Questo articolo del nostro Mastino merita un posto d’onore sulla “Strega”: lo condivido dalla prima all’ultima riga. In questi giorni, tutti abbiamo pregato per l’anima di don Andrea Gallo, ora che si trova al cospetto del Giudice dell’umanità. Tutti ci auguriamo che la sua anima si sia salvata, ma questo non vuol dire che possiamo sorvolare sul fatto che ha fallito in pieno la sua missione sacerdotale, in quanto è stato servo del mondo e non di Dio, ha tradito la Chiesa e ha sputato sul piatto dove ha mangiato. San Giovanni Bosco diceva che un prete o in paradiso o all’inferno non va mai solo: vanno sempre con lui un gran numero di anime, o salvate col suo santo ministero e col suo buon esempio, o perdute con la sua negligenza nell’adempimento dei propri doveri e col suo cattivo esempio.
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Don Andrea Gallo (1928 – 2013). Bandiera del pacifismo sì, Crocifisso no. Sigaro sì, rosario no. “Bella Ciao” sì, “Magnificat” no. Ha sempre detto “sì” al mondo e “no” a Cristo e alla Chiesa.
di Antonio Margheriti Mastino (24/05/2013)
MORTE DI VINO
Commentò Pasquino alla morte di quel sant’uomo di papa Leone XII Della Genga – che era stato martirizzato per tutto il pontificato dallo stillicidio calunnioso dei più fanatici liberali anticlericali, che per giunta spesso erano anche dei terroristi – “Qui Annibale della Genga giace. Per sua e nostra pace”. Quando a fine Seicento fu eletto al papato Alessandro VIII Ottoboni, già ottantenne, questi era consapevole d’essere chiamato a reggere un pontificato aleatorio, perciò non si pose programmi a lunga gittata, da sessantenne. Era un uomo di Stato ma non di prima linea, una eminenza grigia; era anche una persona di indole bonaria, ma che quando occorreva tirava fuori il polso d’acciaio. Nonostante ciò, quando poco dopo morì, l’infame Pasquino infiorettò così la sua morte:
Qui giace un venetiano, fra i politici il più fino, che, successor di Pietro in Vaticano, sanò pazzi, raddrizzò zoppi, inaitò ragazzi, e risvegliò li morti. Nacque e visse meschino, regnò mondano. Morte di vino.
Sta di fatto che Pietro Ottoboni era astemio, e questo la dice lunga sull’attendibilità di quel Pasquino. È morto dunque don Andrea Gallo. Per questo la mia mente è corsa subito ai succitati epitaffi. Il primo è quello col quale io celebrerei la sua morte; col secondo, specie per il riferimento al vino, rievocherei la sua vita. Per carità cristiana non ho citato pasquinate peggiori, come pure ce ne sono, dedicate indegnamente ad altri papi e dove si allude a prurigini assai più imbarazzanti. È morto, dunque. Su uno dei primi dizionari illuministi, nel Settecento, alle voci più importanti seguiva un disegnino nel quale si illustrava nel dettaglio con le immagini ciò che nel testo si spiegava minutamente con le parole. Alla parola “cavallo”, essendo all’epoca il mezzo di locomozione principe, si tagliò corto: “Cosa sia un cavallo ciascun lo sa e lo vede”. E stop. Per la stessa ragione, giacché in casa tutti avete la tv, non starò qui a perdere tempo a dirvi chi era don Gallo: cos’era ciascun lo vede e lo sa. E non era poi una gran cosa. Cosa era?
LA MADRE INFERIORA CICCIOLINA E IL PADRE DELLA CHIESA SIFFREDI
Meh… basta guardare questa patetica descrizione comparsa ieri sulla laicista e anticattolica Repubblica (anzi: ultimamente tira avanti grazie a cattolici “aggiornati”, ossia progressisti, ossia ex preti rinnegati e rancorosi, quando non falsi monaci), che così racconta del feretro di don Gallo:
Sul feretro sono stati poggiati i simboli che rammentano la storia religiosa e civile del sacerdote: il vangelo e la Costituzione; la bandiera della pace e la sciarpa rossa; il vessillo del Genoa calcio di cui era tifoso e quello dell’Associazione dei partigiani, senza dimenticare l’immancabile sigaro che, abitudine oramai decennale, don Gallo teneva sempre fra le labbra.
Una immagine pittoresca, ridicola anche, che da sola racconta tutto. Il trionfo del kitsch post-moderno. Una pacchiana composizione funeraria, oltretutto; da far invidia ai migliori e dunque peggiori pagani di un tempo, e al neopaganesimo di ritorno, imperante. Imperante specialmente nelle esequie mediatiche che oggi si celebrano nelle chiese, a prescindere da chi è il morto (e vale pure, spesso, il tanto peggio tanto meglio); in simulacri di liturgie che sarebbero sacrileghe e da scomunica per i celebranti, non li salvasse l’ignoranza, loro e di chi, nella gerarchia cattolica, sarebbe titolato a vigilare, per salvare almeno qualche parvenza di decenza e di residuale timor di Dio. Ed è stato così, per fare un esempio, che a Roma si è assistito al funerale “cattolico” del pornografo Schicchi, mentre la predica dall’ambone l’han tenuta la madre inferiora Cicciolina, e quel padre della Chiesa di nientemeno Siffredi, uniti dal proposito spirituale di “sdoganare la pornografia” e “diffondere questo onesto lavoro che è fare l’attore porno”. Quale luogo più qualificato di un altare, durante una “messa” esequiale, per lanciare questa venerabile missione? E come non bastasse fior di pornocrati (qualcuno persino ortodosso o ateo o ebreo) nella stessa cerimonia si son messi in fila per la comunione. E l’hanno ottenuta, è chiaro! Ma torniamo al Nostro (non che ce ne fossimo davvero allontanati). Quell’immagine lì, dicevo, così come l’ha raccontata Repubblica. Quell’accozzaglia di cianfrusaglie e cimeli. Dove, seppure in forma grottesca, sono sintetizzati simbolicamente tutti gli idoli e le bandiere sbatacchiare in questi ultimi cento anni dallo “Spirito del mondo” che poi, come insegna Gomez Davila, “è Lucifero”. Il feretro di Gallo fra i suoi giocattoli post-moderni. Un’arruffopoli quella lì, una frittura di paranza di modaiolismi svaccati e provinciali, uno scadente cocktail para-ideologico in un bar alla periferia dell’impero, una collezione di stravaganze da museo ottocentesco delle “scienze amene”. Uno stato confusionale. Soprattutto questo. Che è culturale prima ancora che religioso e morale, e mentale prima ancora che culturale. Succede ai vanesi, a certi anziani che hanno conosciuto la vanità senile nella loro estrema vecchiezza, quando sarebbe stata ora invece di perdere quelle della giovinezza, con tutte le loro illusioni.
IL VANGELO SECONDO DE ANDRÈ; NON QUELLO SECONDO CRISTO
Ma in mezzo a quella discarica indifferenziata e abusiva di ferri vecchi dell’ideologo all’amatriciana, un particolare suona più stravagante di altri, e più stonato tra le altre curiosità accatastate sulla bara: il Vangelo. A proposito del quale questo vecchio prete in stato confusionale, ed etilizzato dalla fermentazione della propria vanità senile frammista ai bicchieri di rosso in allegra compagnia, aveva detto:
I miei vangeli non sono quattro… Noi seguiamo da anni e anni il vangelo secondo De Andrè, un cammino cioè in direzione ostinata e contraria. E possiamo confermarlo, constatarlo: dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori.
Cosa sia nato cresciuto e morto sopra il “letame” della bandiera rossa, lo abbiamo, e da anni, sotto gli occhi tutti. Come pure i risultati ultimi della rinuncia alla purezza delle verità evangeliche. Ma il vangelo vero, di Cristo, non quello di De André, non quello ridotto alla servitù verso le ideologie dominanti in un’epoca; non quello usato come istigazione a delinquere, per abiurare la Chiesa, il Magistero, tradire il sacerdozio e il mandato divino. Tradirlo, per darsi alla politica e andare a rimorchio delle verità mondane con contratto a termine, riverniciando di vane e svenevoli parole e buonsentimentalismo falso, e bugiardo, impalcature ideologiche nemiche dell’uomo prima che di Dio; preferire le verità mondane, che durano una stagione, invece che scegliere in umiltà (e silenzio) la Verità eterna. E tutto questo per strappare un applauso, da una platea televisiva, in un comizio, in una marcia. Svendere Cristo per un piatto di lenticchie. Non che sia una novità nella storia cristiana: si cominciò già con gli apostoli. Quel Giuda, per esempio: era quello che, a parole e gesti, faceva smaccata esibizione della sua fedeltà a Cristo; guarda caso sarà anche quello che lo venderà… per soli 30 danari. Un piatto di lenticchie. Lo stesso Giuda che – antesignano di tutti i chierici demagoghi e populisti di ieri di oggi di sempre, come don Gallo – dinanzi alla donna che usa olii preziosi per ungere i piedi di Gesù di poi asciugandoli con i suoi capelli e con lini pregiati, sbotta dicendo “ma perché si sperperano tutti questi soldi in olii preziosi, quando queste cose di potrebbero vendere e darne il ricavato ai poveri?”. Ma è a questo punto che l’evangelista Giovanni spiega l’arcano sul cassiere dei Dodici: “Queste cose Giuda l’Iscariota diceva: non perché fosse buono e avesse a cuore la sorte dei poveri, ma perché era un ladro”. E si appropriava del contenuto della cassa apostolica.
IL PRETE “OBBEDIENTISSIMO”. AI PADRONI DEL MONDO
Ma andiamo oltre. Leggo sui giornali epiteti grandiosi, altisonanti, degni dei più grandi santi, confessori, martiri, dottori, padri della Chiesa. Che applicati su questo prete, povero prete infine, per chi sa di che cosa si stia parlando, suscitano il riso. Lasciamo perdere la gran parte di queste idiozie, soffermiamoci velocemente sugli aggettivi, i più ricorrenti sui giornali laicisti e persino su quelli sedicenti cattolici: “Prete disobbediente”, “Prete scomodo”, “Prete da marciapiede”, “Prete degli ultimi”. Boh! Ma disobbediente, scomodo per chi? Di quale marciapiede e ultimi parliamo, chi sono costoro? Soprattutto chi dice queste cose? Chi ne ha fatto di questo vecchio prete una bandiera? È presto detto: quelli che oggi sono i padroni del mondo. Coloro che a ogni stagione pensano e dicono secondo lo spirito di quel tempo, per poi, fra mille disastri, essere smentiti nell’epoca successiva. Vale a dire anche tutti i più vieti e conclamati nemici giurati di quella che dovrebbe essere anche la Chiesa e la fede di don Gallo, che avrebbe dovuto umilmente servire, ardendo di zelo per la Sua Casa. E invece lo abbiamo visto ridurla a un centro per alienati ideologici; abbassare la messa a una Coena Cypriani, dove si sperimenta per un’ora il mondo alla rovescia; ed entrambe a un’anonima alcolisti dove uomini incanutiti girano su se stessi in cerca della propria coda, dove nella liturgia con cantanti atei al seguito si canta Bella Ciao e Bandiera Rossa e il pugno chiuso sostituisce il segno di croce, mentre ci si rincorre intorno all’altare come bambini pur essendo dei vecchi pazzi con ottanta anni per gamba… tal qual come succedeva nei vecchi manicomi. In tutto questo Cristo dov’era, in quale anfratto dell’ego ipertrofico e gonfiato di vuoto pneumatico e lambrusco spumoso del pavone don Gallo? “Liturgie come danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi”, avrebbe detto il cardinale Ratzinger. Autocelebrazione macabra.
IL GALLO PAVONE
Prete “scomodo” e “disobbediente”, dice. Verso chi? Verso la Chiesa, certo: ma da quando in qua lo sposo che cornifica la propria sposa, che avrebbe dovuto invece rispettare e onorare come da solenne promessa sacramentale, si dice “marito scomodo”? È un semplice traditore: verso la sposa, verso Dio che ha consacrato gli sposi nel vincolo matrimoniale. Indissolubile, così come don Gallo, per la Chiesa sua sposa, avrebbe dovuto essere e comportarsi da sacerdos in aeternum. Invece ha messo la sposa su un marciapiede, a disposizione del primo che avesse avuto da pagare per abusarne. Per il resto, don Andre Gallo, era comodissimo e obbedientissimo: al mondo, alle sue mode, ai suoi padroni. E insieme a loro per decenni si è risvegliato ogni mattina a nuove illusioni, nuove utopie, nuove follie. E ancora la mattina dopo, quando si è risvegliato sulle rovine fumanti delle sue illusioni crudeli, ha fatto finta di nulla, ha proseguito come nulla fosse, e ha riconciato daccapo con le sempre nuove e sempre vecchie illusioni, utopie, follie. Sino ad oggi. Questi sono i preti che vorrebbero i nemici della Chiesa, i laicisti, i comunisti di ogni risma: per demolirla dall’interno, con l’artificio satanico di mescolare la verità alla menzogna. Nella confusione che ne deriverà, nei polveroni che si alzeranno i fedeli smarriranno la retta via. E quando sbagli strada, stai pur certo che ti ritrovi laddove il mondo vorrebbe. Che è sempre all’opposto di dove vorrebbe Cristo. È stato così che don Gallo non ha servito affatto gli interessi degli “ultimi”, dei poveri… di spirito, dei soli: a costoro ha dato informazioni sbagliate sulla retta via, a questi bisognosi di redenzione ha negato la carità della verità. Allontanandoli dalla sola Via che è Verità e Vita. Non ha servito i semplici e gli umili, al contrario se ne è servito, e li ha messi al servizio dei potenti, degli arroganti, dei padroni del vapore relativista e del mondo alla rovescia. Che prete degli “ultimi” è mai questo che stava un giorno sì e l’altro pure ospite di tutte le migliori e peggiori trasmissioni tv? Non c’era evento mondano nel quale non fosse invitato, premio che non avesse ritirato, marce che non avesse capeggiato, comizio di sinistra radicale che non l’avesse applaudito, editore che non moltiplicasse come pani e pesci i suoi libri bestiali e i contratti a peso d’oro, non c’è vip radical che non sia andato a rendergli omaggio. Eppure, aveva predetto Cristo, che fino alla fine dei tempi il destino del prete sarebbe stata la persecuzione e il martirio, non la gloria del mondo con le sue patacche: il destino del prete fedele, intendeva.
IL PRETE COMODISSIMO
Questo qui un prete “scomodo”? Un prete “disobbediente”? Le regole della società che conta le ha rispettate tutte, non vi si è opposto mai, ne ha impugnato tutte le bandiere. Quando andò di moda l’antifascismo da baraccone e il mito fantastico del partigiano (che il più delle volte era uno che stava chiuso al cesso per tutto il tempo che gli altri, da qualsiasi sponda… non importa, erano a combattere e ne è uscito fuori a guerra conclusa a prendersi una boccata d’aria in montagna; e discendendone due ore dopo, si presentava al mondo con la maschera trasandata dell’eroe invitto che lì ci aveva passato “due anni” a “combattere”… anche per i vigliacchi che se ne stavano chiusi al cesso), lui divenne antifascista e partigiano. Quando ci fu la contestazione del ’68, lui si travesti da “contestatore”. Quando arrivarono le Br era fra quelli che dicevano fossero “provocatori fascisti”. Quando il mondo fece scoccare l’ora del divorzio e poi del crimine dell’aborto, eccolo lì lui pronto a stracciarsi le vesti come divorzista e abortista. Quando cominciarono a circolare le droghe eccolo lui bandiere alle mani a manifestare perché fossero liberalizzate salvo poi dinanzi alla strage di giovani di un decennio dopo trasmutarsi in “recuperatore” di tossicodipendenti che esso stesso aveva contribuito a rendere tali. Quando cominciarono a sdoganare l’eutanasia eccolo pronto lui a staccare spine e a far morire gente (è reo-confesso), anche se era ed è proibito da quella stessa costituzione che lui dichiarava di adorare come libro sacro, e che infatti è deposta sulla sua bara. Quando andò, in seguito alla Guerra del Golfo, di moda il pacifismo ideologico, eccolo diventare, bandiera arcobaleno alle mani, pacifista; lo stesso personaggio che mai si era sognato di dirsi tale quando Stalin, Pol-Pot, Kruscev, Mao seminavano milioni di morti programmati a tavolino per ragioni “geopolitiche” quando non “economiche”. Quando… anzi, adesso, che vanno per la maggiore le porcherie farsesche dei militanti gay più fanatici… tipo il “matrimonio” fra gente di egual sesso, ecco don Gallo diventare d’improvviso omosessualista così come quarant’anni prima, al sorgere del femminismo nevrastenico e del mito del sesso libero, era stato femminista e sesso-libertario. E poi azionista caduto il fascio, democristiano quando la Dc trionfò, togliattiano quando fra gli intellettuali andò di moda il comunismo, radicale quand’erano sulla cresta dell’onda i pannelliani, craxiano quand’era in auge Craxi, di seguito berlingueriano, occhettiano, veltroniano, bertinottiano, vendoliano e infine, il botto scuro, “anche” grillino.
GLORIA MUNDI. HA GIÀ RICEVUTO LA SUA RICOMPENSA
E allora ti spieghi perché tutti quegli applausi, premi, patacche, inviti d’onore, di evviva da parte del mondo e dei padroni del mondo. Ossia di tutti i nemici giurati del cattolicesimo riuniti in fitta schiera. E tutto questo… per 30 danari, un piatto di lenticchie. Mentre già da ieri, per lui, come per tutti i vanesi si è compiuto il sic transit gloria mundi, poiché omnia nihil est! Ha avuto già la sua ricompensa, su questa terra. Perché sta scritto:
Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli… non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Poche settimane prima di morire, urla il suo ultimo sacrilego slogan, saturo di morte: “Basta con questa Chiesa ossessionata dalla vita!”. Un autentico satanico rantolo. Come sempre, lo sbocco finale di Satana – il quale, diceva Eco, sa dove va e andando va sempre da dove è venuto – e dei vinti dalle sue seduzioni e tentazioni è quello solito: andare incontro al nulla elevato al rango di filosofia col nichilismo, arenarsi nel deserto, precipitare avvinti nella morte.
*APPENDICE
Scrive e presagisce Pietro, nella sua Seconda Lettera: Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri, i quali introdurranno fazioni (eresie) che portano alla rovina, rinnegando il Signore che li ha riscattati. Attirando su se stessi una rapida rovina, molti seguiranno la loro condotta immorale e per colpa loro la via della verità sarà coperta di disprezzo. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma per loro la condanna è in atto ormai da tempo e la loro rovina non si fa attendere. Temerari, arroganti, non temono d’insultare gli esseri gloriosi decaduti… Ma costoro, irragionevoli e istintivi, bestemmiando quello che ignorano, andranno in perdizione per la loro condotta immorale, subendo il castigo della loro iniquità. Essi stimano felicità darsi ai bagordi in pieno giorno; scandalosi e vergognosi, godono dei loro inganni mentre fanno festa con voi, hanno gli occhi pieni di desideri disonesti e, adescano le persone instabili, hanno il cuore assuefatto alla cupidigia, figli di maledizione! Costoro sono come sorgenti senz’acqua e come nuvole agitate dalla tempesta, e a loro è riservata l’oscurità delle tenebre. Con discorsi arroganti e vuoti e mediante sfrenate passioni carnali adescano quelli che da poco si sono allontanati da chi vive nell’errore. Promettono loro libertà, mentre sono essi stessi schiavi della corruzione. L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina. Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso. Si è verificato per loro il proverbio: «Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango».
FONTE: © Qelsi