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d. CURZIO NITOGLIA
6 dicembre 2011
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«Satana non è una creatura estranea a Dio,
e neppure il ministro di Dio, ma Dio stesso.
Se Dio non avesse Satana in sé, sarebbe
come un cibo senza sale»
(B.
Croce, La logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza,
1905, parte I, sezione 1).
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Premessa
●In questo breve articolo non intendo spiegare e confutare l’intero
sistema crociano. Il mio intento è soltanto di porgere al lettore quella che mi
sembra essere la sua essenza, dimostrare come essa sia intrinsecamente
immanentistica e tendenzialmente nichilistica; ben oltre, quindi,
l’hegelismo, del quale Croce non è solo un continuatore, ma un estremo
radicalizzatore in peggio. L’odio contro il Dio trascendente e
personale, contro la religione cattolica-romana da Lui fondata e
la morale oggettiva (naturale e rivelata), purtroppo traspare chiaramente
nelle pagine del primo e dell’ultimo Croce.
●Benedetto Croce scrive: «“Storicismo”, nell’uso
scientifico della parola, è l’affermazione che la vita e la realtà è storia e
nient’altro che storia. Correlativa a quest’affermazione è la negazione della
teoria che considera la realtà divisa in soprastoria e storia»[1]. Ciò dimostra che nello storicismo crociano non c’è posto
per il Cristianesimo, ma nemmeno per l’ “Atto puro” quale lo riconosceva
persino il “pagano” Aristotele.
*
Storicismo come rifiuto della
Trascendenza
●«La sola realtà è lo Spirito e la sola
manifestazione dello Spirito è la Storia. Questo è stato il principio
ispiratore della filosofia di Benedetto Croce. […]. Lo Spirito è un Dio
immanente, che come tale si contrappone al Dio trascendente della
religione»[2]. Si noti che per Croce
lo spirito non è qualcosa di contrapposto alla natura o
materia, ma è la realtà tutta
intera[3].
Da questo teorema storicistico deriva lo sforzo crociano di
espellere dalla “cultura” (che per lui è il massimo valore) il
“mito” o la “fantasia” della religione del Dio personale e
trascendente (che per lui è il “male assoluto”), come pure l’indifferenza per la
metafisica ed i massimi problemi ai quali essa giunge, affronta e risolve (Dio,
l’immortalità, l’aldilà…). Croce riduce la Fede a “cultura” e l’oggetto della
filosofia al fatto storico concreto, singolare e particolare nel suo divenire.
Conseguentemente «ogni valore etico perde il suo carattere assoluto e
si relativizza nel suo divenire storico»[4].
●Croce scrive che, per “merito” specialmente di Lutero,
Cartesio, Spinoza, Kant, Fichte ed Hegel, «Dio era sceso definitivamente dal
cielo sulla terra, e non era più da cercare fuori del mondo, dove non si sarebbe
trovato di esso altro che una povera astrazione, foggiata dallo stesso spirito
dell’uomo in certi momenti e per certi suoi intenti. Con Hegel si era acquistata
la coscienza che l’uomo è la sua storia, la storia è l’unica
realtà»[5].
●Lo storicismo crociano, dunque, porta immancabilmente al
rifiuto assoluto di ogni Trascendenza con le sue principali conseguenze:
l’irreligione e l’amoralismo[6]. Esso, perciò, può
essere qualificato come nichilismo metafisico, morale e teologico. Infatti
secondo la concezione storicistica di Croce la metafisica è defunta e quindi
anche il suo termine ultimo: il Trascendente e tutto ciò che ha a che fare con
esso. Solo l’esperienza, ciò che cade sotto i sensi, che è constatabile, i fatti
storici nel loro divenire, sono oggetto di conoscenza. Il suo storicismo non
ammette una realtà o un essere che trascenda l’esperienza, una metafisica che
stia sopra la fisica o natura. Egli rifiuta come Trascendente anche
l’Idea hegeliana, la Materia marxiana, al di sopra di una realtà
puramente fenomenica. Ciò lo conduce a criticare non solo il materialismo
marxista, ma anche l’idealismo hegeliano. Solo il fenomeno storico, che cade
sotto i sensi, è reale. Al di sopra o al di fuori del reale vi è solo il nulla.
Quindi Dio, il Pensiero, la Materia sono inesistenti. L’unica realtà esistente è
il fenomeno o il fatto storico nel suo divenire: la Storia, nella quale il fatto
storico e il pensiero s’identificano, altrimenti rimarrebbe un essere, un fatto,
una realtà che trascenderebbe il pensiero umano e quindi un residuo di
Trascendenza, che Croce aborrisce con tutte le sue forze e vuol distruggere con
ogni mezzo, anche “col ferro e col fuoco”.
*
Odio contro Dio e la religione
cattolica
●Nel suo libro La storia come pensiero e come azione (Bari,
Laterza, 1938) Benedetto Croce
scrive: «Vi è un caso in cui la religione […] è sentita come nemica e
da distruggere con ogni mezzo, persino, quando non basti, con la guerra e col
sangue. […]. È il caso della religione che si fa trascendente e trae
l’uomo fuori della sua libertà, e lo sottomette a una legge che non gli viene
dal proprio petto, a una legge dall’alto. […]. Tipica è in ciò quella
cattolica» (pp. 249-250). Già negli anni Venti nella sua rivista “La
Critica” aveva descritto la sua intenzione «di ammazzare questo soggetto
indomabile, questo Dio intelligibile» risolvendolo «nello Spirito» (gennaio
1924, p. 52). Croce si è sempre professato un «assoluto immanentista»
(Quaderni della Critica, dicembre 1945). Tutta la filosofia crociana è
immanentismo radicale, che non solo trascura (come l’agnosticismo), ma odia e
addirittura vuol “ammazzare” (come e più del nichilismo di Nietzsche, il quale
si contentava di constatare la “morte di Dio”) il Trascendente. Non è il cielo,
l’aldilà, la sostanza, l’essere che interessa Croce, ma è il mondo materiale con
i suoi affari e vicende storiche nel loro svolgersi. Infatti per Croce la
filosofia deve occuparsi “delle umane cose” e non più della metafisica e della
Trascendenza. Come per Kant così per Croce, Dio, l’anima, la sostanza, l’essere,
l’immortalità personale, , sono “problemi insussistenti”. Ma, sorpassando in
peggio anche la “Ragion pratica” di Kant, la quale postulava la necessità
o il bisogno umano di ciò che la Ragion pura non può dimostrare, Croce
propone di distruggere la metafisica e tutto ciò che è Trascendenza. Egli,
perciò, può essere annoverato tra i filosofi nichilisti della post-modernità
piuttosto che tra gli idealisti classici della modernità kantiano-hegeliana. La
riprova la si trova nel fatto che Croce rimproverava persino a Hegel di aver
mantenuto un residuo di Trascendenza nella “mitologia di un Pensiero assoluto”.
Croce non ha accettato il terzo momento della Logica di Hegel, il momento
della Soggettività creatrice, ossia il Soggetto che evolvendosi si
oggettivizza, poiché gli è sembrato troppo simile al Dio cristiano, al
Trascendente, e quindi lo ha condannato a morte. Questa incomprensione
dell’hegelismo ha la sua ragione nell’orrore crociano verso ogni minima
apparenza di Trascendenza.
*
Falsa teodicea crociana
immanentistica
●Per la retta ragione e la sana filosofia Dio è l’Ente in cui
l’essenza è il suo essere e non ha o riceve l’essere da un altro. Croce, che
non conosce la metafisica aristotelico-tomistica, ritiene che Dio, per la
teologia del cattolicesimo, la quale si basa sulla filosofia dell’essere, sia un
mito, un simbolo, un fantasma, ossia un’affermazione della
fantasia. La rappresentazione o immaginazione della fantasia religiosa si forma
un’immagine di un Dio fuori del mondo, di un Dio in alto e noi in basso, e
quindi di una radicale e dualistica contrapposizione tra Dio e mondo, odiata da
Croce. Ma questa non è la metafisica dell’essere, è invece la fantasiosa
distorsione di essa operata dall’estetismo o iper-culturalismo di Croce.
*
Dio onnipresente e
Trascendente
●San Tommaso d’Aquino nel Commento alle Sentenze (I, d. 8, q. 1, a. 2) si pone la
questione “se Dio sia l’essere di tutte le cose” e risponde che “Dio è l’essere
di tutte le cose non essenzialmente ma causativamente”. Ossia Dio
non è co-essenziale al mondo, ma ne è causa efficiente e realmente distinta.
L’Angelico lo prova, distinguendo tre tipi di causalità efficiente: a) causa
univoca: causa ed effetto sono identiche o della stessa specie (padre e
figlio); b) causa equivoca: non vi è nessuna identità reale, ma solo una
certa vaga somiglianza qualitativa nominale (il sole che scalda e le pietre
scaldate si somigliano quanto alla qualità del calore, ma non sono della stessa
specie); c) causa analoga: vi è una certa somiglianza tra causa ed
effetto mista ad una dissomiglianza sostanziale più marcata. Tra Dio e l’uomo,
vi è una certa somiglianza relativa quanto al fatto che esistono, ma sono
sostanzialmente diversi poiché Dio è ‘a Se’ per essenza, le
creature sono ‘ab Alio’ per partecipazione. Da ciò risulta che Dio
produce l’essere del mondo secondo una debole ed imperfetta somiglianza per
rapporto alla sostanziale diversità tra loro due. Quindi “l’Essere divino
produce l’essere del mondo in quanto dall’Essere infinito procede o è causato
efficientemente l’essere di tutte le creature” (I Sent., d. 8, q. 1, a.
2). Nella Summa contra Gentiles (Lib. III, cap. 68) l’Angelico precisa
che Dio è onnipresente, ma “non si trova mescolato al mondo: Egli non è
né forma né tanto meno materia di alcuna cosa, ma si trova nelle sue creature
come causa agente efficiente”. Quindi il mondo e le creature possono essere
chiamati “divini” solo per partecipazione e imitazione in quanto creati da Dio
(S. Th., I, q. 45, a. 7; I, q. 91, a. 4). L’Aquinate elimina così anche
ogni possibile equivoco immanentistico, distinguendo presenza, inerenza o
immanenza da immanentismo. Così Dio non solo è l’ “Ens a Se”, ma è anche
“Ens a quo omnia alia”. Come dice ancora S. Tommaso: “quod dicitur
maxime tale in aliquo genere, est causa omnium quae sunt illius generis”
(S. Th., I, q. 2, a. 3) ossia Dio che è l’Essere massimo è causa di tutti
gli enti; come pure “omnia quae sunt in aliquo genere, derivantur a principio
illius generis” (S. Th., I-II, q. 1, a. 1, sed contra), cioè
tutti gli enti, derivano o partecipano dal Principio dell’ente. Perciò Dio è
Ens a se a quo omnia alia sunt; mentre la creatura è ens ab alio
derivans et participans.
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Vera teodicea
tomistica
●La Filosofia
Tomistica, che vive ancor oggi, ha compendiato il pensiero del Dottore
Comune e confutato lo storicismo crociano come segue. Il vero problema è quello
della coesistenza e conciliazione del finito coll’Infinito. Posto ciò, vi
sono diverse scuole filosofiche: a) o si dice che Dio assorbe in Sé tutto
e che non vi sono enti finiti all’infuori dell’Essere Infinito di Dio (panteismo
monista); b) o, se esistono altri enti, essi si aggiungerebbero a Dio
formando assieme a Lui una perfezione ancora più grande, ma questa è una falsa
nozione di Dio ed equivale a negare il vero concetto di Dio
(ateismo/storicismo immanentista), c) vi è poi una terza possibilità:
l’ente finito esiste, è un fatto ed esso suppone una Causa incausata e Infinita.
Per giungere alla causa o spiegazione della realtà creata e causata, si deve
risalire dall’effetto alla causa, dal creato all’Increato, dal finito
all’Infinito e non si può restare al livello degli effetti. Una serie infinita
di enti finiti ci farebbe restare nell’effetto causato/finito e non ci farebbe
risalire alla Causa incausata/infinita. Non si deve badare alla quantità o
lunghezza della serie degli anelli di una catena, per spiegarne l’esistenza, ma
occorre rimontare alla causalità degli anelli che compongono la catena e
dall’effetto finito o causato risalire ad una Causa incausata ed Infinita. La
creatura è distinta da Dio perché è finita, però tutto ciò che ha lo ha o
lo partecipa da Dio, che è l’Essere per essenza e non ha
l’essere da nessuno[7]. Onde, tutto quel che
c’è di perfezione nella creatura è in maniera sovra-eminente ed infinita in Dio.
Così la perfezione della creatura non aggiunge nulla a Dio. Dio e creature non
formano “più-Essere” o “Super-Essere”, ma solo più enti, poiché l’essere della
creatura è partecipato o dato da Dio. Così a) tra panteismo (l’essere
finito assorbito in Dio) e b) dualismo reale o Deismo (essere finito
estraneo al Dio trascendente, storicismo immanentistico crociano) vi è un a
terza posizione: c) l’essere finito delle creature, che è partecipato o
derivato da Dio (Essere Infinito), contiene in grado limitato quella perfezione
che in Dio è Infinita. Vi sono più enti, ma non cresce l’Essere divino (contro
il monismo panteista). Perciò se si esclude a) l’identità o univocità tra
Dio e mondo, come pure b) la separazione assoluta o dualistica
(specialmente del Deismo moderno e nel caso nostro dello storicismo crociano),
resta c) la partecipazione causale. Dio è distinto dagli altri enti,
ma non ne è separato (come immagina Croce), in quanto l’Infinito è distinto
dagli enti finiti, ma anche presente dappertutto, come Causa efficiente, finale
ed esemplare. Onde «l’ente e l’essere si dice di Dio e degli altri enti secondo
l’analogia di ‘proporzionalità propria’ (Dio sta al suo Essere come ogni
altro ente sta al suo essere) e di ‘attribuzione intrinseca’ (Dio è
l’analogato principale che è l’Essere per la sua stessa essenza, la creatura è
l’analogato secondario che riceve l’essere per partecipazione). Tuttavia
l’Essere di Dio è essenzialmente diverso da quello degli altri enti: Dio è lo
stesso Essere per sua essenza, mentre ogni altro ente riceve, ha o
partecipa dell’essere. C’è quindi una certa relativa somiglianza e una
sostanziale diversità tra l’essere degli enti e quello di Dio»[8].
*
Il Dio della Rivelazione e della
metafisica
●Come si vede il Dio della sana filosofia e della Rivelazione (“Ego
sum qui sum”. Ex., III, 14) non ha nulla a che vedere con il “Dio”
immaginato dalla fervida fantasia estetizzante e intellettualistica crociana.
Egli, volendo escludere qualsiasi cosa che stia di fronte, oltre, in basso, in
alto, a fianco del pensiero storico, giunge a scrivere: «il negativo non sta
di fronte, ma dentro il positivo, il male non di fronte al bene ma dentro il
bene, il nulla non di fronte all’essere ma nell’essere, sicché il vero essere
è il divenire» (La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza,
1938, p. 17). Inoltre Croce, applicando questa sua teoria filosofica (derivata
da Spinoza) della coincidentia oppositorum a Dio, asserisce che il Dio
cristiano come Essere perfettissimo è impossibile, poiché la realtà è sintesi di
opposti, ossia di perfetto e di imperfetto. Da ciò ne segue che «Satana non è
una creatura estranea a Dio, e neppure il ministro di Dio, ma Dio
stesso. Se Dio non avesse Satana in sé, sarebbe come un cibo senza
sale» (La logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza, 1905,
parte I, sezione 1; IIIa ed., 1981, pp. 59-60). Nella sua rivista “La
Critica” (1942, p. 230) riprende lo stesso tema e ripete: «Togliere il
diavolo? Ma sarebbe togliere a Dio il solo suo buon amico, il solo suo
aiuto, il solo strumento di cui possa fidarsi».
*
Divenire contro
essere
●Inoltre per Croce il Trascendente sarebbe negazione di vita
e attività. Invece l’Atto puro, in cui coincidono essere, essenza ed azione, è
Essere per sé sussistente ed attività sempre in atto, “Immotus in se
permanens”, perfettamente e completamente. In Dio non ci può essere
distinzione e composizione tra essere, essenza e azione. Egli è assolutamente
semplice, non è causato, non è misto di atto e potenza (S. Th., I, q. 3).
Solo Dio è il suo stesso essere per sua essenza. Ora “l’agire segue l’essere e
il modo di agire il modo di essere”. Quindi Dio è il Motore “che move il sole
e l’altre stelle” o “Motore immobile”, che muove ogni cosa senza essere
mosso da nessuno. Invece Croce, che filosofa fantasticando e non raziocinando,
ritiene che l’unica attività sia il divenire ossia il passaggio continuo dalla
potenza all’atto. Ma il divenire come passaggio dalla potenza all’atto non
spiega se stesso, poiché è condizionato da movimenti precedenti. Ciò che diviene
(omne quod movetur) dice dipendenza (ab alio movetur). Croce non
capisce che il passaggio dal meno al più, è un’evidente imperfezione, poiché è
potenza che passa all’atto, acquistando qualcosa di nuovo che non aveva. Ciò
pone una “deficienza” in Dio e non una perfezione. Ma questa teoria è conforme
all’ossimoro crociano della coincidenza tra bene/male, infinito/finito,
Dio/satana[9]. Croce immagina un
divenire che spieghi se stesso, ignorando ciò che già i filosofi greci antichi
avevano dimostrato: il divenire presuppone un essere in atto. La potenza dice
limite e capacità di ricevere, mentre l’atto dice determinazione e ricchezza o
perfezione (S. Th., I, q. 2, a. 3). La perfezione significa attualità
completa in opposizione alla potenzialità (S. Th., I, q. 4).
*
L’ultimo Croce è eguale al
primo
●Il saggio crociano del 1942 intitolato Perché non
possiamo non dirci cristiani da qualcuno è stato interpretato come un
ritorno alla fede del filosofo storicista. Ma se Croce parla di “Provvidenza” è
la “provvidenza” immanente alla Storia o se parla di “Dio” è il “dio”
che è in noi, identico allo spirito del mondo, proprio come per i
modernisti. Il “cristianesimo” di Croce è depauperato da ogni carattere
soprannaturale e trascendente, esso è un puro fatto storico, come per il
Modernismo. Lo storicismo crociano è sempre restato un agnosticismo
sostanziale, caratterizzato non solo da un disinteresse per la religione, ma da
un odio diabolico verso il Dio personale e trascendente, che è concepito dal
Croce coincidente con Satana. Croce ha voluto abolire la religione trascendente
e rimpiazzarla con uno storicismo immanentistico e “divino”, che coincide con la
religione laica della “libertà”[10], cavallo di battaglia
del razionalismo, del liberalismo e del massonismo ottocenteschi.
*
Il rimedio al crocianesimo
nichilistico
Padre Battista
Mondin scrive: «Non più Dio, ma l’uomo è contemplato come creatore della
realtà. Hegel è il punto culminante ed insuperabile della cultura moderna: epoca
che si consuma nell’ateismo o nichilismo assoluto, come esito
dell’antropocentrismo o umanesimo assoluto; o Dio si identifica
panteisticamente col mondo, oppure è negato [ateisticamente] o
“ucciso” [nichilisticamente] come realtà oggettiva in sé e per sé
esistente»[11]. Il nichilismo è
l’esito ultimo dello storicismo immanentista e panteista. Giovanni Reale parla di «nichilismo come
la radice dei mali d’oggi»[12] e propone la saggezza
classica come terapia dei mali dell’uomo d’oggi. Vediamo quali indicazioni e
consigli ci fornisce questo studioso dell’antichità filosofica greco-romana.
Innanzitutto parte dalla considerazione che «tutti i mali di cui
soffre l’uomo di oggi hanno proprio nel nichilismo la loro radice. Nel XX
secolo si è verificato ciò che Nietzsche aveva predetto»[13]. Onde passa a proporre un rimedio: «la vittoria sul
nichilismo mediante il recupero di ideali e di valori
supremi»[14]. Ma, avverte, «non è
un’operazione facile, poiché implica una vera e propria rivoluzione
spirituale»[15]: il ritorno alla
metafisica classica, perfezionata dalla scolastica tomistica, «non affatto un
ritorno acritico a certe idee del passato, ma l’assimilazione e la fruizione di
alcuni messaggi della saggezza antica o perenne. […]»[16]. La cultura moderna/contemporanea, secondo il Reale, ha
«perduto il senso di quei grandi valori che, nell’età antica e medievale […],
costituivano i punti di riferimento essenziali, e in larga misura
irrinunciabili, nel pensare e nel vivere»[17]. Alla filosofia attuale o post-moderna, manca la ragion
d’essere, il fine e lo scopo di vivere, la risposta al “perché?”. Questo è il
nichilismo filosofico, ove i valori supremi (essere, conoscere, morale) si
s-valorizzano, infatti non restano più l’essere per partecipazione e per
essenza, la realtà, la verità, il bene, resta solo il divenire storico e il
“nulla”. È l’antropocentrismo della modernità che dopo essersi auto-deificato in
un delirio di onnipotenza si è rivoltato contro se stesso in un impeto di follia
auto-lesionista. Dopo aver negato la trascendenza, la si vorrebbe uccidere
assieme a Dio e a tutti i valori ad esso connessi. Per non restare solo alla
pars destruens, Nietzsche, Croce e il nichilismo vorrebbero uscire
dall’annichilazione totale dei valori, tramite la volontà di potenza o
l’immanentismo storicistico, come oltrepassamento del nichilismo: «Il
traslocamento dei valori dalla sfera dell’essere e della trascendenza alla sfera
immanente della volontà di potenza [e dell’immanentismo storicistico],
costituiscono la tappa conclusiva e compiuta [pars construens] del
nichilismo»[18]. L’uomo ha cercato,
così, di dare a se stesso gli attributi che prima conferiva a Dio. Ma
“l’uccisione di Dio” comporta anche l’eliminazione di tutte le proprietà e gli
attributi divini, per cui dopo aver “ucciso Dio”, l’uomo resta senza Dio e senza
potersi appropriare delle sue qualità; mentre il Dio tradizionale, trascendente
e personale, lo aveva reso “partecipe della sua natura divina” (II Petri)
in maniera limitata e finita, tramite la Morte e Resurrezione di Cristo, fonte
della grazia santificante. “Chi troppo vuole nulla stringe”: prima (con la
modernità idealista) l’uomo o l’Idea ha preteso di prendere il posto del Dio
reale e oggettivo creandolo col pensiero; poi con la post-modernità nichilistica
l’uomo ha voluto “uccidere Dio” e ogni “Idea” di Dio, pur soltanto soggettiva,
per fare il super-uomo (Nietzsche) o il “super-colto” (Croce). Ma è rimasto solo
con se stesso e disperato. Il deicidio nichilistico dell’Essere immutabile e
trascendente si fonda sulla volontà di potenza creatrice e sul divenire o
evoluzione storicistica ed immanentistica parimenti creatrice di un “bel nulla”.
Infatti “ex nihilo nihil fit”. Invece, con buona pace degli storicisti,
“Stat beata Crux dum volvuntur Croce et orbis!”.
d. CURZIO NITOGLIA
6 dicembre 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/immanentismo_benedetto_croce.htm
[1] B. Croce, La storia come pensiero e come azione,
Bari, Laterza, (1938), 1978, 4a ed., p. 53.
[2] N.
Abbagnano, “Teologia capovolta”, in il Giornale, 20 novembre 1977,
p. 3. Per il 25° anniversario della morte di Croce, avvenuta a Napoli il 20
novembre 1952.
[3] V.
Mathieu, Dizionario dei filosofi, Firenze, Sansoni, 1976, p.
258.
[4] B.
Croce, Etica e politica, Bari, Laterza, 1931, pp. 97-101.
[5] Id.,
Il carattere della filosofia moderna, Bari, (1941), 1963, 3a ed.,
p. 43.
[6] Cfr. C. Fabro, Momenti dello spirito,
Assisi, 1982, vol. I, pp. 140-160. Cfr. C. Ottaviano, Valutazione critica del
pensiero di Benedetto Croce, Padova, 1953; A. Ferrabino, Benedetto Croce, in
“Scritti di filosofia della storia”, Firenze, 1962, pp. 654-657; Id., Filosofia della storia come la
intendo, ivi, pp. 782 s.; D. D’Orsi,
L’uomo al bivio. Immanentismo o Cristianesimo? Padova, 1973; N. Petruzzellis, Il problema della
storia nell’idealismo moderno, Firenze, Sansoni, 1940; F. Olgiati, Benedetto Croce e lo
storicismo, Milano, Vita e Pensiero, 1953.
[7] Cfr. C. Fabro, La nozione metafisica di
partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino, Milano, Vita e Pensiero, 1939;
Id., Partecipazione e causalità
in S. Tommaso, Torino, SEI, 1961.
[8] P. Carosi, Corso di filosofia, IV vol., Ontologia: Dio, Roma, Paoline, 1959, p. 228.
[9] Cfr. S. Th., I, q. 9; R. Garrigou-Lagrange, Le divine
perfezioni secondo la dottrina di S. Tommaso, Roma, 1923.
[10] Cfr. A. Del Noce, L’epoca della
secolarizzazione, Milano, Giuffrè, 1970, p. 241.
[11]
B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, 3°
vol., p. 373.
[12] G. Reale, Saggezza antica. Terapia per i mali
dell’uomo d’oggi, Milano, Raffaello Cortina Editore,
1995, p. 11.
[13]
Ibidem, p. 6.
[14]
Ivi.
[15]
Ibidem, p. 7.
[16]
Ibidem, pp. 8-9.
[17] Ibidem, p. 11.
[18]
Ibidem, p. 24.
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lunedì 11 marzo 2013
IL FALSO CATTOLICESIMO DI BENEDETTO CROCE
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