L’ANALOGIA :
risposta a “Sodalitium” n° 62
Introduzione
■ Il fatto: Una predica e una conferenza
● Dopo aver chiesto (6 luglio 2008), pubblicamente e per iscritto, una risposta alla redazione di “Sodalitium”, riguardo al n.° 62 del giugno 2008, ho atteso inutilmente più di due mesi, ma non ho ricevuto nessun riscontro. Quindi ridomando – sinteticamente - se Pio XII non è Papa formalmente ma solo materialmente. Inoltre Benedetto XVI, non essendo neppure papa “materialiter” (secondo p. Guérard) i “tesisti”, per essere coerenti con la “Tesi” dovrebbero o consacrare un Papa, o dimostrare di essere loro stessi i “legati diretti [rappresentanti avente eguale valore del soggetto rappresentato, N. Zingarelli] di Cristo”. Quale delle due opzioni intendono scegliere? Lo devono dire pubblicamente almeno ai loro fedeli. Non possono eludere il problema, scrivendo che la Tesi di Cassiciacum è ancora oggi la sola soluzione al problema della crisi di Autorità nella Chiesa (“Sodalitium”, n.° 62, p. 4).
● Inoltre debbo specificare, più dettagliatamente, che anche per quanto riguarda l’analogia tra Stato e Chiesa “Sodalitium” esce fuori dal seminato. L’8 dicembre 2006, feci una predica a Roma, in cui spiegavo i motivi che mi portavano ad allontanarmi dall’Istituto MBC. Dicendo – tra l’altro – che tra Stato e Chiesa vi è un’analogia e che quindi la questione della mancanza di Autorità nel Papa, doveva essere approfondita (e sfumata) analogicamente, secondo quanto gli scolastici (con s. Tommaso d’Aquino in testa) avevano scritto sul Principe tiranno. Infatti mi preoccupavano le conclusioni giuridico-canoniche che i “tesisti” tiravano dalla “Tesi di Cassiciacum”, annullando essi ‘canonicamente’ tutti gli atti della Chiesa ufficiale e arrivando, così, a delle conclusioni pratiche ma universali, evidentemente prive di buon senso e di “diritto”, i Romani antichi dicevano: “Summum jus, summa injuria” (la legge troppo stretta, produce le più grandi ingiustizie).
Siccome la “tesi” di p. Guérard seguiva, non la via del Papa eretico, (che era stata affrontata da mons. Antonio De Castro Mayer assieme ad Arnaldo X. Da Silveira), ma una duplice strada: a) In atti magisteriali del Concilio Vaticano II (Dignitatis Humanae), in cui il Papa dovrebbe essere infallibile si trovano degli errori, quindi Paolo VI non è Papa in atto ma solo in potenza; b) l’Autorità ha come fine il bene comune della società. Ora se un’autorità pone atti oggettivamente contrari al bene della società è una tirannia e non è più l’Autorità. Quindi Paolo VI non è formalmente Papa, ma solo materialmente.
La constatazione che facevo (analogia tra Stato e Chiesa/Principe e Papa) è stata negata da un sacerdote “tesista”, (DR dell’Istituto MBC), in una conferenza registrata, che ha tenuto a Roma il 14 gennaio 2007 presso l’Oratorio s. Gregorio VII, in via Pietro della Valle. Non avrei voluto rispondere pubblicamente e per iscritto, ma siccome il n° 62 di “Sodalitium” (luglio 2008) ha ripreso l’argomento, nella stessa maniera scorretta in cui DR lo presentò, nel gennaio 2007, debbo rettificare pubblicamente.
■ Il principio: L’analogia
1°) Tra un re e un Papa esiste “analogia”
Un termine (per esempio, essere), si attribuisce a vari soggetti (Dio, angelo, uomo, cane, pino, sasso), secondo un significato essenzialmente diverso (per es., Dio è l’Essere per sé sussistente ed infinito; le creature - dall’angelo sino al sasso - ricevono l’esistenza da un altro e sono finite). Mentre la somiglianza (tra i soggetti dei quali si predica l’essere) è solo relativa (p. es., Dio e le creature sono simili, solo relativamente al fatto di esistere).
Ma il re e il Papa, hanno qualcosa di relativamente simile, governano per il bene comune che è il fine della società; mentre sono sostanzialmente diversi, in quanto il re governa temporalmente e il Papa spiritualmente ed è infallibilmente assistito da Dio (a certe determinate condizioni) nelle questioni di fede e di morale. Onde, re e Papa sono concetti relativamente simili (quanto al fatto di governare) e essenzialmente diversi (quanto al modo di governo), uno regna nelle cose temporali, l’altro in quelle spirituali.
Quindi, tra re e Papa vi è analogia (non piena identità, né totale diversità), non essendo della stessa specie (uno è soprannaturale e l’altro è naturale), ma avendo qualcosa in comune, governano entrambi una società perfetta nel suo genere (Stato e Chiesa), anche se di ordine (naturale e soprannaturale) essenzialmente diverso.
Secondo DR nell’analogia ci si deve fondare solo sulla somiglianza (sic! Non volevo crederci, ho dovuto riascoltare la registrazione tre volte per poterlo ammettere, tanto grave è l’errore, anzi l’orrore filosofico in cui DR è incappato) e non sulla dissomiglianza, altrimenti (secondo lui) la conclusione del ragionamento è errata.
Inoltre, l’analogia a differenza dell’equivocità, che riguarda solo la dissomiglianza (come tra il ‘riso’ che si mangia e il ‘riso’ dell’uomo), e dell’univocità la quale si fonda solo sulla somiglianza o identicità (Antonio, Marco e Giovanni, sono tutti uomini, allo stesso identico modo); l’analogia, come dicevo, si basa su somiglianza e dissomiglianza. Pretendere di parlare solo di dissomiglianza nell’analogia, significa distruggerla e farne un equivoco. Se tra Dio e il sasso c’è analogia, a maggior ragione c’è tra Stato e Chiesa, tra re e Papa, in quanto la dissomiglianza tra un sasso e Dio è infinitamente maggiore di quella che vi è tra il re e il Papa, lo Stato e la Chiesa, pur tuttavia vi è una certa somiglianza, relativamente o quanto al fatto di esistere (Dio-sasso, esistono) e quanto al fatto di essere società (Chiesa-Stato) o autorità (Papa-re). Questa è la prima ragione che mi consente di attribuire alla “Tesi di Cassiciacum” come è presentata da DR (= “Antitesi di Verrua”) nessun valore. Quanto a quella di p. Guérard, essa ha ben altro spessore. Infatti,
2°) mons. Guérard des Lauriers, nell’intervista rilasciata nel maggio 1987 a Sodalitium n° 13 e ristampata in Il problema dell’Autorità e dell’episcopato nella Chiesa, CLS, Verrua Savoia, 2005, insegna (contrariamente a DR) che:
Una delle due vie per dimostrare che Paolo VI non è formalmente papa, è quella che egli non aveva la volontà oggettiva di governare per il bene della Chiesa. “Gesù Cristo, istituendo la sua Chiesa come società umana visibile. (…) Una persona… che in seno ad una società, perseguirebbe abitualmente (…) l’annientamento del bene comune (…), una tale persona dunque non può essere l’autorità (…). Ora, in ogni società, l’esistenza stessa dell’autorità richiede di essere fondata sul proposito di realizzare il bene comune che è il fine della società” (pag. 35).
Ma, questa non-volontà di fare il bene della società ecclesiastica, lo rende una “persona fisica che ‘occupa’ almeno apparentemente la Sede episcopale di Roma” (p. 33).
Però, questa è esattamente la definizione di tiranno. Mons. Guérard aggiunge: “occupa la Sede in una maniera illegittima e sacrilega” (p. 34). Qui mons Guérard non parla del re temporale ma del papa-tiranno spirituale, che occupa la (santa) Sede con la ‘esse’ maiuscola, ma in maniera “sacrilega”, poiché la Sede è santa ed è il trono spirituale e, quindi, implicitamente egli fa un’analogia tra Papa e re (anche se sembrerebbe che affermi ogni tiranno – di titolo o di esercizio – è sempre illegittimo de jure et de facto. Mentre tutti gli scolastici fanno le dovute distinzioni.
Dunque, per mons. Guérard vi è analogia tra re-tiranno e papa-usurpatore.
Lo stesso si può dire per don Sanborn, che ne Il papato materiale, CLS, Verrua Savoia, 2002 (Sodalitium, nn° 47, 48, 49) giustamente paragona esplicitamente papa e re, infatti scrive: “L’Autorità considerata in concreto, cioè in un Papa o un re” (p. 38). Inoltre scrive: “L’autorità considerata concretamente consta di un elemento formale e di uno materiale. L’elemento formale dell’autorità è (…) il diritto di legiferare. In altre parole è il Papato stesso. L’elemento materiale (…) è l’uomo stesso che riceve questo diritto di legiferare. L’autorità in concreto, cioè il Papa o il re, nasce da questi due elementi” (p. 53).
3°) Quanto alla obiezione di DR secondo cui:
Il Papa è infallibile e il re no, perciò tra loro non vi è analogia.
Rispondo che, innanzitutto, la ragione ci dice che Dio è infinito, il sasso no, ma tra loro c’è analogia, quindi anche tra re e Papa sussiste l’analogia, pur se il Papa non è in-finito ma solo in-fallibile. Inoltre il papa è infallibilmente assistito, se manifesta chiaramente la sua volontà di obbligare a credere come rivelato (sotto pena di peccato) ciò che egli insegna.
Inoltre mons. Guérard, scrive: “L’occupante della Sede apostolica [il card. Montini, almeno dopo il 7 dicembre 1965] non è papa formaliter.
Quindi, mons. Guérard fa un’analogia tra papa occupante la santa Sede e re occupante il trono, indipendentemente dall’infallibilità, essendo l’analogia un rapporto tra due soggetti (p. es., Papa/re), in cui la dissomiglianza (infallibilità – soprannaturale - nella fede e morale) supera la somiglianza (governare una società – Chiesa/Stato - per il bene comune). Ecco, perché ritengo che la “Tesi di p. Guérard” sia stata mal presentata e applicata da alcuni “tesisti” tra i quali DR spicca, sino a trasformarla in un’ “Antitesi di Verrua”. Infatti la “Tesi di Cassiciacum” è fondata sull’analogia, ma l’ “Antitesi di Verrua” è presentata in maniera “univoca” da persone assai “equivoche” che non vogliono emendarsi, capita a tutti di sbagliare, ma non si può giustificare, a forza di sofismi, i propri errori. Certamente è difficile ammettere ‘mi son sbagliato’, ma quando se ne ha l’evidenza è necessario.
4°) Il Papa è “sovrano in senso spirituale, politico e temporale nello Stato del Vaticano. (…) Poiché la Chiesa è una società giuridicamente perfetta, ossia un membro della società internazionale, il suo Capo è sovrano anche in senso internazionale e politico” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di Teologia morale, Roma, Studium, 1955, voce “Pontefice”).
5°) Non ho mai negato l’elemento soprannaturale della Chiesa, ma «come i Docetisti e gli Gnostici negano l’esistenza del corpo fisico e reale di Cristo, così i Protestanti e Pneumatologi negano l’elemento visibile e giuridico-umano della Chiesa» (Hugo. Aemilius Lattanzi, De Ecclesia Societate atque Mysterio, Roma, Pontificia Università Lateranense, 1956 (1969), p. 378). Onde “Sodalitium” deve fare attenzione a non trascurare l’elemento umano della Chiesa, infatti lo stesso mons. Lattanzi spiega che «la Gerarchia è l’organo ordinario della salus animarum. Quindi senza il ministero della Gerarchia l’uomo non entra nella Chiesa» (Ibidem, p. 229). Inoltre «l’Autorità è causa formale della Chiesa, sua essenza o natura» (Ib., p. 234). S. Tommaso d’Aquino insegna che «il Vicario di Cristo non è per nulla accidentale, ma appartiene all’essenza del Corpo Mistico» (C. Gent., IV, c. 76). Onde: “La personalità della Chiesa Corpo Mistico di Cristo, non si può concepire senza un Capo visibile: San Pietro e il Papa attualmente regnante” (H. Clerissac, citato da Lattanzi a p. 390). Durante l’inter-regno che trascorre dopo la morte di un Papa e l’elezione del successivo, la Chiesa è retta collegialmente dai cardinali. Onde vi è una Gerarchia (materiale e formale) che governa la Chiesa “pro tempore”. Mentre nel caso della “Tesi di Cassiciacum” la Chiesa non ha Gerarchia ‘per nulla’, a partire dal 2005 (elezione di Benedetto XVI) e solo ‘materiale’ da (Pio XII/Giovanni XIII?) Paolo VI sino a Giovanni Paolo II. Ora il Papa è essenziale alla Chiesa, quindi la mancanza ‘totale’ di Autorità pontificia è incompatibile con la natura della Chiesa fondata da Cristo su Pietro sino alla fine del mondo e nel caso del “materialiter papa”, avremmo una successione puramente materiale che è come quella degli scismatici, la quale non salvaguarda l’apostolicità della Chiesa, che deve essere formale, è una sua nota e quindi la sua essenza. In entrambi i casi alla Chiesa mancherebbe la natura di Chiesa (sarebbe Chiesa pur non avendo la natura o l’essenza di Chiesa), il che è contraddittorio e assolutamente impossibile: “Una stessa cosa non può essere [Chiesa] e non essere [Chiesa] nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto” (principio di non contraddizione). Cfr. anche D.Composta, La Chiesa visibile, Roma, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1985, pp. 151, 440 e 441).
Uno scritto
Ora, “Sodalitium”, n° 62, riprende l’enunciato orale di DR e lo aggrava (si fieri potest) per iscritto. Infatti a pag. 26 (citando Pio XII) scrive giustamente: “La Chiesa pur avendo in comune con la società civile degli elementi sociali e giuridici (…), le è superiore per lo spirito soprannaturale”. (Questa è la definizione dell’analogia, si paragona Chiesa e Stato in quello che hanno “in comune” e si afferma la diversità che intercorre tra loro, essendo la Chiesa superiore, dacché sovrannaturale, allo Stato). Poi nella pagina seguente, l’articolista, scrive (de suo) erroneamente che la Chiesa: “Non può essere paragonata alla società civile”. Ecco di nuovo l’equivoco, negare l’analogia, anzi confondere l’analogo (somiglianza relativa o paragone tra Chiesa e Stato, quanto al fatto di essere società perfette) con l’univoco, identità assoluta tra Chiesa e Stato, che non sussiste e di cui mai ho parlato. Quello che stupisce è la facilità con cui ci si contraddice (“Chiesa e Stato hanno qualcosa in comune”, però “non possono essere paragonate”) non solo più oralmente in una conferenza, ma tra una pagina e la successiva, per iscritto, quindi dopo aver “riflettuto” e corretto. Inoltre, a pagina 28, nota n° 7, citando Maquart (Elementa philosophiae), si scrive giustamente che “l’analogo è un predicato che conviene a molti secondo una ragione essenzialmente diversa, tuttavia simile sotto un certo rapporto”. Ora come è possibile non accorgersi di contraddirsi, tre volte, nel corso di tre pagine? Quando si citano degli autori approvati (Maquart o Pio XII) si dice giusto, quando si parla da sé si erra. Bisognerebbe fermarsi un momento e riflettere seriamente, prima di parlare e scrivere, e poi tacere, astenersi e correggersi, infatti “errare è umano, ma perseverare diabolico”. Poi se fosse il caso di ignoranza, non ci si mette a “pontificare errando” soprattutto per iscritto e pubblicamente. Nulla è più disdicevole dell’ignoranza presuntuosa e arrogante.
L’equivoco continua, a p. 29 un altro valente articolista scrive che l’obiezione [analogia tra Stato e Chiesa] mossa contro “La Tesi” «immagina che la medesima cosa stia accadendo attualmente nella Chiesa». Nossignore, per definizione l’analogo non è identico o medesimo, ma sostanzialmente diverso e solo relativamente simile. L’identico o medesimo è univoco, non analogo. Vi è anche l’aggravante del voler perseverare nell’errore, infatti nel gennaio 2007, mandai in privato al direttore della rivista “Sodalitium” la prima parte di questo scritto, in cui cercavo di spiegare che nella predica dell’8 dicembre 2006 avevo fatto un’analogia e non un’identità (come lui mi aveva fatto dire, nella sua conferenza del 14 gennaio 2007) tra Chiesa e Stato, chiesi una risposta, pronto a correggermi se mi avesse dimostrato che mi ero sbagliato in qualcosa, mai essa è venuta, anzi la si ripresenta per iscritto un anno e mezzo dopo, tale e quale (“perseverare è diabolico”). L’articolista continua asserendo che l’obiezione dell’analogia tra Papa/principe: «Vuol dire attribuire alla Chiesa soprannaturale esattamente quelle cose che appartengono formalmente a una società umana e naturale». Nossignore, non ho mai obiettato l’esatta(mente) identità tra Chiesa e Stato.
►Inoltre si notano diverse altre contraddizioni in cui cade la rivista “Sodalitium” tra una pagina e la seguente, per esempio: La nuova preghiera del Venerdì Santo, promulgata da Benedetto XVI, a pag. 57 è presentata (sic et simpliciter) come la negazione dello stato di privazione di verità in cui si trova il giudaismo, mentre a p. 60 si scrive che: «La preghiera di Ratzinger è ancora intitolata “Per la conversione dei Giudei”, come lo era nel Messale del 1962». Ora, se qualche prelato (Kasper) ha cercato di interpretarla in senso escatologico, ciò che conta è la preghiera in sé come è stata promulgata da Benedetto XVI, ove se nel testo si potrebbe ravvisare un accenno alla fine dei tempi (Rom. XI, 26), nel titolo si scrive: “preghiamo [al presente] per la conversione dei Giudei”. Onde l’interpretazione di questa preghiera non può essere univoca: Solo escatologica, (ad esempio, i rabbini l’hanno intesa come significante lo stato attuale di errore in cui si trova ora Israele per il quale si prega adesso affinché si converta da esso. A chi obiettava che la preghiera è solo escatologica rabbi Riccardo Di Segni rispondeva: “adesso oltre ad essere ‘accecati’ noi ebrei saremmo pure ‘deficienti’…), ma deve essere sfumata e soprattutto bisognerebbe “accordare i violini” degli articolisti, altrimenti dal loro “Sodalizio” non ne esce una melodia, ma una cacofonia e diversamente da rabbi Di Segni potrebbero risultare oltre che ciechi anche “mancanti”...
►Infine vi sono degli equivoci che andrebbero chiariti: A p. 59, si scrive che il Messale Romano del 1962 è “sostanzialmente, anche se molto imperfettamente il Messale tradizionale». Ora se è sostanzialmente tradizionale è sostanzialmente buono e non lo si può rifiutare. Ma a p. 62, l’articolista spiega che il Messale del 1962 lo costrinse ad abbandonare la FSPX nel 1983, dacché lo si voleva obbligare a celebrare con esso e lui non lo poteva accettare. Allora significa che il Messale del 1962 non è neppure “molto imperfettamente” tradizionale, ma modernista e intrinsecamente cattivo? L’autore non si spiega sufficientemente e lascia aperta la porta all’equivoco. La sua frase è suscettibile di due diverse interpretazioni. Dovrebbe specificare. Soprattutto se si guardano col microscopio le ambiguità altrui (addirittura quelle di Pio XII, anche se si cerca – scorrettamente - di attribuirle a Bugnini, come fanno generalmente i modernisti, per evitare la negazione dell’autorità del Papa, la condanna e restare così nella Chiesa), altrimenti si rischia di “vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro e non la trave nel proprio”.
La Chiesa di cui parlano i “tesisti” è quella della pura ragione, rinchiusa nell’enunciato di un ‘sillogismo imperfetto’ e non quella reale e della storia.
Un ultimo appello
Rivolgo, quindi, un duplice appello:
1°) ai sacerdoti: Che siano un po’ più ‘sfumati’, senza condannare tutti quelli che non la pensano esattamente come loro; soltanto allora si potrà discutere con essi[1].
2°) ai fedeli (che si son lasciati abbagliare da tanto sfoggio di scienza apparente): Qualora i sacerdoti “tesisti” perseverassero in questo spirito di pretesa infallibilità (propria), fuggano poiché “se un cieco guida un altro cieco, entrambi cadono nella fossa”. Fuggite i falsi riformatori degli altri (e non di se stessi). Infatti le contraddizioni, gli equivoci, le falsificazioni scientemente volute, in cui cadono con perseveranza, li rendono evidentemente (ma non irreversibilmente) “guide cieche” e “mancanti”.
Velletri, 8 settembre 2008
--------------------------------------------------------------------------------
[1] San Pio X, il 29 giugno 1914, nel “Motu Proprio” (Doctoris Angelici), ordinava che la filosofia la quale si insegnava nei seminari e nelle università pontificie, dovesse porgere i principi della dottrina di s. Tommaso d’Aquino e che il testo degli studi ecclesiastici fosse la Somma Teologica. Ma alla domanda: “Quale è la vera dottrina tomista?” San Pio X rispose che essa si trovava condensata nelle XXIV Tesi del Tomismo, composte da p. Guido Mattiussi s. j., nell’inverno del 1914 e approvate dalla s. Sede il 27 luglio 1914. La Sacra Congregazione degli Studi e dei Seminari (febbraio 1916) definì le XXIV Tesi “regole sicure (tutae) di direzione intellettuale. Il papa Benedetto XV approvava (7. III. 1916) la decisione della S. Congregazione degli Studi e ordinò (nel 1922) a p. Edoardo Hugon o. p. di fare un commento in francese alle XXIV Tesi del Mattiussi (che le aveva già commentate in italiano). Papa Giacomo Dalla Chiesa le proponeva come “dottrina preferita dalla Chiesa, ma non le impose obbligatoriamente all’assenso interno”. (Cfr. p. R. Garrigou-Lagrange o. p. , Les 24 thèses th., in “Angelicum”,Roma, 1945 e in La Synthèse Thomiste, Paris, 1950. Padre T. S. Centi o. p. , La Somma Teologica. Introduzione generale, Firenze, 1950). Ora se le XXIV Tesi sono tutae (certe o sicure), la filosofia suareziana o quella scotista sono non certe e non sicure, ma la S. Sede non ha proibito di insegnarle pur mostrando la propria preferenza per la filosofia tomistica. Per quanto riguarda la differenza tra Suarezismo e Tomismo, cfr. p. Cornelio Fabro, Neotomismo e Suarezismo, (1941), EDIVI, Segni, 2005. Il filosofo dimostra comparando le due filosofie che tra esse vi è un’opposizione di contraddizione. Dunque o è vera l’una o l’altra. Ma la Chiesa pur avendo qualificato come certo il Tomismo lascia libertà al Suarezismo.
Ora non si può accusare s. Pio X, Benedetto XV di essere relativisti, eppure hanno saputo distinguere e sfumare per unire, senza confondere.
Mi sembra che la stessa attitudine dovrebbe animare, sul problema della mancanza (materiale/formale) o meno di Autorità nella Chiesa, i sacerdoti cattolici legati alla dottrina tradizionale della Chiesa. Senza dover gridare al relativismo o al liberalismo.
fonte: http://www.doncurzionitoglia.com/ANALOGIA.htm
RISPOSTA DI DON RICOSSA, v. sopra rif. :
“A quanto abbiamo detto si opporrebbe, più persone ce lo hanno segnalato, un testo di Mons. Guérard des Lauriers: “Una tale perpetuazione [della gerarchia puramente materiale] non è, ex se, impossibile. Essa richiede tuttavia delle consacrazioni episcopali certamente valide. E poiché il nuovo rito è dubbio, gli occupanti (della Sede Apostolica) ben presto non saranno più che delle comparse” (Il problema dell’Autorità e dell’episcopato nella Chiesa). Alcuni, “sedevacantisti” o “lefebvristi” (seppur con intenti opposti) ne deducono che se Benedetto XVI è una comparsa non è neppure ‘papa materialmente o in potenza’, onde la Tesi di Cassiciacum crollerebbe a favore della sede totalmente vacante. Sodalitium dovrebbe pertanto coerentemente o accettare la vacanza totale della sede Apostolica, oppure riconoscere la legittimità di Benedetto XVI, senza più poter sostenere la tesi materialiter/formaliter. A questa obiezione, abbiamo già risposto in questo articolo come pure in un precedente numero di Sodalitium (n. 58 p. 41). Cosa intende dire allora Mons. Guérard quando scrive che un tale eletto, dubbiosamente consacrato, sarebbe “una comparsa”? Notiamo che Mons. Guérard non scrive che tale eletto non sarebbe più ‘papa materialiter’, ma che sarebbe ‘una comparsa’, il che non è la stessa cosa. Di già, un ‘papa materialiter’ che pretende di esserlo anche ‘formaliter’ è, da questo punto di vista, ‘una comparsa’, pretendendo cioè di avere una autorità e una assistenza divina che non ha. Privo anche della consacrazione episcopale, tale eletto sarebbe ancora più comparsa, in quanto pretenderebbe essere Vescovo di Roma senza esserlo, non solo quanto al potere di giurisdizione, ma anche al potere d’ordine. Resterebbe tuttavia ‘papa materialiter’, per lo meno perché la Chiesa non ha provveduto altrimenti riguardo alla sua elezione, e perché è sempre possibile che l’eletto dal Conclave tolga gli ostacoli che gli impediscono – attualmente – di essere divinamente assistito. Nel caso di una auspicata benché per ora inverosimile decisione di Benedetto XVI o di un suo successore, di togliere ogni ostacolo, confermando i fratelli nella fede e, quindi, condannando gli errori moderni, si porrebbe inevitabilmente il problema della riforma liturgica e della validità dei nuovi riti sacramentali e, nel caso in cui la Chiesa dovesse pronunciarsi per l’invalidità del sacramento dell’ordine e della consacrazione episcopale conferita con i nuovi rituali, o del persistere del dubbio, l’eletto del Conclave non consacrato (o dubbiosamente consacrato) sarebbe, a tempo debito, consacrato (simpliciter o sub conditione), il che suppone che nella Chiesa sia rimasta e resti tuttora e sempre la trasmissione valida e lecita del sacerdozio e dell’episcopato. Mons. Guérard, pertanto, non voleva dichiarare sul punto di esaurirsi la Tesi di Cassiciacum per motivo del fatto che i nuovi riti del sacramento dell’Ordine e dell’Episcopato sono dubbiosamente validi, ma voleva solo – e lo conferma tutto il contesto di un articolo favorevole alle consacrazioni episcopali senza mandato romano nell’attuale situazione dell’autorità nella Chiesa - argomentare in favore di questa necessità: mantenere nella Chiesa la trasmissione non solo valida (il che è assicurato dai riti orientali) ma anche lecita e santa del sacerdozio e dell’episcopato, per la continuità della Missione di Gesù Cristo, della gerarchia ecclesiastica e dello stesso papato (material iter e, quindi, formaliter). In effetti, benché il potere d’ordine ed il potere di giurisdizione siano realmente distinti, e quindi possano di fatto essere separati; benché vi siano nella Chiesa degli Ordinari che non hanno ricevuto la consacrazione episcopale (Abati nullius, Vicari e Prefetti apostolici) ma hanno il potere di giurisdizione, e vescovi consacrati privi di ogni giurisdizione (come i vescovi titolari) resta tuttavia vero che la gerarchia è una sola, e che quindi, normalmente, il Vescovo riunisce in se il potere d’ordine e quello di giurisdizione; e benché la consacrazione episcopale non dia al Vescovo consacrato il potere di giurisdizione (come invece afferma il Vaticano II), gli conferisce una attitudine propria e una certa qual esigenza alla giurisdizione. Non è impossibile quindi che qualcuno abbia (in atto, o possa avere in potenza) il potere di giurisdizione senza l’Ordine episcopale, o abbia l’ordine episcopale senza alcuna giurisdizione (come anche i Vescovi consacrati senza mandato per continuare la “Missio”); sarebbe impossibile, però, perché contrario alla divina costituzione della Chiesa che l’episcopato comparisse del tutto nella Chiesa, sia quanto alla giurisdizione (e a questo proposito basta che vi sia la potenza anche senza l’atto) sia quanto all’Ordine (per cui sono necessarie delle consacrazioni episcopali certamente valide): ed è quanto Mons. Guérard des Lauriers voleva dimostrare. Quanto invece alla possibilità che l’eletto al papato possa non essere più ‘papa’ materialiter, Mons. Guérard des Lauriers si premurò, nell’articolo citato, di dare il criterio per poterlo affermare: “La persona fisica o morale che ha, nella Chiesa, qualità per dichiarare la vacanza TOTALE della Sede Apostolica è IDENTICA a quella che, nella Chiesa, ha qualità per provvedere alla provisione della stessa Sede Apostolica” (Sodalitium, n. 13, p. 20).
La “regola imperiosa ed evidente” ricordata da Mons. Guérard des Lauriers, perché si possa dichiarare che la sede Apostolica non è occupata materialiter non si è certo realizzata con l’elezione di Benedetto XVI o successivamente; essa infatti consiste in questo: l’occupante la sede Apostolica cesserà di essere ‘papa’ materialiter solo quando ci sarà un vero Papa (formaliter), lui stesso o un altro soggetto (eletto da chi, nella Chiesa, può farlo), al suo posto. Sempre Mons. Guérard des Lauriers (ivi) sostiene che persino nel caso in cui si dimostrasse che l’elezione del Conclave era invalida (per un obex che tocca gli elettori o l’eletto), tale eletto sarebbe ancora “almeno provvisoriamente ‘papa’ materialiter”, fino a quando cioè la persona fisica o morale abilitata nella Chiesa a farlo, non dichiarerà la nullità di questa elezione. È quindi evidente che, conforme al suo pensiero, anche oggi Mons. Guérard des Lauriers sosterrebbe che Benedetto XVI è ancora materialiter ‘papa’”.
La “regola imperiosa ed evidente” ricordata da Mons. Guérard des Lauriers, perché si possa dichiarare che la sede Apostolica non è occupata materialiter non si è certo realizzata con l’elezione di Benedetto XVI o successivamente; essa infatti consiste in questo: l’occupante la sede Apostolica cesserà di essere ‘papa’ materialiter solo quando ci sarà un vero Papa (formaliter), lui stesso o un altro soggetto (eletto da chi, nella Chiesa, può farlo), al suo posto. Sempre Mons. Guérard des Lauriers (ivi) sostiene che persino nel caso in cui si dimostrasse che l’elezione del Conclave era invalida (per un obex che tocca gli elettori o l’eletto), tale eletto sarebbe ancora “almeno provvisoriamente ‘papa’ materialiter”, fino a quando cioè la persona fisica o morale abilitata nella Chiesa a farlo, non dichiarerà la nullità di questa elezione. È quindi evidente che, conforme al suo pensiero, anche oggi Mons. Guérard des Lauriers sosterrebbe che Benedetto XVI è ancora materialiter ‘papa’”.
*********************************************************************************
Qualche giorno fa il sito Tertium non datur ha pubblicato lo scritto di un fedele, il Sig. Gaetano Accomando, il quale illustra i motivi per cui si è sentito in dovere di rigettare la così detta Tesi di Cassiciacum e la Messa non una cum, ossia la Messa celebrata non in comunione con Benedetto XVI. Mi permetto di fare qualche considerazione sopra i “motivi” portati dal Sig. Accomando, al fine di provare la loro debolezza ed inconsistenza. Lo farò nella forma della replica diretta, da fedele a fedele, con tutta la moderazione richiesta dalle mie limitate conoscenze. Nell’esporre le mie brevi osservazioni riporterò integralmente, benché per piccoli estratti, le critiche espresse dal Sig. Accomando, ricordando che esse possono essere lette in modo non frammentario dal sito che le ha pubblicate e che le ha fatte proprie al seguente indirizzo: TERTIUM NON DATUR: Cum Petro et sub Petro ! Reali motivi che mi portano a rigettare la ?tesi di cassiciacum? e la Messa ?non una cum?. .
Caro sig. Gaetano Accomando,
lei inizia l’esposizione del suo pensiero citando un luogo delle Sacre Scritture sopra il quale, a suo parere, si fonderebbe, almeno in certi casi, il diritto di disobbedire al Papa:
“Scrivo per mettere fine a critiche che mi vengono mosse, per ribadire con chiarezza la mia posizione, senza avere velleità di convincere nessuno né di polemizzare, ma per far uscire dalla “mia bocca” la reale posizione che si presume nessuno possa conoscere meglio di me. Mi viene detto:” se dici che è Papa, devi obbedirgli”. A questa affermazione rispondo che per conservare il bene comune e in certi limiti è lecito disobbedire e trovo questa possibilità nelle Sacre Scritture:
“Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: "Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei? Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno". Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo siamo trovati peccatori come gli altri, forse Cristo è ministro del peccato? Impossibile! Infatti se io riedifico quello che ho demolito, mi denuncio come trasgressore. In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano. (Gal. II, 11-21al. II, 11-21)
Quindi ne deduco che mi si possa contestare, non la disobbedienza in se, ma la disobbedienza “abituale”, termine che in teologia non saprei consa significhi, non credo abbia valore alcuno”.
È davvero sicuro che questo passo della Lettera ai Galati legittimi l’idea per cui, almeno in certi casi, è lecito disobbedire al Papa? So che molti lefebvriani utilizzano queste righe di San Paolo per giustificare la loro insubordinazione a colui che ritengono essere il Papa (oggi Benedetto XVI), trascorrendo la loro vita nella “resistenza” esercitata contro il Vicario di Cristo e rifiutando insegnamenti, riti sacramentali, leggi e comandi da lui provenienti (altro che sedevacantismo). Penso quindi che sia utile, per lei e per loro, ricordare che secondo grandi Santi, teologi ed esegeti la condotta di Paolo non costituisce un sommo ed apostolico esempio di disobbedienza al primo Papa da cui dedurre il principio (nefastissimo) per cui è lecito, seppur entro certi limiti, disobbedire al Vicario di Cristo. Certamente si discosta da una simile interpretazione l’abate Ricciotti che nel suo San Paolo Apostolo, dopo la consueta e ferratissima ricostruzione dei fatti, sbriciola le tesi pro-disobbedienza (di origine perlopiù protestante), affermando chiaramente:
“L'errore contestato da Paolo a Pietro fu un errore di condotta pratica non di dottrina, come vide già Tertulliano sentenziando col suo stile tacitiano: Conversationis fuit vitium, non praedicationis (De praescr., 23). Pietro non aveva rinnegato nessuno dei principii dottrinali stabiliti nel concilio di Gerusalemme; tuttavia in pratica non si comportava conforme ad essi, credendo in buona fede di evitare con quel suo contegno urti e contrasti. Gli antichi protestanti che adducevano l'episodio di Antiochia come prova della fallibilità dottrinale del papa di Roma cadevano in un palese errore storico; per di più confondevano l'infallibilità del maestro che insegna con l'impeccabilità del cristiano che opera, ignorando forse anche che il papa di Roma si confessa dei suoi peccati ed errori come qualunque altro cristiano cattolico” (Giuseppe Ricciotti, San Paolo Apostolo, 1946, § 368).
Non insisto sul punto, anche perché lei scrive più per criticare la Tesi di Cassiciacum, che per mostrare la fondatezza della sua posizione, che peraltro non conosco. Sappia comunque che la gravità della disobbedienza all’Autorità Pontificia, praticata da molti cattolici detti tradizionalisti, non sta nel carattere abituale della disobbedienza (il quale di certo connota in senso peggiorativo la loro resistenza), ma nella disobbedienza all’Autorità in sè, anche non abituale. Celebre è l’ammonimento di Bonifacio VIII:
"Noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Pontefice di Roma" (Bolla Unam Sanctam).
Ma se ne potrebbero citare moltissimi, perché la virtù dell’obbedienza è vitale nel sistema cattolico.
Prima di esprimere le sue critiche alla Tesi lei avanza un diretto rimprovero ai sacerdoi tesisti sul quale vorrei dire una parola. Dichiara:
“Va pure sottolineato che i “tesisti” riconosco Papa simpliciter Giovanni XXIII che ha promulgato infallibilmente il messale del 1962, ma non lo utilizzano (gallicanesimo occulto)”.
L’accusa di gallicanesimo nei confronti di questi sacerdoti è davvero gratuita e del tutto infondata. (Alcuni di) Essi si limitano ad applicare il principio di epicheia di fronte ad alcune riforme liturgiche approvate non solo da Giovanni XXIII, ma anche da Pio XII. L’applicazione di questo principio non ha nulla a che fare con la Tesi di Cassiciacum (un sacerdote può essere tesista e utilizzare il messale roncalliano), con la disobbedienza (di qualsivoglia natura: gallicana, protestante o lefebvriana) alla più alta Autorità della Chiesa o con la negazione del dogma dell’infallibilità pontificia. Il clero che, in questi anni di sede vacante, e a causa della situazione ecclesiale che è venuta a crearsi (non dunque a causa delle riforme in sé considerate) preferisce celebrare con il Messale precedente alle riforme liturgiche di Pio XII non attribuisce alla Chiesa o al Papa l’approvazione di una legge nociva, né compie verso il Papato alcun atto di disobbedienza.
Affinché lei possa capire la scelta di questi sacerdoti, caro sig. Accomando, mi permetto di indicarle quanto scrisse don Francesco Ricossa a chi gli chiedeva delucidazioni sul punto. Perdonerà il carattere colloquiale e informale delle parole di don Ricossa. Esso è dovuto al fatto che in quell’occasione egli non stava redigendo un articolo scientifico, ma stava semplicemente rispondendo a dei quesiti posti da alcuni fedeli all’interno di una mailinglist. Ecco cosa dice don Ricossa:
“2) La questione di seguire o meno le riforme liturgiche precedenti questa data (riforma delle rubriche e della settimana Santa sotto Pio XII; riforma delle rubriche sotto Giovanni XXIII; riforma liturgica di Paolo VI prima del N.O.M.) esula dalla questione della vacanza della Sede in genere e della Tesi di Cassiciacum in specie. Vi sono sacerdoti che aderiscono a questa Tesi e che adottano queste riforme (almeno quelle di Giovanni XXIII) ed altri, come quelli dell'Istituto, che non le applicano.
3) Una disciplina promulgata o anche solo autorizzata dalla Santa Sede e da un legittimo pontefice non può essere in se e per se cattiva, nociva, dannosa per le anime; questo vale anche per le rubriche liturgiche. Ciò non impedisce che si possa pensare prudentemente che una disciplina in vigore non possa e non debba essere eventualmente corretta dalla competente autorità, o essere stata poco opportuna, o diventare in determinate circostanze (per accidens) nociva.
4) I motivi che mi fanno pensare che le riforme liturgiche pre-conciliari pongano attualmente dei problemi li ho esposti ad esempio in Sodalitium, n. 11, pp. 8 ss, giugno 1986. Nella traduzione francese dell'articolo è stata aggiunta la spiegazione dei principi in base ai quali non seguiamo queste riforme. Proverò a riassumerli.
5) Durante il pontificato di Pio XII, e anche quello di Giovanni XXIII (fino a prova del contrario) ogni sacerdote cattolico avrebbe dovuto accettare con obbedienza le riforme liturgiche da loro promulgate. E' quello che avrei fatto pur io. Queste riforme sono per se ancora cattoliche, e non sono in se cattive, nocive ecc. Questo avrebbe impedito ai medesimi sacerdoti, secondo la loro competenza in materia, di esprimere rispettosi dubbi sull'opportunità di queste riforme ed auspicare una riforma della riforma. Il fatto però che le riforme in questione erano promulgate dalla legittima autorità, fedele all'ortodossia cattolica, era più che sufficiente per tranquillizzare il clero ed i fedeli.
6) Queste riforme, essendo state promulgate dalla legittima autorità, sono ancora in vigore come legge liturgica della Chiesa.
7) Tuttavia, il Concilio Vaticano II e le successive riforme liturgiche hanno dimostrato che è in atto un tentativo di distruggere l'ortodossia della fede e la liturgia cattolica. Alcuni promotori di questa distruzione - ad esempio in campo liturgico - come Padre Annibale Bugnini, principale autore materiale delle riforme pre e post-conciliari, hanno dichiarato che la loro intenzione, già prima del Concilio, era quella di operare, a piccoli passi, la riforma liturgica post-conciliare che è per noi inaccettabile e che non può venire dalla Chiesa. Naturalmente Pio XII (ed eventualmente Giovanni XXIII) non poteva immaginare un tale tradimento della sua fiducia e uno svelamento di queste intenzioni. Quanto affermato in questo punto è un FATTO storico.
8) Ne segue che la situazione attuale è totalmente diversa da quella di prima del Concilio, sotto il glorioso pontificato di Pio XII. Allora regnava Pio XII, legittimo Papa. Oggi la Sede è formaliter vacante. Allora vigeva la fede cattolica ortodossa. Oggi una "autorità" illegittima divulga o lascia divulgare l'eresia. Allora la sede Apostolica difendeva i retti principi liturgici. Oggi vige la riforma post-conciliare.Allora non si immaginava e si poteva difficilmente immaginare che i liturgisti della Commissione per la riforma liturgica avevano in buona parte l'intenzione di distruggere la liturgia romana. Oggi lo sappiamo, ce lo hanno detto, e lo hanno fatto.
9) Tutti i moralisti cattolici insegnano che esiste una virtù (l'epicheia o equità; cf II-II, q. 120) che permette di non applicare la lettera di una legge positiva, quando questa legge in determinate circostanze diventa (per accidens, non per se) nociva, e contraria, di fatto, all'intenzione del legislatore, e questo quando non è possibile ricorrere al legislatore (in questo caso assente, data la vacanza della Sede Apostolica).
10) A nostro parere è questo il caso delle riforma liturgiche preconciliari promulgate da una legittima autorità, è vero, ma preparate da liturgisti che si sono in seguito smascherati essi stessi come modernisti. In questo clima di rivoluzione liturgica è permesso, applicando prudentemente l'epicheia, non mettere in pratica delle riforme liturgiche in se ortodosse ma attualmente per accidens rivelatesi preparatorie (nella mente dei liturgisti responsabili, non del Papa) alla distruzione della liturgia cattolica. Ciò facendo non si soddisfa alla lettera della legge, è vero, ma si pensa interpretare correttamente l'intenzione del legislatore, che non può essere che per il bene della Chiesa. Ammettiamo che altri invece preferiscano seguire la lettera della legge ed applicare dette riforme.
11) Quando, a Dio piacendo, tornerà l'ordine nella Chiesa e una legittima autorità, saremo pronti ad accettare ed applicare queste riforme liturgiche o altre, se detta autorità lo chiederà, pur auspicando però la loro brogazione”.
3) Una disciplina promulgata o anche solo autorizzata dalla Santa Sede e da un legittimo pontefice non può essere in se e per se cattiva, nociva, dannosa per le anime; questo vale anche per le rubriche liturgiche. Ciò non impedisce che si possa pensare prudentemente che una disciplina in vigore non possa e non debba essere eventualmente corretta dalla competente autorità, o essere stata poco opportuna, o diventare in determinate circostanze (per accidens) nociva.
4) I motivi che mi fanno pensare che le riforme liturgiche pre-conciliari pongano attualmente dei problemi li ho esposti ad esempio in Sodalitium, n. 11, pp. 8 ss, giugno 1986. Nella traduzione francese dell'articolo è stata aggiunta la spiegazione dei principi in base ai quali non seguiamo queste riforme. Proverò a riassumerli.
5) Durante il pontificato di Pio XII, e anche quello di Giovanni XXIII (fino a prova del contrario) ogni sacerdote cattolico avrebbe dovuto accettare con obbedienza le riforme liturgiche da loro promulgate. E' quello che avrei fatto pur io. Queste riforme sono per se ancora cattoliche, e non sono in se cattive, nocive ecc. Questo avrebbe impedito ai medesimi sacerdoti, secondo la loro competenza in materia, di esprimere rispettosi dubbi sull'opportunità di queste riforme ed auspicare una riforma della riforma. Il fatto però che le riforme in questione erano promulgate dalla legittima autorità, fedele all'ortodossia cattolica, era più che sufficiente per tranquillizzare il clero ed i fedeli.
6) Queste riforme, essendo state promulgate dalla legittima autorità, sono ancora in vigore come legge liturgica della Chiesa.
7) Tuttavia, il Concilio Vaticano II e le successive riforme liturgiche hanno dimostrato che è in atto un tentativo di distruggere l'ortodossia della fede e la liturgia cattolica. Alcuni promotori di questa distruzione - ad esempio in campo liturgico - come Padre Annibale Bugnini, principale autore materiale delle riforme pre e post-conciliari, hanno dichiarato che la loro intenzione, già prima del Concilio, era quella di operare, a piccoli passi, la riforma liturgica post-conciliare che è per noi inaccettabile e che non può venire dalla Chiesa. Naturalmente Pio XII (ed eventualmente Giovanni XXIII) non poteva immaginare un tale tradimento della sua fiducia e uno svelamento di queste intenzioni. Quanto affermato in questo punto è un FATTO storico.
8) Ne segue che la situazione attuale è totalmente diversa da quella di prima del Concilio, sotto il glorioso pontificato di Pio XII. Allora regnava Pio XII, legittimo Papa. Oggi la Sede è formaliter vacante. Allora vigeva la fede cattolica ortodossa. Oggi una "autorità" illegittima divulga o lascia divulgare l'eresia. Allora la sede Apostolica difendeva i retti principi liturgici. Oggi vige la riforma post-conciliare.Allora non si immaginava e si poteva difficilmente immaginare che i liturgisti della Commissione per la riforma liturgica avevano in buona parte l'intenzione di distruggere la liturgia romana. Oggi lo sappiamo, ce lo hanno detto, e lo hanno fatto.
9) Tutti i moralisti cattolici insegnano che esiste una virtù (l'epicheia o equità; cf II-II, q. 120) che permette di non applicare la lettera di una legge positiva, quando questa legge in determinate circostanze diventa (per accidens, non per se) nociva, e contraria, di fatto, all'intenzione del legislatore, e questo quando non è possibile ricorrere al legislatore (in questo caso assente, data la vacanza della Sede Apostolica).
10) A nostro parere è questo il caso delle riforma liturgiche preconciliari promulgate da una legittima autorità, è vero, ma preparate da liturgisti che si sono in seguito smascherati essi stessi come modernisti. In questo clima di rivoluzione liturgica è permesso, applicando prudentemente l'epicheia, non mettere in pratica delle riforme liturgiche in se ortodosse ma attualmente per accidens rivelatesi preparatorie (nella mente dei liturgisti responsabili, non del Papa) alla distruzione della liturgia cattolica. Ciò facendo non si soddisfa alla lettera della legge, è vero, ma si pensa interpretare correttamente l'intenzione del legislatore, che non può essere che per il bene della Chiesa. Ammettiamo che altri invece preferiscano seguire la lettera della legge ed applicare dette riforme.
11) Quando, a Dio piacendo, tornerà l'ordine nella Chiesa e una legittima autorità, saremo pronti ad accettare ed applicare queste riforme liturgiche o altre, se detta autorità lo chiederà, pur auspicando però la loro brogazione”.
E veniamo alle critiche alla Tesi di Cassiciacum. Lei afferma:
“Adesso do (per assurdo ovviamene) di trovarmi nella situazione di papato puramente materiale, anche se con l’attuale Pontefice mi risulta un po’ arduo, visto le dichiarazioni pubbliche di chi la “tesi” l’ha scritta. Infatti p. Guérard des Lauriers riteneva che chi fosse stato eletto papa, ma fosse stato consacrato vescovo col nuovo rito, lui e i suoi successori sarebbero: “pure comparse di papi” (Il problema dell’Autorità e dell’episcopato nella Chiesa, Verrua Savoia, CLS, 2005, p. 37).Va notato che una “pura comparsa” non è neppure “papa materialmente o in potenza”.
Non so se ne sia a conoscenza o meno, ad ogni modo, Sodalitium ha già risposto a questa critica alla Tesi. Tra coloro che l’hanno sollevata in Italia c’è don Curzio Nitoglia, ex membro dell’IMBC, ora riavvicinatosi alle posizioni lefebvriste. La risposta all’obiezione di don Nitoglia è apparsa sul n° 63 di Sodalitium per la penna di don Ricossa (pp. 51-52):
“A quanto abbiamo detto si opporrebbe, più persone ce lo hanno segnalato, un testo di Mons. Guérard des Lauriers: “Una tale perpetuazione [della gerarchia puramente materiale] non è, ex se, impossibile. Essa richiede tuttavia delle consacrazioni episcopali certamente valide. E poiché il nuovo rito è dubbio, gli occupanti (della Sede Apostolica) ben presto non saranno più che delle comparse” (Il problema dell’Autorità e dell’episcopato nella Chiesa). Alcuni, “sedevacantisti” o “lefebvristi” (seppur con intenti opposti) ne deducono che se Benedetto XVI è una comparsa non è neppure ‘papa materialmente o in potenza’, onde la Tesi di Cassiciacum crollerebbe a favore della sede totalmente vacante. Sodalitium dovrebbe pertanto coerentemente o accettare la vacanza totale della sede Apostolica, oppure riconoscere la legittimità di Benedetto XVI, senza più poter sostenere la tesi materialiter/formaliter. A questa obiezione, abbiamo già risposto in questo articolo come pure in un precedente numero di Sodalitium (n. 58 p. 41). Cosa intende dire allora Mons. Guérard quando scrive che un tale eletto, dubbiosamente consacrato, sarebbe “una comparsa”? Notiamo che Mons. Guérard non scrive che tale eletto non sarebbe più ‘papa materialiter’, ma che sarebbe ‘una comparsa’, il che non è la stessa cosa. Di già, un ‘papa materialiter’ che pretende di esserlo anche ‘formaliter’ è, da questo punto di vista, ‘una comparsa’, pretendendo cioè di avere una autorità e una assistenza divina che non ha. Privo anche della consacrazione episcopale, tale eletto sarebbe ancora più comparsa, in quanto pretenderebbe essere Vescovo di Roma senza esserlo, non solo quanto al potere di giurisdizione, ma anche al potere d’ordine. Resterebbe tuttavia ‘papa materialiter’, per lo meno perché la Chiesa non ha provveduto altrimenti riguardo alla sua elezione, e perché è sempre possibile che l’eletto dal Conclave tolga gli ostacoli che gli impediscono – attualmente – di essere divinamente assistito. Nel caso di una auspicata benché per ora inverosimile decisione di Benedetto XVI o di un suo successore, di togliere ogni ostacolo, confermando i fratelli nella fede e, quindi, condannando gli errori moderni, si porrebbe inevitabilmente il problema della riforma liturgica e della validità dei nuovi riti sacramentali e, nel caso in cui la Chiesa dovesse pronunciarsi per l’invalidità del sacramento dell’ordine e della consacrazione episcopale conferita con i nuovi rituali, o del persistere del dubbio, l’eletto del Conclave non consacrato (o dubbiosamente consacrato) sarebbe, a tempo debito, consacrato (simpliciter o sub conditione), il che suppone che nella Chiesa sia rimasta e resti tuttora e sempre la trasmissione valida e lecita del sacerdozio e dell’episcopato. Mons. Guérard, pertanto, non voleva dichiarare sul punto di esaurirsi la Tesi di Cassiciacum per motivo del fatto che i nuovi riti del sacramento dell’Ordine e dell’Episcopato sono dubbiosamente validi, ma voleva solo – e lo conferma tutto il contesto di un articolo favorevole alle consacrazioni episcopali senza mandato romano nell’attuale situazione dell’autorità nella Chiesa - argomentare in favore di questa necessità: mantenere nella Chiesa la trasmissione non solo valida (il che è assicurato dai riti orientali) ma anche lecita e santa del sacerdozio e dell’episcopato, per la continuità della Missione di Gesù Cristo, della gerarchia ecclesiastica e dello stesso papato (material iter e, quindi, formaliter). In effetti, benché il potere d’ordine ed il potere di giurisdizione siano realmente distinti, e quindi possano di fatto essere separati; benché vi siano nella Chiesa degli Ordinari che non hanno ricevuto la consacrazione episcopale (Abati nullius, Vicari e Prefetti apostolici) ma hanno il potere di giurisdizione, e vescovi consacrati privi di ogni giurisdizione (come i vescovi titolari) resta tuttavia vero che la gerarchia è una sola, e che quindi, normalmente, il Vescovo riunisce in se il potere d’ordine e quello di giurisdizione; e benché la consacrazione episcopale non dia al Vescovo consacrato il potere di giurisdizione (come invece afferma il Vaticano II), gli conferisce una attitudine propria e una certa qual esigenza alla giurisdizione. Non è impossibile quindi che qualcuno abbia (in atto, o possa avere in potenza) il potere di giurisdizione senza l’Ordine episcopale, o abbia l’ordine episcopale senza alcuna giurisdizione (come anche i Vescovi consacrati senza mandato per continuare la “Missio”); sarebbe impossibile, però, perché contrario alla divina costituzione della Chiesa che l’episcopato comparisse del tutto nella Chiesa, sia quanto alla giurisdizione (e a questo proposito basta che vi sia la potenza anche senza l’atto) sia quanto all’Ordine (per cui sono necessarie delle consacrazioni episcopali certamente valide): ed è quanto Mons. Guérard des Lauriers voleva dimostrare. Quanto invece alla possibilità che l’eletto al papato possa non essere più ‘papa’ materialiter, Mons. Guérard des Lauriers si premurò, nell’articolo citato, di dare il criterio per poterlo affermare: “La persona fisica o morale che ha, nella Chiesa, qualità per dichiarare la vacanza TOTALE della Sede Apostolica è IDENTICA a quella che, nella Chiesa, ha qualità per provvedere alla provisione della stessa Sede Apostolica” (Sodalitium, n. 13, p. 20).
La “regola imperiosa ed evidente” ricordata da Mons. Guérard des Lauriers, perché si possa dichiarare che la sede Apostolica non è occupata materialiter non si è certo realizzata con l’elezione di Benedetto XVI o successivamente; essa infatti consiste in questo: l’occupante la sede Apostolica cesserà di essere ‘papa’ materialiter solo quando ci sarà un vero Papa (formaliter), lui stesso o un altro soggetto (eletto da chi, nella Chiesa, può farlo), al suo posto. Sempre Mons. Guérard des Lauriers (ivi) sostiene che persino nel caso in cui si dimostrasse che l’elezione del Conclave era invalida (per un obex che tocca gli elettori o l’eletto), tale eletto sarebbe ancora “almeno provvisoriamente ‘papa’ materialiter”, fino a quando cioè la persona fisica o morale abilitata nella Chiesa a farlo, non dichiarerà la nullità di questa elezione. È quindi evidente che, conforme al suo pensiero, anche oggi Mons. Guérard des Lauriers sosterrebbe che Benedetto XVI è ancora materialiter ‘papa’”.
La “regola imperiosa ed evidente” ricordata da Mons. Guérard des Lauriers, perché si possa dichiarare che la sede Apostolica non è occupata materialiter non si è certo realizzata con l’elezione di Benedetto XVI o successivamente; essa infatti consiste in questo: l’occupante la sede Apostolica cesserà di essere ‘papa’ materialiter solo quando ci sarà un vero Papa (formaliter), lui stesso o un altro soggetto (eletto da chi, nella Chiesa, può farlo), al suo posto. Sempre Mons. Guérard des Lauriers (ivi) sostiene che persino nel caso in cui si dimostrasse che l’elezione del Conclave era invalida (per un obex che tocca gli elettori o l’eletto), tale eletto sarebbe ancora “almeno provvisoriamente ‘papa’ materialiter”, fino a quando cioè la persona fisica o morale abilitata nella Chiesa a farlo, non dichiarerà la nullità di questa elezione. È quindi evidente che, conforme al suo pensiero, anche oggi Mons. Guérard des Lauriers sosterrebbe che Benedetto XVI è ancora materialiter ‘papa’”.
Torniamo alle sue contestazioni. Lei prosegue esponendo la classica obiezione riguardante l’indefettibilità della Chiesa:
“Il 21 giugno 1963 Paolo VI viene eletto Papa e riconosciuto tale da tutta la Chiesa sparsa nel mondo. Questo dato è evidente e incontestabile. Quindi se la Chiesa non era quella che lo riconobbe dov’era? Qui entra in gioco il dogma d’indefettibilità della Chiesa, essa sarebbe dovuta sussistere altrove ma dove?Do per assurdo che qualche sofisma mi possa aver convinto che sussisteva altrove (dove dovrebbe secondo i tesisti sussistere ancora), ma questa Chiesa ha le caratteristiche di quella fondata da Nostro Signore Gesù Cristo? Il catechismo c’insegna che:” 184. La Chiesa docente e la Chiesa discente sono due parti distinte di una sola e medesima Chiesa come nel corpo umano il capo è distinto dalle altre membra e tuttavia forma con esse un corpo solo. 185. Di chi si compone la Chiesa docente? La Chiesa docente si compone di tutti i Vescovi con a capo il Romano Pontefice, sia che si trovino dispersi, sia che si trovino congregati in Concilio.” Dato ciò che la Chiesa m’insegna (con autorità suprema!), non posso vedere come ragionevole, la possibilità che sussista una Chiesa priva di autorità, infatti se attualmente perdurerebbe nei Vescovi “dissidenti” si troverebbe sprovvista sia della parte docente (non avendo questi giurisdizione), e sarebbe manchevole e dissimile da quella fondata da N.S. Gesù Cristo. Va notato che sarebbe impossibile trovare neppure la “Chiesa monca” fino alla nascita di correnti sedevacantiste. Non so datare quando queste sono sorte ma si conviene che il primo libro che fa questa svolta risale al 1973 (sedevacante, del gesuita messicano Sáenz y Arriaga). Dovrei credere che a differenza della promessa di N.S. Gesù Cristo: “Io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”(Matteo 16:18), , avendo Paolo VI la totale comunione dei Cattolici, che per questo lasso di tempo la Chiesa non ci fosse affatto”.
Astraggo dall’aspetto secondario dato dal fatto che la data di riferimento, per la Tesi, sia quella di approvazione del Vaticano II e non, invece, la data di elezione di Montini. E vengo al dunque.
Il Papato continua a sussistere anche senza un Papa (quindi senza autorità pontificia) in atto. Ciò accade in ogni periodo di vacanza della Sede Apostolica. E questo principio riguarda anche la Chiesa docente poiché, come esattamente dice l’insegnamento del catechismo che lei stesso riporta, “la Chiesa docente si compone di tutti i Vescovi del mondo con a capo il Romano Pontefice”. Anche un episcopato privo del potere di giurisdizione (e durante un periodo di Sede vacante) non cessa di esistere finché – conservato e salvaguardato il potere d’ordine – è possibile la legale designazione dei vescovi.
Le faccio notare che negli ordinari periodi di Sede vacante, i quali a dire di ottimi teologi possono perdurare anche per lungo tempo, non sussiste in atto alcun potere di giurisdizione universale (come quello che solo il Papa può avere), ma unicamente il potere di giurisdizione di ciascun vescovo all’interno della propria diocesi. Il che ci rende manifesto quanto in tali periodi la Chiesa sia veramente priva di Autorità, pur continuando ad esistere, e quanto l’episcopato si fondi sul Primato (cf. Sodalitium 56, p. 23).
Ciò che è impossibile non è che manchi in atto il potere di giurisdizione, bensì che manchi nella Chiesa il potere di eleggere il Papa, fonte di ogni giurisdizione presente sulla terra. Come dice il card. Gaetano: “Impossibile est Ecclesiam relinqui absque Papa et potestate electiva Papæ" (È impossibile che la Chiesa sia lasciata senza il Papa e senza il potere di eleggere il Papa) (De comparatione, 1511).
Il profilo problematico (che costituisce un’eccezione a tutto ciò), semmai, riguarda quella dottrina comunemente accolta dai teologi e, ciò che è ben più importante, professata dallo stesso Magistero per cui dei legittimi pastori sussisteranno sino alla fine del mondo. Nei testi del Concilio Vaticano I si legge che Gesù Cristo “volle che nella sua Chiesa vi fossero dottori e pastori fino alla fine del mondo”. L’interpretazione più restrittiva sembrerebbe richiedere la costante presenza sulla terra di almeno due vescovi con potere di giurisdizione.
È indubbiamente vero che la Chiesa docente non sussiste né nei vescovi che condividono la Tesi di Cassiciacum, i quali sanno di non possedere il potere apostolico di giurisdizione e giustamente non pongono in essere atti che interessano questo potere, né nei vescovi lefebvriani, i quali invece si attribuiscono ingiustamente – ed attentando alla divina costituzione della Chiesa – una giurisdizione che non hanno (ad esempio attraverso l’istituzione di tribunali canonici per la dichiarazione di nullità dei matrimoni).
Dove si trova dunque la Chiesa docente? Di certo, non nel così detto "episcopato conciliare", perché essa può sussistere solo in coloro che con autorità professano integralmente la vera dottrina di Gesù Cristo. Spiega il catechismo di San Pio X:
161. Perché la Chiesa si chiama inoltre Apostolica? La vera Chiesa si chiama inoltre Apostolica, perché rimonta senza interruzione fino agli Apostoli; perché crede ed insegna tutto ciò che hanno creduto e insegnato gli Apostoli; e perché è guidata e governata dai loro legittimi successori.
Lei dice ancora:
“A differenza dei sedevacantisti totalisti, i “tesisti” constatano la vacanza della santa sede con un giudizio privato, riconoscendo che le loro dichiarazioni anche se pubbliche non hanno valore nei confronti della Chiesa, mentre i “totalsti” presumo di avere quest’autorità direttamente da Dio, l’incuniugabilità delle due correnti, esclude l’una dall’altra dal far parte della Chiesa che sussisterebbe. La discendenza apostolica dei tesisti è garantita (come anche la sopravvivenza sacramentale)dalle consacrazioni fatte dall’ arcivescovo vietnamita, Pierre Martin Ngô Đình Thục, che oltre a persone stimabili e degne di rispetto ha consacrato “vescovi” anche Clemente Domínguez y Gómez (1976), che più tardi si autoproclamò “papa” col nome di Gregorio XVII, Jean Laborie (1977) veterocattolico da sempre che fondò la Chiesa Cattolica Latina di Tolosa, Cristian Datessen (1982) anch’egli veterocattolico, capo dell’Unione delle Petites Eglises , e capostipide di una genealogia di vescovi scismatici e a volte pure gnostici. Questa presunta Chiesa come conserverebbe la sua visibilità? L’ apostolicità e la visibilità della Chiesa, sono state date da Cristo alla sua Sposa, affinché i fedeli possano facilmente seguire il suo insegnamento, riconoscerla e distinguerla senza difficoltà dalle sette’ (cfr. “D. Th. C”., col. 2143)”.
L’apostolicità della Chiesa concerne non solo la successione, ma anche la dottrina. La Chiesa per essere apostolica deve professare integralmente la vera dottrina degli Apostoli. Cosa che non si verifica con la “chiesa conciliare”.
Affronta poi la questione della Messa. E dichiara:
“L’offerta pubblica del sacrificio durerà ininterrottamente fino alla fine dei tempi, essa non può venir meno neppure un giorno può essere limitata ma mai non verificarsi totalmente (conf. 1 Cor 11,26). Il mio rifiuto totale per la Messa “non una cum” si basa dalle ragioni stesse che portano i sacerdoti che seguono questa “tesi” a celebrare così, infatti p. Guérard des Lauriers in (sodalituim, n. 36,p 77)diceva ”citare Giovanni Paolo II al “Te Igitur” della santa Messa vuol dire commettere oggettivamente e ineluttabilmente il doppio delitto di sacrilegio e di scisma capitale, e ciò avvenisse indipendentemente dall’intenzione di chi celebra o di chi assiste”. (noto che sul sito dell’I.M.B.C. questo numero è mancante di questa pagina e che arriva fino a pag. 75. La mia citazione è presa letteralmente da “la Tradizione Cattolica n. 52 pag.40).Quindi seguendo letteralmente l’autore della tesi dovrei credere che una delle due celebrazioni, abbia le caratteristiche di sacrilegio e di scisma capitale, Tertium non datur! Per prendere in considerazione che l’ “ Oblazio Munda” (offerta del Sacrificio Purissimo) sia quello offerto dai sacerdoti tesisti, dovrei sapere con certezza che dal 21 giugno 1963 (data per loro incontrovertibile visto che sostengono Paolo VI Papa solo materialmente e non formalmente) questo Santo Sacrificio sia stato perpetrato. Ma da chi? Se tutta la Chiesa è restata in comunione per anni! Dovrei constatare volente o dolente (prendendo per buona questa tesi), che S. Pio da Pietralcina (morto nel 1968) avrebbe trascinato le folle a celebrazioni sacrileghe e scismatice! Non mi è dato sapere dove potesse continuare(il Sacrificio purissimo), visto che p. Guérard des Lauriers stesso rimase in comunione col Papa, per poi (15 anni) esporre la sua “tesi””.
Il numero 36 di Sodalitium non è mancante della pagina dove è illustrato il pensiero di p. Guérard sulla Messa “una cum”. Ho controllato sia il numero riportato in formato pdf sul sito dell’Istituto Mater Boni Consilii, sia l’edizione cartacea. La sua confusione nasce dal fatto che l’edizione cartacea contiene – a metà rivista – un servizio fotografico su Giovanni Paolo II non riportato invece nel formato pdf dello stesso numero. Ma il pensiero di p. Guérard cui lei fa riferimento è presente in modo identico in entrambe le edizioni ed è il seguente (cf. Sodalitium 36, p. 69 dell’edizione pdf e p. 77 dell’edizione cartacea):
“Mons. Guérard des Lauriers diceva che citare Giovanni Paolo II al “Te Igitur” della santa Messa vuol dire commettere oggettivamente ed ineluttabilmente il doppio delitto di sacrilegio e di scisma capitale, e ciò avviene indipendentemente dall’intenzione soggettiva di chi celebra o di chi assiste”.
Quanto dice p. Guérard sulle Messe “una cum” mi sembra difficilmente contestabile. L’argomento che lei utilizza per criticare questa posizione infatti non concerne direttamente il merito di quanto affermato, ma il problema della permanenza del Sacrificio Puro negli anni tragici dell’immediato post-concilio (è dall’approvazione formale del concilio che, per la Tesi, vi è la certezza della sede vacante, non dalla data di elezione di Montini. Per la precisione, secondo la Tesi la Sede Apostolica è formalmente vacante almeno a partire da quella data).
A questo proposito, lei pretende che le venga fornita la prova empirica di una verità che riguarda la fede. Se la Chiesa ci insegna – facendo riferimento, come lei stesso ricorda, alle Scritture – che il Santo Sacrificio durerà ininterrottamente sino alla fine dei tempi allora così è e così dobbiamo credere, indipendentemente dal fatto di riuscire a sapere chi e dove questo Santo Sacrificio viene offerto.
Quanto a padre Pio, direi che così come il fatto che un Santo pronunci, per sbaglio, ed in perfetta buonafede, un errore o una dottrina eretica niente toglie alla sua santità, allo stesso modo non incide sulla sua santità il fatto che egli, sempre in buonafede, presti obbedienza ad un non-papa (come è potuto accadere, ad esempio, a Santi che vissero all'epoca del Grande Scisma). Non risulta che padre Guérard Des Lauriers abbia mai dubitato della buonafede di p. Pio.
Fa specie, comunque, osservare che mentre la buonafede di p. Pio è quasi capace di farle pensare che la sua santità debba essere messa in discussione per il fatto che celebrava la Messa in comunione con Paolo VI (nel caso in cui si ammetta che Paolo VI non sia stato Papa), la buonafede di San Pietro ripreso e corretto da San Paolo nel passo da lei stesso citato non le fa lo stesso effetto.
Infine, alla falsa accusa di “tardività” del sedevacantismo, già mossa dalla rivista lefebvriana “La Tradizione Cattolica”, è ancora una volta don Ricossa – qui in Italia – a rispondere in Sodalitium 56 pp. 12 e ss., che la invito a rileggere.
Ecco quindi le sue conclusioni:
“In questo frangente storico, definito da tantissimi sacerdoti fedeli alla tradizione come la passione della Chiesa bisogna mantenere umiltà, e non avere velleità di poter risolvere questioni così complesse con tesi e trattati che non trovano riscontri colla Chiesa così come fu fondata da N.S. Gesù Cristo, non adattandola ad esigenze speculativa di sussistenza per questo superdogma della “Tesi”. Non è la Verità che si deve confermare nelle nostre “esigenze” ma noi ad essa! Con la coerenza che mi contraddistingue se avessi ritenuto possibile riscontrare la Chiesa, forse avrei pensato possibile anche quest’ipotesi ma de facto non la vedo. Con la speranza di vederci un giorno tutti in paradiso, sottolineando che moltissimi “tesisti” sono persone d’indubbio valore morale e mossi da spirito di verità, concludo ringraziando il Signore per avermi salvato da questa posizione (a differenza di molti), per grátia et veritáte, Deo grátias”.
Caro sig. Gaetano Accomando, per lei umiltà significa giudicare il Papa? Giudicare la Chiesa? Questo, infatti, fa chi disobbedisce all’Autorità. Umiltà significa ammettere che dottrine dannosissime, errori, ecc. vengono dal Papato e dalla Chiesa? È questo che lei intende quando afferma che “non è la Verità che si deve confermare nelle nostre “esigenze” ma noi ad essa”? La prego di scusarmi, ma, davvero, non riesco a credere che un simile atteggiamento possa essere presentato come "umile".
La Tesi non è un dogma e tantomeno un “superdogma” e nessuno ha mai detto che per esser salvi è necessario condividerla. Come dice l’abbé Belmont il sedevacantismo (nella forma della Tesi di Cassiciacum) non crea nulla di nuovo, perché non è un principio, né un sistema, ma una conclusione; è la constatazione ragionata di un fatto di cui si desidera al più presto la sparizione. Quello che è importante è conservare la fede senza attribuire alla Chiesa o al Papato orrori a loro non imputabili.
Anch’io sono certo della sua buonafede e della buonafede di molti che rifiutano questa difficile conclusione (cioè che da anni ormai non vi sia Autorità pontificia in atto), ma prego lei e gli altri che – ripeto, in buonafede – predicano una Chiesa fallace e assassina di anime in nome dell’”umiltà” o della “prudenza” di non dare lezioni di coerenza a chi invece non accetta come cattolica questa predicazione. Parafrasando Mons. Sanborn vi prego inoltre di comprendere che la Tesi di p. Guérard abbandona alla Provvidenza divina il ristabilimento dell’ordine, ma non altera in nulla la natura della Chiesa; essa potrà, forse, anche condurre al mistero, ma non condurrà mai alla contraddizione.
Spero anch’io che un giorno possiamo rivederci in paradiso. Sono sicuro che vi entreranno tante persone che in vita hanno inteso in modo del tutto erroneo la natura della crisi che affligge attualmente la Chiesa di Dio.
Mi scuso se non ho dato risposte troppo approfondite, ma il tempo e le conoscenze mi mancano. D'altra parte le accuse erano altrettanto superficiali. Mi scuso sinceramente anche delle sciocchezze che mi sia capitato di dire.
Un caro saluto
Timoteo
Nessun commento:
Posta un commento