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venerdì 19 aprile 2013

Marcel Lefebvre


Marcel Lefebvre


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Marcel François Marie Joseph Lefebvre
arcivescovo della Chiesa cattolica
Marcel Lefebvre in Cordoba, Argentina.jpg
Marcel Lefebvre nel 1980 a Córdoba, in Argentina.
Coat of Arms of Archbishop Marcel Lefebvre.svg
Et Nos Credidimus Caritati
Incarichi ricopertiVicario apostolico del Senegal
Delegato Apostolico per l'Africa francofona e Madagascar
Arcivescovo di Dakar
Vescovo di Tulle
Superiore generale della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo.
Nato29 novembre 1905 a Tourcoing
Ordinato sacerdote21 settembre 1929
Consacrato vescovo18 settembre 1947
Elevato arcivescovo22 settembre 1948
Deceduto25 marzo 1991
 
Marcel François Lefebvre (Tourcoing, 29 novembre 1905Martigny, 25 marzo 1991) è stato un arcivescovo cattolico francese, poi scomunicato da papa Giovanni Paolo II.
Fu uno dei più influenti cattolici tradizionalisti che si opposero alle riforme apportate dal Concilio Vaticano II e nel postconcilio, e in particolar modo alla soppressione della Messa tridentina, alla dottrina della collegialità dei vescovi, all'ecumenismo ed alla dottrina della libertà religiosa.

Indice

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Biografia [modifica]

Sacerdote dal 1929, membro della Congregazione dello Spirito Santo dal 1932, venne eletto e consacrato vescovo nel 1947 poi arcivescovo dal 1948. Vicario apostolico (1947-55) e primo arcivescovo (1955-62) di Dakar, delegato per le missioni dell’Africa francese (1948-59), vescovo di Tulle (1962), divenne in seguito superiore generale (1962-1968) della Congregazione dello Spirito Santo e fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (1970). Sospeso a divinis dal 1976 e scomunicato da papa Giovanni Paolo II il 30 giugno 1988.

La famiglia Lefebvre [modifica]

La famiglia Lefebvre a partire dal 1738 ha dato alla Chiesa una cinquantina dei suoi figli, tra i quali un cardinale, diversi vescovi, numerosi sacerdoti, religiose e religiosi, fra i quali il famoso liturgista benedettino Dom Gaspar Lefebvre. Il padre di Marcel, René Lefebvre (1879 - 1944), ricco proprietario di industrie tessili ed esponente di spicco della resistenza francese, venne arrestato dalla Gestapo il 21 aprile 1941, condannato a morte a Berlino il 28 maggio 1942 e internato nel campo di concentramento KZ di Sonnenburg (Brandeburgo). Fame, freddo, umidità e il pestaggio a sangue di un guardiano gli procurarono un'emiplegia con sincope. Morì il 4 marzo 1944 e la sua salma non venne più ritrovata. La madre, Gabrielle Watine (1880 - 1938), morì in concetto di santità. Marcel ebbe sette fratelli: Renè nato nel 1903 (diventerà sacerdote), Jeanne nel 1904, Bernadette nel 1907 (della quale la madre predesse che "sarà un segno di contraddizione", come avverrà quando fonderà, insieme al fratello Marcel, la Congregazione delle Suore della Fraternità San Pio X), Christiane nel 1908 (della quale la madre predisse che sarebbe divenuta carmelitana), Joseph nel 1914, Michel nel 1920 e Marie-Thèrèse nel 1925[1].

Giovinezza e sacerdozio [modifica]

Il 25 ottobre 1923 Marcel Lefebvre entrò nel Seminario francese di Santa Chiara di Roma, sotto la direzione di padre Henri Le Floch C.S.Sp. (1862-1950), il quale lascerà un'impronta indelebile nella sua formazione, fondata sulla Tradizione della Chiesa e sulla teologia di san Tommaso d'Aquino (1225-1274). Dopo aver regolarmente svolto il servizio militare in patria, si laureò in filosofia ed in teologia alla Pontificia Università Gregoriana. Il 21 settembre 1929 a Lille fu ordinato sacerdote[1].

Vescovo in Africa [modifica]

Dopo un breve periodo come vicario in una parrocchia operaia di Lilla, entrò nella Congregazione dello Spirito Santo (fece la professione religiosa nel noviziato dei Padri dello Spirito Santo di Orly il 1º settembre 1931[1]) e partì per il Gabon nell'ottobre 1932 come missionario. Iniziava così un rapporto tra monsignor Lefebvre e l'Africa che durò per trent'anni, fino al 1962. Appena giunto in Africa don Marcel fu nominato Professore di Dogma e di Sacra Scrittura al Gran Seminario di Libreville, che raggruppava tutti i seminaristi dell'Africa equatoriale Francese.
Nel 1934 assunse la direzione del Seminario.
Seppe dare al clero locale una spiccata vocazione evangelizzatrice tanto da triplicare, tra il 1933 ed il 1947, la popolazione cattolica del Gabon; il paese divenne il più cristiano dell'Africa francofona, ed il secondo di tutto il continente africano. Nel 1945 don Marcel fu richiamato in Francia per assumere la direzione del seminario dei padri dello Spirito Santo a Mortain.
Nel settembre 1947, a 42 anni Lefebvre fu, per volontà di papa Pio XII, consacrato vescovo e nominato vicario apostolico del Senegal.
Un anno dopo venne nominato delegato apostolico per tutta l'Africa francese: fu così il rappresentante della Santa Sede in 18 paesi africani, nei quali vi sono 45 giurisdizioni ecclesiastiche e 2 milioni di cattolici, con 1.400 sacerdoti e 2.400 religiose.
Nel 1955 diverrà il primo arcivescovo metropolita di Dakar, quando in Senegal verrà istituita la gerarchia locale. Resterà delegato apostolico fino al 1959 e arcivescovo metropolita di Dakar fino al 1962.
In 11 anni di lavoro come Delegato apostolico le diocesi passarono da 44 a 65. A Dakar raddoppiò il numero dei cattolici e le chiese da tre divennero 13.
Il prodigioso sviluppo culturale, sociale ed economico dell'Africa francofona degli anni Cinquanta lo si deve, in gran parte, a Monsignor Lefebvre, come ricordano ancora oggi le targhe commemorative, la toponomastica dei luoghi, gli annali e l'emissione dei francobolli a lui dedicati[2].

Il ritorno in Francia. Alla guida degli Spiritani [modifica]

Marcel Lefebvre si era formato al seminario francese di Roma ai tempi in cui superiore della Congregazione dello Spirito Santo era padre Henri Le Floch (1862-1950), che nel 1927 lasciò la guida della congregazione dopo la condanna dell'Action Française da parte di papa Pio XI. Papa Giovanni XXIII nel sostenere la posizione di Pio XI si scontrò con Marcel Lefebvre all'epoca in cui era nunzio apostolico in Francia.
Ritornato in Francia, Lefebvre, nonostante fosse vacante l'arcidiocesi di Albi, nel gennaio del 1962 fu messo a capo della piccola diocesi di Tulle dove rimase per pochi mesi. L'Assemblea dei cardinali e degli arcivescovi francesi, antesignana della Conferenza episcopale francese, esclude dal suo seno gli arcivescovi che guidino una sede non arcivescovile: un provvedimento che penalizza solo mons. Lefebvre.
I motivi di contrasto con l'episcopato francese e con papa Giovanni XXIII sono tre: la ferma opposizione di mons. Lefebvre alle innovazioni in campo teologico, liturgico e sociale; il rapporto con l'Islam, che Lefebvre taccia di fanatismo, e il sostegno di Lefebvre alla Cité catholique di Jean Ousset, un'associazione cattolica controrivoluzionaria.
Il 25 luglio 1962 il capitolo generale della sua congregazione lo elegge superiore generale. Anche all'interno del capitolo mons. Lefebvre ha tuttavia degli oppositori, che fa capo ai docenti del seminario di Chevilly, che condividono la linea progressista dell'episcopato francese.
La sua guida della Congregazione dello Spirito Santo è segnata da tre momenti di tensione: la nomina a suo perito conciliare di Victor Berto, un sacerdote secolare; il tentativo di imporre a tutti i confratelli la talare e la collaborazione di mons. Lefebvre alla rivista di destra Rivarol, per cui pubblica una corrispondenza dal Concilio con toni sferzanti.
Tra gli Spiritani c'è chi non segue il superiore generale e addirittura qualcuno, come don Béguerie, abbandona la congregazione. Al capitolo generale del 9 settembre 1968 mons. Lefebvre si presenta come dimissionario. In polemica per una controversia procedurale lascia il capitolo l'11 settembre e vi ritorna il 30 settembre, poco prima della vittoria del partito dei suoi oppositori. A novembre lo stesso mons. Lefebvre abbandonò la congregazione.[3]

Il Concilio Vaticano II [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi Concilio Vaticano II.
Come superiore generale dei Padri dello Spirito Santo Lefebvre parteciperà al Concilio Vaticano II dopo aver fatto parte nel 1962 della sua Commissione preparatoria e nominato da papa Giovanni XXIII, Assistente al Soglio Pontificio. Durante il Concilio si schierò con l'ala conservatrice del Coetus Internationalis Patrum; assunse un atteggiamento fortemente critico nei confronti del rinnovamento liturgico, della collegialità episcopale, dell'ecumenismo e della libertà religiosa, che avrebbe lasciato "a tutte le false religioni la libertà d'espressione" in uno spirito "liberale ecumenico". All'ex missionario l'ecumenismo, le modifiche alla liturgia e all'insegnamento religioso apparivano come altrettante concessioni «a uno spirito neo-modernista e neo-protestante» capace di condurre alla rovina del sacerdozio, all'annientamento del sacrificio e dei sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa. Insieme ad altri teologi espresse le sue critiche sulla riforma liturgica nel "Breve esame critico del Novus Ordo Missae" pubblicato nel settembre 1969, documento del quale i cardinali Ottaviani e Bacci scrissero la prefazione.
Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi Intervento Ottaviani.

La Fraternità Sacerdotale San Pio X [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Allo scopo di mantenere viva la tradizione liturgica di San Pio V e più in generale la tradizione della Chiesa, aveva fondato nel 1970 la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), con un proprio seminario (ad Ecône, in Svizzera, fondato il 7 ottobre 1970). Lefebvre si era ribellato alla frettolosa attuazione delle riforme conciliari e ottenne l'"istituzione canonica", che gli permise di fondare regolarmente la sua organizzazione. Nel 1970 mons. Charriere, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo firmò il decreto di fondazione della Fraternità. Nel 1971 mons. Lefebvre annunciò ai suoi seminaristi il rifiuto di accettare il Novus Ordo Missae per motivi di coscienza.

La prima condanna [modifica]

Fin dal 1972 i Vescovi francesi bollarono Ecône come "seminario selvaggio" e cercarono di ottenerne la chiusura per la formazione e la mentalità ostile al Concilio Vaticano II. Il 19 marzo 1975 Lefebvre dichiarò che non si sarebbe mai separato dalla Chiesa, ma ciò non fu sufficiente a ridurre l'ostilità di parte delle gerarchie svizzere e francesi. Dopo le inchieste e lunghe procedure ecclesiastiche abituali mons. Pierre Mamie, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, in stretto accordo con la conferenza episcopale svizzera e il Vaticano ritirò il riconoscimento canonico e ordinò la chiusura del seminario di Ecône (1975). Lefebvre rifiutò di accettare questa disposizione e disattese la proibizione di ordinare nuovi sacerdoti e di aprire nuove case. Mons. Nestor Adam vescovo di Sion, che fu tra i fautori di questa condanna, si alienò una parte considerevole dei fedeli della sua diocesi. Tuttavia, anche se venne lanciata l'interdizione contro mons. Lefebvre, questi conserverà il potere di ordinare sacerdoti, in modo valido anche se illegittimo, in quanto nemmeno la Chiesa o il papa in persona possono togliere il sacramento e il potere sacro a un sacerdote. Pur avendo avuto un incontro con Paolo VI nel settembre 1976, rifiutò di sottomettervisi[4]. Nel luglio 1976 venne sospeso a divinis da papa Paolo VI (ovvero gli fu imposto il divieto di celebrare i sacramenti usando i nuovi riti). La "Messa proibita" che egli celebrò a Lilla nell'agosto 1976 davanti a 10.000 fedeli ottenne, grazie ai 400 giornalisti presenti, una risonanza enorme.

La visita apostolica del cardinale Edouard Gagnon [modifica]

Negli anni successivi, quantunque continuasse le ordinazioni sacerdotali permanendo nella condizione di disobbedienza, ci furono diversi tentativi di dialogo da parte della Santa Sede. Con papa Giovanni Paolo II, che ricevette Lefebvre in udienza privata già nel novembre 1978, i rapporti migliorarono e si riaprì il dialogo con Roma. Nel 1983 Lefebvre lasciò la guida della FSSPX, rimanendone tuttavia l'indiscusso capo carismatico.
Il 27 agosto 1986 scrisse una lettera a otto Cardinali per allertare sul primo grande raduno interreligioso di Assisi, affermando che lo scandalo era incalcolabile nelle anime dei cattolici e che la Chiesa ne era scossa nelle fondamenta[2].
Nel giugno del 1987 mons. Lefebvre confermò pubblicamente la sua intenzione di consacrare alcuni vescovi, che avrebbero continuato la sua opera dopo la sua morte. Dopo due incontri fra Ratzinger e Lefebvre (luglio e ottobre del 1987) fu nominato visitatore apostolico di Ecône il cardinal Gagnon, un prelato ben conosciuto per le sue posizioni ultraconservatrici e opposte a quelle dell'episcopato francese. La fase della visita apostolica del cardinale Edouard Gagnon alla FSSPX (novembre-dicembre 1987) si concluse con una relazione stesa da quest'ultimo nel marzo del 1988[5].

Il protocollo d'intesa [modifica]

Poco dopo (8 aprile 1988) una lettera di papa Giovanni Paolo II al cardinale Ratzinger, il futuro Benedetto XVI, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, tracciava le linee di una proposta che permettesse alla FSSPX di ottenere una collocazione regolare nella Chiesa, in piena comunione con la Sede apostolica. Su questa base ebbero luogo diversi incontri tra due apposite delegazioni, fino a raggiungere l’accordo su un protocollo firmato il 5 maggio 1988.
Il 5 maggio 1988 Lefebvre ed il cardinale Ratzinger firmano un protocollo d'intesa per l'utilizzo dei libri liturgici approvati nel 1962 (gli ultimi che il movimento lefebvriano utilizza, poiché precedenti la riforma liturgica), per la costituzione della FSSPX in società di vita apostolica con particolari diritti e prerogative e possibilmente guidata da un vescovo. Il protocollo comprendeva una dichiarazione di ordine dottrinale e il progetto di un dispositivo giuridico nonché di misure destinate a regolare la situazione canonica della FSSPX e delle persone a essa collegate, e ipotizzava la creazione di una commissione vaticana per coordinare i rapporti con i dicasteri della Curia romana e con i vescovi diocesani, come pure per risolvere i futuri problemi. In tale documento, Lefebvre, a nome suo e della FSSPX, promette obbedienza alla Chiesa e al Papa, dichiara di non voler più discutere il Vaticano II in termini polemici, accetta in particolare la sezione 25 della Lumen Gentium sul magistero pontificio, riconosce la validità dei nuovi riti della Messa.
Il giorno dopo Lefebvre ritratterà, affermando di essere caduto in trappola e di non potersi astenere dall'ordinare un vescovo il 29 giugno successivo allo scopo di garantire un suo successore alla Fraternità.
Per evitare che Lefebvre proceda con l'atto ritenuto scismatico, il 24 maggio 1988 papa Giovanni Paolo II gli concede l'autorizzazione di ordinare un vescovo "alla prossima solennità mariana" (nel caso specifico si trattava del 15 agosto, solennità dell'Assunzione della Vergine Maria) ma Lefebvre risponde per iscritto che ha bisogno di non uno ma tre vescovi, e che intende ugualmente consacrarli il 29 giugno. Il cardinale Ratzinger gli risponde che permanendo questo atteggiamento di disobbedienza, il permesso di consacrare un vescovo il 15 agosto sarebbe stato ritirato.
Lefebvre, ritornato in Svizzera e mettendo in discussione il protocollo insistendo, tra l'altro, sulla necessità di ordinare vescovi tre sacerdoti della Fraternità entro il 30 giugno 1988 e chiedendo inoltre di avere la maggioranza dei membri della istituenda commissione romana. Di fronte al rifiuto di Roma, ferma sulla concessione di un solo vescovo e sull'equilibrio prestabilito per la commissione, e di fronte all'invito a rimettersi in piena obbedienza alle decisioni del Papa, Lefebvre, in una lettera del 2 giugno, esprimeva l’opinione che il momento di una collaborazione franca e efficace non era ancora giunto e dichiarava di voler procedere alle ordinazioni episcopali anche senza mandato pontificio.
Lefebvre aveva mandato a monte il paziente lavoro del cardinale Ratzinger perché alla fine non si era fidato delle assicurazioni dei suoi interlocutori, soprattutto per quanto riguardava la consacrazione di un suo successore. Spiega padre Emmanuel du Chalard, collaboratore di Lefebvre in quei giorni: "Il cardinale Edouard Gagnon aveva condotto una visita apostolica a Ecône e aveva fatto intendere che non erano stati trovati dei sacerdoti con profilo episcopale. Monsignor Lefebvre temeva che il cardinale Ratzinger avrebbe chiesto consiglio al cardinal Gagnon e dunque che, non trovando il profilo episcopale all'interno della Fraternità San Pio X, il nuovo successore sarebbe stato cercato fuori". Qualche tempo dopo, in un'intervista, Lefebvre raccontò di aver firmato l'accordo perché «non volevo si dicesse che non stavo ai patti», salvo ripensarci il giorno dopo. È probabile che a ispirare di forzare la mano fosse stata, all'epoca, l'ala più dura della Fraternità, la stessa che oggi fa capo al vescovo Richard Williamson, uno dei quattro ordinati quel 30 giugno 1988 da Lefebvre.
Il 9 giugno il Papa chiede ancora una volta di non procedere con tale «atto scismatico». Il 15 giugno 1988 Lefebvre annuncia in una conferenza stampa i nomi dei sacerdoti che intende ordinare vescovi, ritenendo che la Chiesa si trovasse in un grave stato di necessità, per la sopravvivenza del sacerdozio e della Messa tradizionale.

L'ordinazione dei quattro vescovi e la scomunica [modifica]

Nonostante un'ammonizione formale (17 giugno), il 30 giugno 1988 Lefebvre ordinava quattro vescovi (uno in più di quanto aveva annunciato in precedenza) e compiva così un atto scismatico (a norma del canone 751 del Codex iuris canonici), avendo egli apertamente rifiutato la sottomissione al Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Di conseguenza sia Lefebvre, sia i vescovi da lui consacrati incorrevano ipso facto (cioè con lo stesso porre in essere l'atto) nella scomunica latae sententiae ("sentenza già data", ovvero vi si incorre per lo stesso fatto di porre il gesto) il cui scioglimento è riservato alla Sede Apostolica.[6]
La sua scomunica da parte della Chiesa fu formalizzata il 30 giugno, a firma del cardinale Bernardin Gantin. Subito dopo, il 2 luglio 1988, Giovanni Paolo II, con il motu proprio Ecclesia Dei afflicta (popolarmente conosciuto solo come "Ecclesia Dei")[7], dichiara il proprio dolore per l'infelice conclusione della questione, parlando esplicitamente di «disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa» e di «atto scismatico» che ha per conseguenza diretta la «scomunica». Tale atto scismatico è dovuto, secondo il Papa, ad un'«incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione».
La formalizzazione della scomunica riguardò solo i due vescovi consacranti (Marcel Lefebvre e Antônio de Castro Mayer, quest'ultimo in via "presuntiva") ed i quattro vescovi appena consacrati (Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta: a norma del Codice di Diritto Canonico la loro consacrazione fu "valida" anche se "illecita"[8]). Il 24 gennaio 2009 papa Benedetto XVI ha rimesso loro la scomunica.[9]
Lefebvre morì di cancro nel 1991. È fatto controverso se in punto di morte gli sia stata revocata la scomunica dal Nunzio apostolico in Svizzera.[senza fonte] Al suo funerale, come è possibile vedere dalla documentazione fotografica e filmata di esso, tutti i preti presenti, compresi il Vescovo del luogo, il segretario del cardinale Hyacinthe Thiandoum, il cardinale Silvio Oddi ed il Nunzio apostolico in Svizzera, benedissero la salma.[senza fonte] Bisogna ricordare che anche se una persona ha ricevuto una scomunica, può ancora ricevere su richiesta il rito cattolico delle esequie in quanto sacramentale[10], seppure la Chiesa si riserva il diritto di negare il rito[11].
Lefebvre è sepolto presso il Seminario Internazionale San Pio X di Ecône, in Svizzera. Sulla sua tomba ha voluto che si scrivesse: Tradidi quod et accepi, ovvero: "Vi ho trasmesso semplicemente ciò che ho ricevuto". Si tratta di una frase dell'apostolo Paolo di Tarso (I, Cor. 15,3), in cui il significato di "et" è inteso come “semplicemente”, per ribadire l'interpretazione del mandato apostolico della Chiesa come opera di difesa del deposito della fede dalle deviazioni che, secondo Lefebvre, si erano diffuse ampiamente nella Chiesa soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, che avrebbe definitivamente spalancato le porte delle menti dei Cattolici agli errori del modernismo (giudicato nell'enciclica Pascendi Dominici gregis del 1907 come "sintesi di tutte le eresie").

Opere [modifica]

Bibliografia [modifica]

in lingua italiana [modifica]

in lingua francese [modifica]

  • François Brigneau, Pour saluer MgrLefebvre. Publications F.B., collection « Mes derniers cahiers », 1re série, n° 1, Parigi, juin 1991, 64 p.
  • Jean-Anne Chalet, Monseigneur Lefebvre. Éditions Pygmalion, Parigi, 1976. 254 p. ISBN 2-857-04037-7;
  • Yves Congar, La Crise dans l'Église et MgrLefebvre (2e édition augmentée). Éditions du Cerf, Parigi, 1977. 122 p. ISBN 2-204-01115-0;
  • Roland Gaucher, Monseigneur Lefebvre : combat pour l'Église. Éditions Albatros, Parigi, 1976. 261 p.;
  • Jacques Goudet, Le Cas MgrLefebvre. Éditions l'Hermès, collection « Les Hommes et les lettres. Documents », Lione, 1978. 209 p. ISBN 2-85934-026-2;
  • Philippe Héduy, Monseigneur Lefebvre et la Fraternité. Fideliter (Eguelshardt) et Société de production littéraire (Parigi), 1991. 145 p. + 4 p. d'illustrations. ISBN 2-903122-46-6;
  • François Houang et Roger Mouton, Les Réalités de Vatican II et les désirs de Monseigneur Lefebvre. Fayard, Parigi, 1978. 143 p. ISBN 2-213-00578-8;
  • Abbé Denis Marchal, Mgr Lefebvre : vingt ans de combat pour le sacerdoce et la foi, 1967-1987. Nouvelles Éditions latines, Parigi, 1988. 157 p.
  • Jean-Jacques Marziac :
    • Monseigneur Lefebvre, tome 1 : Soleil levant ou couchant : Mystères joyeux. Nouvelles Éditions latines (Parigi) et Fideliter (Broût-Vernet), 1979. 141 p. + 30 p. d'illustrations. ISBN 2-7233-0085-4,
    • Monseigneur Lefebvre, tome 2 : Des Évêques français contre Monseigneur Lefebvre : mystères douloureux. Fideliter, Broût-Vernet, 1989. 157 p. + 32 p. d'illustrations. ISBN 2-903122-44-X
  • Luc Perrin, L'affaire Lefebvre, Cerf, 1989, 128p.ISBN 2-204-03128-3
  • Bernard Tissier de Mallerais, Marcel Lefebvre : une vie. Éditions Clovis, Étampes, 2002. 719 p. + 17 p. d'illustrations ISBN 2-912642-82-5.

Cinematografia [modifica]

  • Association pour la Défense du Patrimoine chrétien, Monsignor Lefebvre. Un Vescovo nella tempesta, 2012. Il film è stato per la prima volta presentato al pubblico il 29 settembre 2012 a Parigi[12].

Genealogia episcopale [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi Genealogia episcopale.

Consacrati [modifica]

in seno alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, con divieto di Papa Giovanni Paolo II:

Note [modifica]

  1. ^ a b c AA.VV. "La Tradizione Cattolica" Anno XXIII n. 1 (82)- 2012 pag. 5-10
  2. ^ a b AA.VV. "La Tradizione Cattolica" Anno XXIII n. 1 2012 pag. 5-10
  3. ^ Massimo Introvigne, Recensione de "Il Sessantotto di mons. Lefebvre. Vers Écône" di Philippe Béguerie, dal sito del Cesnur
  4. ^ AA.VV "Il Cristianesimo", Rizzoli Editore, Milano 1978 pag. 98-99
  5. ^ Guasco Maurilio - Guerriero Elio - Traniello Francesco "La Chiesa del Vaticano II (1958-1978)" Cinisello Balsamo (Milano) 1994 parte seconda pag. 680-681
  6. ^ Su YouTube è possibile vedere il video della cerimonia di consacrazione dei vescovi
  7. ^ LETTERA APOSTOLICA "ECCLESIA DEI" DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II IN FORMA DI "MOTU PROPRIO"
  8. ^ Documento della commissione Ecclesia Dei in cui si afferma la validità delle ordinazioni dei sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X e delle S. Messe da questi officiate.
  9. ^ Remissione della scomunica latae sententiae dal sito della sala stampa vaticana
  10. ^ Codice di Diritto Canonico 1331
  11. ^ Codice di Diritto Canonico 1184
  12. ^ Monsignor Lefebvre: un Vescovo nella Tempesta



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Monsigor Lefebvre: "Vi è una lotta condotta all’interno della Chiesa per farne sparire il passato, per fare sparire la Tradizione della Chiesa".
Conferenza stampa di
Mons. Marcel Lefebvre

in vista delle consacrazioni episcopali del 30 giugno 1988

  Ecône, 15 giugno
1988

 
Ci siamo permessi di invitarvi come già abbiamo fatto tredici anni fa, nel 1975, al momento di avvenimenti difficili fra Roma ed Ecône e che ci riguardavano. Siamo di nuovo, si potrebbe dire, ad un’estate calda.

Prima di arrivare agli avvenimenti di questi ultimi giorni e dei giorni prossimi, vorrei prima di tutto farvi una piccola esposizione, così che comprendiate meglio la situazione e nei resoconti che scriverete nei giornali possiate riportare, in quanto possibile, dei racconti obiettivi.

Occorre piazzare gli avvenimenti che accadono oggi e che accadranno domani – in particolare la consacrazione episcopale dei quattro giovani vescovi del 30 giugno – nel contesto delle nostre difficoltà con Roma, non solo dopo il 1970, dopo la fondazione di Ecône, ma dopo il Concilio.

Al Concilio, io e in certo numero di vescovi abbiamo lottano contro il modernismo e contro gli errori che stimavamo inammissibili e incompatibili con la fede cattolica. Il problema di fondo è questo. Si tratta di un’opposizione formale, profonda, radicale, contro le idee moderne e moderniste che sono passate attraverso il Concilio.

Voi mi direte: ma cos’è che vuole dire con questo?

Ebbene, vi citerò alcuni elementi di questo modernismo. Per esempio l’accettazione dei Diritti dell’Uomo del 1789.
Parlo del diritto comune nella società civile di tutte le religioni, cioè il principio della laicità dello Stato.
Parlo dell’ecumenismo o l’associazione di tutte le religioni. È Assisi, è Kyoto, sono le visite alla Sinagoga, al tempio protestante.
E nella Chiesa, parlo della collegialità, con i sinodi, con le conferenze episcopali, parlo del cambiamento della liturgia, del cambiamento della catechesi, dell’aumento della partecipazione dei laici e delle donne negli ambiti religiosi.

Voi ne avete parlato nei vostri giornali, conoscete bene queste cose, perché tutto questo è apparso in occasione dei sinodi di Roma.

 
Parlo della negazione del passato della Chiesa. Vi è una lotta condotta all’interno della Chiesa per farne sparire il passato, per fare sparire la Tradizione della Chiesa.
Parlo di questa continua persecuzione contro coloro che vogliono restare cattolici, come lo erano i papi prima del Vaticano II.

Ecco qual è la nostra posizione. Noi continuiamo ciò che i papi hanno insegnato e hanno fatto prima del Vaticano II. Noi ci opponiamo a ciò che adesso hanno fatto i papi Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, perché hanno compiuto una rottura con i loro predecessori. Noi preferiamo la Tradizione della Chiesa all’opera di pochi papi che si oppongono ai loro predecessori.

Tuttavia, nel corso di questi anni abbiamo voluto conservare i contatti con Roma, da dopo il 1976, quando abbiamo ricevuto la «sospensione a divinis» perché continuavamo a fare delle ordinazioni sacerdotali. Abbiamo voluto conservare i contatti con Roma sperando che la Tradizione ritrovasse un giorno i suoi diritti. Ma è stato tempo perso.

Di fronte al rifiuto di Roma di prendere in considerazione le nostre proteste e le nostre richieste di ritorno alla Tradizione e al cospetto della mia età – poiché io oggi ho 82 anni, sono nel mio 83 anno, ed è evidente che sento avvicinarsi la fine – mi serve un successore. Non posso lasciare cinque seminari sparsi nel mondo senza un vescovo che possa ordinare questi seminaristi, poiché non si possono fare dei sacerdoti senza un vescovo. E fintanto che non ci sarà un accordo con Roma, non ci sarà alcun vescovo che accetterà di fare delle ordinazioni. Dunque mi trovo in un assoluto vicolo cieco e di fronte ad una scelta: o morire e lasciare i miei seminaristi nell’abbandono, lasciare orfani i miei seminaristi, o fare dei vescovi. Non ho scelta.
Allora ho chiesto a Roma più volte: lasciatemi fare dei vescovi, permettetemi di avere dei successori. È per questo che lo scorso 29 giugno [1987] ha fatto un’allusione chiara nella mia predica qui a Ecône in occasione dell’ordinazione dei seminaristi. Dissi che avrei fatto delle consacrazioni episcopali perché Roma non vuole ascoltarmi, non vuol capire e ci abbandona. Io mi vedo obbligato a darmi dei successori. Di conseguenza il prossimo 25 ottobre consacrerò dei vescovi per la mia successione.
Grande agitazione a Roma!

Fu a partire da quella dichiarazione che Roma si è smossa, profondamente, e così ho ricevuto una lettera il 28 luglio, dopo aver incontrato il cardinale Ratzinger il 14 luglio, al quale dissi: «o Roma mi permette di fare dei vescovi o me li faccio da me». Nella sua lettera del 28 luglio il cardinale Ratzinger mi rispose: «Per quanto riguarda i vescovi bisogna attendere che la vostra Fraternità venga riconosciuta. Per il resto, possiamo forse farvi delle concessioni, sulla liturgia, sull’esistenza dei vostri seminari e poi come di regola inviarvi un visitatore».

In effetti, io avevo chiesto una visita perché ci conoscessero, visto che non ci conoscono, che non vengono a vederci. Vi è stata dunque un’apertura da parte di Roma, in quel momento.
Confesso che ho molto esitato. Dovevo accettare questa apertura o dovevo rifiutarla? Ero molto portato a rifiutarla perché non ho alcuna fiducia in queste autorità romane, devo dirlo, poiché le loro idee sono completamente opposte alle nostre. Non siamo affatto sulla stessa lunghezza d’onda, dunque non avevo alcuna fiducia.

Siamo sempre stati perseguitati, era ancora l’epoca di Port-Marly, della persecuzione di Don Lecareux per le sue parrocchie, approvate da Roma peraltro, visto che i vescovi sono approvati da Roma. Tutto questo non ci ispirava affatto la fiducia di metterci nelle mani di Roma, di una Roma che combatteva la Tradizione.

Tuttavia abbiamo voluto fare uno sforzo: proviamo, andiamo a vedere quali possono essere le disposizioni di Roma nei nostri confronti. È con questo spirito che sono andato a Roma e che in seguito abbiamo ricevuto la visita del cardinale Gagnon. Sembra che questa visita sia stata favorevole. Confesso che non ne so niente, poiché non ho ricevuto una sola parola sul risultato di questa visita che ha avuto luogo sette mesi fa. L’ho detto al cardinale Ratzinger: è inammissibile. Si effettua una visita per sapere se noi facciamo bene, se facciamo male, se ci sono dei rimproveri da muoverci, se ci sono dei complimenti da farci, e non ci si dice niente. Non ho saputo niente della visita del 1974 dei due prelati belgi che sono venuti a visitare il seminario già quattordici anni fa. Non mi è mai arrivata una sola riga che mi dicesse quale fosse stato il risultato di quella visita.

Allora, il cardinale Gagnon è venuto e in seguito ci sono stati proposti dei colloqui per realizzare un protocollo che predisponesse un accordo destinato a mettere in essere le istituzioni che avrebbero retto la Tradizione.
E questi colloqui ci sono stati.
Confesso che io stesso avrei voluto partecipare al primo di questi colloqui, ma loro hanno preferito che io non ci fossi e che designassi un teologo e un canonista. È quello che feci. Designai Don Tissier de Mallerais e Don Laroche perché si recassero a Roma, per incontrarsi con i rappresentanti del cardinale Ratzinger. Questi erano in tre: un teologo, un canonista e il Padre Duroux che presiedeva la riunione.

Una prima redazione venne approntata dopo quarantotto ore, essa regolava le questioni dottrinali e le questioni disciplinari. Noi fummo sorpresi di vedere che volevano farci firmare un testo dottrinale. Dopo l’apertura dimostrata l’anno prima dal cardinale Ratzinger con la sua lettera del 28 luglio, non erano più in ballo dei problemi dottrinali. Fummo quindi un po’ sorpresi che ci si rimettesse sotto gli occhi ciò che era stato oggetto di incomprensioni per quindici anni.
La nostra opposizione era dovuta precisamente a questioni dottrinali. Ma dal momento che l’articolo 3 della parte dottrinale del protocollo assicurava che potevamo riconoscere che nel Concilio, nella liturgia e nel Diritto Canonico, vi fossero dei punti che non erano perfettamente conciliabili con la Tradizione, la cosa ci soddisfaceva. In qualche modo ci si dava soddisfazione su questi punti. Questo ci permetteva di discutere certi punti del Concilio, della liturgia e del Diritto Canonico. Fu questo che ci permise di firmare questo protocollo dottrinale, senza il quale non l’avremmo firmato.

E poi si giunse alle questioni disciplinari. Vi era soprattutto la questione del vescovo, quella di un ufficio a Roma, nel quale Roma avrebbe avuto cinque membri e noi solo due. La cosa non ci piaceva molto. Discutemmo del fatto che in pratica eravamo messi in minoranza in questo ufficio di Roma, ma d’altra parte, in una certa misura eravamo esenti dalla giurisdizione dei vescovi.
Nel corso di una seconda riunione, questa volta con il cardinale Ratzinger e io stesso, insieme con i diversi teologi e canonisti, che avevano già discusso tra loro, giungemmo ad una conclusione accettabile, sulla carta.
Il cardinale Ratzinger firmò subito: io firmai ad Albano il 5 maggio.
Così il protocollo fu firmato.
 
La stampa annunciò: accordo tra Mons. Lefebvre e il Vaticano. Sembra che le cose si sistemino, che tutto si sistemi.
Personalmente, come vi ho detto, io mi muovevo con sfiducia. Ho sempre provato un sentimento di sfiducia e devo confessare che ho sempre pensato che tutto quello che facevano era per ridurci ad accettare il Concilio e le riforme post-conciliari.
Essi non potevano ammettere, e d’altronde il cardinale l’ha detto recentemente in un’intervista ad un giornale tedesco: «Non possiamo accettare che dopo il Concilio vi siano dei gruppi che non ammettono il Concilio e le riforme che sono state fatte dopo il Concilio. Non possiamo ammettere una cosa così». Il cardinale l’ha ripetuto più volte: «Monsignore, vi è solo una Chiesa, non può esserci una Chiesa parallela.» Ed io gli ho detto: «Eminenza, non siamo noi che facciamo una Chiesa parallela, poiché noi continuiamo la Chiesa di sempre, siete voi che fate una Chiesa parallela, avendo inventato la Chiesa del Concilio, quella che il cardinale Benelli ha chiamato Chiesa conciliare Siete voi che avete inventato una Chiesa nuova, non noi, siete voi che avete fatto un nuovo catechismo, dei nuovi sacramenti, una nuova Messa, una nuova liturgia, non siamo noi. Noi continuiamo ciò che era stato fatto prima. Non siamo noi che facciamo una nuova Chiesa».

Noi abbiamo percepito, dunque, nel corso di questi colloqui, un desiderio, una volontà di condurci al Concilio. Ebbene, malgrado tutto, io ho firmato, ho cercato di dimostrare della buona volontà, ma dal giorno stesso in cui noi abbiamo deciso di firmare, a proposito del vescovo ho chiesto al cardinale Ratzinger: «Allora, adesso firmeremo il protocollo, potete darci già la data per la consacrazione del vescovo?» (era il 4 maggio) «Da qui al 30 giugno avete il tempo di darmi il mandato per il vescovo. Io personalmente ho partecipato alla presentazione dei vescovi, quand’ero delegato apostolico, di 37 vescovi, e so come si fa». Io avevo presentato i nomi. I nomi erano già sul tavolo del Vaticano, tre nomi, quello che si chiama una terna. È questo il termine classico a Roma per indicare i tre nomi dei vescovi proposti, e la Santa Sede sceglie tra questi tre nomi. Ho dunque dato tre nomi. «Da qui al 30 giugno avete il tempo per preparare, per fare un’inchiesta e per darmi il mandato». «Ah! No, no, no, è impossibile, il 30 giugno è impossibile» - «Allora quando? Il 15 agosto? Alla fine dell’anno mariano?» - «Ah!, no, no, no, Monsignore. Lei sa bene che il 15 agosto a Roma non c’è nessuno. Dal 15 luglio al 15 settembre ci sono le vacanze, non si può contare sul 15 agosto, non è possibile» - «Allora, diciamo il 1 novembre, per Tutti i Santi?» - «Ah!, non lo so, non glielo posso dire» - «Per Natale?» - «Non glielo posso dire».

Mi sono detto: è finita, ho capito. Ci si vuole menare per il naso, è finita, non ho più fiducia. E avevo ben ragione a non avere fiducia, ci si stava per giocare. Ho perso completamente la fiducia. E il giorno stesso, il 5 maggio, ho scritto una lettera al Papa e una al cardinale Ratzinger, dicendo: Avevo sperato di giungere ad un risultato, credo che sia tutto finito. Lo vediamo benissimo. Vi è una volontà da parte della Santa Sede di volerci sottomettere alla sua volontà e ai suoi orientamenti. È inutile continuare. Siamo agli antipodi gli uni dagli altri.
Evidentemente, a quel punto grande scompiglio a Roma per la lettera scritta da me: «Com’è che denunciate il protocollo, non è permesso, è deplorevole».

Sì, ma posso leggervi rapidamente alcuni passi della lettera che ho scritto: era il 6 maggio. Al corriere del cardinale era giunta una bozza di lettera da inviare al Papa nella quale bisognava che io chiedessi perdono, non per tutto questo, ma per tutto ciò che era stato fatto nel corso dei tredici anni passati, per i torti che avevo potuto avere, anche in buona fede. Sono loro che scrivono così perché io lo firmi, non io. «In tutta buona fede si possono commettere degli errori. Così, io vi prego umilmente di perdonare tutto ciò che nel mio comportamento o in quello della Fraternità ha potuto ferire il Vicario di Cristo e la Chiesa».

Tutte quelle cose che erano state messe da parte le si rimetteva nuovamente sotto i nostri occhi. Le vessazioni che si rimettevano sotto i nostri occhi manifestavano che nei nostri confronti vi era della mala volontà e che il solo desiderio della Santa Sede era di portarci al Concilio e alle sue riforme.

È per questo che vi è stata consegnata la lettera che alla fine, il 2 giugno, ho scritto al Papa.
«Santissimo Padre, i colloqui e gli incontri col Cardinale Ratzinger e i suoi collaboratori, benché abbiano avuto luogo in un’atmosfera di cortesia e di carità, ci hanno convinto che il momento di una collaborazione franca ed efficace non sia ancora arrivato», visto che lo scopo di questa riconciliazione non è affatto lo stesso per la Santa Sede e per noi. E aggiungevo: « È per questo che ci daremo noi stessi i mezzi per proseguire l’opera che la Provvidenza ci ha affidato».

Evidentemente, smarrimento a Roma!
Ho ricevuto, dopo, una lettera del Santo Padre, firmata da lui stesso, che mi supplicava di conservare l’unità, l’unità della Chiesa, di non dividere la Chiesa, di rimane nella fedeltà alla Chiesa.
Ma per l’esattezza, noi non ci troviamo nella stessa verità.
Per loro la verità è evolutiva, la verità cambia col tempo, e la Tradizione è il Vaticano II di oggi. Per noi la Tradizione è ciò che la Chiesa ha insegnato a partire dagli Apostoli fino ai giorni nostri. Per loro, no, la Tradizione è il Vaticano II, che riassume in sé tutto ciò che è stato detto precedentemente. Le circostanze storiche sono tali che oggi bisogna credere a ciò che ha fatto il Vaticano II. Quello che è accaduto prima, non esiste più. Appartiene al passato. È per questo che il cardinale non esita dire: «Il Concilio Vaticano II è un anti-Sillabo». Ci si chiede come un cardinale della Santa Chiesa possa dire che il Concilio Vaticano II sia un anti-Sillabo, atto del tutto ufficiale di Papa Pio IX nell’enciclica Quanta Cura. È inimmaginabile.
Io un giorno ho detto al cardinale Ratzinger: «Eminenza, bisogna che scegliamo: o la libertà religiosa com’è nel Concilio o il Sillabo di Pio IX. Essi sono in contraddizione e bisogna scegliere». Allora mi ha detto: «Ma. Monsignore, non siamo più ai tempi del Sillabo.» «Ah!, ho detto, allora la verità cambia col tempo. Allora, ciò che Lei mi dice adesso, domani non sarà più vero.  Non v’è più modo di intenderci, siamo in una continua evoluzione. Diventa impossibile parlare». Loro hanno questo nell’animo. E lui mi ha ripetuto: «Vi è una sola Chiesa, la Chiesa del Vaticano II.  Il Vaticano II rappresenta la Tradizione». Sfortunatamente, la Chiesa del Vaticano II si oppone alla Tradizione. Non è la stessa cosa.

Allora il Papa mi supplica di non rompere l’unità della Chiesa. Mi minaccia di sanzioni canoniche se io faccio queste consacrazioni il prossimo 30 giugno.
Io vi confesso che l’atmosfera nella quale si sono svolti i colloqui che hanno preceduto la redazione del protocollo, e poi i fatti che hanno interessato quelli che si sono riuniti a Roma, mi hanno dato da riflettere.

Il destino riservato ai rientrati.

Prendo l’esempio di Dom Augustin, che ha un convento a Flavigny nel quale vi sono 24 sacerdoti che ho ordinato io stesso, dei benedettini, il quale mi lascia e mi dice: «Monsignore, non posso più rimanere con Lei, mi riunisco a Roma; rientro nell’obbedienza con Roma; non posso rimanere con Lei». Bene, si è riunito a Roma con la speranza che potesse conservare la Tradizione, che potesse conservarla nel suo monastero, cioè conservare la Messa tradizionale per i suoi monaci, per la Messa conventuale. Ebbene, Roma ha preteso che la Messa conventuale fosse quella del Concilio e non la Messa antica. Invece di dire: potete conservare la Tradizione, si cambia la Tradizione.

Prendiamo un secondo esempio: ancora un monastero, Fontgombault. Essi hanno accettato per obbedienza di conservare per quindici anni la Messa nuova, perché i vescovi avevano detto che bisognava prendere la nuova Messa, ed essi l’hanno fatto. Arriva l’indulto di Roma: tutti quelli che hanno accettato la nuova Messa, ormai possono dire la Messa antica. Questo si applicava perfettamente a Fontgombault. Rifiuto dell’arcivescovo di Bourges. Non potete dire la Messa antica per la Messa conventuale. Dovete conservare la nuova Messa, è così. L’Abate di Fontbombault si reca alla Congregazione per il Culto, a Roma, a parlare col cardinale Mayer, che gli dice: «Sa, è difficile, cerchi di vedere il Papa». Il Papa lo rimanda dal cardinale Mayer, dicendo: «Fate uno sforzo, forse la cosa si può sistemare…». Il cardinale Mayer finisce col rimandarlo al vescovo di Bourges, ed essi sono sempre con la nuova Messa per la Messa conventuale. Eppure rispondono perfettamente alle condizioni previste dall’Indulto.

Non possiamo avere fiducia, non è possibile. E io vi faccio un ultimo esempio: un esempio straordinario.
Senza dubbio avrete sentito parlare, e due anni fa avete scritto degli articoli nei giornali, sui transfughi di Ecône, i famosi transfughi di Ecône! Erano andati via da qui, da Ecône, nove seminaristi. Quello che era a capo di questa piccola ribellione, Don…, era rimasto in seminario per un certo tempo, nascondeva bene il suo giuoco, ed era riuscito a convincere altri otto seminaristi a lasciare Ecône. Egli si era messo in contatto con Don Grégoire Billot, che è qui in Svizzera, a Baden; Don Billon era in contato col cardinale Ratzinger, egli parla tedesco. Telefonò al cardinale Ratzinger: «Ecco, a Ecône vi sono nove seminaristi che sono pronti ad andarsene. Cosa potete promettere loro? Cosa potete fare per loro?»
Oh! formidabile, un’occasione unica; si promisero loro mari e monti, ve ne saranno altri che se ne andranno. E il cardinale Ratzinger lo disse esplicitamente: «Sono felice che si siano di quelli che lasciano Ecône e spero che ve ne saranno altri che seguiranno i primi».
Voi lo sapete molto bene, si costituì il famoso seminario Mater Ecclesiae, diretto da un cardinale, il cardinale Innocenti, con il cardinale Garrone e un terzo cardinale, il cardinale Ratzinger, approvato dal Papa ufficialmente ne L’Osservatore Romano. Una storia mondiale. Tutti i giornali del mondo hanno parlato di questo seminario tradizionale fatto con i transfughi di Ecône e che raccoglieva anche dei seminaristi che avevano la stessa sensibilità.

Essi sono partiti e si sono ritrovati, forse, una ventina di seminaristi. Vi assicuro che vale la pena leggere la lettera che in questi giorni ci ha inviato Don… che fu l’istigatore dell’abbandono di questi seminaristi. Egli scrive: «Mi dispiace» a lettere maiuscole nella lettera, «mi dispiace, abbiamo perduto tutto, non è stata mantenuta alcuna promessa. Siamo dei miserabili, non sappiamo neppure dove andare».
Ben gli sta, a questa gente che ha voluto riunirsi a Roma!
Questo sarà il nostro caso.
Ne siamo sempre più persuasi.
Più riflettiamo sull’atmosfera di questi colloqui, più ci rendiamo conto che si è in procinto di tenderci una trappola, di piegarci, e che domani ci si dirà: ormai la Messa tradizionale è finita, bisogna accettare la nuova Messa. Non bisogna essere contro la nuova Messa. E questo ce l’hanno già detto.
Ecco un esempio che ha dato il cardinale Ratzinger: «Per esempio, a Saint-Nicolas-du-Chardonnet, Monsignore, quando il protocollo sarà firmato e le questioni saranno regolate, è evidente che Saint-Nicolas-du-Chardonnet non può rimanere com’è adesso. Perché? Perché Saint-Nicolas è una parrocchia di Parigi e dipende dal cardinale Lustiger. Quindi sarà assolutamente necessario che nella parrocchia di Saint-Nicolas-du-Chardonnet vi sia una Messa nuova regolarmente, tutte le domeniche. Non si può accettare che i parrocchiani che desiderano una Messa nuova non possano recarsi nella loro parrocchia per avere questa nuova Messa.» Lo vedete! È l’inizio della penetrazione: accettare la nuova Messa, allinearci… Non è possibile! Noi ci sentiamo presi in un ingranaggio da cui non possiamo uscire.
Delle difficoltà inestricabili sorgeranno con i vescovi, con i movimenti delle diocesi, che vorranno che noi collaboriamo con loro, se saremo riconosciuti da Roma.
Avremo tutte le difficoltà possibili e immaginabili. Allora, è per questo che io ho pensato e che mi è sembrato in coscienza che non potevo continuare.
Ho deciso… Da qui la mia lettera del 2 giugno al Santo Padre e l’annuncio della consacrazione dei quattro vescovi che si terrà il 30 giugno.
Voi avete sui fogli che vi abbiamo consegnato le indicazioni su questi futuri vescovi.

L’Osservatore Romano pubblicherà la scomunica, una dichiarazione di scisma, evidentemente.
Cosa vuol dire questo?
Scomunica da parte di chi? Da una Roma modernista, da una Roma che non ha più perfettamente la fede cattolica. Non si può dire che quando c’è una manifestazione come quella di Assisi, si è sempre cattolici. Non è possibile. Non si può dire che quando vi è Kyoto e le dichiarazioni che sono state fatte ai giudei in Sinagoga e la cerimonia che ha avuto luogo a Santa Maria in Trastevere l’anno scorso in piena Roma, non si può dire che si sia ancora cattolici. È scandaloso. Non si è più cattolici.
Allora saremo scomunicati da dei modernisti, da della gente che è stata condannata dai papi precedenti. Allora, cosa potrà mai fare una cosa così? Noi siamo condannati da della gente che è condannata e dovrebbe essere condannata pubblicamente. La cosa ci lascia indifferenti. In tutta evidenza la cosa non ha valore.
Dichiarazione di scisma: scisma con chi, col Papa successore di Pietro? No, scisma col Papa modernista, sì, scisma con le idee che il Papa diffonde dappertutto, le idee della Rivoluzione, le idee moderne. Sì. Noi siamo in stato di scisma con questo. Noi non l’accettiamo. Certo.
Noi non abbiamo personalmente alcuna intenzione di rompere con Roma. Noi vogliamo essere uniti alla Roma di sempre e siamo convinti di essere uniti alla Roma di sempre, perché nei nostri seminari, nelle nostre predicazioni, in tutta la nostra vita e nella vita dei cristiani che ci seguono, noi continuiamo la vita tradizionale com’era prima del Concilio Vaticano II e che è stata vissuta per venti secoli. E allora, non vedo perché saremmo in rottura con Roma perché facciamo ciò che Roma stessa a consigliato di fare per venti secoli. Questo non è possibile.

Ecco la situazione attuale. Bisogna comprenderla bene, per non cavillare su di essa.

Allora si può pensare: avrete un vescovo, bene. Potrete avere un po’ più di membri nel consiglio romano.
Ma non è questo che ci interessa. Quello che ci interessa è il problema di fondo che è sempre dietro di noi e che ci fa paura. Noi non vogliamo essere dei collaboratori della distruzione della Chiesa. Nel mio libro Lettera ai cattolici perplessi, io ho scritto, l’ho chiuso così: «Quando il buon Dio mi chiamerà, non voglio che mi chieda: che cosa hai fatto laggiù sulla terra? Hai contribuito ha demolire la Chiesa». Non è vero, io non ho contribuito a demolire la Chiesa. Io ho contribuito a costruirla. Quelli che la demoliscono sono quelli che diffondono delle idee che distruggono la Chiesa e che sono stati condannati dai loro predecessori.

Ecco il succo di questi avvenimenti. Questi avvenimenti che stiamo per vivere in questi giorni, faranno sicuramente parlare e ci sarà un mucchio di gente alla cerimonia del 30 giugno per la consacrazione di questi quattro nuovi vescovi che saranno al servizio della Fraternità. Ebbene! Questi quattro vescovi saranno al servizio della Fraternità, ecco!
Dunque, quando io sparirò, colui che avrà in principio la responsabilità delle relazioni con Roma, sarà il Superiore generale della Fraternità, Don Schmidberger, che ha ancora sei anni di superiorato generale da compiere. È lui che eventualmente terrà da allora i contatti con Roma per continuare i colloqui, se proseguiranno o se saranno mantenuti, cosa che è poco probabile di questi tempi, visto che L’Osservatore Romano uscirà con un titolo a caratteri cubitali: «Scisma di Mons. Lefebvre, scomunica…».
Nel corso di x anni, forse due, forse tre anni, non lo so, quello che ci sarà è la separazione.

Ecône, 15 giugno 1988



 

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