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domenica 11 agosto 2013

Monsignor Umberto Benigni: Regno" e "impero" della Chiesa e altro..

Mons. Umberto Benigni (scheda pubblicata sul n. 61 della rivista Sodalitium)

Il cattolico integrale per antonomasia fu monsignor Umberto Benigni.
Nacque a Perugia nel 1862, fu ordinato sacerdote nel 1884 e subito dopo iniziò la collaborazione ad alcuni giornali cattolici locali.
Nel 1892, dopo la promulgazione della Rerum Novarum, insieme a don Cerruti, promotore delle Casse Rurali, fondò la prima rivista cattolica sociale d’Italia, Rassegna Sociale e divenne caporedattore de L’Eco d’Italia di Genova.
Nel 1895 si trasferì a Roma, dove per dieci anni si occupò di storia ecclesiastica, prima come addetto alla Biblioteca Vaticana e poi come professore al Seminario Romano.
Dal 1900 al 1903 fu anche direttore del quotidiano intransigente La Voce della Verità.
Dal 1902 curò la pubblicazione della Miscellanea di storia e cultura ecclesiastica, primo periodico italiano consacrato alla storia ecclesiastica, che uscirà sino al 1907. E’ possibile che gli studi pubblicati sulla Miscellanea siano stati alla base della sua monumentale Storia Sociale della Chiesa, in sette volumi, che si interrompe purtroppo al XI secolo.
Nel 1904, dopo l’elezione di Pio X, per don Umberto si aprirono le porte dei vertici della Curia vaticana: divenne infatti Sottosegretario degli Affari ecclesiastici straordinari, ritrovandosi ad assumere la quinta carica d¹importanza all¹interno della Segreteria di Stato.
Si deve al genio di Benigni la paternità della sala stampa vaticana. Per invogliare i quotidiani laici (“indipendenti”) a occuparsi correttamente delle vicende ecclesiastiche, Benigni pensò di ingraziarsi una parte di giornalisti (che oggi chiamiamo “vaticanisti”), riunendoli quotidianamente (ecco la “sala stampa”) e fornendo loro esaurienti (e ben impostate) informazioni, che il giorno seguente venivano poi pubblicate su tutti i giornali.
La strategia risultò efficace per preparare sulla stampa laica il terreno alla pubblicazione dell¹enciclica Pascendi e per neutralizzare, almeno in parte, le successive campagne denigratorie della fazione modernista. Nacque così l’agenzia di stampa Corrispondenza di Roma (il n. 1 uscì il 23/5/1907, il 1282° e ultimo numero il 31/12/1912), che ebbe presto un’edizione francese, Corrispondance de Rome (dall’ottobre 1907). Bollettino “né ufficiale né ufficioso”, rifletteva gli orientamenti della Segreteria di Stato e non tardò a suscitare grandi polemiche negli ambienti cattolici e in quelli politici, come le aspre reazioni del governo massonico della III Repubblica francese.
Dal 1910 al 1912 un settimanale in lingua francese, Cahiers contemporaines, riportava gli articoli più importanti della Corrispondenza. Nel 1912, pochi mesi prima della chiusura della Corrispondenza, mons. Benigni aprì una seconda agenzia d¹informazioni, l’A.I.R. (‘Agenzia Internazionale Roma’), col bollettino quotidiano Rome et le monde e il settimanale Quaderni romani, che usciva anche in edizione francese. Le notevoli capacità organizzative di mons. Benigni diedero vita ad altri organi di stampa, come il Borromeus, per i componenti romani del SP, e il Paulus, indirizzato agli amici giornalisti.
All’estero SP disponeva di alcune pubblicazioni come La Vigie in Francia, la Correspondance Catholique nel Belgio, la Mys Katolycka in Polonia. Inoltre Benigni era in stretta collaborazione con altre riviste antimoderniste indipendenti da SP, come La Riscossa dei fratelli Scotton e La Critique du liberalisme del sacerdote Barbier, in Francia. Per dedicarsi maggiormente e più liberamente all’opera intrapresa, don Benigni lasciò l¹incarico agli Affari ecclesiastici, sostituito da mons. Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, che nel processo per la canonizzazione di Pio X rimase indifferente alle pressioni di coloro che dipinsero Benigni come l¹anima nera di Papa Sarto per impedire che il Pontefice fosse elevato agli altari. Nel 1911 san Pio X creò per don Umberto un’ottava carica di Protonotario Apostolico Partecipante, il più
alto titolo prelatizio, che sino ad allora era limitato a soli sette membri.
Il prestigioso titolo fece capire al novello monsignore due cose: innanzitutto la preclusione a un futura nomina episcopale, ma anche l’incoraggiamento papale a continuare sulla strada intrapresa.
Fin dal 1909 Benigni lasciò l’appartamento in Vaticano e aprì in Via del Corso la “Casa san Pietro”, sede delle sue attività. Qui nacque il Sodalitium Pianum, chi cui si è parlato diffusamente nella prima parte di questo numero.
Dopo lo scioglimento definitivo di SP, avvenuto il 25/11/1921, mons. Benigni, seppur amareggiato, seppe trovare la forza d¹animo per proseguire le battaglie per l¹’ntegralità della Fede.
Nel 1923 rilanciò l’AIR con il nome di Agenzia Urbs, che continuò le attività sino al 1928, curando la pubblicazione del bollettino settimanale Veritas e poi del mensile Romana.
Nel 1928 fondò l’Intesa Romana per la Difesa Sociale (IRDS), col motto “Religione, Patria, Famiglia”. È la fase fascistizzante della vita di mons. Benigni, certamente la meno originale e rappresentativa: Benigni cercò di usare il Fascismo in chiave anti-democristiana nello stesso modo in cui il regime usava in modo strumentale la Religione.
Mons. Benigni, calunniato e perseguitato dai suoi nemici, condusse gli ultimi anni della sua vita nella povertà più assoluta.
Nella Disquisitio uno dei testimoni, il padre Saubat, intimo collaboratore di Benigni assicurò che Mons. Benigni, pur non avendo la cura delle anime, celebrava ogni giorno la Messa e si confessava ogni settimana nella chiesa di S. Carlo al Corso da un padre mercedario.
Mons. Benigni si spense a Roma il 27 febbraio 1934, “abbandonato e disprezzato dal clero”: al funerale presenziarono “7 o 8 senatori, da 12 a 15 deputati, una legione di giornalisti e persino 12 carabinieri in alta uniforme” ma furono presenti solamente due sacerdoti: il padre Saubat e il padre Jeoffroid.
Quasi 50 anni dopo la sua morte, il pensiero e l’opera di mons. Benigni divennero il punto di riferimento per la nostra rivista Sodalitium (fondata nel 1983).






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Monsignor Umberto Benigni, Cristianità n. 200 (1991)

"Regno" e "impero" della Chiesa

La Chiesa e la civiltà hanno, senza dubbio, un loro elemento proprio, indifferente all’altra: la questione dommatica se lo Spirito Santo proceda da o per il Figlio, è estranea alla civiltà; lo stabilimento del telefono internazionale è estraneo alla Chiesa. Ciò avviene perchè in questa avvi un elemento dommatico, assoluto e trascendente; e nella civiltà entra un elemento semplicemente tecnico.
Peraltro tutto ciò non toglie nè diminuisce affatto il grande principio: la vera religione è la base ed il presidio della vera civiltà, perchè la vera religione è la vera moralità senza di cui la civiltà non può essere che parziale e materiale, quindi manchevole nel più e nel meglio della vita sociale.
La civiltà vera e perfetta risulta da un insieme organico di principii e di fatti morali e materiali: insieme oltremodo complesso e molteplice, che va dal retto funzionamento dell’autorità politica e domestica sino alla rete delle pubbliche comunicazioni ed al buon servizio della nettezza urbana. Ma quanto varrebbe per meritare il titolo di civile ad un popolo, che in esso l’igiene e l’agiatezza raggiungessero la perfezione esistente nel palazzo di un miliardario nord-americano, se in quel popolo mancasse la moralità; sicchè le sue istituzioni, leggi ed usanze fossero immorali od anche amorali, cioè facessero o lasciassero trionfare l’immoralità? Un tal popolo darebbe lo spettacolo di una di quelle stalle signorili, dove ammiransi la pulizia, la comodità, il lusso in cui vivono eleganti e costose bestie da tiro e da corsa.
Dunque la parte più nobile della civiltà, che è la vita morale dei popoli e degli individui, perchè sia logica e stabile, deve fondarsi su di un principio superiore al devenire ed al volere umano, alla vece assidua di partiti e di sistemi che si succedono al governo di una società civile. E ciò solo può darlo la religione la di cui moralità parte direttamente da Dio, verità e giustizia assoluta, immanente, immutabile, a cui ogni uomo, ogni popolo, ogni tempo debbono inchinarsi e sottostare.
Il naturale sentimento dei popoli fu sempre concorde nel riconoscere questa verità fondamentale della civiltà; onde l’età antichissima, l’antica, la media lo riconobbero solennemente e stabilmente lo praticarono; e la stessa età moderna, che ha voluto eliminare la religione come una base dal suo sistema sociale, e così spesso la combatte, pure non può esimersi di fatto da tutta la tradizione e da tutta la coscienza umana; onde ancor oggi i sovrani trovano indispensabile di fondare il loro principio di autorità non solo sulla volontà — spesso cotanto ondulatoria e sussultoria — delle nazioni, ma anche, e prima, sulla grazia di Dio.
Ecco perchè la religione è l’anima della civiltà, e tutto il resto non è che il corpo. E se questo vale in genere per la religione, tanto più vale per il cristianesimo e per la sua storica organizzazione, la Chiesa.
La Chiesa — in uno spazio che dura almeno, da Costantino alla rivoluzione francese, quindici secoli — è stata ufficialmente e realmente la madre, la nutrice, la tutrice della civiltà europea, cioè della più alta civiltà umana. Ed oggi, dopo più di un secolo di fiera lotta mossa dal paganesimo (già morto e sepolto in una sua forma storica, nè morto nè sepolto nella sua essenza) dell’ultima forma, il "laicismo", — oggi, nonostante la crisi anticristiana della nostra società, l’anima del cristianesimo (giova ripeterlo) sopravvive indomita in cento criterii, in cento fatti sociali, e non solo nelle formole ufficiali cui or ora accennavamo.
Oggi, la grande lotta sta, appunto, tra il principio cristiano ed il pagano che dividono le menti e i cuori, ed agitano i consigli dei politici, gli studi dei filosofi, le tendenze delle folle. A noi cattolici sta dinanzi il radioso programma così opportunamente rievocato da Pio X: restaurare tutto in Cristo, tutta quanta la società, tutta quanta la civiltà. Questo significa la ripresa efficace dell’antica intuizione cristiana, che fece dire genialmente al vetusto autore della lettera a Diogneto: "quel che nel corpo è l’anima, lo sono nel mondo i cristiani"; significa la speranza di rialzare nella pienezza della verità il grido trionfale: Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera. Ciò vuol dire che la vita sociale della Chiesa deve tornare ad essere il fondamento morale della società, il criterio fondamentale della civiltà.
 
Ad ottenere questa restaurazione cristiana, senza dubbio è indispensabile una duplice restaurazione: — della vita religiosa presso i fedeli, il che costituisce la vita interna e spirituale, il regno della Chiesa — e dell’influenza sociale della Chiesa stessa, il che forma la sua vita esterna, sociale propriamente detta, il suo impero.
Oggi che tanto si parla e si fa dell’imperialismo, è bene intendersi sulla questione che le parole "regno" ed "impero" della Chiesa ci sembrano esprimere esattamente.
Già da tempo si è usata l’espressione "impero della Chiesa" od "impero di Cristo"; ma in senso affatto relativo con cui si è inteso dire che Cristo e la Chiesa sua regnano su varie genti, sparse per tutto il mondo.
Ma il senso proprio d’impero indica il dominio (comando: imperium) su "altre genti", non il totale dei "cittadini" per quanto sparsi nel mondo, che insieme forma la civitas, e quando questa civitas è monarchica come nella Chiesa cattolica, forma il regno. I cinesi cattolici, gli esquimesi cattolici, gli zulù cattolici non formano, a ver dire, l’impero della Chiesa, ma solo fan parte del suo regno, nè più e nè meno dei latini, dei germani, degli anglo-sassoni cattolici: imperocchè le genti più strane dell’etnologia non sono differenziate da altre nel regno della Chiesa. In una parola i cattolici, qualsiansi, formano la "città", il "regno", della Chiesa.
L’"impero" di lei deve perciò riguardare i non cattolici, e la società e civiltà in genere; come l’imperium della Roma classica era costituito dai non romani.
L’impero della Roma cristiana, della Roma cattolica e papale, si è esplicato e si esplica in tutta la irradiazione della sua vita esterna. La sua forza e il suo prestigio intellettuale e morale, la sua influenza diretta e indiretta nel mondo, il suo peso che preme, vogliano o no, nella bilancia de’ suoi stessi nemici: ecco, propriamente, l’impero della Chiesa.
 
Attraverso gli annali della Chiesa [...], noi vedremo chiaramente, insistentemente, dominare una legge storica per cui i successi e i disastri dell’impero della Chiesa segnano i successi e i disastri del suo regno; cioè la sua maggiore o minore vitalità esterna va di pari passo con quella interna: e ciò è naturale, perchè una è la forza che agisce dentro e fuori, ed una è l’umanità in cui si esplica.
 
Da tali solenni lezioni della storia, una pratica conseguenza s’impone indiscutibile: per assecondare, rafforzare e diffondere la restaurazione religiosa, spirituale, della società, cioè il regno della Chiesa, bisogna rafforzare e diffondere la sua azione esterna, la sua vita sociale, il suo impero. Il che è quanto dire: bisogna così infondere coraggio ai nostri, e rispetto ai nemici, nel terreno comune della vita sociale; bisogna che i cattolici, clero e popolo, non si lascino sorpassare, nel loro complesso, dal complesso degli avversarii nelle manifestazioni multiformi della civiltà, dalle scienze astratte alle amministrazioni locali.
È necessario che ci facciamo forti anche al di là dei muri dei nostri templi, se vogliamo che questi siano sicuri e rispettati; — che il clero sia stimato anche come dotto, pratico, diligente, civile, se vogliamo più libero ed efficace il suo ministero religioso; — che, sotto la nuova forma dei tempi nuovi, si torni a convincere i nostri avversari come, nella vita sociale, senza di noi cristiani essi valgano a far ben poco, e contro di noi anche meno. La restaurazione di questo "impero" sociale è una necessità pratica per restaurare il regno spirituale della religione: tale "impero" — come una corazza ed una corona, difesa e gloria degli antichi eroi — deve cingere il corpo mistico di Cristo, la sua Chiesa.
Tale è l’insegnamento che ci dà la storia ecclesiastica, doppiamente "maestra della vita", perchè storia, e perchè della Chiesa.
Monsignor Umberto Benigni

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Storia Sociale della Chiesa, vol. I, La preparazione. Dagli inizi a Costantino, Vallardi, Milano 1906, pp. XIII-XVIII. Titolo redazionale.



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  1. in onore di Monsignor Umberto Benigni (1862-1934)
  2. Eroi d’Europa: Monsignor Umberto Benigni
    (Articolo pubblicato su "Il Cinghiale corazzato" numero 24, agosto 2008)
    Consultabile anche qui: http://issuu.com/capcattolica/docs/cinghialecorazzato24



    Umberto Benigni nasce a Perugia il 30 marzo 1862, sacerdote nel 1884, cresce e si forma intellettualmente sotto il pontificato di Leone XIII Pecci, e pubblica sin da ragazzo piccoli opuscoli di erudizione storica. Dal 1887 al 1892 dirige il giornale diocesano di Perugia, il “Piccolo monitore”, poi “Monitore Umbro”, distinguendosi come penna ferocemente intransigente nei confronti dell’italietta postunitaria e dei suoi principali fautori politici. Già da allora si intravedono le principali linee direttrici della sua azione culturale: intransigenza antiunitaria, fedeltà al Papato, lotta contro liberalismo, socialismo, massoneria internazionale e suoi mandanti, lotta contro i cattolici liberali e conciliatoristi, veri infiltrati della “Setta” nel campo di Dio. Sulla scorta degli studi e dell’attività del Drumont, dello Stocker e del Lueger ma che dei padri gesuiti Rondina e Oreglia di Santo Stefano, ha sin da subito una posizione chiara sulla “Questione ebraica”in Europa. Nel 1892 fonda e dirige sino al 1903 (pur con varie trasformazioni) la Rassegna Sociale di Perugia ma ormai la sua fama di studioso e polemista si accresce.
    Viene allora chiamato nel 1893 come redattore capo de “L’eco d’Italia” di Genova sino al luglio 1895. In quel momento per il giovane Benigni si aprono le porte della Biblioteca Vaticana dove funge per un po’ da bibliotecario. Mandato per alcuni anni a Berlino si perfeziona ulteriormente negli studi storici. Qui infatti, nel 1898, pubblica la sua prima opera importante in tedesco: la confutazione serrata di uno scritto dell’accademico prussiano Nau contro la politica agraria dei Papi e della Curia.
    Tornato a Roma diventa redattore e poi direttore dell’importante giornale papalino “La voce della Verità”dall’ottobre 1900 sino all’agosto 1904. Concomitantemente all’impegno pubblicistico, insegna storia ecclesiastica al Pontificio Seminario Romano, poi al Collegio Urbano di Propaganda Fide, poi al Seminario Vaticano e infine dal 1909 “Storia ecclesiastica e stile diplomatico” all’Accademia dei Nobili ecclesiastici. Cessata la pubblicazione della “Rassegna sociale di Perugia”, pubblica una nuova rivista la “Miscellanea di Storia Ecclesiastica” che negli anni successivi cambia più volte denominazione. Nel 1907 Benigni la chiuderà, iniziando la pubblicazione a volumi di una monumentale “Storia sociale della Chiesa”(interrotta con la sua morte nel 1934). Anche dal punto di vista curiale il Benigni progredisce: il 28 novembre del 1902 un anzianissimo Leone XIII lo nomina membro della commissione storico liturgica. Sotto il pontificato di san Pio X, nel 1904 diventa Minutante preso la Congregazione de Propaganda Fide del cardinal Gotti, poi Sottosegretario per la Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari dal 1906 al marzo 1911.
    Proprio in questo importantissimo incarico, quinto in grado nella Segreteria di Stato, Monsignor Benigni si trova a dover far fronte alla tempesta del Modernismo. Proprio nel modernismo, e in pieno sintonia col magistero di San Pio X, egli intravede chiaramente la sintesi assoluta e perfetta di tutte le eresie anticristiane e antisociali del passato, l’orrida sentina dove si raccolgono e si compattano tutte le forze ostili all’Autorità divina, alla Tradizione e all’Ordine sociale, pronte per infiltrarsi e per diffondere ognidove il proprio contagio intellettuale e morale. Contro questo nemico “brutale o ipocrita, ma sempre implacabile”, per usare le parole stesse del Benigni, egli impegnerà tutto se stesso, fondando varie agenze stampa antimodernistiche come la “Corrispondenza di Roma” nel 1907, poi l’Agenzia internazionale Roma nel 1912, tutte con bollettini plurilingue, favorendo e appoggiando poi la formazione e la diffusione di stampa periodica e quotidiana antimodernistica. Possiamo citare La Vigie in Francia, la Correspondance Catholique in Belgio, la Mys Katolycka in Polonia e indirettamente la vicentina Riscossa dei fratelli monsignori Scotton, la Liguria del popolo di don Boccardo, la Critique du Liberalisme di Don Barbier.
    Fonda anche il Sodalitium Pianum (o Lega di San Pio V), una pia unione di sacerdoti, religiosi e laici cattolici integrali, diffusa in vari stati europei e legata alle direttive papali, ovvero una specie di rete internazionale riservata di controllo delle attività ereticali dei modernisti e dei loro sostenitori (anche con scaltre modalità di controspionaggio e trasmissione di informazioni attraverso cifrari). Il tutto per poter monitorare maggiormente l’attività dei gruppi modernistici, raccogliere il maggior numero di informazioni da trasmettere alle congregazioni romane e organizzare forti contrattacchi a livello pubblicistico e culturale. Si trattava di un progetto entusiasmante ed ambizioso (forse troppo) e che ovviamente scatenò violentissime critiche da parte dei governi massonici europei e da quella parte del mondo cattolico, o già infetta, a vario titolo, dalla lue modernistica, o (peggio) ostinatamente e a volte ridicolmente cieca di fronte al pericolo, sul modello del Don Ferrante manzoniano.
    Nel frattempo, per potersi dedicare con maggiore impegno a queste operazioni, Benigni lascia il suo incarico alla Segreteria di Stato e San Pio X, per premiare il suo zelo, crea ex nihilo la carica di ottavo Protonotario Apostolico Partecipante. Lo stesso Papa invia al Sodalitium Pianum messaggi di benedizione e incoraggiamento in quegli anni e Monsignor Benigni mantiene un intenso carteggio col Cardinal De Lai della Congregazione concistoriale per il riconoscimento ecclesiale dell’associazione. Purtroppo la morte di San Pio X sopraggiunta nell’agosto del 1914 vanificava tutte queste trattative. Il pontificato di Benedetto XV, meno incline a percepire la gravità del pericolo modernistico, la terribile bufera della “Grande guerra”, le sempre maggiori calunnie sparse da ambienti cattolici liberali e modernizzanti, rendevano praticamente impossibile l’attività del Sodalitium Pianum che, su richiesta del Cardinal Sbarretti, veniva ufficialmente sciolto da Monsignor Benigni il 25 novembre 1921.
    Pur se ormai da privato, egli continua con vigore la sua attività contro le tre grandi internazionali (la verde, quella massonica, la rossa, quella socialcomunista, la bianca, quella democristiana e liberale), non senza risparmiare attacchi ai nazionalismi pagani “invasati da nietzschismo etnico”. Nel 1923 fonda una nuova agenzia stampa, l’Urbs, pubblicando articoli sempre acuti e sferzanti sui bollettini periodici ad essa annessa, oltre che sulla rivista toscana “Fede e Ragione” diretta da Don Paolo De Toth.
    Negli ultimi anni della sua vita, egli, oramai isolato, pensava forse (o meglio si illudeva) di poter utilizzare alcuni fascismi europei in chiave antidemocristiana e antimassonica. Monsignor Benigni muore il 27 febbraio 1934 a Roma, vero “cattolico integrale”, uomo di cultura e uomo d’azione che seppe leggere i “segni dei tempi” senza purtroppo avere forze e mezzi sufficienti per porvi rimedio.


    Guelfo delle Bande Nere

    bibliografia

    Monsignor Umberto Benigni “Arabia Primitiva” (Perugia 1885)
    Idem “L'Africa biblica:Saggio storico del periodo egiziano dell’Africa biblica”, Perugia, Cantucci, 1887
    Idem “Prolegomeni di storia ecclesiastica” (Siena 1892)
    Idem “Compendio di sociologia cattolica”,Genova, Fassicomo,1895
    Idem “L'Economia sociale cristiana avanti Costantino, la dottrina, le eresie”,Genova, Fassicomo e Scotti, 1897
    Idem “Die Getreidepolitik der Päpste”,Berlino, Issleib, 1898
    Idem “Historiae ecclesiasticae Prolegomeni” (Siena 1900: seconda edizione)
    Idem “Historiae ecclesiasticae propedeutica” (I volume Roma 1902; II:volume Roma 1905)
    Edizione completa Roma 1916)
    Idem “Historiae ecclesiasticae Repertorium” (Roma 1902)
    Idem “Storia sociale della chiesa.”, 7 volumi, Vallardi, Milano,1907-1933
    Idem “Manuale di stile diplomatico: specialmente ad uso del servizio ecclesiastico”, Barbera, Firenze, 1920
    Idem (a cura di), “I documenti della conquista ebraica del mondo. I Protocolli dei Saggi Anziani di Sion. Il rapporto del Servizio Segreto Americano. I documenti bolscevichi dell'Ebreo-Russia”
    Fede e Ragione, Firenze 1921 (già usciti sul periodico “Fede e Ragione” dal 27 marzo al 12 giugno 1921)
    (con lo pseudonimo di Henri Brand), “Per la difesa sociale”, Fede e Ragione, 1923
    (con lo pseudonimo di Henri Brand), “La morale d’Israele”, Lemurio, Acquapendente, 1926
    (con lo pseudonimo di Enrst Brandt) “Ritualnoie ubiistv u Yevreiew”, Belgrado, 1926-1929 (tradotto in molte lingue)
    “Sommarium additionale circa quasdam objectiones modum agendi servi Dei Pii Papae X respicientes in modernismi debellatione ex officio compilatum”, Roma, Vaticano, 1950, pp.196-296 (ristampato dal Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 2007)
    Ion Motza, Corrispondenza col Welt-Dienst (1934-1936), Parma, All’insegna del Veltro, 1996
    Pietro Scoppola “Umberto Benigni”, voce su “Dizionario biografico degli italiani” (sic), VIII, pp.506-508
    Emile Poulat “Umberto Benigni”, voce su “Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. I Protagonisti. ”



    Monsignor Umberto Benigni (1862-1934)
    1. Ultima modifica di Guelfo Nero; 26-02-11 alle 12:59
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    Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova i nsorgenza
    Comunicato n. 60/07 del 25 maggio 2007, San Gregorio VII

    Mons. Benigni e San Gregorio VII

    Introduzione al capitolo della Storia Sociale della Chiesa di mons. Benigni dedicato al grande pontefice San Gregorio VII.

    Errico IV e Gregorio VII (1073-85) fino a Canossa (1077).

    L’elezione d’Ildebrando avvenne il giorno stesso in cui Alessandro II scendeva sotterra. Fu un’acclamazione di clero e di popolo che lo volle successore dei cinque papi che Ildebrando aveva animati alla riforma della Chiesa. Questa riforma maturava ormai irresistibilmente, e come sempre accade per un profondo movimento religioso, tendenze politiche vi penetravano e conducevano seco la dura lotta politica e sociale.
    Quei settari della lotta erriciana che cavarono fuori l’accusa di simonia per l’elezione di Gregorio VII, erano miserabili calunniatori. Oggi non v’è storico savio che ne dubiti. La forza delle cose imponeva la scelta di chi aveva potentemente improvvisato il movimento dominatore.
    Quale era il vero carattere d’Ildebrando; quale il suo programma concreto con cui diveniva Gregorio VII? Chi ha fatto di lui un impetuoso, un fanatico testardo, un politicante protervo, ha dato prova di grande ignoranza o di mala fede.
    Ildebrando fu tenace assertore d’un ideale che lo assorbiva; la riforma religiosa. Ma non
    apriorista cieco né violento: al contrario qualche volta ebbe lacune più funeste de’ suoi atti più
    energici.
    Egli fu l’uomo che scrisse: «nessuno diventa repentinamente sommo; e gli alti edifici poco a poco si costruiscono». Durante la sua influenza sopra i suoi predecessori, si adattò pazientemente al presente per preparare pazientemente il futuro trionfo del suo ideale.
    Uno che lo ha più accusato di politicantismo, il LUCHAIRE’ (Pr. Cap., p. 215 ss) riconosce che egli frenò lo zelo di legati più ardenti che chiaroveggenti nella lotta riformistica. Quello che lo spingeva a reagire contro Guglielmo il Conquistatore non aveva torto, davvero; ma Gregorio del 1080, cioè in piena lotta erriciana, faceva osservare allo zelante: questo uomo in certe cose non si comporta così religiosamente come vorremmo; ma giacché egli non distrugge e non vende le chiese, non ha voluto entrare nel partito dei nemici della Santa Sede, e ha fatto giuramento di obbligare i preti concubinari a lasciare le loro donne, ed i laici detentori di decime, ad abbandonarle, egli merita più elogi ed onori che altri re (LUCHAIRE p. 216-7).
    In questa scusa del falcone normanno v’è una tale oggettività serena, una tale misura di cose necessarie più di altre, che veramente fanno pensare a questo: se non si fosse imbattuto con un degenerato malvagio degnamente contornato da malfattori d’ogni specie, Gregorio VII sarebbe passato alla storia come un Papa non più «duro» e non più «politico» dei suoi immediati predecessori.
    Chi lo accusò come il citato autore francese; di avere esorbitato dal campo religioso della riforma in quello politico mediante la lotta delle investiture, mostra di non comprendere affatto né l’intrinseca questione né l’ambiente della lotta, come meglio vedremo or ora.
    Fin dal momento della sua elezione Gregorio dette prova cospicua della sua moderazione e del suo tranquillo provvedere per gradi, quando, eletto per acclamazione generale, mandò ad Errico IV a domandare il suo placito, secondo il patto (così discutibile in se stesso, e così caduto col successore) di Errico III, e non dissimulando al giovane re il suo piano di riforma.
    Se Errico IV e la sua corte cedettero a quella nomina, non fu evidentemente per amore della riforma, ma perché capirono che non si poteva resistere ad una spinta che veniva dagli eremi come veniva dalla folla. E fu così che all’intronizzazione di Gregorio VII intervenne il cancelliere imperiale non meno della pia vedova, l’imperatrice Agnese.
    La scelta del nome che certamente alludeva all’infelice Gregorio VI con cui Ildebrando apparve sulla breccia per la riforma dimostra in lui un sentimento delicato e nello stesso tempo un segno eloquente dell’uomo che non teme la sventura. In Giovanni Graziano morto esule in Germania Ildebrando presentiva forse un papa che «per avere amato la giustizia e odiato l’iniquità morì in esilio»?
    V’è in tutta la vita d’Ildebrando un distacco della vita che colpisce, giacché non è un’ascesi che segrega, ma invece spinge in mezzo alla mischia con la perfetta abnegazione dell’io. Ildebrando se ne va in Germania con il prigioniero Gregorio VI; e non sa se anch’egli vi finirà oscuramente, in mezzo a quell’ambiente nemico. Circostanze provvidenziali lo menano in Francia a fianco di un vescovo benevolo e nel paese ove fiammeggia la riforma dal candelabro di Cluny; questo gli basta. Nulla di più naturale che vi rimanesse, oscuro monaco, a fare del bene. E così tornò a Roma più forte che mai. Dopo tante lotte egli riprese la via dell’esilio dove doveva morire, ed alla fine della sua tragica vita egli era ben sereno e ben distaccato da tutto, per fare una specie di epigramma citando l’inizio di un versetto biblico per chiuderlo con un’antitesi col testo conclusivo del versetto stesso. «Amasti la giustizia e odiasti l’iniquità (dice il salmista) perciò ti unse il Signore con l’olio della letizia sui tuoi pari» (salmo 44,9); e l’esule moribondo constatava: «Amai la giustizia e odiai l’iniquità, perciò muoio in esilio».
    Questo distacco personale della vita fa del «politico» Ildebrando il fratello spirituale di Pier Damiani e di tutti gli altri asceti. Ma il langobardo di Sovana era un lottatore, tenace e disgraziato come un langobardo della caduta e ricaduta del regno, ma tanto più alto quanto più alta era la sua figura, la sua lotta, il suo ideale.
    Questo Papa, Ildebrando continuò il suo lavoro. Se fosse sopravvissuto Alessandro, egli sarebbe andato come suo legato ai normanni; vi andò da pontefice senz’attendere altrimenti. Gli premeva assicurare il Mezzogiorno, più vicino e sempre irrequieto a causa dei normanni.
    Gregorovius vide Ildebrando «affaccendarsi per fare dell’Italia meridionale una provincia vassalla di Roma» (II, 301). Come se Ildebrando non conoscesse abbastanza i suoi congeneri per sapere che razza di «vassalli» erano stati i langobardi, e quanto i normanni fossero... langobardi. Domandando loro il giuramento di fedeltà feudataria al papato, Ildebrando voleva avere quel tanto necessario che si tenesse tranquilli alla frontiera, e potesse fargli contare su quel tanto di onore che era sentito anche da feudatari senza scrupoli, quando Roma li avesse chiamati al soccorso.
    Ciò è consono al tempo ed all’ambiente, e non cambierà presto. In piena lotta mortale con gli ultimi svevi, il Comune di Perugia, che era guelfo soprattutto per essere indipendente, mandò al Papa un rinforzo di cavalleria contro Manfredi, perché questo era un dovere il più elementare d’un suddito verso il sovrano; ed il papato non domandava di più.
    Ricevuto il giuramento di Landolfo VI di Benevento e di Riccardo di Capua, Gregorio VII trovò resistenza in Roberto il Guiscardo, il più pericoloso e quindi quello di cui bisognava ottenere ad ogni costo la «sudditanza» cioè la tranquillità ed un eventuale aiuto. Il contumace fu scomunicato; ed il pontefice preparò una spedizione, passando in rivista cinquanta mila uomini cisalpini e transalpini, l’anno dopo (marzo 1074) presso il Monte Cimino nel Viterbese. Era con lui Gisulfo di Salerno. Ma la cosa non ebbe conseguenze, non tanto perché l’astuto Guiscardo riuscì ad immobilizzare i colleghi «vassalli» di Roma, ma perché Gregorio non aveva avuto intenzione che d’imporre con la minaccia, solo con la minaccia, la sottomissione a Roberto. Lo diceva apertamente il Papa nella lettera con cui domandava appoggi, a confessione dello stesso GREGOROVIUS (II,238).
    Ma in queste lettere si parla di ben altro che dei normanni. L’esercito crociato doveva col Papa in persona sottomettere l’Italia meridionale, liberare Costantinopoli e Gerusalemme dall’incalzante minaccia, quella; dalla dura tirannia dell’Islam, questa. Parlando di questo grandioso progetto che Urbano III riprenderà con maggior fortuna vent’anni dopo, Gregorio raccomanda ad Errico IV di proteggere la Chiesa di Roma durante la di lui assenza.
    Contava tanto Ildebrando sul re tedesco? vedeva egli le cose romane, italiane, transalpine tali di poter la sua mano di ferro lasciare per un certo tempo le redini per allontanarsi verso l’ignoto Oriente? la Riforma non ne sarebbe stata stroncata od almeno compromessa?
    Resta oscuro, e dubitiamo lo resterà sempre, quel momento psicologico d’Ildebrando. Mettiamo pure ch’egli si considerasse tranquillo per l’Italia con il Mezzogiorno eventualmente sistemato, e con le potenti marchese di Toscana a settentrione di Roma. Ma tutto l’insieme sconsigliava al nuovo pontefice di lasciare l’Italia e l’Europa. Forse egli pensò che tornando vincitore e quasi imperatore dell’Oriente avrebbe meglio imposto il suo piano all’Occidente; ma un tale calcolo è così illimitato, così aleatorio per non dire fantastico, da non comprendersi come potesse entrare nella mente d’Ildebrando.
    In ogni modo, tutto questo mostra che il nuovo Papa non aveva affatto in animo di lottare contro l’impero ed il futuro imperatore.

    Mons. Umberto Benigni, STORIA SOCIALE DELLA CHIESA, Vol. IV. L’APOGEO, tomo secondo, Casa Editrice Vallardi, Milano 1930, pagg. 436 – 439.

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    Predefinito Riferimento: Eroi d'Europa: Monsignor Umberto Benigni

    L'impero della Chiesa, di monsignor Umberto Benigni

    La Chiesa e la civiltà hanno, senza dubbio, un loro elemento proprio, indifferente all’altra: la questione dommatica se lo Spirito Santo proceda da o per il Figlio, è estranea alla civiltà; lo stabilimento del telefono internazionale è estraneo alla Chiesa. Ciò avviene perchè in questa avvi un elemento dommatico, assoluto e trascendente; e nella civiltà entra un elemento semplicemente tecnico.
    Peraltro tutto ciò non toglie nè diminuisce affatto il grande principio: la vera religione è la base ed il presidio della vera civiltà, perchè la vera religione è la vera moralità senza di cui la civiltà non può essere che parziale e materiale, quindi manchevole nel più e nel meglio della vita sociale.
    La civiltà vera e perfetta risulta da un insieme organico di principii e di fatti morali e materiali: insieme oltremodo complesso e molteplice, che va dal retto funzionamento dell’autorità politica e domestica sino alla rete delle pubbliche comunicazioni ed al buon servizio della nettezza urbana. Ma quanto varrebbe per meritare il titolo di civile ad un popolo, che in esso l’igiene e l’agiatezza raggiungessero la perfezione esistente nel palazzo di un miliardario nord-americano, se in quel popolo mancasse la moralità; sicchè le sue istituzioni, leggi ed usanze fossero immorali od anche amorali, cioè facessero o lasciassero trionfare l’immoralità? Un tal popolo darebbe lo spettacolo di una di quelle stalle signorili, dove ammiransi la pulizia, la comodità, il lusso in cui vivono eleganti e costose bestie da tiro e da corsa.
    Dunque la parte più nobile della civiltà, che è la vita morale dei popoli e degli individui, perchè sia logica e stabile, deve fondarsi su di un principio superiore al devenire ed al volere umano, alla vece assidua di partiti e di sistemi che si succedono al governo di una società civile. E ciò solo può darlo la religione la di cui moralità parte direttamente da Dio, verità e giustizia assoluta, immanente, immutabile, a cui ogni uomo, ogni popolo, ogni tempo debbono inchinarsi e sottostare.
    Il naturale sentimento dei popoli fu sempre concorde nel riconoscere questa verità fondamentale della civiltà; onde l’età antichissima, l’antica, la media lo riconobbero solennemente e stabilmente lo praticarono; e la stessa età moderna, che ha voluto eliminare la religione come una base dal suo sistema sociale, e così spesso la combatte, pure non può esimersi di fatto da tutta la tradizione e da tutta la coscienza umana; onde ancor oggi i sovrani trovano indispensabile di fondare il loro principio di autorità non solo sulla volontà — spesso cotanto ondulatoria e sussultoria — delle nazioni, ma anche, e prima, sulla grazia di Dio.
    Ecco perchè la religione è l’anima della civiltà, e tutto il resto non è che il corpo. E se questo vale in genere per la religione, tanto più vale per il cristianesimo e per la sua storica organizzazione, la Chiesa.
    La Chiesa — in uno spazio che dura almeno, da Costantino alla rivoluzione francese, quindici secoli — è stata ufficialmente e realmente la madre, la nutrice, la tutrice della civiltà europea, cioè della più alta civiltà umana.
    Ed oggi, dopo più di un secolo di fiera lotta mossa dal paganesimo (già morto e sepolto in una sua forma storica, nè morto nè sepolto nella sua essenza) dell’ultima forma, il "laicismo", — oggi, nonostante la crisi anticristiana della nostra società, l’anima del cristianesimo (giova ripeterlo) sopravvive indomita in cento criterii, in cento fatti sociali, e non solo nelle formole ufficiali cui or ora accennavamo.
    Oggi, la grande lotta sta, appunto, tra il principio cristiano ed il pagano che dividono le menti e i cuori, ed agitano i consigli dei politici, gli studi dei filosofi, le tendenze delle folle. A noi cattolici sta dinanzi il radioso programma così opportunamente rievocato da Pio X: restaurare tutto in Cristo, tutta quanta la società, tutta quanta la civiltà. Questo significa la ripresa efficace dell’antica intuizione cristiana, che fece dire genialmente al vetusto autore della lettera a Diogneto: "quel che nel corpo è l’anima, lo sono nel mondo i cristiani"; significa la speranza di rialzare nella pienezza della verità il grido trionfale: Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera. Ciò vuol dire che la vita sociale della Chiesa deve tornare ad essere il fondamento morale della società, il criterio fondamentale della civiltà.
    Ad ottenere questa restaurazione cristiana, senza dubbio è indispensabile una duplice restaurazione: — della vita religiosa presso i fedeli, il che costituisce la vita interna e spirituale, il regno della Chiesa — e dell’influenza sociale della Chiesa stessa, il che forma la sua vita esterna, sociale propriamente detta, il suo impero.
    Oggi che tanto si parla e si fa dell’imperialismo, è bene intendersi sulla questione che le parole "regno" ed "impero" della Chiesa ci sembrano esprimere esattamente.
    Già da tempo si è usata l’espressione "impero della Chiesa" od "impero di Cristo"; ma in senso affatto relativo con cui si è inteso dire che Cristo e la Chiesa sua regnano su varie genti, sparse per tutto il mondo.
    Ma il senso proprio d’impero indica il dominio (comando: imperium) su "altre genti", non il totale dei "cittadini" per quanto sparsi nel mondo, che insieme forma la civitas, e quando questa civitas è monarchica come nella Chiesa cattolica, forma il regno. I cinesi cattolici, gli esquimesi cattolici, gli zulù cattolici non formano, a ver dire, l’impero della Chiesa, ma solo fan parte del suo regno, nè più e nè meno dei latini, dei germani, degli anglo-sassoni cattolici: imperocchè le genti più strane dell’etnologia non sono differenziate da altre nel regno della Chiesa. In una parola i cattolici, qualsiansi, formano la "città", il "regno", della Chiesa.
    L’ "impero" di lei deve perciò riguardare i non cattolici, e la società e civiltà in genere; come l’imperium della Roma classica era costituito dai non romani.
    L’impero della Roma cristiana, della Roma cattolica e papale, si è esplicato e si esplica in tutta la irradiazione della sua vita esterna. La sua forza e il suo prestigio intellettuale e morale, la sua influenza diretta e indiretta nel mondo, il suo peso che preme, vogliano o no, nella bilancia de’ suoi stessi nemici: ecco, propriamente, l’impero della Chiesa.
    Tale impero rimonta sin dall’inizio del trionfo costantiniano. I vescovi dell’impero bizantino che peroravano presso il governo per l’alleviamento delle insopportabili tasse, e scongiuravano od almeno condannavano la vendetta imperiale sugl’insorti d’Antiochia e di Tessalonica (IV sec), - Il Crisostomo che, mentre l’imbelle Bisanzio tremava di fronte alle minaccie del goto Gainas, andava incontro come un Attilio Regolo cristiano, al barbaro alla cui ira egli aveva dato occasione (fine del IV sec:9, - i feroci soldati di Alarico, che padroni e predoni di Roma, terrorizzati dalla maestà apostolica, riportano processionalmente a San Pietro i suoi tesori (410) – Agostino d’Ippona, l’ultimo patriota dell’Africa romana, il quale alza la voce verso il vendicativo Bonifacio affinchè perdoni la corte e difenda l’Africa invasa dai barbari (429), - Leone Magno che ferma Attila al Mincio (452), - ecco già fondato l’impero dell Chiesa, ed ancora non è caduto l’impero fondato da Augusto.
    E quando, nella rovina finale di questo (476), l’Occidente civile corse il pericolo supremo di naufragare nella tempesta barbarica, l’impero della Chiesa si stabilì e si estese fino ad una vera egemonia politica. Nell’anarchico periodo barbarico-bizantino che corse tra Augustolo (476) e Carlomagno (800), una grande figura veramente imperiale dominò il suo tempo: Gregorio Magno, l’ “ultimo romano”, come fu, a buon diritto, chiamato. Egli è l’imperatore della civiltà: dai continui insistenti reclami a Bisanzio e presso la corte longobarda per la difesa della misera Italia, alla civilizzazione cristiana della lontana Inghilterra e de’ nuovi suoi conquistatori, dal salvataggio del jus e del mos nel cozzo della falsa civiltà bizantina e della barbarie germanica, a quello delle lettere e delle arti, egli nel pauroso diluvio sconfinato appare il provvidenziale Noè che nell’arca della Chiesa slva la civiltà romana.
    Che dire, poi, di tutto l’alto medioevo, quando il papa, il vescovo, l’abate, ampliando la tradizione civile di Leone e di Gregorio, salvano dapprima la civiltà; poi la impongono ai barbari, e con questi formano la nuova Europa, la civiltà nuova che giunge ad insperate altezze in tutte forme della vita sociale?
    Attraverso gli annali della Chiesa che imprendiamo a scrutare, noi vedremo chiaramente, insistentemente, dominare una legge storica per cui i successi e i disastri dell’impero della Chiesa segnano i successi e i disastri del suo regno; cioè la sua maggiore o minore vitalità esterna va di pari passo con quella interna: e ciò è naturale, perchè una è la forza che agisce dentro e fuori, ed una è l’umanità in cui si esplica.
    I tempi moderni ce ne danno una conferma altamente suggestiva. La decadenza estrema dell’influenza “imperiale” della Chiesa nel secolo XVIII (quando l’Europa si rimaneggiava, la Polonia andava a pezzi, i centri politici spostavansi, e Roma non vi aveva più braccio, non più voce; onde Clemente XIV doveva subire i ministri massoni nelle corti borboniche, e Giuseppe II tentava impunemente l’ultimo avvilimento della Chiesa e del papato), preludeva allo sfacelo spirituale che incombeva nell’imminente rivoluzione francese; mentre il risorgere della vita religiosa del cattolicesimo sotto Pio IX e Leone XIII venne segnato dalla ripresa dell’azione “imperiale”, nel ritorno alla tradizione guelfa e del “papa e popolo”, nell’interessamento del romano pontificato per il movimento d’idee e di fatti.
    Da tali solenni lezioni della storia, una pratica conseguenza s’impone indiscutibile: per assecondare, rafforzare e diffondere la restaurazione religiosa, spirituale, della società, cioè il regno della Chiesa, bisogna rafforzare e diffondere la sua azione esterna, la sua vita sociale, il suo impero. Il che è quanto dire: bisogna così infondere coraggio ai nostri, e rispetto ai nemici, nel terreno comune della vita sociale; bisogna che i cattolici, clero e popolo, non si lascino sorpassare, nel loro complesso, dal complesso degli avversarii nelle manifestazioni multiformi della civiltà, dalle scienze astratte alle amministrazioni locali.
    È necessario che ci facciamo forti anche al di là dei muri dei nostri templi, se vogliamo che questi siano sicuri e rispettati; — che il clero sia stimato anche come dotto, pratico, diligente, civile, se vogliamo più libero ed efficace il suo ministero religioso; — che, sotto la nuova forma dei tempi nuovi, si torni a convincere i nostri avversari come, nella vita sociale, senza di noi cristiani essi valgano a far ben poco, e contro di noi anche meno. La restaurazione di questo "impero" sociale è una necessità pratica per restaurare il regno spirituale della religione: tale "impero" — come una corazza ed una corona, difesa e gloria degli antichi eroi — deve cingere il corpo mistico di Cristo, la sua Chiesa.
    Tale è l’insegnamento che ci dà la storia ecclesiastica, doppiamente "maestra della vita", perchè storia, e perchè della Chiesa.

    (Da: Storia Sociale della Chiesa, vol. I, La preparazione. Dagli inizi a Costantino, Casa Editrice Vallardi, Milano 1906, pagg. XIII-XVIII)


    Monsignor Umberto Benigni

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    Predefinito Riferimento: Eroi d'Europa: Monsignor Umberto Benigni

    Di seguito posto il programma del Sodalitium Pianum, fondato da Mons. Benigni e benedetto da SS San PioX.

    Il programma del Sodalitium Pianum

    "Noi siamo cattolici romani integrali. Come indica la parola, il cattolico integrale accetta integralmente la dottrina, la disciplina, le direttive della Santa Sede e tutte le loro legittime conseguenze per l'individuo e la società. E' dunque papalino, clericale, antimodernista, antiliberale, antisettario. Dunque è integralmente controrivoluzionario, perché è l'avversario non soltanto della Rivoluzione giacobina e del radicalismo settario, ma ugualmente del liberalismo religioso e sociale". "La parola "integrale" significa solamente "integralmente cattolico romano". "Consideriamo come delle piaghe nel corpo umano della Chiesa, lo spirito e il fatto del liberalismo e del democratismo cosiddetto cattolico, così pure il modernismo intellettuale e pratico, radicale o moderato, con tutte le loro conseguenze". Il programma insiste molto sulla sottomissione all'autorità gerarchica romana: "la natura della Chiesa Cattolica insegna, e la sua storia lo conferma, che la Santa Sede è il centro vitale del cristianesimo". "Sappiamo - continua il programma di S.P. - che nelle contingenze momentanee e locali, vi è sempre, almeno nel fondo, la lotta secolare e cosmopolita fra le due forze organiche: da una parte, l'unica vera chiesa di Dio, Cattolica e Romana; dall'altra parte i suoi nemici interni ed esterni. Gli esterni (le sette giudaico-massoniche ed i loro alleati diretti) sono nelle mani del Potere Centrale della Setta, gli interni (modernisti, demoliberali, ecc.) le servono da strumenti coscienti o incoscienti per l'infiltrazione e la decomposizione fra i cattolici". Monsignor Benigni ha compreso che il Modernismo è una ramificazione della "Setta", ovvero della Contro-chiesa, conformemente a quello che San Pio X aveva indicato. Si tratta allora di opporsi con tutto il vigore possibile a questo mostro: "Combattiamo la Setta interna ed esterna, sempre, ovunque, sotto tutte le forme e con tutti i mezzi onesti e opportuni. Nella persona dei settari interni ed esterni, noi combattiamo soltanto l'attuazione concreta della Setta, della sua vita, della sua azione, dei suoi piani". Per evitare le inevitabili quanto farisaiche accuse di mancanza di carità, il programma sottolineava che: "intendiamo fare questo senza rancore, contro fratelli smarriti, come d'altra parte, senza debolezza e senza equivoco, come un buon soldato tratta sul campo di battaglia coloro che si battono sotto la bandiera nemica, i loro ausiliari ed i loro complici". S.P. si prefiggeva un'azione profondamente antimodernista, secondo la volontà di S. Pio X. Per questo motivo il programma continuava ribadendo e difendendo la posizione tradizionale della Chiesa su tutti i temi presi di mira dagli innovatori: - contro il laicismo riteneva ancora aperta la Questione Romana e auspicava "uno sforzo continuo per riportare, il più possibile, la vita sociale sotto l'influenza legittima e positiva del Papato e, in generale, della Chiesa cattolica"; - contro l'interconfessionalismo e la neutralità religiosa nell'organizzazione e l'azione sociale, sosteneva il confessionalismo o, in casi eccezionali e transitori, l'applicazione controllata della tolleranza per le unioni intercofessionali; - "contro il sindacalismo apertamente o implicitamente , che porta fatalmente alla lotta anticristiana delle classi", "contro il democratismo, anche quando si chiama cristiano" e "contro il liberalismo anche quando si chiama economico-sociale che spinge col suo individualismo alla disgregazione sociale", rivendicava "l'armonia cristiana tra le classi" attraverso "l'organizzazione corporativa della società cristiana ; - "contro il nazionalismo pagano", "e nello stesso tempo l'antimilitarismo e il pacifismo utopista, utilizzato dalla Setta per indebolire e addormentare la società" sosteneva "un patriottismo sano e morale, patriottismo cristiano di cui la storia della Chiesa cattolica ci ha sempre dato degli splendidi esempi"; - "contro il femminismo che esagera e snatura i diritti e i doveri della donna, mettendola al di fuori della legge cristiana; contro l'educazione promiscua; contro l'iniziazione sessuale della gioventù" auspicava il miglioramento "delle condizioni materiali, e morali della donna, della gioventù, della famiglia" sempre " secondo la dottrina e la tradizione cattoliche. Il programma continuava opponendosi inoltre alla separazione fra Stato e Chiesa; all'insegnamento filosofico, dogmatico e biblico moderno, opponeva la Scolastica, i Padri della Chiesa, i teologi della Controriforma; al falso misticismo soggettivista, opponeva "una vita spirituale intensa e profonda, secondo l'insegnamento dottrinale e pratico dei Santi e degli autori mistici lodati dalla Chiesa". Dopo aver accennato al pericolo di vedere il clero e dell'Azione cattolica manipolati da partiti politici o sociali, il programma di S.P. si scagliava "contro la mania o la debolezza di tanti cattolici di voler apparire <coscienti e evoluti, a passo coi tempi>, e bonari di fronte al nemico brutale o ipocrita ma sempre implacabile - sempre pronti a diffondere il loro tollerantismo, a vergognarsi e addirittura sparlare degli atti di giusto rigore compiuti dalla Chiesa o per essa -, sempre pronti a un ottimismo sistematico verso le trappole dell'avversario, riservando la diffidenza e la durezza nei confronti dei Cattolici romani integrali; per un atteggiamento giusto e opportuno, ma sempre franco, energico e inassable nei confronti del nemico, delle sue violenze e dei suoi inganni". In generale, il programma composto da Mons. Benigni e, come vedremo, benedetto da S. Pio X, era contrario a "tutto ciò che è opposto alla Dottrina, alla Tradizione, alla Disciplina, al sentimento del cattolicesimo integralmente romano, per tutto ciò che gli è conforme".
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