In un area politica che cerca di mantenere una sorta di terza via tra liberal-capitalismo e marxismo vi è solitamente una forte ammirazione nei confronti di Juan Domingo Peròn, capo di stato argentino dal ‘46 al ‘55 e dal ’73 fino alla sua morte avvenuta l’anno dopo.
Vengono tessute le lodi riguardanti il suo terzoposizionismo all’interno della contrapposizione Usa-Unione Sovietica, il suo impostare l’economia in maniera sia anti-liberista che anti-marxista e il suo nazionalismo. Tutte queste lodi vengono tessute non a torto, se ci limitiamo a guardare il peronismo nei suoi aspetti economici e di politica estera. Ma uno sguardo cattolico non può certo dimenticare le numerose e gravi ombre che caratterizzarono quel periodo.
Se inizialmente possiamo dire che in un’ottica cattolica il giustizialismo non sia partito da basi erronee (basti ricordare la frase contenuta nel Manifesto del Partito Giustizialista affermante che “Il giustizialismo è una nuova concezione della vita, semplice, pratica, popolare, profondamente cristiana e profondamente umanista”) non possiamo però dimenticare che già dall’inizio della sua presidenza non mancarono delle derive a dir poco deprecabili: Peròn non mancò infatti di facilitare il divorzio e di iniziare una politica di statalizzazione dell’istruzione pubblica a danni della Chiesa e del suo dovere di educare cristianamente i fanciulli, ponendo i programmi scolastici e i contenuti dei libri di testo solo ed esclusivamente nelle mani dello stato e proseguendo nell’impostazione laicista (come voluto dalla Legge 1420 del 1884) delle discipline scolastiche facendo diventare il sistema educativo un ottimo mezzo per coltivare il culto della personalità di sé stesso e di sua moglie Evita Peròn. Il punto più squallido di questa politica venne toccato con la nomina a Ministro della Pubblica Istruzione del massone anticlericale Armando Méndez San Martín. Questa serie di provvedimenti ebbe il suo naturale sbocco nella soppressione dell’educazione religiosa nelle scuole avvenuta nel 1954. Va ricordato inoltre che nello stesso anno si tentò di legalizzazione la prostituzione e di promuovere un’emendamento che permettesse la completa separazione stato – Chiesa (tipo di provvedimento da sempre condannato dalla Chiesa).
L’episodio di massima gravità avvenne in seguito al Corpus Domini del 14 giugno 1955, in cui i vescovi Tato e Novoa espressero pubblicamente delle critiche al governo peronista: in seguito alla loro coraggiosa opposizione nei confronti delle derive statolatrico-laiciste volute da Peròn quella stessa notte gruppi di peronisti attaccarono e bruciarono diverse chiese di Buenos Aires, facendo passare l’episodio alla storia col nome di “Quema de iglesias del 16 de junio 1955”. Si possono trovare foto di militanti peronisti indossanti paramenti sacri per sfregio. Altra motivazione supposta per tale sacrilegio furono le accuse di clericalismo nei confronti di coloro che tentarono il colpo di stato del 16 giugno bombardando con due aerei la Plaza de Mayo di Buenos Aires provocando 364 morti, accuse dovute alla scritta “Cristo vence” poste sugli aerei usati per il bombardamento. A nulla valsero le menzogne di Peròn, che tentò di addossare la colpa ai comunisti (un po’ come Hitler dopo il rogo del Reichstag) in un discorso da lui pronunciato due giorni dopo l’evento.
Tutto questo portò alla naturale conseguenza della scomunica, da parte di Pio XII, di Juan Domingo Peròn.
Alla luce di tutto ciò, potrà mai un cattolico infatuarsi di questa figura? Ai posteri l’ardua sentenza. Da parte mia, non posso certo fare a meno di rispondere negativamente.
A cura di Federico
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