In tal caso si può e si deve rifiutare l’assenso a questi documenti erronei.

Cosa fare?

Non possiamo rendere certo ciò che è solo probabile. Siamo liberi di aderire all’opinione che più ci aggrada, ma non possiamo farne un dogma, non avendone l’autorità. Capisco che di fronte allo scandalo pubblico dato dai Papi conciliari ci si senta scossi, indignati e anche smarriti, ma non bisognerebbe sorpassare il limite consentito dalla sana teologiae dal buon senso. In certis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas ([2]). Tuttavia, data la situazione estremamente grave e confusa in cui ci troviamo (“hanno colpito il pastore e il gregge si è disperso”), occorre avere anche molta comprensione verso coloro che – in buona fede – per difendere la fede cattolica dall’aggressione modernista, “peccano” per eccesso o per difetto. Non si può pretendere di vedere chiaro a mezzanotte. Lo stesso Gesù predisse ai suoi Apostoli di camminare sino a che c’era ancora Lui e quindi la Luce, poiché sarebbero venute le Tenebre (Crocifissione) e quando si cammina al buio si inciampa facilmente. Gli stessi Apostoli inciamparono; a fortori possiamo inciampare noi, onde non ci si deve scandalizzare davanti alle incertezze e divergenze di opinioni, ma occorrerebbe far fronte comune (ognuno restando fedele a se stesso e alla sua identità, ma senza reputarsi infallibile ed impeccabile) contro il nemico reale della Chiesa, il neomodernismo. La situazione odierna, in campo spirituale, è analoga a quella vissuta, in campo politico, nell’8 settembre 1943: il re è fuggito i generali si sono dileguati e i poveri soldati lasciati in balìa di se stessi sono stati inviati al macello. Non mi sembra che sarebbe stato opportuno sparare sui soldati e i civili che, allora, furono vittime del loro re; non spariamoci addosso oggi: il fuoco amico è il più pericoloso.



Velletri 26 febbraio 2009

don Curzio Nitoglia



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[1] Etienne Gilson diceva che “la vera teologia non pretende di essere portatrice di una verità assoluta, che tutti dovrebbero accettare per Fede. Un’opinione teologica e una scuola teologica non possono pretendere di imporsi come verità di Fede, ‘scomunicando’ le altre opinioni e le altre scuole teologiche”.

[2] Papa Vittore I, santo (189-199) in un primo momento volle imporre la sua a autorità sulla questione della data della Pasqua. Infatti Roma e la Chiesa latina la festeggiavano la domenica che seguiva il 14° giorno del mese di Nissàn. Invece la chiesa dell’Asia minore la celebrava il 14 di Nissàn, anche se non era domenica. Vittore chiese di uniformarsi a Roma, ma la Comunità asiatica si irrigidì, il Papa allora decise di scomunicare tutta la suddetta Comunità e il suo vescovo Policrate. Tuttavia molti vescovi latini manifestarono al Papa le loro perplessità sul suo provvedimento, che avrebbe provocato uno scisma; decisivo fu l’intervento di sant’Ireneo vescovo di Lione (130-202) che convinse il Papa a scendere a più miti consigli, onde Vittore non dette corso al suo proposito di scomunica.

Come si vede, in una questione molto importante (la Chiesa d’Oriente e quella di Occidente, celebrano tuttora la Pasqua in due date diverse) un Papa (per di più santo) lasciò ai cattolici orientali la possibilità di celebrare la Pasqua anche non di domenica, senza condannarli, scomunicarli. Purtroppo qualcuno, che si prende per il “Padreterno” scomunica e condanna “a destra e a manca” chi non ha le sue stesse opinioni teologiche. Varrebbe la pena di prendere esempio da san Vittore.


fonte: http://www.doncurzionitoglia.com/Sed...moMitigato.htm
Il mistero della “Passione della Chiesa”

Mi sembra che la situazione odierna sia analoga alla Passione di Cristo, in cui «La divinità si nasconde e lascia soffrire la santissima umanità di Gesù» (S. Ignazio, Esercizi Spirituali, n°196). Già s. Tommaso d’Aquino (Adoro Te devote) aveva scritto «In cruce latebat (…) deitas», sulla Croce la divinità di Cristo era nascosta, eclissata, non si vedeva. Anzi Egli lasciava soffrire crudelissimamente la sua umanità, tanto da essere “più simile ad un verme che ad un uomo” (Isaia).

Padre Luis de la Palma, scrive: «Supera ogni nostra comprensione il fatto che il Figlio sia stato abbandonato» (La Passione del Signore, Milano, Ares, 1996, p. 192)

Nella Somma Teologica l’Aquinate spiega che “la Divinità miracolosamente permise all’umanità di Cristo di provare angoscia per l’abbandono (apparente) da parte di Dio, pur essendo essa unita ipostaticamente alla Persona divina del Verbo e godendo la visione beatifica. Ciò fu permesso perché attraverso molte tribolazioni occorre entrare nel Regno dei Cieli” (III, q. 45, a. 2, in corpore). Sempre nella Somma leggiamo “Fu per miracolo che la divinità non ridondava sull’umanità di Cristo” (III, q. 14, a. 1 ad 2um), “affinché potesse compiere il mistero della nostra redenzione soffrendo” (III, q. 54, a. 2, ad 3um). Gesù Cristo stesso ha richiamato la nostra attenzione su tale mistero quando ha gridato sulla croce: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”. La risposta al “perché” non è stata immediata, ci si è dovuti accontentare, durante la Passione, del “fatto”.

Così oggi nella Passione della Chiesa si nasconde il suo elemento divino ed appare solo quello umano nella maniera più brutta o “vermiforme”. Questo è un mistero che deriva da quello dell’Unione Ipostatica e dal duplice elemento (divino e umano) della Chiesa (che è Cristo continuato nella storia). Gesù aveva predetto agli Apostoli questa sua (e loro) eclissi: “Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Poiché sta scritto: Percuoterò il Pastore e il gregge si disperderà” (Giovedì Santo). Invece N. S. ci esorta assieme agli Apostoli: “Non sia turbato il vostro cuore . Abbiate fede in Dio e in Me”. Egli esplicita che: “Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi (…). Quando giungerà la loro ora ricordatevi che ve ne ho parlato”. L’ora della “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9) e del potere infernale è qualcosa di preternaturale, che quasi si tocca con mano oggi, come durante la Passione di Gesù. “Verrà la loro ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo”. Il Sabato Santo solo Maria SS. aveva conservato pienamente la fede nella divinità e resurrezione di Cristo.

«Sola, la Madonna attendeva (…). Sola nella sua fede (…) credeva senza il minimo dubbio che Gesù sarebbe risorto (…). Sia gli Apostoli che i discepoli non credevano [pienamente, precisano i teologi, nda] alla Risurrezione (…). Maria ricordò che, l’indomani sarebbe risorto. Ma essi non riuscivano a crederci [perfettamente] (…). Maria era l’unica luce accesa sulla terra (…). Il rifugio dei peccatori che non riuscivano a credere [perfettamente]» (L. De La Palma, La Passione…, pp. 243-246).

Gabriele Roschini (Vita di Maria, Roma, Fides, 1959) scrive che la Maddalena “tentennava” e che le apparizioni fatte agli altri erano ordinate a “corroborare la loro fede” (p. 276 e 282) poiché “la debolezza della loro fede costituiva la forza della loro testimonianza” (p. 283) e P. C. Landucci (Maria Santissima nel Vangelo, Roma, Paoline, 1945), parla di “fede debole e barcollante” degli Apostoli, cui Gesù apparve per “rafforzare la loro fede” (pp. 436-437). Onde non si può affermare che gli Apostoli avessero perso totalmente la fede.

Quando Cristo apparirà ai Dodici dopo la sua resurrezione non li condannerà ma dirà loro “non abbiate paura, sono Io, la pace sia con voi”. Così oggi non dobbiamo presumere di vederci più chiaro degli Apostoli, anche oggi, come allora, i cattolici fedeli si sono dispersi ciascuno per proprio conto. L’Immacolata Concezione è una sola. Quando Pietro tagliò l’orecchio ad uno dei soldati che arrestava Gesù, Egli lo riprese dicendo: “Pensi che io non possa pregare il Padre mio che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli. Ma allora come si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?”. Ecco il mistero che sorpassa la ragione umana, senza essere contro essa: il “come”, il “perché”. Durante la Passione di Cristo e della Chiesa c’è qualcosa di sovrumano e misterioso che ci sorpassa. Anche oggi Cristo potrebbe mandarci dodici legioni di angeli, ma così deve avvenire. Il perché ci sfugge, lo possiamo intravedere nel chiaro-oscuro della fede, ma non plus ultra.

Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange spiega che gli Apostoli “proprio nel momento in cui il Maestro loro stava compiendo la redenzione, non videro che il lato umano delle cose” (Gesù che ci redime, Roma, Città Nuova, 1963, p. 337) e si scandalizzarono, come predetto. Il grande teologo domenicano continua: “Questo mistero della [passione e] risurrezione continua, in un certo senso, nella Chiesa. Gesù la fa a sua immagine e se permette per essa terribili prove, le concede di risuscitare, in un certo modo, più gloriosa, dopo i colpi mortali che i suoi avversari le infliggono” (Ibidem, p. 353). Si noti, i colpi che riceve la Chiesa in tutti i secoli, sono mortali, essa ci sembra morire, ma risorge ogni volta più bella “senza ruga né macchia”, basta attendere e non rimpiazzarla con un “manichino” thucista il quale è un “rattoppo peggiore del buco”. Nessuno nega l’esistenza del “buco”, ma se si vede dal di dentro il “rattoppo” si capisce che è più sfondato del “buco”, una sorta di “bue che dice cornuto all’asino”.

Romano Amerio, intervistato da “sì sì no no” nel 1987 alla domanda su come si potesse uscire dalla crisi (delle variazioni sostanziali nella Chiesa col Concilio Vaticano II), rispose che egli poteva intravedere solo il principio remoto della soluzione: la Divina Provvidenza, quello prossimo lo sorpassava. Così è anche per me. Non pretendo di aver pienamente ragione (tenebrae factae sunt), ma non posso permettere che altri vogliano imporre (specialmente a fedeli ingenui che vengono manipolati, terrorizzati e mandati allo sbaraglio, con conseguenze pratiche spesso disastrose, che ho costatato durante venti anni) delle “luci” o soluzioni incerte e conclusioni morali e canoniche, come l’unico rimedio a tanto sfacelo.

Conclusione: Con quale “autorità”?

Si definisce, in maniera assolutamente certa, che non vi è più “Governo” in atto e de facto nella Chiesa da quaranta anni e se ne tirano tutte le conclusioni pratiche e canoniche, come aventi “autorità”? Con quale “autorità” si definisce, con certezza, per fare un esempio, che le sentenze della S. Rota sono nulle da quaranta anni (obbligando per se chi ha ricevuto la sentenza rotale di nullità del matrimonio, a vivere come s. Giuseppe e la Madonna, esponendoli a pericolo prossimo di peccato mortale e abituale) e che le confessioni e i matrimoni dei parroci sono invalidi (essendo doveroso in materia sacramentarla il tuziorismo o rigorismo, secondo cui “il dubbio è nullo”) da quaranta anni? Che il sacrificio della messa è invalido e cessato, così il sacerdozio, l’episcopato, onde pure l’estrema unzione e la cresima, (resterebbe solo il battesimo e vi sono alcuni ‘sedevacantisti’ coerentissimi che ricevono e amministrano solo il battesimo, tutto il reso essendo viziato, anche i sacramenti degli altri ‘sedevacantisti’ non coerentissimi). Con quale “autorità” ci si presenta come “inviati” (missi) ad “annichilire e annullare” tutti gli atti (anche giuridici) della Chiesa ufficiale? A proibire persino l’assistenza alla Messa di s. Pio V, se celebrata “una cum”, sotto pena di sacrilegio, peccato mortale e scisma capitale e terrorizzando i fedeli, i seminaristi e i sacerdoti ‘deboli di spirito’? Forse con il “libero esame” della “sola Traditio”? O forse ci si ritiene (de facto anche se non de jure) “Legati diretti di Cristo”? Poiché in pratica si agisce così, anche se non lo si formula in teoria. Le cupe ammonizioni di apostasia irreversibile e di dannazione da parte di “Sodalitium” – per grazia di Dio - non mi sfiorano, ma conosco molti fedeli e seminaristi o persino sacerdoti che si lasciano impaurire dalla minaccia di “fattura”, fatwa o herèm, lanciata dai “Sommi Sacerdoti” (almeno de facto) dell’oblatio munda.

Le parole di s. Tommaso secondo cui, «generalmente, alla rivolta contro la pubblica “cattiva-autorità” o tirannia, si espongono più i cattivi che i buoni, infatti ai cattivi pesa sia il governo del re che quello del tiranno» (In V Politicorum Aristotelis, lib. V, 1, 1301a). Mentre “gli uomini virtuosi”, i quali dovrebbero giudicare della opportunità e liceità della resistenza e rivolta, difficilmente riconoscono di avere tutte le ragioni per ribellarsi lecitamente, invece “i cattivi” sono più propensi a prendersi ogni ragione e a rivoltarsi, senza pensare alle conseguenze dei loro atti (In V Politicorum, lect. I, n° 714), sono più calzanti e attuali che mai, in effetti molti criticano non solo la nouvelle théologie, ma anche Pio XII. Egli sarebbe il Papa (manovrato da Bugnini, come un burattino nelle mani di un burattinaio) che ha realizzato una profonda revisione dei riti della Settimana Santa, in cui per la prima volta un rito cattolico (anteriore alla riforma di papa Pacelli del 1955) subiva delle modifiche suggerite dal giudaismo, esse avrebbero aperto la porta a qualsiasi cambiamento nella liturgia cattolica. Onde tutto il processo di disfatta (= Concilio Vaticano II e NOM) sarebbe iniziato proprio con la riforma liturgica (ecumenica) della Settimana Santa di Pio XII. La liturgia cattolica sarebbe stata messa a disposizione (da parte di Pio XII) dell’ecumenismo, ed egli sarebbe colpevole di aver fatto (entrare e) comandare il giudaismo nel santuario cattolico. Pio XII avrebbe compiuto una genuflessione simbolica davanti al giudaismo. (Cfr, “Sodalitium, n° 62, pp. 58-65). Ora, tutto ciò mi lascia più che perplesso, anzi terrorizzato da tanto “cow-boy-smo teologico”. Infatti, il fine della Chiesa è la salvezza delle anime. Ora se l’Autorità non realizza il bene delle anime, secondo la “Tesi”, cessa di essere autorità. Quindi Pio XII, che ha aperto al giudaismo (e lo ha fatto entrare nel santuario), all’ecumenismo, alla mutazione perpetua della liturgia; non voleva oggettivamente, a partire dall’atto che ha posto nel 1955, il bene delle anime. Perciò Pacelli, (dacché secondo i “tesisti” “tertium non datur”), non sarebbe formalmente Papa. È lecito concluderlo (cfr. “Sodalitium”, n° 62, pp. 29-30). Infatti p. Guérard scriveva «Se c’è Autorità, c’è il dovere di obbedire» (Cahier de Cassiciacum, Nizza, 1979, vol. 1, cap. 4, p. 91). Ora la maggior parte dei “tesisti” rifiuta de jure la riforma del 1955, fatta materialmente dallo stesso mons. Annibale Bugnini che fece nel 1969 il NOM, ma promulgata formalmente da papa Pacelli (cfr. “Sodalitium”, n° 62, p. 63). Quindi per loro – praticamente - Pio XII non è l’Autorità.

Si noti che qui si tratta di una legge universale che il Papa impose alla Chiesa, non di un suo atto privato. Essa potrebbe essere al massimo la “non più opportuna”, ma mai cattiva. Ora come si fa a conciliare la genuflessione al giudaismo ecc…, con la non nocività della riforma pacelliana e quindi il permanere dell’Autorità in Pacelli? Se fosse così anche il NOM e il Concilio Vaticano II, potrebbero essere non nocivi; oppure se così è, come scrive “Sodalitium”, Pio XII non è formalmente Papa. Non so cosa dire, taccio esterrefatto e ringrazio, una seconda volta, Dio, per aver cambiato campo. Infatti ora non si invoca più (come sino a qualche anno fa) l’epicheia per non celebrare secondo le rubriche del 1955, ma le si rifiuta de facto e de jure, come cattive in sé. Però se si continua così dove si va a parare? Ognuno diventa il “papa” di se stesso. Quindi in pratica, anche senza dover convocare un conclave e giustificarlo in teoria, ci si comporta come i “Legati (o vicari) diretti di Cristo”. «Pacelli sbaglia», Kyrie, eléison! «“Sodalitium” no», Christe, eléison! Questa è almeno “conclavite” pratica e vissuta, che può essere anche teorizzata, spero non irreversibilmente.

Per cui, dove sta la Chiesa reale e non quella “virtuale” , se tutti gli atti di Roma sono nulli, se le ordinazioni sacerdotali e le consacrazioni episcopali sono invalide, se i sacramenti, compresa l’eucarestia e il Sacrificio della Messa, sono cessati? La crisi ha annichilato totalmente sia il potere d’ordine, che la giurisdizione e il magistero. Il “Fine-Bene” della Chiesa non esiste più da cinquanta-quaranta anni, quindi anche la Chiesa? Infatti una religione che non ha più sacerdozio, né sacrificio non è più neppure materialmente o in potenza ma è morta totalmente, (come quella dell’Antica Alleanza dopo il 70, la quale era relativa al Nuovo Testamento. Però la Nuova Alleanza è Eterna. Quindi non può cessare totalmente). Essa sarebbe non più a Roma, ma ove si trovano i vescovi e i sacerdoti della linea Thuc? La Chiesa non sarebbe più romana e petrina (il materialiter dopo quaranta anni essendo diventato un nulla, farsa e comparsa), ma thucista (ubi Thuc ibi Ecclesia); essendo diventata Roma (almeno sin dal 2004, con l’elezione di Benedetto XVI) non più una Religione, ma una scena teatrale di pastori-attori muti, sembrerebbe essere nella terza èra di Gioacchino da Fiore, ma essa è condannata dalla fede cattolica. Inoltre il “thucismo”, per chi come me lo ha visto da vicino non è un motivo di credibilità (per usare un eufemismo). Come pretendere di essere i portatori dell’unica verità sul mistero della crisi che è penetrata nella Chiesa di Cristo, quando vi sono tante oscurità, misteri, questioni dibattute e non definite? Il fatto o il “quia” (crisi) è certo, ma il come e il perché o il “propter quid” restano un mistero

“State contente umane genti al quìa,

ché se potuto aveste veder tutto,

non era mestier parturìr Marìa”.

(Purgatorio, III, 37-39).

Il mistero di iniquità, il mistero del cuore umano, “Pravum est cor hominis et imperscrutabile, quis cognoscet eum?” (Geremia). Solo Dio che sonda il cuore e le reni. Allora, “cercate di rendere certa la vostra elezione, mediante le vostre opere buone” (s. Pietro), non si può penetrare un mistero, sarebbe come “voler mettere tutta l’acqua dell’oceano in un bicchiere” (s. Agostino). Si può cercare di studiarlo, di avvicinarlo nel chiaro-oscuro della fede, con molta umiltà e trepidazione, senza pretendere di averlo capito e svelato, nell’adorazione di ciò che sorpassa le capacità umane pur senza essere contro la ragione, ma solo oltre essa. Non è normale proporre come assolutamente certo ciò che è molto oscuro, disputato e misterioso e imporlo moralmente e giuridicamente sotto pena di peccato. Come per la Predestinazione, bisognerebbe ammettere il fatto misterioso (Dio onnipotente e uomo libero/crisi ecclesiastica: infallibilità ed errori) e lasciare libertà di interpretarlo come si reputa più conforme alla realtà e alla Rivelazione, sino a decisione della Chiesa gerarchica, senza lanciare anatemi contro chi non segue esattamente il nostro modo di incedere.

Riassumendo e tirando le somme

Si può asserire tranquillamente che oggi (2004-2008) la Tesi di Cassicìacum come l’ha concepita p. Guérard des Lauriers non è più assolutamente certa, poiché fondandosi sulla distinzione reale tra materia e forma nel Papa, e per ammissione del p. Guérard stesso, dopo Giovanni Paolo II, non essendoci (quasi) più vescovi consacrati secondo il vecchio Pontificale Romano, il futuro “papa materiale” (nel caso odierno Benedetto XVI) sarebbe solo una pura “comparsa” (Il problema dell’Autorità e dell’episcopato nella Chiesa, Verrua Savoia, CLS, 2005, pp. 33-35 e 37) che non parla neppure, ma recita mutamente la parte del Papa, come farebbe un attore o un manichino in una rappresentazione senza dialoghi. Ciò equivale a dire che Benedetto XVI, essendo stato consacrato vescovo con il nuovo Pontificale e non essendo neppure validamente vescovo (secondo p. Guérard), non può essere il Vescovo di Roma (ossia Papa) neppure in potenza o “materialiter”, sarebbe solo il manichino della vetrina Gammarelli in attesa della elezione di un vero Papa. Ci si trova, perciò, di fronte al sedevacantismo totale, (al “conclavismo” o al “delirio di onnipotenza” = «pensare di essere il Legato diretto e immediato di Cristo», una sorta di “sindrome napoleonico-messianica”) ritenuto non accettabile da p. Guérard. Quindi, da buon realista egli avrebbe rivisto e aggiornato la sua posizione iniziale, essendo arrivato ad una conclusione (secondo lui stesso) erronea. Ma non così, sino ad ora, i “tesisti”. Perciò chiedo loro una risposta a questo riguardo: Benedetto XVI è “papa” materialiter o per nulla? Tertium non datur. Pio XII era Papa formalmente o solo materialmente? Spero solo che la risposta non duri quanto i tempi biblici o “apocalittici”, anche perché per alcuni “tesisti” l’ “Apocalisse secondo Corsini” è già avvenuta, quindi mi si potrebbe dire che mi è già stata data la risposta e io non me ne sono accorto…, anche perché – povero me - conosco solo l’ “Apocalisse secondo Giovanni” e interpretata dai Padri della Chiesa. Anche questa teoria “origenista-corsiniana”, imposta come l’unica vera lettura dell’Apocalisse, ha contribuito a farmi aprire gli occhi e a cambiare campo, Deo gratis, in compagnia di tutti i Padri, Dottori ed esegeti approvati della Chiesa, tranne Origene, Rénan, Loisy e Corsini…che non sono auctores probati. “Dimmi con chi vai ti dirò chi sei”. Pure su questo punto ho atteso una risposta, senza aver voluto far nomi, per ‘non uccidere un uomo morto’ e consentirgli di correggersi, senza perdere la faccia. Ma la risposta non viene, “Thuca locuta est, causa finita est”.

Queste sono – in breve – le ragioni che mi hanno spinto (Deo gratias, ancora una volta) a lasciare formalmente la “Tesi di Cassicìacum” pur mantenendo una grande stima per p. Guérard des Lauriers, ma non per la maggior parte dei suoi allievi. Non avrei voluto polemizzare con nessuno (tranne il caso di legittima difesa che mi ci ha costretto), non voglio soprattutto turbare i fedeli, spero soltanto che queste pagine li aiutino, come hanno aiutato me nel corso di questi anni di elaborazione e riflessione, a lasciare una strada che in teoria sembrava buona, ma che in pratica si è rivelata falsa, dacché in contraddizione con il pensiero stesso dell’autore di essa. Alla gallica “Tesi di Cassicìacum” che è diventata la sub-gallica “Antitesi di Verrua Savoia”(= “Tesi” in evoluzione), preferisco la nostrana “Ipotesi di Velletri”, senza nessuna pretesa e senza minaccia di scomunica, peccato, dannazione irreversibile per chi non la gradisce. “Se sto nell’errore, che Dio me ne liberi; se sono nella verità che Dio mi ci mantenga”.

Pace e Bene a tutti!

Velletri, 6 luglio 2008


[1] Ne posseggo una ‘seconda edizione’ in una forma più estesa che non avrei voluto rendere, pubblica, tranne che non vi fossi stato costretto da polemiche scorrette. Ora, debbo costatare, che pur senza nominare nessuno (cfr. “Sodalitium”, n° 62, “Un’obiezione alla Tesi di Cassicìacum”, pp. 29-31), si vorrebbe far passare la vera obiezione (che ho sollevato lasciando l’Istituto MBC) per quello che non è.

Brevemente scrivo ora (per non confondere le idee ai lettori), che per quanto riguarda l’analogia tra Stato e Chiesa (rapporto di somiglianza relativa [entrambi sono società perfette] e dissomiglianza essenziale [una è naturale e l’altra soprannaturale]), mi riserbo di pubblicare in futuro, in maniera approfondita, un articolo a parte.

Faccio solo notare che pur avendo abbandonato la “Tesi” non ho mai confuso e identificato (univocamente = rapporto di assoluta e sostanziale somiglianza) Stato e Chiesa, come si vorrebbe far dire all’obiettante “x” (o a me, poco importa). Quindi è scorretto e fuori tema rispondere all’obiezione (che sollevai pubblicamente l’8 dicembre del 2006) facendo dire (all’obiettore “x” o a me, poco importa) ciò che non ho mai detto. (Posseggo la registrazione della conferenza – 14 gennaio 2007 - di risposta alla mia obiezione, in cui il relatore volle andare “equivocamente” fuori tema facendomi sostenere l’univocità tra Stato e Chiesa. Gli scrissi, in privato, chiedendo spiegazioni, non ne ho ottenuto risposta ed ora si ritorna con lo stesso “equivoco” per iscritto e pubblicamente, al quale debbo rispondere, per iscritto e pubblicamente). “Sodalitium”, n° 62, pp. 25-31, non risponde alla (mia) obiezione, ma a quella che scorrettamente si mette in bocca (a qualche “Mister x” o a me, poco importa). Ne riparleremo in futuro, dopo che mi si risponderà sui tre punti suscritti, se – cioè - Benedetto XVI è ancora “papa materialiter” o per nulla.

A proposito di “equivoci”, l’editorialista di “Sodalitium, (n° 62, pp. 2-4) è molto inquieto per la sorte di coloro che, a differenza di lui, (unico “cavalier senza macchia ?”), hanno cambiato campo irreversibilmente ‘specie in Italia’. Ora, a parte il fatto che di irreversibile vi è solo lo stato di dannazione eterna, il quale – per fortuna di tutti coloro che non la pensano esattamente come lui - non è in potere dell’editorialista; mi permetto di fargli ricordare che – in Italia - il fondatore dell’Istituto e della rivista di cui oggi egli è superiore e direttore, ha abbandonato – purtroppo e non solo per colpa sua - “campo”, ed anche sacerdozio ed episcopato, proprio lui che era (o pensava di essere, assieme a me, all’editorialista e ad un altro sacerdote) uno dei pochissimi preti (quattro in tutta Italia) ad “offrire l’oblatio munda” (poveri noi). Tuttavia lui mi fa pena, dacché è uno sconfitto e prego per lui, ma l’editorialista mi preoccupa (non irreversibilmente, “finché c’è vita c’è speranza”), dacché de facto si comporta da “Legato diretto di Cristo” e continua a far danni (pensando di essere uno dei dieci-cinquanta preti in tutto il mondo, cinque o sei in tutta Italia, che celebrano l’oblatio munda), spero non irreversibilmente. Farebbe, dunque, meglio a pensare ai fatti suoi e di casa sua, piuttosto che condannare irreversibilmente tutti quelli che non sono come lui. “Qui reputat se stare, timeat ne cadat”: Quanto a me, ringrazio Dio di aver cambiato (spero, Deo adiuvante, irreversibilmente) campo, che come l’albero si giudica dai frutti.

La triste realtà, invece mi pare essere questa: “Dio ci ha rinchiusi tutti nell’infedeltà per usare a tutti misericordia, affinché nessuno si glorifichi in se stesso” (s. Paolo). Infatti essendo stato “colpito il Pastore” (è un fatto, contro cui nulla valgono tutti le argomentazioni), “il gregge” (vescovi, sacerdoti e fedeli) “s’è disperso, ognuno per conto suo”. Di fronte ad un terremoto terribile, come è stata la “crisi conciliare”, chi può pretendere di essere stata la “pecora bianca” totalmente immune da ogni difetto, speculativo e pratico? Chi può dire di aver capito tutto, aver risolto tutto, il perché di ogni cosa? Io no! Solo un bugiardo o un megalomane può rispondere di sì. Il primo sarebbe bene che si corregga soprannaturalmente (“perseverare diabolicum”), infatti per ottenere misericordia bisogna riconoscere di essere “miserabile” e sforzarsi di essere misericordioso con gli altri; il secondo che si curi naturalmente (poiché è socialmente e pastoralmente pericoloso).

[2]) Necessariamente per affrontare questo problema (della ‘sede formalmente vacante’ a partire dal 1965, anzi dal 1955, sino al 2008) occorre affrontare questioni molto difficili di filosofia e teologia. Ora ‘la apostolicità e la visibilità della Chiesa, sono state date da Cristo alla sua Sposa, affinché i fedeli possano facilmente seguire il suo insegnamento, riconoscerla e distinguerla senza difficoltà dalle sette’ (cfr. “D. Th. C”., col. 2143). Quindi pretendere che i fedeli conoscano bene la filosofia e la teologia per capire la “Tesi” che dovrebbe illuminarli sullo stato attuale della vera Chiesa e discernere il vero dal falso, cozza contro la facilità di riconoscere l’unica Chiesa di Cristo. Il difficile non può essere facile, per il principio per sé noto di identità e non contraddizione.

Per capire la “Tesi” (presentata dai “tesisti” come l’evidente specificazione di un atto di fede) occorre possedere la scienza ardua della filosofia e teologia, mentre per costatare l’evidenza non occorre la laurea. L’impossibile è evidentemente falso. Ora non è così evidentemente falso asserire che Paolo VI (ma già Pio XII, per i “tesisti”) e successori non sono formalmente Papi, ma solo materialmente. Infatti per dimostrarlo occorre pubblicare una “Tesi” di laurea in filosofia e teologia, (detta di “Cassicìacum”) molto disputata anche tra i “sedevacantisti” stessi. Invece l’evidenza la si “mostra” e non la si “dimostra” e si impone a tutti (I + I = II).

[3]) “Nel tempo della desolazione non si deve mai fare alcun mutamento, ma rimanere fermi e costanti nei propositi e nella determinazione in cui si stava nel tempo precedente a quella desolazione […]. Perché, come nella consolazione ordinariamente ci guida e ci consiglia più lo spirito buono, così nella desolazione è lo spirito cattivo”. Cfr. anche “Es. Spir.”, n.° 320, 321 e 322.

►Analogamente, nella crisi attuale, si deve continuare a fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto senza avventurarsi (pubblicamente e pretendendo la certezza assoluta) in “novità” azzardate che potrebbero essere pericolose, come se non fossero calate le tenebre.

L’ipotesi speculativa e “scolastica” (che non deve essere predicata ai semplici, con imprudenza, faciloneria e arroganza, come successe nel Seicento quanto al dogma della Predestinazione, ma va solo disputata tra teologi), della “sede formalmente vacante” poteva, inizialmente, avere “in linea di principio” un fondamento nella realtà, purtroppo il modo di agire dalla maggior parte dei “sedevacantisti” (che sono il principale avversario della “sede vacante”, facendone una conclusione dogmaticamente certa e vincolante e quindi un obbligo morale e canonico per tutti), li rende mal sopportabili, dacché pretendono di avere la assoluta evidenza e certezza, il che li porta a “disprezzare tutti, tranne se stessi” e ad “imporre ai fedeli pesi insopportabili”. In realtà anch’essi sono vittime (se in buona fede, Dio solo lo sa) della crisi che ha sconvolto l’ambiente cattolico degli anni Sessanta, non sono i responsabile di essa e quindi non debbono essere combattuti quasi fossero il “nemico numero uno”, a condizione che rispettino gli altri e non si trasformino in “carnefici”, altrimenti non possono pretendere di essere rispettati a loro volta. Chi insulta e calunnia deve sapere che può essere confutato vigorosamente e – se necessario - denunciato.

fonte: http://www.doncurzionitoglia.com/TesIncerta.htm
 



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